Cose
che non cambiano; cose che cambiano. Sei tu il
più forte.
“Right
at this moment, Kise is the strongest player on
the court”
(Midorima, Kuroko no Basket Extra Game)
La palla
rimbalzò a terra più
volte, esaurendo la spinta con cui le sue mani l’avevano
schiacciata nel
canestro.
Non ancora. Non era perfetto. Non
era quello che voleva.
Veloce il ragazzo biondo recuperò
il pallone, tornando al centro del campo e fronteggiando nuovamente il
tabellone.
Ancora una volta. Concentrarsi,
oltre il limite. Spingere ancora un po’. Saltare un
po’ più in alto.
La palla rimbalzò docile sotto le
sue dita, ammaestrata, seguendo perfettamente i suoi comandi; le gambe
corrono,
potenti e veloci, sa che può farcela –deve farcela!
I piedi si staccarono all’ultimo
dall’asfalto proprio come faceva lui, ginocchia piegate e il
braccio gia pronto a
schiacciare il pallone arancione con tutta la forza che possiede,
facendo un
punto prepotente e imbattibile. Come un Miracolo che salva la partita.
Kise urlò per lo sforzo e quasi
non ci crede quando si ritrovò appeso al ferro leggermente
scrostato del
canestro, mentre i suoi occhi dorati osservano con meraviglia e
soddisfazione
la palla cadere come a rallentatore.
Ce l’ha fatta!
-Ce l’ho fatta…- è un sussurro
che sente solo lui, ma dentro di se esplode di gioia.
Ci era riuscito davvero. Nonostante
tutto, nonostante i vari “è impossibile”
e “non fare l’idiota”, lui ce
l’aveva
fatta.
Adesso, forse…
Lasciò andare la presa, le dita
arrossate per lo sforzo non riuscivano più a reggere il suo
peso, ma era
contento così.
Si lasciò cadere, le ginocchia
pronte ad accogliere l’urto con l’asfalto, ad
attutirlo, ma qualcosa andò
storto.
La gamba cedette.
Quella maledetta e stupida gamba
che decideva il bello e il cattivo tempo della sua vita
tornò prepotentemente a
ricordargli la sua ingombrante presenza lanciando una fitta di dolore
lungo
tutti i muscoli.
Forse l’aveva sforzata troppo.
Forse era davvero uno stupido come diceva sempre il Senpai.
Il gemito di dolore che scappò
dalle sue labbra avrebbe dovuto essere piccolo, contenuto e giusto
appena
umiliante…invece si ritrovò a terra, urlando un
dolore che non era più in grado
di contenere.
-Kise! -
Il suono del suo nome, urlato in
un misto di rabbia e malcelata preoccupazione, lo raggiunse
costringendolo a
sollevare appena lo sguardo.
Sicuramente non era la sua
giornata, pensò, mentre un paio di occhi blu lo fissavano
con rimprovero e
delle mani forti, dalla pelle scura e il tocco forse più
delicato del previsto,
lo aiutavano a sollevarsi.
*****
-Sei un
idiota, Kise-
-Aominecchi! -
Il biondo si lasciò sfuggire quel
soprannome affettuoso con voce lamentosa, mentre il ragazzo al suo
fianco lo
aiutava a camminare e raggiungere casa sua, oltre a portargli il
borsone.
-Che diavolo ti è saltato in
testa di ridurti così prima che arrivassi io? Non dovevamo
giocare? -
Kise ridacchiò, cercando di
sistemarsi meglio e di continuare a camminare con le sue gambe, senza
dover
pesare ulteriormente sul compagno. Per tutta risposta la stretta
attorno al suo
fianco si fece più forte.
Sorrise.
-Scusa…- disse, osservando gli
occhi blu dell’altro che, per tutta risposta, fuggirono
imbarazzati mentre il
loro proprietario bofonchiava ancora una volta quanto fosse un cretino.
Il campetto non era così lontano
da casa sua e non ci misero molto ad arrivare. Ryōta
ringraziò mentalmente l’assenza
della sua fin troppo numerosa e chiassosa famiglia: non aveva voglia di
spiegare perché Aominecchi lo avesse praticamente portato a
casa in braccio e sentire
le urla preoccupate di sua madre e delle sue sorelle.
-Voglio farmi un bagno- decretò e
Aomine annuì.
-Sì, puzzi-
-Aominecchi! - gonfiò entrambe le
guance, in quel modo ridicolo che, secondo Kasamatsucchi, lo faceva
assomigliare a un criceto grasso, fingendosi offeso.
Per tutta risposta Aomine si
limitò a ghignare.
-Ce la fai? -
Kise annuì, ma l’altro
semplicemente, se lo aveva visto, non gli diede minimamente retta,
accompagnandolo fino al bagno.
-Hai venti minuti. Poi vengo a
controllare che tu non sia annegato. -
Gli intimò, lasciandolo da solo e
schivando la maglietta che Kise gli aveva lanciato più per
vecchie abitudini
che per vero e proprio fastidio.
La verità era che venti minuti in
bagno per Ryōta erano pochi, ma se li fece bastare. Se fosse rimasto un
solo secondo
di più probabilmente Aominecchi sarebbe davvero entrato a
controllare che non
fosse annegato, prima di rimediare con le sue stesse mani.
Saltellando sulla gamba buona,
pulito e fresco come una rosa, il ragazzo raggiunse il salotto, dove
l’altro se
ne stava tranquillamente seduto sul divano a guardare annoiato uno
stupido
programma per bambini.
Sorrise e, come se anche il suo
sorriso fosse rumoroso come il resto della sua persona, Daiki si
voltò a osservarlo
per un solo istante, prima di fargli spazio sul divano.
Si sedette con uno sbuffo, la
gamba faceva ancora male ma non gli importava. Il sorriso si
allargò
ulteriormente.
-Aominecchi? –
Lo chiamò piano, ma con tutto l’entusiasmo
di cui era capace. Per tutta risposta l’altro nemmeno si
girò.
-Che c’è? – chiese, annoiato e
forse un po’ piccato per non essere riuscito ad avere il suo
one-on-one quel
giorno.
-Ce l’ho fatta. –
Finalmente gli occhi blu di Daiki
si scollarono dalla tv per studiare la figura rannicchiata su se stessa
di
Kise, perdendosi per un solo, brevissimo, istante nel sorriso
smagliante che
gli illuminava il viso.
-Di che diavolo stai parlando,
idiota? –
-Il Meteor Jam di Kagamicchi…sono
riuscito a farlo. –
Improvvisamente aveva tutta l’attenzione
di Aomine.
La Perfect Copy di Kise era qualcosa
di assurdo: aveva iniziato dal nulla, un semplice copycat che
immagazzinava le
tecniche più semplici per renderle sue, fino a quando il
talento del biondo non
era sbocciato del tutto, permettendogli di eguagliare anche loro, la
spaventosa
Generazione dei Miracoli, raccogliendo tutte le loro tecniche in un
unico
ragazzo che aveva fatto paura anche a quei palloni gonfiati americani.
Che
aveva aperto da solo la porta del Miracolo prima, e della Zone poi.
Ma per quanto il talento fosse
così strabordante in quelle dita sottili, i limiti fisici
–gli avevano sempre
insegnato- non erano qualcosa che la tecnica poteva surclassare.
E invece Kise aveva preso quell’insegnamento,
l’aveva ribaltato e buttato nel cestino, calpestandolo
allegramente mentre
arrivava a traguardi sempre più alti: i blocchi di
Murasakibara, l’agilità di
Aomine…e ora i salti spaventosi di Kagami.
Se da una parte Daiki si sentiva
fiero di quel piccolo talento scoperto per caso –da lui, e
non da Akashi, grazie
per averlo chiesto- ed era eccitato dall’idea di avere
qualcuno al suo fianco
che avrebbe reso il basket di nuovo quel qualcosa che gli faceva
vibrare l’anima,
forse molto più di quanto fossero in grado di fare
attualmente Tetsu e
Bakagami; dall’altra una rabbia senza senso e una paura
irrefrenabile di
essere, per la prima volta in assoluto, al secondo posto nella vita del
biondino gli attanagliarono l’anima con una forza disarmante
e senza preavviso
alcuno.
-Quindi adesso ti alleni per battere
Kagamicchi? –
Sputò quel ridicolo soprannome con
un disprezzo che non sapeva di poter provare verso il rivale,
distogliendo lo
sguardo e interrompendo il fiume di parole eccitate di un Kise che non
riusciva
a restare fermo nemmeno un secondo mentre gli raccontava radioso quanto
in alto
fosse riuscito a saltare quel giorno.
-Di che stai parlando,
Aominecchi? –
L’innocenza della perplessità
nello sguardo di Kise riuscì, in un modo non del tutto
logico, a farlo
infuriare.
-Adesso che sei riuscito a
superarmi anche solo una volta hai deciso di cambiare bersaglio?
–
Ringhiò con rabbia quelle parole,
mentre gli occhi blu si facevano freddi e carichi di rancore, come se
invece di
essere andati avanti fossero tornati all’inizio di
quell’anno assurdo, dove l’Asso
della Generazione dei Miracoli non sapeva esprimere altro se non
disprezzo.
-Per questo ti alleni? Per questo
fai l’idiota e rischi di spaccarti del tutto la gamba? Per
Kagami? –
Stava urlando e non sapeva
nemmeno lui perché. Perché prendersela? Anche lui
voleva battere Bakagami,
vendicarsi della sconfitta…non poteva prendersela con Kise
se voleva la stessa
cosa. Eppure…
Eppure non era questo il problema
ed era inutile nasconderlo.
Perché anche se tutti credevano
il contrario, lui non era uno stupido. Almeno non quando si trattava di
Kise e
del basket.
E lo aveva visto. C’era anche lui
a quella stupida partita: era lui che aveva giocato fianco a fianco con
Ryōta
in una simbiosi che mai avrebbe saputo ritrovare in nessun altro; era
lui che
aveva avvertito il cambiamento, fiutandolo come un animale selvatico,
nel
momento in cui qualcosa era cambiato e la porta della Zone si era
aperta anche
per il biondo; era lui che si era ritrovato a essere lasciato indietro
su quel
campo.
Non aveva bisogno degli inutili
commenti di Midorima.
Non aveva bisogno di sentire
Akashi lodare quel talento sempre in crescita.
Non aveva bisogno delle lacrime
senza senso di Satsuki.
Non aveva bisogno del tifo di
Tetsu.
Lo sapeva da solo. Se ne era reso
conto da solo.
Quel giorno, su quel campo, con
la Zone e la sua stupida Perfect Copy, Kise era diventato
più forte di lui.
Poco importava se non aveva mai
vinto una vera sfida. Poco importava se era stato solo un breve attimo.
Aomine lo aveva sentito e, in
quell’istante, il suo mondo era crollato.
-Aominecchi…-
La voce di Kise era una carezza
su una ferita: scottava nella sua dolcezza.
Non voleva prendersela con lui. Ryōta
era un idiota quando voleva, e se si fosse arrabbiato avrebbe potuto
pensare di
aver fatto qualcosa di sbagliato, che lo volesse allontanare, che il
rapporto
risanato si sarebbe spaccato di nuovo…avrebbe potuto
scoppiare a piangere e
questo non poteva assolutamente permetterlo.
Lo aveva giurato a se stesso, in
un angolo sicuro e nascosto della sua mente in cui nessuno, nemmeno il
sopracitato idiota, aveva accesso: non avrebbe più fatto
piangere Kise. Mai
più.
Non poteva prendersela solo perché
l’altro era riuscito in quello che si era prefissato.
Strinse i pugni con forza, cercando
di calmarsi senza riuscirsi davvero.
Le dita dell’atro raggiunsero le
sue mani quasi spaventate, tremando appena, cercando un contatto che
non gli
negò, ma che non riuscì a ricambiare.
Kise osservò a lungo Aomine prima
di trovare il coraggio di dire qualsiasi cosa.
Aveva paura.
Il nuovo equilibrio che si era
creato tra loro –tra tutti loro- gli piaceva. Non voleva
tornare indietro,
sebbene era come essere tornati all’inizio, quando tutto era
bello e divertente
e non c’era ancora il titolo di Miracoli a complicare le cose.
A Kise piaceva come le vecchie
abitudini erano tornate, sebbene con quelle differenze che rendevano
tutto
migliore. Sano.
Gli piaceva come nei fine
settimana si trovassero tutti assieme, di fronte a quello stupido
konbini che
tante volte alle medie li aveva avuti come clienti dopo gli
allenamenti, prima
di dirigersi tutti assieme al primo campo da basket che gli veniva in
mente.
Gli piaceva sentire nuovamente
Momoicchi sognare a occhi aperti e a voce molto alta la sua nuova
cotta; sebbene
non si trattasse più di Kurokocchi, ma quella buffa ragazza
che aveva allenato
il Seirin per tutto il campionato.
Gli piaceva prendere in giro
Midorimacchi, che arrivava brontolando fingendo che non gliene
importasse nulla,
sempre con il suo portafortuna in mano; sebbene i portafortuna adesso
fossero due e il secondo finiva, ogni volta, in mano a un divertito
Takaocchi
che li accettava ridendo felice, prima di costringere l’altro
in un bacio
veloce che aveva stupito tutti all’inizio, ma che davvero:
chi non se lo
aspettava?
Gli piaceva fare a gara a chi aveva
il coraggio di provare i dolci più assurdi con
Murasakibaracchi, sebbene ogni
volta Himurocchi li rimproverasse perché non faceva bene e
trovava
incredibilmente strano come il mezzo americano riuscisse a farsi
ascoltare
senza alcuna difficoltà dal Centro dello Yōsen,
semplicemente con una promessa
o prendendogli la mano.
Gli piaceva come, durante le
vacanze più lunghe, Akashicchi trovasse ogni volta il tempo
per andare a
trovarli; sebbene non ricordasse lo avesse mai fatto prima ed era
ancora più
strano dei nuovi rapporti degli altri riuscire a considerarlo come un
ragazzo
normale. Raggiungibile.
Gli piaceva che ci fosse
Kurokocchi –quel Kurokocchi che li aveva salvati,
schiaffeggiandoli uno a uno,
urlandogli con tutto il suo essere che stavano sbagliando, per poi
abbracciarli
con un affetto che Kise era riuscito a paragonare solamente a quello di
una
mamma troppo buona-, che lo guardava davvero, come un rivale; sebbene
la
maggior parte del tempo fosse impegnato ad evitare che Kagamicchi
finisse a
litigare con Aominecchi o Murasakibaracchi, o a schivare le domande fin
troppo
imbarazzanti di Momoicchi sul suo rapporto con la nuova Luce.
Ma più di tutto gli piaceva che
Aominecchi fosse tornato.
Perché con lui non c’erano se e
ma: erano di nuovo loro, con i battibecchi e gli one-on-one; con le
mani che si
sfioravano di nascosto e nessuno dei due che diceva nulla. Aominecchi
che si fingeva
arrabbiato perché aveva perso la possibilità di
giocare, quando era davvero
preoccupato perché la sua gamba faceva i capricci.
Aominecchi che rideva, scherzava e
giocava di nuovo a basket con la passione, la voglia, il sorriso sulle
labbra e
quella luce negli occhi che lo aveva fatto innamorare prima dello sport
e poi di
lui.
Non voleva perdere di nuovo tutto
questo.
Per questo aveva paura.
E anche se Aominecchi era stupido e
non aveva capito nulla e spiegare sarebbe davvero molto semplice, lui
aveva paura lo
stesso.
Per questo le dita strinsero
ancora di più, artigliando la pelle più scura
dell’altro, quasi facendogli
male.
-Aominecchi…-
Lo chiamò di nuovo e questa volta
Daiki sospirò e sollevò lo sguardo su di lui.
Kise sorrise e cercò tutto il
coraggio del mondo.
-Non posso averti superato se non
vinco almeno una volta! – affermò, sicuro,
pregando che il sorriso non lo
tradisca. Anche se era la verità, aveva paura lo stesso.
-Ho pensato…se riuscivo a fare
quello che fa Kagamicchi allora, forse, la prossima volta sarei
riuscito a
battere Aominecchi…-
Il silenzio durò un minuto di
troppo e diventò pesante, spaventando ancora di
più Kise.
Poi la mano che stava tenendo
ricambiò la sua stretta e Ryōta sorrise di nuovo.
-Credi davvero che copiare
Bakagami ti aiuterà? –
Aomine ghignò, il cuore di nuovo
leggero perché Kise era sicuramente un idiota, ma era il suo
idiota e pensare che gli sarebbe bastato vincere in quel modo per
sentirsi soddisfatto lo rendeva a sua volta un
perfetto cretino.
-Intanto Kagamicchi ti ha già
battuto una volta! –
Esclamò il biondo e gli occhi blu
dell’altro esultarono nel registrare che il sorriso era
tornato quello divertito e
spontaneo di sempre.
-Solo perché c’era Tetsu! In un
one-on-one non ci è mai riuscito…-
Ryōta scoppiò a ridere alla sua
giustificazione tirata e tutto tornò al suo posto.
Le loro dita erano ancora
intrecciate, ma a nessuno dei due dispiaceva. Senza nemmeno pensarci la
mano di
Daiki iniziò a tirare e in un istante Kise era tra le sue
braccia che rideva ancora
mentre lo guardava.
Baciarlo era così schifosamente la
cosa più naturale da fare che Aomine si chiese cosa diavolo
stesse facendo
solamente a metà della cosa.
Si allontanarono appena, i respiri
corti e gli occhi confusi puntati l’uno in quelli
dell’altro.
Avevano ancora le mani intrecciate
notò Aomine, senza davvero esserne infastidito, ma il
sorriso sbocciò di nuovo sul
volto di Kise –più bello e luminoso che mai- e
davvero era così importante quello
che stava pensando?
Lo baciò di nuovo, più
consapevolmente e più a lungo di prima, stringendolo a se
con la mano che non era
impegnata ad aggrapparsi a quella del biondo, come se fosse la sua
ancora di
salvezza, e per una volta sentiva di star facendo la cosa giusta anche
al di fuori del campo da basket.
Si guardano di nuovo, come a
cercare le parole, quando anche quel contatto si interruppe.
E per una volta Kise era senza
parole. Aomine avrebbe potuto decidere di segnare l’evento
sul calendario.
Lentamente la stupida testa
bionda trovò posto sul suo petto, mentre le gambe facevano
casino e davano fastidio
nel loro trovare la posizione giusta. C'erano troppi arti nel corpo
umano
quando si aveva bisogno di stare così vicini.
-Io lo farò. – la voce di Ryōta interruppe
il momento di pace e Daiki si ritrovò a fissarlo.
–Sarò io a batterti
Aominecchi! – esclamò, tutto entusiasta.
Aomine rise di gusto.
-Come no…devi solo provarci…-
Ed era di nuovo tutto come prima,
come alle medie.
La sfida, la voglia di giocare,
il desiderio di vincere, chiedere ancora una volta un altro one-on-one,
litigare, scherzare…
Ma questa volta quando le mani si
toccarono, senza nascondersi più, due sguardi si
incrociarono e Kise poteva sperare
che non fosse solo il basket ad unirli.
*Blablabla vari*
…ma io cosa ci faccio nel fandom di KnB?
Cioè me ne sto assente per anni
senza scrivere nulla e poi boh, succede che mi spacco un piede e mentre
cerco
di lavarmi esce…questa cosa…non me ne capacito.
Seriamente: mi piace KnB e ADORO
l’Aokise…ma credo di averci scritto tipo solo una
volta in tutta la mia vita e
adesso, a distanza di anni, ecco che il mio cervello decide di
partorire quest’obbrobrio.
Ok.
Ad ogni modo è ambientata dopo la
fine del manga e dell’extra game (spoiler? Si può
considerare spoiler dopo che
è uscito da così tanti anni? Non
so…ditemelo che nel caso metto l’avvertimento)
e si concentra su Kise che MANNAGGIAALUI quanto non è stato
figo quando è entrato
nella zone? Ricordo che appena uscito il manga uno dei miei pensieri
ricorrenti
era “se Kise riesce a copiare tutti diventa il più
forte”…eccomi accontentata
dunque. E si, nel mio mondo fatato Kise riuscirà a copiare
anche Kagami prima o
poi perché è Kise.
E nulla…ci ho infilato un po’ di
AoKise perché sì (e ho contato ALMENO 6 punti in
cui poteva diventare una bella
PwP ma mi sono trattenuta non so nemmeno io perché) e anche
qualche accenno di
coppia che personalmente ho sempre adorato.
Mi fa stranissimo scrivere su
Kuroko dopo così tanto tempo XD Non so nemmeno cosa dire.
Perdonate il disastro letterario
e andate in pace.
Ossequi,
Seki.