Era da parecchio che non ti sognavo.
Fino a qualche tempo fa mi capitava più spesso di quanto effettivamente desiderassi, perché rivederti (anche se solo nella mia mente) faceva così male che, appena sveglio, mi mancava il respiro.
E ancora avvolto tra le lenzuola sospiravo rassegnato, conscio che avrei dovuto affrontare un’intera giornata rivivendo quelle immagini con tutti i tuoi sguardi ed i tuoi tocchi annessi.
Erano così vividi nella mia mente da sembrare persino più reali dei nostri ricordi.
Ci hai impiegato più tempo di quanto pensassi a ricomparire.
La cosa bella è che non sei cambiato di una virgola: avevi ancora quelle labbra piene e lo stupido vizio di torturartele ogni tre per due, quegli occhi tanto profondi da farmi contorcere lo stomaco in una frazione di secondo e, soprattutto, la tua pelle, calda e dall’odore familiare.
Sarebbe stato tutto molto bello se solo non avessi sognato il nostro ultimo incontro.
Niente opere di fantasia, a questo giro, niente passeggiate in luoghi del tutto fuori dal mondo o telefonate inaspettate; solo tu, io, e una camera bianca d’ospedale.
Proprio come nella realtà anche qui mi precipitavo da te dopo aver ricevuto il tuo messaggio. “Ho fatto a pugni”, dicevi, “sono finito in ospedale”.
Che grandissima testa di cazzo.
Vorrei poter dire che avevi un aspetto orrendo ma mentirei– tu, orrendo, non potresti esserlo neppure volendolo.
Proprio come nella realtà anche qui mi sono seduto vicino a te su quel materasso dalla comodità discutibile, ho allungato una mano nella tua direzione e ti ho accarezzato, piano, timoroso di farti del male, tentando al contempo di mantenere l’espressione più arrabbiata che avessi nel mio repertorio.
Proprio come nella realtà anche qui mi sono perso ad osservarti, lasciando cadere in secondo piano quella voglia di darti il bis prendendoti io stesso a cazzotti.
Proprio come nella realtà, mi è mancato il respiro nel preciso istante in cui hai pronunciato quelle parole.
Era tutto sbagliato.
Il luogo, il momento, quel sentimento, noi due.
E se te lo stessi chiedendo sì, anche nel sogno la consapevolezza che quello fosse l’inizio della nostra fine è stata sufficiente a spezzarmi il cuore in quella maniera tanto profonda che mai prima di allora avevo provato.
Che grande, grandissima testa di cazzo.

Mi manchi.

Ed è quando ho finito di scrivere questo messaggio che sto fissando quello stramaledettissimo “invia”.
Cosa accadrebbe se ti scrivessi? Cosa accadrebbe se dopo quattro lunghi anni tu non fossi più… tu?
Ho paura.

Ma mi manchi da morire,  Jongin.
Senza di te non so come fare.

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