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Autore: LynxRubra    20/09/2017    0 recensioni
[Dark Souls III]
C'è un'ombra rossa che perseguita l'Archivio Centrale di Lothric. La sua fama si propaga attraverso le fenditure tra mondi. Si dice che sia molto abile, capace di fronteggiare qualsiasi avversario. Ma cos'è che la spinge a lottare? Da quali emozioni nasce l'impeto che muove la sua spada?
[Personaggi: Sylvia, Guardiana del Fuoco, Lorian, Lothric]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SYLVIA LA CACCIATRICE

 

Immagina di spalancare, come Fiamma Sopita, le pesanti imposte di legno che serrano l’ingresso dell’Archivio Centrale di Lothric, immagina di aggirarti per quegli ambienti bui e maestosi, immagina la paura, i colpi inflitti dai nemici che si celano in quell’edificio, immagina ora che il tuo mondo, già tanto inospitale, venga invaso da uno spirito oscuro. Ecco, lo vedi comparire, noti oscillare la sua cappa, noti i suoi calzari in morbida pelle, i suoi guanti di cuoio e i suoi stivali dalla fibbia dorata. Si avvicina, arrivi a distinguere i pregevoli ricami del suo abito, infine mostra il suo sguardo, prima nascosto dalla visiera di un vistoso cappello allungato. È una donna. A questo punto, prima che ella sguaini il suo stocco, le chiedi di raccontarti la sua storia. Forse compi questa scelta inconsueta perché la sua figura ti ricorda qualcuno di cui hai già sentito parlare, forse perché ti ha raggiunto il suo fascino, o forse perché, semplicemente, non sei più in grado di combattere. Ad ogni modo, ormai non puoi far altro che restare in silenzio, sperando che ciò la convinca a non mettere mano alle armi, risparmiandoti così un’ennesima morte affatto desiderata.


 

Cosa? Mi prendi per il culo? Sono uno spirito oscuro, il mio compito è ucciderti, non certo parlare del più e del meno. Quindi forza, estrai la tua spada e combatti!

Allora, cosa stai aspettando? Tsk! Non ho motivo di attaccare qualcuno che non si difende, quindi je vous salue, connard. Je déteste les poltrons.

Cazzo, almeno di' qualcosa... e va bene, forse il tuo non è un atto di codardia, in fondo, se ci fosse stato qualcun altro al mio posto, probabilmente ti avrebbe sgozzato senza esitare. Quindi, anche se mi risulta davvero difficile trovare qualcosa da raccontare, cercherò di parlarti di me, proprio come mi hai chiesto.

Beh, sai, non ricordo nulla a parte quello che ho vissuto qui a Lothric come Fiamma Sopita, non so niente di concreto riguardo a quella che sono ormai abituata a definire “la mia vita precedente”. Tuttavia… ecco, quando ho lasciato la mia tomba al Cimitero della Cenere, una volta finiti i rintocchi di quella maledetta campana, ho chiuso gli occhi e, nel buio della mia mente, mi è sembrato di sentire una voce maschile che, come se volesse consolarmi, mi sussurrava:

-Sylvia, le sang est facile a sécher-

Nella mia lingua vuol dire “Il sangue si asciuga facilmente”. Ovviamente, non so cosa volesse intendere chi mi ha detto questa frase, però, senza ombra di dubbio, si addice ad un mondo in cui anche le ferite più profonde, dopo ogni morte, svaniscono al tepore di un falò. Da queste poche parole, in un certo senso, ho ricevuto anche il mio nome e forse il fatto di avere almeno una manciata di lettere con cui identificarmi mi ha aiutato nel mio viaggio attraverso Lothric. Ma un nome non basta di certo a definire un’identità e da subito ho iniziato a chiedermi chi fossi davvero, fino a dubitare della stessa esistenza del mio “io”.

In questo viaggio non sono stata in grado di recepire quasi nulla di umano. Non riuscivo a capire quello che gli altri volessero comunicarmi. Certo, all’inizio non conoscevo la loro lingua, ma non è questo che intendo. Io non sono riuscita a vedere nei loro gesti e nei loro sguardi sofferenti ciò che struggeva la loro anima, ho lasciato che le loro identità scomparissero senza nemmeno rendermene conto.

Non posso dire di esistere in virtù della mia sola capacità di pensare. L’attività del mio intelletto consiste nel dare sostanza e vita a ciò che lo circonda, al mondo che lo circonda e allo stesso tempo è il mondo a plasmare l’intelletto a sua immagine. È proprio da questo dialogo che dovrebbe nascere il mio “io”, eppure le emozioni di chi ho incontrato non mi hanno trasmesso nulla, io non sono riuscita a creare nulla, non sono riuscita a esistere davvero. Forse l’ho capito troppo tardi, quando ormai non mi era rimasto più nessuno. Beh, quasi nessuno.

Sono stata svuotata, tu dovresti capirmi, quel poco che riusciva a sfiorare il mio cuore veniva subito messo a tacere da quell’insaziabile desiderio di anime e di potere che è proprio di noi Fiamme Sopite. Quando mi sono, per così dire, risvegliata a Lothric non sapevo niente del Vincolo del Fuoco, dei Signori dei Tizzoni e di tutte le altre stronzate, figurati poi quanto riuscissi a capire delle spiegazioni che mi venivano faticosamente propinate in una lingua a me sconosciuta. Eppure già avevo iniziato a strappare l’anima da qualsiasi essere, da qualsiasi involucro mi si parasse davanti e ad accrescere così il mio potere. Quel desiderio innato mi stava avvicinando alla Fiamma e più avanzavo in quella direzione più mi sentivo vuota. In effetti in questa terra ci è stata concessa la possibilità di tornare a vedere la luce dopo la morte, però, in quanto Fiamme Sopite, non siamo altro che ricettacoli per anime, schiavi al servizio del Vincolo del Fuoco. In realtà noi non possiamo dire di essere vivi, del resto siamo soltanto dei cadaveri.

Ciononostante non posso negare di aver avuto una vita al di fuori di Lothric. Non lo dico a priori: ci sono quella frase e quel nome, ma soprattutto, se adesso agisco e penso in un certo modo, lo devo a ciò che mi è stato trasmesso, alle emozioni che ho provato allora e che hanno formato la mia identità. La mia lingua poi, forse è tra tutte l'espressione più lampante di ciò che ero. Vedi, quando mi sentivo così vuota da temere di perdere me stessa per sempre, ho iniziato a inventare delle canzoni che sono tuttora uno dei pochi espedienti in grado di offrirmi un minimo di conforto. Sì, ti sembrerà una sciocchezza, ma cantare come una bambina mentre attraverso questi luoghi desolati mi permette in qualche modo di riavvicinarmi a quei momenti remoti, a quegli attimi scomparsi insieme al mio passato. Le melodie che scandisco, le parole che pronuncio in quella lingua così lontana eppure così profondamente mia mi fanno sperare di riottenere in qualche misura la vita che ho perso. Anzi, mi sembra quasi di riviverla, perché forse il canto era già una mia passione e ciò che intono adesso potrei davvero averlo imparato allora, potrebbe davvero essere sepolto in una parte della mia memoria di cui non ho piena coscienza. Non per niente mi capita addirittura di piangere mentre canto, come se provassi le emozioni legate a quei ricordi ormai caduti nell'oblio.

Ho trascorso molto tempo senza capire cosa mi venisse detto ed è stato difficile, non lo nego. Tuttavia è stato bello, in un certo senso, scoprire quanto la mia lingua fosse simile a quella parlata qui. Anche quello era un modo, forse l’unico a mia disposizione, di condividere qualcosa, di imparare e anche di insegnare qualcosa, era l’unico mezzo che avevo per comunicare con gli altri, soprattutto con lei, la Guardiana del Fuoco, che, nonostante tutto, mi è stata sempre accanto.

Lei poi… lei ha risvegliato in me delle emozioni estranee sia a questo mondo che alla mia missione. Quando la guardavo, quando le ero accanto, spesso dimenticavo di ascoltare le sue parole e non riuscivo a fare a meno di rivolgere la mia attenzione alle sue mani, ai suoi fianchi delicati, al suo petto e a quel sorriso modellato sul suo volto di porcellana. In questo modo, la mia mente creava un dolce silenzio in cui riuscivo a percepire i sussulti del mio cuore, il fremito delle mie labbra e il crescente affanno del mio respiro. Nonostante ciò, ho cercato di ignorare le volontà della mia essenza fisica che, pur non potendo procreare, era ancora desiderosa di amare e ho deciso di ascoltare solo la voce del Fuoco, di quella brama inumana che arde in noi Fiamme Sopite.

In questo modo negavo alla mia anima i suoi legami con il corpo che si riduceva soltanto a un mezzo per percepire e infliggere dolore. Però… ecco, non saprei come spiegarlo, forse sono troppo debole per rassegnarmi al fatto di essere un cadavere o forse sono troppo ostinata, ma del resto questo è il corpo con cui ho vissuto. In un certo senso è un involucro che racchiude le tracce del mio passato. Anche se potrebbe sembrare innaturale e forse addirittura assurdo, mi sono interrogata su ciò che reca. Ti prego di non prendermi per pazza, ma sono dell’idea che questo mi abbia aiutato ad avvicinarmi alla mia umanità perduta.

Ciò che del mio corpo più mi ha fatto riflettere sono i segni evidenti e indelebili della gravidanza. Rappresentano la prova che sono stata madre, che ho dato alla luce nuova vita… eppure sento di non aver mai avuto una famiglia a cui dedicare me stessa. Potrebbe sembrarti una conclusione affrettata, ma sono convinta che i miei sentimenti nei confronti della Guardiana non nascano da qualcosa che mi ha reso felice, non sono gli echi di un’intima relazione passata. Credo che provengano da qualcosa che è rimasto imprigionato dentro di me, da un amore che non sono mai riuscita a condividere, né con un figlio né con nessun altro.

Certo, può darsi che io sia ingenua a dare per scontato che l’amore possa oltrepassare la morte e la vacuità, tuttavia, ti ripeto, quel desiderio così umano che tende ad avvicinarmi a lei non può provenire da questo luogo, da una terra in cui sono stata concepita come un semplice strumento. Poi, è chiaro che in passato ho avuto un rapporto con un uomo e il mio desiderare un’altra donna, il mio volere un amore che neppure allora avrebbe potuto generare una vita ti sembrerà contraddittorio, ma sento che lei non rappresenta soltanto lo sfogo di un sentimento che per qualche ragione sono stata costretta a reprimere. Vedi, quando penso a lei mi sembra di udire la voce di ciò che mi è stato sottratto, di qualcosa che va oltre l’attrazione per un’altra persona. Quando penso a lei vedo riaffiorare le tracce che l’amore, un amore negato, ha lasciato dentro di me. È da lì che viene la mia passione, è questo il motivo per cui lei per me non è solo la donna che amo, ma soprattutto la madre che avrei voluto essere e la figlia che sento di non aver mai potuto accudire.

Nonostante tutto non riuscivo a dichiarare a me stessa questi sentimenti, però ero ormai decisa a trovare qualcosa che mi facesse riemergere dal vuoto in cui temevo di sprofondare. È stato proprio qui, all’Archivio Centrale, che ho preso una decisione. Una scelta che ho compiuto secondo la mia volontà, o almeno così credevo. Giunta al cospetto dei Principi, esseri divini, eppure distrutti dal mio stesso maledetto destino, mi sono fermata, ho deciso di non combatterli. Non potevo rimanere indifferente di fronte al coraggio del secondogenito Lothric, che ha rifiutato di vincolare il Fuoco per trascorrere l’eternità accanto a suo fratello Lorian. In molti credono che il suo sia stato un atto di codardia, ma io… io ormai sapevo cosa significasse sentire le grida della propria anima che si contorce nel vuoto. Il mio penoso passato mi aveva raggiunta e non potevo più liberarmene, se non immolandomi per la Fiamma. Ecco, ai Principi era stata data la possibilità di cancellare tutta la loro sofferenza, così come avrei potuto fare io, eppure hanno deciso di non farlo, di non rinnegare l’unione delle loro anime imposta dalla fierezza di un fato ingiusto. Hanno deciso di non scomparire, di accettare la loro vita, anche se pregna di dolore. Non potevo che restare ammirata, come avrei fatto ad andare avanti e come avrei potuto non pentirmi di aver capito tutto troppo tardi. Quel giorno, quindi, ho deciso di presidiare questo luogo in nome dell’affetto che lega Lorian e Lothric, invadendo il mondo delle Fiamme Sopite che si inoltrano nell’Archivio Centrale. Speravo che, duellando con me, avrebbero compreso il significato della mia scelta e riflettuto sul loro autentico scopo, riflettuto sulla necessità di condividere sé stessi per essere davvero umani.

Così ho iniziato a guadagnarmi il titolo di cacciatrice. Ho incontrato molti avversari da allora, alcuni si sono dimostrati abili guerrieri, altri agitavano la loro spada senza logica, come degli esseri vuoti. Spesso, nel mezzo dello scontro, chiedevo loro cosa li spingesse a continuare la loro impresa, ad affrontare me e tutti gli altri avversari che avrebbero incontrato proseguendo nel loro cammino. Beh, nessuno di loro mi ha mai mostrato qualcosa che andasse oltre la brama di anime. Così ho iniziato a disprezzali, a insultarli, a gridare disperata contro quei nemici frasi come -Bastardo figlio di troia, non ti sei accorto che il Fuoco ti ha completamente bruciato? Cerca almeno di crepare in fretta!-

Queste sono le parole che precedono la ricerca di un vano trionfo. Una vittoria che mi permetta di levare in alto la spada, di vedere il sangue del mio avversario colare lungo la lama e di sentire il mio respiro, pesante e affannoso per la fatica della battaglia, smorzato da avide risa. Tutto questo casino per illudermi di trarre piacere dal loro dolore. Mi faccio così schifo, mi sento così inutile, in realtà credo di odiare me stessa più di ogni altra Fiamma Sopita.

Quando poi torno a sedermi accanto al falò, bevo, come ho visto fare a un vecchio cavaliere, finché il sonno non ha la meglio su di me. Non ho la forza di fare altro. In questo modo provo a dimenticare… dimentico i miei affanni e le mie paure, dimentico di essere una Fiamma Sopita, ma dimentico anche di aver offerto le mie armi ai Principi e, soprattutto, dimentico di ascoltare la voce della mia anima, che non ha mai smesso di parlarmi.

Tutto questo mi fa sentire sempre meno umana. Del resto non mi sono discostata molto dalla strada che mi avrebbe portato a vincolare il Fuoco. In fondo, sto usando il mio potere per cancellare ciò che sono, come se avessi assolto alla mia funzione di combustibile per la Fiamma. La mia abilità, le mie armi, gli stessi abiti che indosso, così come la possibilità di invadere altri mondi, non dipendono da me, sono propri di questa terra. Lothric non può abbandonarmi, non posso impedirle di distruggermi. Del resto cosa posso fare, io, al contrario dei Principi, sono sola. È per questo che quando mi sveglio, nell’inquietante silenzio degli Archivi, spero solo di incontrare qualcuno che mi dia la certezza di avergli comunicato qualcosa, qualcuno che mi capisca, che mi faccia sentire viva, quel qualcuno che ha tardato troppo ad arrivare. Ah… Scusami se prima ti ho insultato, credevo che fossi come tutti gli altri e… davvero… non ho pensato neanche per un attimo di respingere la tua richiesta. Scusami poi se adesso, invece, ne sto approfittando e ti sto raccontando tutte queste cazzate e scusami se non riesco a smettere di piangere, ma, sai, le lacrime non sono come il sangue, non si asciugano facilmente.

Però, per quanto mi sforzi, non posso dimenticare anche lei. Come avrai capito, sola, nel vuoto di queste stanze, non riesco a pensare ad altro che alla Guardiana. Lentamente mi sono resa conto che il sangue non avrebbe in alcun modo lenito le mie sofferenze. Lentamente ho iniziato a sospirare, poi a piangere per lei e alla fine non sono più riuscita a negare il mio amore, a negare il vero motivo che mi fa ancora combattere, ciò che anima la mia volontà, la ragione per cui la mia anima non ha ancora lasciato questa terra.

Sì, ho già trovato il coraggio di tornare all’Altare del Vincolo, di incontrarla. Non mi ha dato la risposta che speravo, ma quella volta, la sua reazione e i suoi gesti mi hanno fatto riflettere, anzi, più che altro, mi hanno fatto piangere. Ci siamo scambiate un saluto impacciato, poi ricordo di averla ringraziata per essere stata al mio fianco durante tutto il mio viaggio. Questo era solo un freddo e banale preambolo alla mia autentica dichiarazione. Infatti, ho proseguito dicendole che non avevo più intenzione di vincolare il Fuoco, che sarei rimasta per sempre la cacciatrice dell’Archivio Centrale. Sì, in un certo senso avevo l’intento di ferirla, di cancellare le sue speranze e di fare in modo che per lei rimanessi soltanto io. Però, subito dopo, mi sono sentita in colpa, ho realizzato quanto fossi stata egoista, crudele e ho perso quel coraggio che mi aveva spinto a parlare con lei.

Tuttavia, dopo essermi congedata, vedendo le sue mani immobili e il suo sorriso immutato, i miei sentimenti hanno avuto la meglio sulla ragione e non sono più riuscita a trattenermi. Mi chiedevo se fosse davvero rimasta impassibile dopo aver ascoltato quelle mie parole. Parole che avevo pronunciato a fatica, singhiozzando. Le ho domandato come fosse possibile, come cazzo fosse possibile nutrire ancora speranza per questo mondo, per la nostra impresa. Le ho chiesto se davvero non avesse bisogno di un altro conforto, di qualcuno che le stesse accanto. Ovviamente alludevo a me, avevo dato per scontato che anche lei soffrisse nel mio stesso modo. Del resto siamo così simili: entrambe ricettacoli per anime, soltanto strumenti che non necessitano di essere umani.

Lei, però, mi era sempre sembrata a suo agio in quella sua condizione ed era proprio per questo che le stavo urlando contro, rinfacciandole di non avermi mai mostrato la sua autentica identità. Poi, esattamente in quel momento, mi è sembrato di capire, capire che forse, nonostante il suo apparente distacco emotivo, i suoi desideri non sono così diversi dai miei.

La Guardiana, in fondo, ha bisogno di me tanto quanto io ho bisogno di lei. Solo in una pulsione irrinunciabile avrebbe potuto trovare la forza si starmi accanto, di sostenermi, di aiutarmi, di dare tutta sé stessa per far sì che io vincolassi il Fuoco. Ha tentato di trasmettermi ciò che provava affinché io portassi a compimento la mia, anzi la nostra missione, senza che fossero l’egoismo e l’istinto a guidarmi. Voleva che lo facessi per le anime di Lothric o, almeno, che lo facessi per lei. Sì, voleva darmi un vero motivo per vincolare il Fuoco e lo ha fatto con la stessa risolutezza con cui io ho tentato di convincerla ad accettare la vita che le è stata concessa su questa terra. Ad accettare soprattutto me, così come sono. Certo, sia lei che io siamo pervase dall’oscurità, tuttavia la sua condizione e le sue pene, dipendono da una sua scelta. La Guardiana si è sacrificata in nome della Fiamma e sono io, per lei, a rappresentare il Fuoco, ciò per cui ha dato la vita. Per questo ha cercato di riversare in me tutta la sua forza e quelle emozioni che l’hanno portata a prendere la sua tragica decisione.

Se è vero che le nostre identità nascono e vivono grazie a chi le circonda, è naturale voler trasmettere agli altri qualcosa di proprio, per poi vedere questo qualcosa crescere in un nuovo terreno e sbocciare in un modo sconosciuto e unico, affinché, tornando di nuovo in contatto con il nostro “io”, diventi un’esperienza fondamentale, vitale e indelebile. Ecco, in quell’istante, nella mia mente, ho cercato di descrivere l’amore con questo assurdo processo e ho capito quanto la Guardiana soffrisse nel celare il suo dolore per offrirmi quel pallido e dolce sorriso. Ho capito che mi aveva sempre amato, che i nostri desideri ci avrebbero in ogni caso spinto a vivere l’una per l’altra.

Purtroppo le nostre volontà, seppur così intimamente vicine, restano inconciliabili. Infatti, subito dopo, mentre continuavo a guardarla in silenzio, ho sentito gemere la parte più profonda della mia coscienza e in quel momento ho immaginato di accarezzarle i capelli, le guance, la nuca, di chiudere gli occhi e lasciare che il suo respiro lambisse il mio viso, ho sognato di baciarla, di resistere alla spinta della sua mano innocente, di tramutare quel timido gesto di rifiuto in un tenero abbraccio, ho desiderato che il suo seno premesse contro il mio fino a confondere il battito dei nostri cuori, ho pensato che dai miei occhi una lacrima sarebbe scesa fino alle sue labbra, che una sola lacrima avrebbe recato con sé tutto ciò che provo per lei, oltrepassando l’oscurità da cui si è lasciata inghiottire, permettendomi finalmente di toccare davvero la sua anima. Così, in modo forse infantile, ho tentato di figurarmi quella scena che un attimo prima avevo definito impossibile, facendola sembrare ancora più distante.

Così crollava ogni mia speranza e crollavo anch’io, sulle ginocchia, ai piedi della Guardiana, mentre tutte le lacrime che versavo scomparivano nella cenere. A quel punto ho sentito la sua mano accarezzarmi la spalla, come se fossi una bambina smarrita, come se fosse il dovere a spingerla ad aiutarmi, come se fossi un’estranea. Questo è il suo amore, così dolce, così gentile, così freddo. Eppure basterebbe poco per farmi capire di averle lasciato qualcosa, qualcosa che farebbe davvero tornare ad ardere il fuoco dentro di me e non quel Fuoco ancestrale che ci reca soltanto supplizi. Basterebbe… basterebbe che la smettesse di chiamarmi Creatura della Cenere, di legarmi costantemente alla nostra missione maledetta, a questo posto di merda, basterebbe che almeno una volta mi chiamasse Sylvia.

   
 
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