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Autore: Lelaiah    19/09/2017    0 recensioni
Da diversi anni il genere umano è entrato in contatto con il mondo soprannaturale e la convivenza, nonostante alcuni alti e bassi, sembra essere tranquilla. L'arrivo del branco MacGregor a New York ha creato un grande scompiglio tra gli altri gruppi di licantropi e stuzzicato la curiosità della stampa.
Tutto quello che vuole Evan, figlio dell'Alfa del clan appena arrivato da oltreoceano, è poter vivere la propria vita in pace. Possibilmente evitando la maggior parte dei contatti col padre e ignorando le richieste egoiste della bella ed algida Crystal, sua moglie.
Nella stessa città vive anche Amanda, giovane assistente che condivide l'appartamento con la sorella Frances e il fidanzato di lei, Andrew. La loro vita scorre tranquilla, lontana da qualsiasi coinvolgimento col soprannaturale... almeno fino a quando tutti loro non si ritroveranno nel bel mezzo di un attacco perpetuato da alcuni licantropi di un clan locale.
L'inaspettata trasformazione di Drew porterà questi due mondi ad entrare in collisione. Far collimare stili di vita dissimili sembrerà ancora più difficile quando la città verrà sconvolta da una serie di omicidi, questa volta ai danni della comunità soprannaturale.
Umani e licantropi riusciranno a collaborare? E magari anche ad innamorarsi?
Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 20 Bad moon rising
E' passato tanto, tanto tempo. Lo so. Ma ho dovuto porre la redazione della tesi davanti a tutto il resto, anche alla mia passione per la scrittura.
Ora sto riprendendo in mano le fila del discorso, rientrando lentamente dentro questa New York mannara.
Vi auguro buona lettura!

A presto, Lelaiah :)







Cap. 20 Bad moon rising


   Evan abbassò lentamente la mano ed estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans. Guardò lo schermo e serrò la mascella con forza.
“Non ora.”, pensò, infastidito. Con la coda dell’occhio vide David fissare alternativamente lui e la porta di casa. –Apri… ma stai attento alla folla.- gli disse sbrigativo.
Al cenno d’assenso dell’amico accettò la chiamata e si portò il telefono all’orecchio, cercando di mantenersi calmo.
-MacGregor.- disse la voce dall’altro capo.
-Aleksandr.- rispose lo scozzese, senza aggiungere null’altro. La tensione nella voce del suo interlocutore era evidente e nemmeno la distanza fisica tra i due poteva mascherarla.
-Ho saputo degli ultimi avvenimenti da alcuni informatori.- riprese l’Alfa di Hamilton Heights.
Evan accentuò leggermente la presa sull’apparecchio. –Ho ritenuto necessario intervenire prima che facessero del male al cucciolo.- spiegò. Sapeva che, essendo ospite nel territorio di un altro lupo, doveva evitare di creare casini, ma non vedeva la necessità di sottoporsi ad un terzo grado.
 Dall’altro lato ci fu una lunga pausa. –Sono lieto che l’operazione sia riuscita nel migliore dei modi.- fu la risposta. Apparentemente innocua e molto simile ad un complimento.
Evan scambiò un’occhiata con Emily, rimasta in ascolto. Le fece cenno di allontanarsi e lei si posizionò accanto alla finestra. La sua ansia lo stava distraendo e non voleva rischiare di commettere passi falsi durante la conversazione con Aleksandr. Inoltre aveva bisogno di essere curata: la ferita al fianco continuava a perdere sangue, imbrattandole la maglietta.
Spostò lo sguardo e si concentrò sulla parete che aveva di fronte. -Per quale motivo hai chiamato?- domandò, cercando di suonare il meno ostile possibile.
Il russo rise sinistramente. –Me lo stai seriamente chiedendo?
  Van strinse il pugno libero, sentendo la bestia dentro di sé irritarsi: non gli piacevano le persone che parlavano per indovinelli o che giocavano con gli altri come il gatto fa col topo.
-Non era previsto che Eric venisse ferito.- iniziò. –Doveva semplicemente distrarre le Sentinelle lungo il perimetro.- concluse.
Ci fu una lunga pausa dall’altro lato, di nuovo. –A quanto pare il compito che gli hai affidato non era così semplice come sembrava.- fu il commento caustico.
   Il giovane si trattenne a stento dal digrignare i denti ed inveire. –Ha gestito la situazione egregiamente.- replicò. Avvertì una vampata di calore salirgli al viso ed ebbe l’impressione di esser sul punto di perdere la calma. Da quando in qua doveva preoccuparsi di non perdere la calma? Non era lui quello che aveva represso le emozioni?
Aleksandr si lasciò sfuggire uno sbuffo ironico. –Egregiamente?
Evan spostò il peso da un piede all’altro, infastidito da una delle ferite che si era procurato e dal tono del suo interlocutore. L’impellente bisogno di prender a pugni qualcosa si stava facendo sempre più forte. –Non vedo la necessità di giustificarmi con te. Tuo nipote è fuori pericolo.- tagliò corto.
-Per questa volta. Ma se dovesse succedere ancora qualcosa del genere, avrò la tua testa, MacGregor. Non mi interessa quanti lupi dovrò far fuori per averla.- rispose l’Alfa russo. -Do svidánia.
Solo uno stupido non avrebbe colto la minaccia insita nella voce del capobranco di Hamilton Heights ed Evan non era sicuramente uno stupido. Ma non era nemmeno un cucciolotto alle prime armi e sentirsi rivolgere quelle parole risvegliò definitivamente la bestia che aveva dentro.
Non l’animale, no.
La sua bestia personale, quella alimentata dai suoi sentimenti, repressi e non.
Digrignò con forza i denti e strinse l’insignificante apparecchio che aveva in mano con forza. Si sentì distintamente il vetro scheggiarsi e poi andare in frantumi, sbriciolato. Evan non lo degnò nemmeno di uno sguardo e lo lasciò cadere a terra, prima di raggiungere Emily.
La ragazza gli lanciò un’occhiata interrogativa, ma si astenne dal fare commenti. -Là fuori ci sono un bel po’ di piantagrane.- disse invece.
-Lo posso percepire.- fu la risposta dello scozzese.
L’idea di dover affrontare un’orda di microfoni pronti a registrare ogni sua parola lo rendeva oltremodo nervoso. Non perché temesse di poter dire qualcosa di sbagliato, ma per il semplice fatto che era una persona estremamente riservata e quello del giornalista era il mestiere più invasivo con cui avesse mai avuto a che fare.
-Vuoi che vada ad aiutare David?- domandò Emily.
Van le dedicò una rapida occhiata. -No. La situazione è abbastanza spinosa così com’è: mostrarti con tutto quel sangue addosso peggiorerebbe solamente la situazione.- spiegò. -Vai da Blake e cerca di non dissanguarti fino a che non sarà arrivato Alastair.- con quelle parole mise la parola fine alla loro conversazione.
Fece per dirigersi verso la porta, ma la voce dell’americana lo bloccò. -Nemmeno tu sei molto rassicurante, sai?- gli fece notare.
-Vero… ma sono sicuramente più minaccioso.- rispose, tagliente. Sapeva che il commento voleva essere ironico, ma non aveva tempo per l’ironia in quel momento. Allungò il braccio ed abbassò la maniglia.
Quello che trovò oltre la soglia era peggio di quanto si fosse aspettato. Dave se ne stava bloccato tra due giornalisti piuttosto insistenti, incapace di lasciare il pianerottolo senza un atto di forza. Scelta sconsigliabile data la numerosa presenza di umani.
   Il Beta notò subito la sua presenza e gli lanciò un’occhiata disperata da sopra la spalla, in cerca d’aiuto. “Distraili, per favore!”, aggiunse mentalmente l’inglese.
Evan sollevò un sopracciglio, pronto a replicare, quando si ritrovò investito da una serie di domande strillate a pochi centimetri dalle sue orecchie. Fece una smorfia e digrignò i denti, emettendo un basso ringhio.
-Arretrate. Subito.- non era una richiesta.
La folla s’azzittì, colta di sorpresa. Ma lo sgomento durò solo un attimo e subito dopo i registratori tornarono ad allungarsi verso di lui. Le domande si sprecavano, così come i flash delle macchine fotografiche.
Il giovane MacGregor chiuse brevemente gli occhi, infastidito. La bestia dentro di lui non sembrava apprezzare tutte quelle attenzioni e non poteva assolutamente biasimarla.
Prese un respiro profondo, cercando di mantenere il controllo della propria voce. -Vi ho chiesto di lasciarci un po’ di spazio.- riformulò la propria richiesta.
   David sentì l’aria sfrigolare e lanciò un’occhiata allarmata verso l’amico, temendo potesse dare in escandescenza. Invece lo vide sollevare lentamente le palpebre e fissare l’assiepamento di persone davanti a sé con una calma innaturale. I suoi occhi erano cangianti e poteva percepire lo sguardo della bestia nelle loro profondità.
Quel piccolo trucchetto sortì il suo effetto, perché i giornalisti arretrarono immediatamente, spaventati. Il licantropo ne approfittò per fendere la folla, allungare un braccio e trascinare Alst sul pianerottolo, tra lo stupore di tutti.
-Grazie per la vostra collaborazione.- Evan spinse i due all’interno e si chiuse la porta alle spalle. Il tempo di un respiro e le persone dall’altra parte insorsero, arrabbiate. Qualche temerario batté un pugno contro l’anta.
Evan si massaggiò il ponte del naso, provato da quell’ennesima seccatura e si concesse un momento per fare il punto della situazione.
-Non capirò mai come fanno ad essere sul luogo di un evento cinque minuti dopo il suo accadimento.- commentò Alastair, sconvolto.
-Fiutano la notizia.- fu la risposta di David. -Come gli sciacalli con una carogna.
Il secondo del branco MacGregor storse la bocca. -Paragone calzante, ma assolutamente non necessario.
Il ragazzo alzò brevemente le spalle. -Scusate. È quella l’impressione che danno.- mormorò.
Evan liquidò la questione incuneandosi tra i due. -Che notizie dall’ospedale?- domandò, rivolto al cugino di suo padre.
Alastair lo guardò ed accennò un sorriso. -Ho richiesto una notte d’osservazione, come ti ho detto, ma quando l’ho lasciato era vigile.- comunicò.
-Nulla di permanente, vero?
L’altro scosse la testa. -Solo ferite da artiglio, niente che riguardi l’argento.- assicurò. -Parlando di ferite… dov’è il piccolo?- si voltò a perlustrare l’ambiente.
-Nella camera di Emily. Si è addormentato nonostante le bruciature.- disse David, accennando col capo al corridoio che portava nella zona notte.
Alst annuì e puntò lo sguardo sulla giovane, concentrando la propria attenzione sulla ferita che aveva al fianco. -Fammi vedere, ragazza.- le si avvicinò.
Lei arrossì. -Non c’è bisogno…- mormorò, tentando di sottrarsi all’ispezione. Ma quando percepì le mani dell’uomo sulla propria pelle venne scossa da un fremito e si arrese, grata che ci fosse qualcuno disposto ad aiutarla. -Grazie.- sussurrò.
-Non è grave.- la rassicurò. -Ma bisogna comunque pulirla.
Mentre Alst si occupava di Emily, Evan prese da parte David. -Dobbiamo liberarci di tutti quei giornalisti. La loro presenza non è di nessun aiuto.- disse, accennando alla porta col capo.
-Lo so, ma non so come…- iniziò il moro, per poi bloccarsi. Si accigliò, confuso ed annusò attentamente l’aria per qualche istante. -Evan…- sollevò lo sguardo sull’amico, ma quello si stava già voltando verso la porta.
-Pessimo tempismo.- lo sentì commentare.



***

-Scegliere i Blacks è stato un errore.- sentenziò.
L’aria attorno a lui sembrò crepitare ma, a parte quel piccolo tremolio, nulla lasciava presagire la presenza del suo interlocutore. “Sono pienamente d’accordo.”, fu la risposta.
  Rodrick si concesse la pallida imitazione di un sorriso, in segno d’approvazione. La mente di quel cacciatore gli piaceva: arguta e tagliente come una lama di ghiaccio.
Allacciò le mani dietro la schiena e si mise a misurare a grandi passi l’ambiente in cui si trovava. Alcuni piccioni emersero spaventati dalla penombra, puntando verso le nuvole in una pioggia di piume.
Seguì brevemente il loro volo, lanciando un’occhiata al cielo plumbeo che si intravedeva oltre i resti del soffitto. -Stupidi animali…- sussurrò, disgustato. I piccioni che c’erano nella sua terra natia, la Scozia, avevano un aspetto diverso ed erano di gran lunga meno ottusi.
Come dovremmo muoverci, ora…?”, la domanda si formò nella sua mente, del tutto simile ad un fiore che sboccia.
  Il licantropo si grattò il mento, cercando di mettere in ordine i pensieri. Aveva bisogno di risultati concreti e ne aveva bisogno in breve tempo, per di più: quello che gli rimaneva da vivere poteva non bastare per mettere in atto la sua vendetta e non poteva lasciare la sua esistenza terrena senza aver soddisfatto la propria sete di sangue.
-Non posso più permettermi il lusso di sbagliare.- ragionò, lasciando vagare lo sguardo sul vecchio pavimento di pietra. La grande sala in cui si trovava riecheggiò lugubre al ritmo dei suoi passi, trascinata nei suoi propositi violenti. -Rendere i Blacks ed il branco del giovane MacGregor nemici è stato l’unico risultato utile.- aggiunse, appoggiandosi al davanzale di una delle numerose aperture che scandivano le pareti longitudinali.
  Lasciò spaziare lo sguardo, attento a non intercettare quello dei turisti che si muovevano  attorno alla struttura in cui si trovava. Il mondo oltre l’Est River ignorava i suoi propositi eppure, in quel momento, gli sembrava assolutamente ostile.
Non perché fosse un pivellino impaurito, ma perché il Nuovo Mondo non aveva nulla a che fare col suo. La natura era stata soffocata dal cemento, non si percepivano che pochi luoghi dotati di spiritualità… per non parlare delle creature ultraterrene.
   Rivelarsi al mondo degli umani gli era sempre parsa un’assurdità e vedere licantropi e vampiri collaborare con quelle fragili e volubili creature lo nauseava. Il loro mondo era troppo complesso per poter essere condiviso: aveva regole che andavano rispettate, sempre. Non si potevano trovare scappatoie.
E chi si macchiava di atti ignobili doveva essere punito.
“Lasciare che mia figlia morisse è stato un atto ignominioso. Un’offesa all’intero clan Cameron.”, strinse un pugno con rabbia, segnando in modo permanente il davanzale di pietra grigia.
E quell’offesa va punita.”, concordò la voce remota con cui stava avendo una conversazione. “Mi chiedo solo quale sia il modo migliore.”
Rodrick digrignò i denti. -Troverò un modo. Devo solo capire a cosa o a chi mirare.
Fece scivolare lentamente una mano dentro il collo della camicia e ne estrasse una pesante collana dall’aspetto antico. Vi passò sopra il pollice, quasi a volerne ricavare una sorta di energia. Inspirò lentamente e poi aprì gli occhi, fissando l’edera arrampicarsi sulle pareti del vecchio ospedale abbandonato. -E’ ora di conoscere meglio il nemico. Solo così potrò prevalere.- disse, deciso.
Il monile divenne più caldo nella sua mano e l’aria tornò nuovamente a crepitare.
   Era finalmente ora di andare a caccia.
 

***

   Non appena ebbe svoltato l’angolo si ritrovò davanti quello che, a tutti gli effetti, si poteva considerare un muro umano.
Si bloccò di colpo, osservando sgomenta la moltitudine di giornalisti che se ne stava assiepata davanti alla porta d’ingresso del suo condominio. I passanti lanciavano loro occhiate curiose, ma senza fermarsi: sapevano di non doversi immischiare.
Si guardò attorno, cercando di capire il motivo di tanta eccitazione.
“E adesso come faccio a rientrare?”, si chiese. Poi, subito dopo, il pensiero del salvataggio le attraverso la mente con prepotenza. “Oddio, fa’ che non sia successo nulla di grave!”, pregò. Si morse il labbro, indecisa sul da farsi, ma poi mosse un passo in direzione della massa di persone, decisa ad entrare in casa.
   Aveva atteso notizie per tutto il giorno e voleva sapere.
Era ormai pronta a sgusciare tra i presenti quando il suo cellulare prese a vibrare. Immerse la mano nella borsa e lo afferrò, portandolo subito all’orecchio. -Pronto?
-Amanda, sono David.- si sentì dire. Allontanò il cellulare e fissò lo schermo, perplessa. -Ti sto chiamando dal telefono di Drew.- spiegò l’inglese.
-Perché ci sono tutti questi giornalisti davanti al palazzo?- chiese, senza perdere tempo.
-A quanto pare hanno saputo dello scontro al porto e vogliono avere qualche… scoop succulento.- disse, cercando di suonare divertito. In verità la ragazza poteva percepire senza problemi l’ansia che attanagliava la sua voce.
-Cosa posso…? Come…?- Mandy non sapeva che pesci pigliare.
-Allontanati il più velocemente possibile, per favore. E resta nascosta fino a quando non se ne saranno andati.- le consigliò. A quelle parole lei alzò lo sguardo verso l’alto, cercando il suo interlocutore. Lo trovò seminascosto dietro l’imbotte di una finestra, gli occhi fissi sulla strada sottostante.
Si passò una mano sui capelli, indecisa sul da farsi. -Voi come state..?- riuscì a chiedere.
Dave scosse brevemente il capo. -Dopo, Amanda. Ora trova un posto sicuro, per favore.- disse, interrompendo sul nascere le sue domande.
   Anche se con una certa riluttanza, lei finì per annuire e riporre il telefono nuovamente nella borsetta. Assunse l’aria più disinvolta possibile e girò su se stessa, puntando il piccolo bar subito dietro l’angolo.
Con la coda dell’occhio notò un paio di testa voltarsi, forse disturbate dal suo movimento, ma nessuno sembrò seguirla. Le ci mancava solo un’intervista con inseguimento per concludere in bellezza la giornata.

 
   Sentiva un gran baccano provenire da un punto indistinto sopra la sua testa.
Non avrebbe saputo dire da che direzione provenisse, ma non aveva importanza in quel momento: aveva ben altri problemi a cui pensare.
Lo spazio in cui si trovava gli sembrava ostile, asettico eppure sapeva che era l’unica cosa che poteva aiutarlo, in quel momento.
  Sentiva la luna salire nel cielo, lenta e silenziosa. Non poteva essere fermata, lo sapeva, e nonostante tutto quello che gli avevano detto sui nuovi ceppi genetici, sapeva anche che non poteva combatterla.
Quella notte si sarebbe trasformato, era praticamente inevitabile. E, se avesse avuto ancora qualche dubbio, quella cella e lo sguardo di David quando l’aveva rinchiuso ne erano la conferma.
   Si appoggiò pesantemente alla parete di fondo, alzando lo sguardo alla bocca di lupo da cui entravano gli ultimi spiragli di luce. Gli doleva ogni parte del corpo, con un’intensità tale da far impallidire i pugni sferratigli da Stryker. Era come se il lupo stesse cercando di dilaniare la sua carne dall’interno per potersi liberare e sbranare la prima persona incontrata sul proprio cammino. Ogni suo muscolo era impegnato nell’inutile tentativo di trattenerlo.
O almeno di ritardare quanto più possibile la trasformazione.
Con un gemito si accartocciò su se stesso, stringendo le braccia al petto e pregando che finisse in fretta. “Non finirà in fretta…”, gli ricordò quella maligna della sua coscienza. Non era per niente rassicurante sapere che anche la sua parte razionale era conscia dell’inevitabile.
Provò a prendere qualche boccata d’aria, ma fu come inghiottire degli aghi e quindi rinunciò, trattenendo il respiro il più a lungo possibile.
Si guardò attorno, analizzando ancora una volta quello che aveva intorno. Non molto, a dire la verità: quattro pareti di acciaio ed una brandina. Sopra il giaciglio era stata incisa una frase che, a prima vista, gli parve celtico.
Riuscendo ad ignorare per un attimo l’inferno che aveva dentro, caracollò fino al lettino e vi si lasciò cadere, passando le dita sulle lettere incise. “No… non è celtico…”, realizzò.
Riconobbe la parola usata per indicare Dio, ma poco altro. Se fosse riemerso da sottoterra ne avrebbe chiesto il significato ad Evan. Ma, fino ad allora, doveva accontentarsi di pensare che fosse qualcosa scritto per dar forza a qualunque lupo fosse stato rinchiuso lì dentro.
   Lentamente si distese sulla branda e si chiuse a riccio, sperando di poter alleviare un po’ l’acuto pulsare che lo pervadeva. Ogni volta che credeva di aver imbrigliato la bestia, ecco che quella si liberava ed attaccava un’altra parte del suo corpo: ora stava dilaniando il suo stomaco, vorace.
   In più stava perdendo anche il controllo della propria mente, sempre più proiettata verso sanguinolenti sventramenti e corse in una foresta che non assomigliava a nulla che avesse mai visto in America. Le persone sopra la sua testa -perché di persone si trattava, lo sapeva- continuavano a far baccano, ma ora non sentiva più le loro voci, percepiva il rapido pompare dei loro cuori. L’odore della carne fresca e la promessa delle loro urla quando avesse affondato i denti nelle loro giugulari.
Scosse violentemente la testa, spaventato da quelle visioni.
-Oddio…- piagnucolò, incassando il capo tra le spalle. Gliel’avevano descritto e sapeva cos’aspettarsi, in teoria. Ma era come essere il protagonista di un film horror di terza categoria, in cui la parola d’ordine era eccesso. Era certo di non possedere nemmeno la fantasia necessaria per dar vita a quello che gli stava attraversando la mente.
E, come se non bastasse, il suo collegamento col branco sembrava essersi fatto all’improvviso molto più forte e riusciva a percepire come proprie tutte le loro emozioni. Gli sembrava di esser diviso in tanti pezzi, attaccato su più fronti da avversari che non poteva sconfiggere.
Cerca di rimanere saldo nella mente, gli aveva detto Alastair.
Da principio non aveva realmente colto il significato di quelle parole, credendo che fosse solo un problema di natura fisica, ma ora doveva ricredersi.
Controllare la bestia era uno sforzo mentale e fisico ed in quel momento sia la sua mente che il suo corpo gli si stavano ribellando.
-Devo mantenere il controllo.- si disse, cercando di darsi forza.
In risposta venne colpito da una fitta fortissima al plesso solare e fu costretto a rotolare sulla schiena, contorcendosi. Credette d’urlare, ma quello che uscì dalla sua bocca era un ululato.
Mantenere il controllo sembrava sempre meno possibile.


   Evan distolse per un momento la propria attenzione dalla folla di giornalisti ancora assiepati all’esterno. -L’hai fatta allontanare?- chiese, lanciando un’occhiata al proprio Beta.
Quello annuì un paio di volte.  
-D’accordo… ora devo solo trovare un modo per fare lo stesso coi giornalisti.- ragionò, chiudendo gli occhi per qualche istante. Percepiva il rumore dei loro cuori, i sussurri e le piccole interferenze elettriche delle loro apparecchiature. Perché non andavano ad importunare qualcuno desideroso di finire sulle pagine patinate delle riviste e li lasciavano in pace?
-Per loro è tutto nuovo.- Alastair si materializzò alle sue spalle. -Vogliono essere i primi a metter le mani sullo scoop e poterlo sbandierare ai quattro venti. Come un bambino ansioso di mostrare il suo nuovo giocattolo ai fratelli.- aggiunse.
Van gli dedicò una rapida occhiata da sopra la spalla. -Emily?- chiese, ignorando il commento, seppur assolutamente veritiero.
L’altro si strinse nelle spalle ed accennò col capo verso il corridoio dietro di sé. -Si è addormentata col piccolo. Erano entrambi allo stremo delle forze.- mormorò. -Gli ci vorrà un po’ per riprendersi… emotivamente parlando.
-Ci sarà tempo per quello. Ma ora…- il giovane MacGregor s’interruppe a metà della frase, reprimendo una smorfia.
-Evan!- David gli si affiancò subito, preoccupato. -Cosa ti avevo detto a proposito…
-Sì, lo so. Non rinfacciarmelo.- lo zittì l’altro, brusco. -Non c’è traccia d’argento nelle ferite né di sorbo degli uccellatori o aconito.- aggiunse subito dopo, a beneficio di Alastair.
Quello sollevò un sopracciglio fulvo e lo guardò storto. -Ti devo ricordare che il tuo fisico ha un suo limite, nonostante tu sia un licantropo?
Scosse rapidamente la testa, appoggiandosi pesantemente al tavolo della cucina. -Non ho tempo per questo. Ora devo capire come comportarmi.- liquidò la questione con un rapido gesto della mano e si raddrizzò.
Alst gli si avvicinò e lo afferrò saldamente per le spalle. -Siediti e prendi fiato. Adesso.- ordinò, perentorio. Evan oppose resistenza, all’inizio, ma poi si lasciò condurre sul divano.
   Da quella nuova posizione guardò i due uomini di cui si fidava di più al mondo, traendo forza dalla loro semplice presenza. Non lo avrebbe mai ammesso pubblicamente, ma saperli dalla sua parte lo rendeva forte e più sicuro di sé.   
E lo aiutava a rimanere concentrato mentre il suo cervello tentava di mettere in ordine i pensieri. Impresa ardua in quel momento, dato che gli rimbombava a causa delle proteste dei giornalisti.
-Non riesco a pensare con questo baccano…- dovette ammettere. “Sono sempre stato un uomo d’azione, poco pratico di diplomazia.”, si disse.
-Non riesci a pensare perché sei al limite.- lo corresse Alst, incrociando le braccia al petto. Evan lo guardò da sotto in su e si lasciò andare ad uno sbuffo di protesta. -Per come la vedo io, ora dovete soltanto occuparvi del lupo che avete in cantina.- aggiunse.
Al che, i due giovani si scambiarono un’occhiata e poi abbassarono lo sguardo, quasi potessero vedere attraverso il pavimento.
-Che idiota.- Dave si passò una mano sul viso, dandosi dello stupido. Aveva veramente creduto che sarebbe bastato dire due paroline d’incoraggiamento ad Andrew, chiuderlo in cantina e dimenticarsene fino alla successiva alba?
-Il ragazzo sta soffrendo e si sta agitando notevolmente.- Alastair rincarò la dose, l’orecchio teso per captare i suoni provenienti dall’interrato.
Ora che gli era stato fatto notare, Evan poteva percepire Andrew senza nessun problema. Le sue emozioni lo stavano investendo come le onde della risacca, costanti e via via più potenti: ignorarle non era possibile. Eppure l’aveva fatto. E con lui David.
“Pessimo inizio, Evan.”, si rimproverò.
Che avesse ignorato quella richiesta d’aiuto telepatica semplicemente perché a lui era stato riservato lo stesso tentativo? No, anche in quel caso non avrebbe dovuto sottovalutare le necessità di un giovane lupo al primo confronto con la luna piena.
-Se promettessimo un’intervista ad una delle testate pensate che se ne andrebbero?- meditò David. -Così da poterci occupare di Andrew senza scocciatori…
Evan valutò la proposta, trovandovi moltissimi risvolti negativi. -Non credo che sia la nostra migliore opzione.- ammise. -Ma, ora come ora, mi sembra anche l’unica decente.- aggiunse, alzandosi.
   Si avviò con passo fermo verso la porta e la aprì, fronteggiando nuovamente i presenti. -Abbiamo deciso di concedere un’intervista ad una sola testata. Considerato che siamo lupi vecchio stampo, daremo la precedenza alle signore.- annunciò. -Per esser più precisi, a quella che ha fatto più strada per raggiungerci.- aggiunse subito dopo.
Le parole dello scozzese scatenarono un terribile parapiglia da cui, alla fine, uscì vincitrice una giornalista del Times. -Grazie a tutti.- Van li congedò e fece un cenno di conferma alla donna.
-Posso intervistarla subito..?- domandò quella, speranzosa, registratore alla mano.
Scosse la testa. -No. Ora abbiamo un problema più pressante che richiede la nostra attenzione. Ci lasci il suo biglietto da visita e la ricontatteremo noi.- disse, deciso. Ora che aveva risolto la questione in maniera più che civile, voleva occuparsi di Andrew.
L’inviata fece per protestare, ma David comparve alle spalle di Evan con un sorriso amabile dipinto in volto ed allungò una mano verso di lei. Presa in contropiede, la donna allungò il proprio biglietto con sguardo un po’ inebetito.
   I due fecero per congedarla, quando un nuovo odore attirò la loro attenzione. Anzi, no, non era un odore nuovo: l’avevano già sentito quando avevano incontrato Andrew per la prima volta.
Dave sgranò gli occhi, di colpo spaventato. -Oddio…- si lasciò sfuggire.
Van scostò rudemente la giornalista e si precipitò giù dalle scale, subito seguito a ruota da David e Alastair.


  Non sapeva da quanto tempo stesse andando alla deriva: avrebbero potuto essere minuti oppure ore.
Era diventato così reattivo che ogni singolo respiro gli causava dolore ed agitava ulteriormente la bestia. Il lupo era ormai in procinto di liberarsi, gli artigli conficcati saldamente qualche centimetro sotto la sua pelle e pronti a farla a pezzi senza nessun ritegno.
Andrew aveva provato di tutto: rannicchiarsi su se stesso, farsi del male conficcandosi le unghie nei palmi della mano, respirare lentamente… nulla aveva funzionato.
“Ci siamo…”, pensò, con un misto di sollievo e terrore. Una volta trasformato gli sarebbe stato quasi impossibile controllarsi e sapeva che quella prima trasformazione sarebbe stata la peggiore di tutte. Ma, una volta mutato, avrebbe smesso di provare dolore, almeno.
Controllala, non combatterla.
Con quelle parole Alastair aveva cercato di dargli il miglior consiglio che potesse offrirgli, ma lui aveva iniziato a lottare sin da subito e non si era più fermato, alimentando la rabbia e la sete della bestia.
   Ed ora stava finalmente deponendo le armi, pronto a lasciarsi sopraffare.
Prese un lento e doloroso respiro, lasciando uscire un rantolo molto simile ad un guaito. Distese lentamente braccia e gambe ed aprì gli occhi, puntando lo sguardo sul soffitto.
Ci fu qualche istante d’immobilità, in cui ebbe un momento di tregua, prima che il mondo attorno a lui esplodesse in mille pezzi.
   Fu come essere investiti da una bomba: tutti i suoi sensi vennero annullati e ogni singola fibra del suo corpo fu sopraffatta dal dolore. Ebbe il tempo di pensare che la fase di shifting non era stata nulla, se paragonata a quello, prima di rotolare sul pavimento e lasciarsi andare ad un feroce ululato.
Le ossa del suo corpo presero a muoversi, scricchiolanti e la sua pelle si fece tesa, come un elastico eccessivamente allungato. Osservò con terrore le falangi delle mani cambiare aspetto e tentò inutilmente di artigliare il pavimento di cemento, riuscendo solo a sfondarlo.
Sputò un grumo di saliva prima di avvertire la mascella allungarsi e la gola farsi serrata. Annaspò, in preda al terrore, ormai molto più lupo che Andrew. Si lasciò cadere su un fianco, agitando tutti e quattro gli arti in un’inutile corsa verso la salvezza.
E mentre le ultime ossa si rinsaldavano e trovavano la loro nuova collocazione, peli castano chiaro presero a ricoprire tutto il suo corpo. Ci volle poco e si ritrovò completamente protetto da una spessa pelliccia.
   E, come se qualcuno avesse premuto un interruttore, il dolore cessò: Andrew venne inghiottito ed il lupo fece la sua comparsa.
Lentamente, il licantropo fece perno sulle zampe e si mise in piedi, scrollandosi di dosso gli ultimi residui dell’umano che era stato. Ruotò le orecchie, captando i suoni attorno a sé e scrutò l’ambiente con gli occhi chiari.
C’erano molti odori accattivanti nell’aria, ma la brama di sangue lo spinse a focalizzarsi su quelli umani. Carne fresca e succulenti cuori che battevano, pronti ad esser dilaniati.
   Aveva solo l’imbarazzo della scelta: tutto quello che doveva fare era guadagnare la via d’uscita da quella gabbia di cemento in cui era stato rinchiuso.


  Sbatté le palpebre un paio di volte, confusa.
Eppure, quella che aveva davanti era proprio sua sorella Frances, non c’era dubbio.
-Fran…- riuscì a mormorare Amanda, stupita.
L’altra, che si era fermata di colpo per non andarle addosso, si riavviò i capelli e poi annuì. -Ciao Mandy.- sorrise timidamente.
Amanda si passò un mano sugli occhi, cercando di capire se non stesse avendo un’allucinazione. ­-Ma come…? Voglio dire tu…- biascicò, faticando a mettere insieme una frase di senso compiuto.
Sua sorella ridacchiò, nervosa. -Tranquilla. Sono veramente io.- la rassicurò. Finalmente convinta, Mandy si sporse avanti e l’abbracciò, contenta che fosse tornata. -Anche tu mi sei mancata.- Frances la strinse a sé, anche se con un po’ d’imbarazzo.
Rimasero così per qualche istante, poi la più grande delle Miller sciolse l’abbraccio, schiarendosi la gola. L’imbarazzo era palpabile e l’avvolgeva come un guanto.
Amanda decise di tentare con una domanda innocente, giusto per rompere il ghiaccio. -Come stanno a casa?
Fran colse l’imbeccata e si rilassò leggermente. -Oh, bene. Greg si è lamentato tutto il tempo dicendo che me ne stavo in casa sua come una sanguisuga, mangiandogli tutte le cose buone che c’erano in casa.- disse, ridacchiando al ricordo del continuo borbottare del fratello.
-Lo sai che non devi toccargli i suoi cibi preferiti.- anche Amanda si unì alla risata, sforzandosi di sembrare il più naturale possibile. In verità avrebbe voluto scuoterla e chiederle perché diavolo ci aveva messo tanto.
-Quello non è cibo: sono schifezze.- precisò l’altra.
-Già… quindi tu hai vissuto di schifezze, in questo periodo.- la canzonò sua sorella. Frances si passò una mano sullo stomaco e poi fu costretta ad annuire: in effetti aveva messo su un paio di chiletti.
Mandy si accorse del suo sguardo e si affrettò a rassicurarla, dicendole che nessuno avrebbe notato gli effetti delle sue abbuffate. Dopo un breve sorriso tirato da parte della sorella, tra le due cadde il silenzio.
“Oddio… avrei tante cose da dire.”, si rese conto Amanda. Ma sapeva anche che nessuna di quelle frasi sarebbe stata adatta alla situazione. Mentre era persa nei propri pensieri, non notò la giornalista uscire dal condominio, contenta di aver ottenuto l’esclusiva.
-Ehm… perché ci sono dei giornalisti?- volle sapere Fran.
La morettina sollevò di scatto la testa. -Come?
Sua sorella indicò la donna che si allontanava ed un paio di furgoni di alcune emittenti cittadine parcheggiate non molto lontano. Mandy spostò lo sguardo sulle vetture, prendendosi del tempo per ragionare. -Abbiamo… cioè, il branco ha avuto qualche grattacapo.- rispose, evasiva.
Frances sembrò accontentarsi, perché non chiese altro, anche se rimase voltata verso l’edificio dove fino a poco tempo fa risiedeva con Andrew.
Lentamente lasciò scorrere lo sguardo lungo la facciata di mattoni, fino a fermarsi alla finestra della sua camera da letto. Si morse il labbro, indecisa, ma alla fine chiese:-Dov’è Andrew?
Amanda quasi sobbalzò all’udire quella domanda. -Lui… ecco…- non sapeva come dirgli che molto probabilmente Drew era più lupo che umano, in quel momento.
-Cosa mi stai nascondendo?- Frances si rabbuiò leggermente e prese ad incamminarsi verso il piccolo palazzo.
La sorella le si affrettò alle spalle. -No. Aspetta… lui non può vederti ora… lui…- farfugliò. Perché non riusciva a dirle semplicemente che era nel bel mezzo di una trasformazione causata dalla luna piena?
Forse perché la volta precedente non era andata molto bene, tra Frances e le questioni mannare.  
Erano ormai nell’androne d’ingresso quando Amanda si decise ad afferrare con forza il polso di Frances. -Ferma!- le ingiunse. Lei si girò e la guardò con tanto d’occhi, in attesa di una spiegazione.
Mandy aprì la bocca un paio di volte, torturandosi, quando l’arrivo improvviso dei ragazzi la tolse da qualsiasi impaccio. Fece per chiamare i loro nomi, ma venne anticipata da Evan, che si piazzò loro davanti e disse, perentorio:-Uscite subito.
-Cosa? E si può sapere perché?- Frances si fece tesa, pronta allo scontro.
Amanda invece notò una preoccupazione mal celata negli occhi dello scozzese e si chiese per quale motivo fosse agitato. Cercò lo sguardo di David per avere una spiegazione, ma il giovane aveva occhi solo per la porta che portava in cantina.
“Cantina…?”, Mandy si rese conto che le stava sfuggendo qualcosa. “Oddio, la cantina! Andrew!”, finalmente realizzò.
Fece per dire qualcosa quando la porta in questione venne colpita in modo violento, vibrando sui cardini con ferocia. Le ragazze sobbalzarono, colte di sorpresa, mentre i tre licantropi si posero a loro protezione, pronti al peggio.
Frances la guardò, spaventata e confusa. -Cosa succede?
La sorella scosse la testa, cercando di decidere quale fosse la cosa più saggia da fare. O da dire. O da tacere.
  Mentre ragionava febbrilmente sul da farsi, ci fu un altro colpo che fece accartocciare l’infisso su se stesso. Dal corridoio del piano interrato giungevano ringhi sommessi e un continuo ansito.
-Avete un licantropo lì dentro?!- Frances alzò la voce.
-Non un licantropo…- iniziò Amanda. In quel preciso istante la porta cedette e rovinò a terra con un rumore agghiacciante. Dalla penombra emerse un enorme lupo dagli occhi chiari e le zampe insanguinate. -Quello è Andrew.
  
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