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Autore: Luxanne A Blackheart    20/09/2017    2 recensioni
"Noi due siamo uguali, anche se diversi, Zafiraa. Siamo uguali perché siamo stati rinnegati. Siamo diversi perché distruttivi in modo differente: tu come la neve, io come il fuoco."
Zafiraa ha diciotto anni e due problemi. È albina e una piratessa, una delle più temute ed odiate dei sette mari. Fattori questi che rendono il sopravvivere,  in una società fortemente maschilista e  superstiziosa, molto difficile.
Zafiraa ha un rivale che cerca di catturarla, direttamente imparentato con il sultano, che la vuole morta dopo il torto subito.
Ma non appena le loro spade affilate si incontreranno, capiranno di essere due animi affini i cui destini e passati sono fortemente collegati fra di loro.
Sono neve e fuoco.
Sono rinnegati dalla stessa terra.
Sono un uomo e una donna che non hanno un posto nel mondo e che cercheranno di crearselo. Insieme, separatamente, chi può dirlo?
L'importante è che due occhi verdi da cerbiatta e capelli rossi come il fuoco non muovano le carte in tavola, girandole a proprio favore. Perché il tempo passa per tutti, ma le abitudini restano.
Segreti mai rivelati, bugie, odi repressi e amori proibiti e immorali... siete pronti a rientrare a Palazzo Topkapi e vivere una nuova avventura?
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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Aveva intravisto Mustafà mentre lei era intenta a parlare con Bayezid. Il principe l'aveva raggiunta in corridoio e si era fermata a parlare con lei di stupidaggini inutili. A dir il vero, Zafiraa lo ascoltava raramente; non poteva importarle di meno dei suoi pensieri e soprattutto delle sue parole vuote e prive di significato.
Si era poggiata al muro e aveva tirato verso di sé Bayezid, baciandolo sulle labbra. Il suo intento era un semplice bacio stampo, ma il principe aveva approfondito e per quel motivo si era trovata intrappolata in quella situazione. Per tutta la durata del bacio aveva tenuto gli occhi aperti, non concentrandosi sui suoi movimenti, ma sull'uomo dallo sguardo nero che li stava osservando nascosto in un angolo. Non poteva vederla, poiché Bayezid la copriva.
Sorrise, soddisfatta, quando il principe inetto la lasciò finalmente andare e si pulì la bocca, salutandolo.
Poi, quando fu abbastanza lontano, Zafiraa si fece scivolare lungo la parete fino a toccare il suolo e pianse, o almeno finse. Mustafà, infatti, abboccò all'amo e le corse incontro, proprio come aveva preveduto. L'aveva consolata per tutta la durata del suo sfogo e non le si era mai allontanato. Paziente, forte e sincero.
Zafiraa si era lasciata abbracciare dalle sue forti e calda braccia e aveva chiuso gli occhi, respirando il suo forte odore maschile.
Non aveva idea del perché si era comportata in quel modo talmente meschino e tanto meno non da lei. Aveva attribuito il tutto al suo disperato bisogno di attenzione, considerato che era passata da una cospicua folla di gente che la adulava, ad essere quasi del tutto ignorata da Alexandros e Mehmed che sembravano essere in luna di miele e adesso anche da Mustafà che era tutto preso da Fatma.
Sapeva di star mentendo a se stessa, sapeva che sotto c'era molto di più e che lo aveva fatto per qualcos'altro, che era tutto l'opposto della motivazione che cercava di spacciare per veritiera, ma non era quello il momento di pensarci. Voleva godersi la pace notturna dei corridoi, la sicurezza che Mustafà riusciva a donarle con solo un piccolo tocco e quella piccola tregua tra loro due.
Era stanca di litigare sempre, era stanca di essere mangiata viva dai ricordi, dal dolore, dalla vendetta, era stanca di essere così. Solo per una notte, per poche ore, voleva staccare da tutto e sentirsi donna.
Aveva cercato di essere qualcosa che non era per tutta la sua vita. Sin da quando era piccola aveva dovuto lottare contro questo suo malessere. Era fiera di essere donna, non lo avrebbe cambiato per nulla al mondo, ma c'era una piccola scintilla in lei che la faceva comportare nel modo opposto; aveva atteggiamenti prettamente maschili, non indossava mai abiti femminili se non costretta, come in quel caso, e non camminava neanche come una donna! Lei era rozza, usava parolacce, non era elegante, leggiadra e femminile, nemmeno quando si sforzata, non sapeva sedersi adeguatamente, né tanto meno camminare come un signorina della sua età sapeva fare.
Era fiera di essere donna, ma lo sarebbe stata maggiormente se le donne non fossero state trattate come oggetti, pezzi di carne da vendere al miglior offerente. Era fiera di essere donna, ma lo sarebbe stata in un altro secolo. Perché lei doveva essere libera come il vento, doveva essere indipendente e non essere alla mercé di nessun uomo, né di suo marito, né di suo fratello, né di suo padre. Voleva essere donna in un mondo giusto, nel quale le donne venivano trattate come gli uomini, un mondo nel quale indossare pantaloni maschili, saper usare la spada, uscire da sola senza nessun tipo di accompagnamento o perché no, avere non un solo uomo nel corso di tutta la vita, sarebbe risultato giusto e non talmente orribile come un omicidio.
Era fiera di essere donna, ma a volte le donne stesse di quel secolo gliene facevano vergognare.
Probabilmente le finte lacrime si trasformarono in vere, per quel suo malessere interiore, che molto spesso aveva cercato di nascondere agli altri e a se stessa. E da Mustafà si sentì compresa, perché, nonostante lui fosse stato il suo nemico, nonostante lui fosse un maschilista e che probabilmente odiava tutto il genere femminile, sapeva che anche lui viveva con un malessere tutto suo. Non era a suo agio con la sua vita e avrebbe fatto di tutto pur di cambiarla.
Dopo tutto quel tempo trascorso assieme, Zafiraa aveva imparato a conoscerlo e sapeva che erano più simili di quanto ad entrambi piacesse ammettere. Avevano costruito muri nel corso degli anni per nascondersi come codardi dagli occhi della gente, dai pregiudizi e anche dal loro io interiore, quello che solo loro conoscevano. Avevano trovato nella battaglia, nei combattimenti, nella spada, degli amici fidati.
-Su, andiamo, oggi dormi con me. - Mustafà l'aiuto a sollevarsi, quando lei si fu finalmente calmata.
-Come? -
-Non posso lasciarti così, stai malissimo. E' giusto che mi prenda cura di te. - Mustafà le sorrise, pulendole il viso con un suo fazzoletto di seta dalle lacrime. Zafiraa arrossì, non sapendo che cosa dire. - Siamo amici adesso, no? Non è così che ci si comporta? -
-Be', suppongo di sì... Ma se qualcuno dovesse scoprire che ho dormito da te, che cosa direbbe tuo padre o Fatma? -
-Sei la mia serva, è normale che tu frequenti le mie stanze. Nessuno saprà che hai dormito da me, se tu non lo dirai in giro. -
Zafiraa annuì, sorridendo. Lui la lasciò andare e si incamminò, facendosi seguire.
Quando arrivarono alla porta della stanza di Mustafà, lui fece qualcosa che la stupì, aprendola e facendola passare per prima.
-Benvenuta nella mia umile dimora, signorina. Spero che questo comodo servizio fatto di letto a baldacchino dalle migliori lenzuola indiane, possa esservi di piacimento, altrimenti ne sarei veramente deluso e amareggiato. Una tale signorina della vostra portata, si merita il meglio. Soprattutto dopo lo spiacevole evento di poco fa. Le labbra di mio fratello odoravano ancora di latte materno? -
Zafiraa rise, entrando nella camera e andandosi a sedere sul ciglio del letto, dove di solito aspettava Mustafà, quando la mandava a chiamare e lui non c'era ancora.
Si tolse la spada che portava sempre con sé, buttandola in un angolo del pavimento, assieme agli stivali in pelle e tutto il resto dei vestiti. Zafiraa si alzò dal letto, aprendo un piccolo baule posto vicino alla scrivania in legno e lo aprì, tirando fuori la camicia da notte di Mustafà. Si avvicinò, cercando di non guardare il suo petto nudo e muscoloso e gliela fece indossare.
Mustafà la osservò e pochi secondi dopo le sue grandi mani le afferrarono i fermagli che le tenevano alti i capelli, sciogliendoli. Le caddero sulle spalle in onde bianche, che vennero subito accarezzate dalle dita del suo padrone. Lei lo guardò negli occhi, respirando lentamente e poggiandogli una mano sul cuore che batteva in modo calmo e controllato.
-Potrei passare ore a guardarti i capelli, a toccarli... e non mi basterebbero. Sono bellissimi. - Sussurrò talmente piano, che a Zafiraa sembrò esserselo sognato.
-Non dire sciocchezze solo per tirarmi su di morale, Mustafà. - Gli occhi neri dell'uomo si spostarono su quelli verdi della ragazza e poi sulle sue labbra. - Sono stati causa di grande dolore. -
-Io non so mentire, Zafiraa. Dico la verità, sono meravigliosi. -
Zafiraa sorrise, interrompendo quel momento, allontanandosi e andando a prendere una delle camicie da notte di Mustafà, indossandole, dopo essersi tolta l'abito.
Si stese su un piccolo divanetto presente nel mezzo della stanza, mentre Mustafà andava a stendersi sul suo letto.
-Buonanotte. -
-Buonanotte. - Disse lui, prima di spegnere le candele.
La stanza calò nel silenzio in pochi secondi; nessuno dei due osava muoversi, fiatare, parlare. Zafiraa doveva ancora calmare i battiti irregolari del suo cuore e la sua sconsideratezza, quando sentì Mustafà muoversi, alzarsi dal letto, camminare verso di lei, sollevarla dal divanetto, senza una parola e senza nessuna opposizione e farla accomodare nella parte sinistra del suo letto, parte che restava sempre vuota.
Erano stesi l'uno di fronte all'altra, non potevano vedersi per il troppo buio, ma potevano sentire il respiro di uno sulla pelle dell'altra. Il suo alito odorava di vino e le sembrò strano, poiché sapeva che Mustafà lo detestava, era una delle tante cose che beveva se costretto.
Fu facile per lei toccarlo, con l'aiuto dell'oscurità e della sua innocenza in quel campo. E fu altrettanto facile per lui, avvicinarsi e approfittarsi del piccolo buco del suo muro, per afferrarla per la vita e avvicinarsela.
Zafiraa fece scivolare la mano sul braccio di lui, accarezzandone l'epidermide e saggiandone la forza, dovuta ad anni di allentamento sfiancante, mentre lui lo poggiava sul suo fianco e le accarezzava la schiena al di sopra della bianca camicia da notte, provocandole dei brividi lungo la spina dorsale.
Fu facile, quasi da terrorizzare i due, poggiare la fronte su di lui, sentire i loro nasi toccarsi, le labbra sfiorarsi e restare in silenzio, udendo l'uno il respiro dell'altra. Si sentirono, si tastarono, si conobbero in quel modo dolce, in quel modo di cui entrambi avevano bisogno chi per un motivo, chi per un altro.
Lei voleva non pensare per il momento, voleva lasciarsi andare, voleva essere donna. E lui, Mustafà, poteva farne, di lei, qualunque cosa avesse voluto. Zafiraa, per la prima volta nella sua vita, gli avrebbe lasciato il comando, si sarebbe sottomessa ad un uomo, per il semplice ed egoistico bisogno, il sapere, la curiosità di capire che cosa volesse dire essere come Fatma, essere desiderata da un uomo come Mustafà, essere semplicemente amata da uno sconosciuto, anche se solo per una notte, far parte di qualcosa di talmente splendido ma terrificante come l'amore. Voleva sapere talmente tanto che si sentiva bruciava, avrebbe potuto consumarsi esattamente in quel momento, se Mustafà continuava ad accarezzarle la schiena e trattarla con così tanta tenerezza da addolcirle il cuore.
Lei era così calda, in quel momento, ardeva così tanto, come una fiamma; era una fenice, un drago il cui cuore, sangue, carne, ossa, erano costituiti solo da ardente fuoco, magma, pronto ad incendiare qualsiasi cosa. Zafiraa era il fuoco, che bruciava velocemente, che ardeva e distruggeva qualsiasi cosa. Impulsiva, imprevedibile, ancora bambina per certi aspetti del suo carattere, vitale.
Lui, invece, era freddo, talmente freddo e bisognoso di calore, da sembrare morto. Si stringeva a lei, la abbracciava, la accarezzava per ricevere tutto il suo calore, succhiare come un vampiro tutto il suo fuoco e bruciare a sua volta. Mustafà era la neve, che ricopriva il paesaggio di quella surreale calma, sempre pronta a capire, che sapeva spegnere il fuoco, quando si trasformava in acqua, che rimediava ai suoi danni. Calmo, prevedibile, uomo prima del tempo, costretto a crescere dalle circostanze, dalla vendetta, dall'odio e dalla morte.
Potevano sembrare così diversi, differenti, agli antipodi, su due pianeti differenti, ma si completavano. Senza di uno, l'altra non poteva esistere.
-Che stiamo facendo? - Sussurrò Mustafà, fermandosi, quando la sua mano era arrivata sulla guancia morbida di Zafiraa. I capelli bianchi di lei, intrecciati fra le dita lunghe e affusolate di lui.
-Non lo so, con te non sono mai capace di capirlo. -
-Allora potrei prendere il comando? Perché io so, quello che voglio fare...-
-Solo questa volta, Mustafà, solo questa notte. -
-Solo questa notte. - Ripeté, Mustafà baciandole la guancia.
-E poi faremo finta di nulla. Tu ritornerai da Fatma e io a cercare di tenere lontano Bayezid. -
-Solo questa notte. - Mustafà sorrise, baciandole l'incavo del collo e Zafiraa chiuse gli occhi, pensando a quanto aveva aspettato quel momento. Chiuse le mani intorno ai suoi riccioli e quando la bocca del suo padrone raggiunse le sue labbra, venerandole come un artista fa con la sua musa, per Zafiraa fu la fine.
Mustafà aveva tra le mani una bambola e poteva fare di lei qualsiasi cosa. Distruggerla, ricomporla, strapazzarla, adularla, insultarla; Zafiraa non si sarebbe opposta, lei avrebbe obbedito a qualsiasi sua volontà, perché lei era un bravo soldato e lui, dopotutto, aveva il comando.
-Oggi sei mia, Zafiraa. Solo mia. E lo sarai per sempre, dopo questa notte. Una parte di te mi apparterà per l'eternità e una parte di me ti apparterà per l'eternità. -
E questo fu più di mille parole.






Alexandros comparve da uno dei passaggi segreti, che aveva scoperto, portasse direttamente nelle stanze di Mehmed.
E fu proprio durante questo tragitto, tra rocce spoglie, umidicce, buie e piene di topi, che lo trovo. Era un diario, rilegato in pelle rossa, tutto impolverato, le cui pagine erano ingiallite dal tempo. Lo aveva calpestato, poiché non l'aveva visto e quando se n'era accorto, l'aveva raccolto, studiandolo.
Le pagine erano ingiallite dal tempo, odorava di muffa e vi trovò anche degli escrementi di topi, probabilmente gli stessi che avevano mangiucchiato i bordi.
Lo aveva aperto e aveva riconosciuto la calligrafia ordinata, tendente verso destra e con le vocali marcate. L'aveva letta miliardi di volte fra le lettere che suo padre conservava gelosamente nel suo baule, che leggeva ogni anno e su cui sua madre piangeva ogni anno.
Era il diario di suo zio Alexandros, da colui dal quale aveva preso il nome. Era il diario di Ibrahim Pascià, come lo conoscevano a corte, il Gran Visir.
Mehmed era steso sul letto e leggeva uno dei suoi soliti libri sulla filosofia, che lui trovava tremendamente noiosi e contraddittori.
-Guarda che cosa ho trovato questa mattina, quando me ne sono andato da te. - Alexandros glielo lanciò sul letto, posizionandosi al suo fianco, poco dopo. Mehmed alzò il sopracciglio, guardandolo male. Ogni volta che Alexandros gli si presentava in modo così rude e lui era intento nella lettura, Mehmed lo guardava sempre con aria truce, perché 'rovinava la sua tanto desiderata pace interiore'.
-Ciao, Alexandros. Vedo che anche la tua giornata sia andata meravigliosamente. Sì, anche la mia, grazie di avermelo chiesto, ma sai, io sto sempre seduto e non posso fare granché e... - Alexandros rise e poi lo baciò, facendolo smettere di parlare per qualche secondo.
-Ciao, Mehmed, è sempre bello vederti. Mi fa piacere che la tua giornata sia andata bene, anche se sei sempre seduto. Adesso guarda che cazzo di roba ti ho portato e chiudi quella boccaccia larga, va bene? - Il biondo lo baciò di nuovo, lasciando ulteriormente senza parole l'altro.
Quando era con lui, il mondo sembrava finalmente aver preso una direzione. Non si sentiva più sbagliato, non giusto, cattivo, malvagio, contro natura ; con Mehmed si sentiva compreso, uomo, normale e soprattutto amato in modo così esaustivo che avrebbe potuto vomitare quelle maledette farfalle che gli solleticavano lo stomaco ogni volta che era in sua presenza.
-Sei un dannato uomo delle caverne. Non c'è bisogno che tu sia così eccessivamente rude. - Borbottò Mehmed, chiudendo il libro e afferrando il diario di suo zio. - Però! Non lo avevo mai visto. Tutti i vecchi diari di Ibrahim li custodisce mio padre gelosamente nel suo baule e mia madre non lascia nessuno avvicinarsi. Per loro è come se fossero tesori inestimabili. -
-Allora com'è finito in quei bui corridoi? -
-Non ne ho idea, Alex. Ma so che Ibrahim era un uomo molto colto e voglio leggere tutti i suoi pensieri. - Gli occhi di Mehmed brillarono come succedeva ogni volta che si parlava di libri.
Alexandros rotò gli occhi, borbottando un 'topo da biblioteca'.
-Per te andrebbe bene, se io lo leggessi, Alex? - Aveva detto tutto al suo ragazzo, dal primo momento in cui si erano conosciuti. Sapeva di poter contare su di lui.
-Sì, certo, perché no? -
-Perché era tuo zio... Un tuo parente, fratello di tuo padre. Non vorresti sapere com'era? -
-Be', sì... Ma non ne sono sicuro. -
-Potresti leggerlo con me? -
Alexandros sorrise, annuendo. -Non c'è cosa che non farei con te, Mehmed, lo sai. -
-Bene, allora cominciamo. -




25 ottobre 1550, Russia.
Sono alla ricerca di un nuovo regalo per Selim, il mio sultano, il mio migliore amico. Sono partito personalmente verso questo paese dal clima ostile e la lingua odiosa per cercare la miglior ragazza da regalargli.
Abbiamo razziato ogni singolo villaggio alla ricerca di donne e ne abbiamo collezionate un cospicuo numero, ma nessuna di loro, ahimè, sembra essere quella giusta per il mio sultano.
Devo cercare di condurre questa mia ricerca il più velocemente possibile, per poter ritornare a Palazzo Topkapi subito. Non voglio certamente restare qui per l'eternità in compagnia di questi uomini viscidi e senza onore; il mio sangue non potrebbe sopportare peggio di così questo freddo infernale e questa gente ignorante.”




-Oh... questo è stato scritto tre giorni prima la cattura di mia madre. Stava cercando lei, in questo periodo, la mia bella mamma dai capelli rossi, avrebbe vinto il premio e anche l'unica sopravvissuta tra tutte quelle ragazze. - Mehmed sorrise al suo ragazzo, continuando a leggere. - Be', mettiamoci comodi, abbiamo un bel po' da leggere e Ibrahim ha proprio un bel caratterino. -

 
   
 
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