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Autore: Muesli    21/09/2017    3 recensioni
Le buone idee a Derek non avevano mai portato nulla di buono, il karma proprio non era dalla sua parte- Ricordava ancora quella volta in cui la vecchia signora Taker che era stata sua professoressa al liceo, lo aveva preso a borsettate in faccia scambiandolo per un molestatore
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo sapeva che era stata una pessima idea quella di prendere parte al gioco di Lydia.

Lo sapeva che qualcosa sarebbe andato storto, Derek, lo aveva saputo dall’istante in cui quel pazzo di suo zio Peter gli era entrato in camera sventolando l’invito profumato di cocco che la rossa si era premurosamente interessata di consegnare alla loro porta.

-Ci divertiremo da matti- era stato il commento sorridente di Cora mentre lo zio –lo stronzo- ghignava, e lui proprio non se la sentiva di sbatterle la busta in faccia e prenderla a calci fino alla sua, di stanza, quindi come un bravo fratello maggiore aveva solo annuito alla sorella, e ringhiato allo zio, ed era per questo motivo che ora si ritrovava in una situazione veramente tremenda.

Le buone idee a Derek non avevano mai portato nulla di buono, il karma proprio non era dalla sua parte- Ricordava ancora quella volta in cui la vecchia signora Taker che era stata sua professoressa al liceo, lo aveva preso a borsettate in faccia scambiandolo per un molestatore, mentre tutto ciò che lui voleva era aiutare quella maledetta vecchia pazza a portare le buste fino all’auto.

No, decisamente Derek non era fatto per fare l’eroe della situazione, e doveva dire –no, non ci vengo a questa stupida serata “Escape Room”, non mi va di guidare per due ore per ritrovarmi in un castello di dubbio gusto a giocare al labirinto con dei ragazzini isterici che non saprebbero scappare dalla propria casa nemmeno con una mappa aperta in faccia-  oh sì, questa sarebbe stata una risposta stupenda.

Ma di rispondere così a sua sorella non se ne parlava proprio.

Probabilmente avrebbe dovuto salvarsi nel momento in cui la sorte, incurante di lui, e la sfiga, fin troppo ossessionata da fargliela pagare fino in fondo a sassate, la vita che stava vivendo, aveva visto uscire a sorteggio come suo compagno di coppia nel gioco quel petulante, fastidioso, nevrotico, logorroico ragazzino magro e idiota.
-Dividiamoci!- aveva esclamato subito Stiles, dimostrando di aver capito appieno le regole del gioco.

Si era ritrovato a riacciuffarlo per il cappuccio della felpa, la morte negli occhi e l’omicidio nelle mani.
-Cretino, dobbiamo seguire questo dannato percorso- gli aveva ringhiato un po’ contro, giusto per fare scena, perché sapeva che funzionava sempre con tutti. Ma con Stiles le minacce non bastavano, e aveva continuato a blaterare cose sull’importanza del gioco di squadra e su quanto fosse vitale vincere perché aveva scommesso venti dollari con Scott, soldi che non aveva-
-Ok? Se perdiamo me ne devi la metà in quanto mio compagno di squadra- stava dicendo in un monologo del tutto insensato.

Avevano seguito la loro mappa, chiarissima,  segnalata da una linea gialla con scritto un gigantesco –inizio gioco- alla fine del tracciato (e sì, Stiles era stato capace di suggerire di prendere un’altra fottuta strada solo perché a lui davvero sembrava strano dover girare a destra per tre volte di seguito)  e si erano trovati due uomini e due porte scorrevoli davanti, gli addetti al gioco li avevano spinti dentro, e avevano acceso delle luci dall’esterno, e t’oh.

Male, malissimo.

La stanza era minuscola, era un ascensore da ufficio in verità. Un grosso specchio al lato, combinazioni numeriche a sinistra, ventola in alto, moquette a terra, e un minacciosissimo quadro alla loro destra che rappresentava la megalomane proprietaria del castello. (Nonché nonna di Lydia).

Sarebbe stato accettabile tutto sommato se l’ascensore non si fosse bloccato facendo accendere le luci di emergenza, inquietantemente al neon riflettevano sulla moquette rossa. Derek ricordava un film horror iniziato in quel modo.
Infatti il telefono di Stiles squillò subito, la chiamata fu telegrafica.

-C’è stato un blackout- aveva detto ridendo istericamente –tra un’ora ci tirano fuori, i tecnici sono impegnati perché il maltempo ha fatto casino ovunque-.

E okay, Derek avrebbe potuto reggere, se solo Stiles non avesse iniziato ad iperventilare cinque minuti dopo la notizia.

-Der, devo dirti una cosa- aveva mormorato con le lacrime agli occhi fissandolo, e lui si era preoccupato pure, insomma.
-Sono claustrofobico- aveva bisbigliato, e Derek si era subito chiesto con quale coraggio un claustrofobico avesse deciso di partecipare ad un Escape Room.

O Stiles era assurdamente stupito, o malatamente coraggioso, qualcosa gli diceva più la prima, però.

E quindi era lì, ora, con Stiles che stava sempre peggio, seduto in un angolo dell’ascensore con le ginocchia al petto e la testa tra le mani che inspirava ed espirava chiedendogli scusa perché gli stava rovinando la serata.
Come se dover guidare due ore sotto 9 cm di pioggia per andare ad una serata a cui non voleva partecipare per poi essere sorteggiati a caso per poi restare chiusi in ascensore, non fosse già una serata rovinata.
Questo non lo disse, però.

Preferì il silenzio tombale come moneta di scambio per quella serata del cazzo.
O almeno ci provò, gli diede perfino le spalle a Stiles, e rimase immobile a braccia conserte a fissare le porte dell’ascensore, che se quelle avessero potuto sentire la pressione dello sguardo del mannaro, con tutta probabilità si sarebbero smontate da sole per la vergogna.

Poi l’aria cambiò repentinamente, si fece insopportabile e anche dolorosa, in un certo senso era come se delle puntine lo stessero solleticando sulla schiena, non potette ignorare quell’acre che si espanse a macchia d’olio per tutti i suoi sensi, costringendolo a voltarsi perché sì, l’unica fonte di quell’odore poteva essere lui.

Era pronto ad inveirgli contro, insomma, avevano sconfitto di tutto insieme, poteva resistere ad una diavolo di ascensore.
Oppure no?
Quando si voltò, Stiles era ancora raggomitolato su se stesso, ma tremava e tratteneva a stento le lacrime e questo davvero Derek non se lo aspettava, nemmeno che vederlo così lo facesse sentire male si aspettava, eppure fu come un calcio nello stomaco.

“Stiles?” lo chiamò piano, tipo come si fa con i bambini, e l’altro gli rivolse lo sguardo più lacrimoso che avesse mai visto addosso ad un essere umano superiore ai 10 anni.

Non è che lo voleva proprio, ma si ritrovò inginocchiato accanto a lui, e nulla riuscì a fermare il fiume che era diventato Stiles.
Gli cinse le spalle e se lo trascinò in uno stretto abbraccio soffocante, se Stiles non avesse sofferto di claustrofobia, dopo quella morsa lo avrebbe fatto sicuramente.

“Va bene, va bene così” mormorò posandogli il meno sulla testa, mentre le mani gli carezzavano piano la schiena.

“Mi ricorda tanto tutte le risonanze che ho fatto…” aveva singhiozzato sulla sua spalla, frantumandogli il cuore come una bustina di sale.

“Pensavo di avere la stessa malattia di mia madre” continuava disperato, Derek poi, non era mai stato bravo con le parole ed i gesti. Lui, il suo dolore, lo aveva seppellito sotto muri di rabbia, ma sapeva cosa significava perdere tutto e crollare.

Ma Stiles non aveva perso tutto.

“Le stanze chiuse mi ricordano la terra sulla bara di mamma, e anche l’ospedale… e da bambino pensavo che una volta finito in una camera chiusa, sarei morto come lei, ma lei non è morta per via della bara chiusa e senza aria, ma io ero piccolo e stupido. Io non capivo niente-“

Lo fece, Derek Hale lo fece per una serie di motivi.

Primo tra tutti, Stiles straparlava anche da disperato, e questo lo odiava.

Secondo, l’aria stava diventando irrespirabile e rischiava un attacco di panico anche lui.

Terzo, Stiles gli stava annegando la maglia, la sua preferita.

Quarto, Derek non aveva altro modo per consolarlo, perché non sapeva che dire, e nemmeno che fare, e forse proprio per questo lo fece.

Quinto, aveva un pessimo tempismo, quindi se non ora che Stiles era disperato ed in lacrime, quando?

Sesto, lo amava quel ragazzino idiota, e non sopportava l’idea di vederlo frantumarsi nei ricordi per via di una stupida ascensore.

Quindi, a fronte di tutto, lui che di idee buone ne aveva avute molte, ritrovandosele sempre contro, lo baciò.

Non fu proprio il massimo, anche perché dovette scollarsi di dosso il ragazzino che era immerso totalmente con la faccia nella sua maglia, dovette prendere piano il viso tra le sue mani, dovette asciugargli gli occhi con tutto l’amore che aveva, dovette sottostare allo sguardo stupito dell’altro, alla bocca ora ammutolita e lucida, e quando successe, Derek credette di poter scoppiare a piangere insieme a Stiles, perché anche lui aveva pensato tante cose stupide e sbagliate nella sua vita, ma non era un bambino, era un adulto.

Aveva pensato di odiare Stiles, di volerlo fuori dal branco, di ammazzare Scott che lo aveva trascinato nella sua vita, aveva pensato male prima di arrivare al fatto che aveva solo paura di essersi innamorato.
E ora era lì, due metri di lupo in ginocchio in una vecchia ascensore buia, con le labbra appena appoggiate a quelle di un ragazzo in un contatto delicato che non credeva fosse capace di creare.

Quando si staccò Stiles non blaterava più, anche la paura sembrava sparita, ora c’era qualcosa simile allo shock.

“Ma, ma in che senso?” si era sentito domandare timidamente, e le sue dannate mani erano corse ancora su quel viso dolcissimo e pallido, per ripulirlo definitivamente dalle lacrime.

“Cosa?” gli aveva chiesto, veramente avrebbe voluto avere una crisi isterica seduta stante.

“Il… bacio, insomma, perché?” le guance gli si tinsero di rosso, ed era adorabile.

“Mi sembrava una buona idea”, fu la sua unica frase, dio, sì, era ridicolo anche starsi a sentire.

Derek gli fece anche spallucce, più di quello non sapeva che risposta dare, si guardò un po’ Intorno conscio del fatto che le persone non si baciano a tradimento, ma ormai era tardi.

Come quella volta in cui decise che anche innamorarsi era una buona idea, però poi Paige era morta per colpa sua.

“Una buona idea” ripeté Stiles, prima di puntargli gli occhi caramello addosso, Derek aveva detto addio al suo autocontrollo due minuti prima e ora gli sembrava assurdo il gesto, voleva quasi chiamare i vigili del fuoco e spronarli perché cazzo, non aveva calcolato che era impossibile scappare da lì.
Dall’imbarazzo, dalla tristezza, dalla solitudine che le sue personali buone idee, gli portavano tutte le volte dietro, lasciandolo da solo a fare i conti con il suo lupo interno sempre un po’ più ammaccato, sempre un po’ più arrabbiato, e soprattutto sempre più sconfitto.

Non si rese conto che la morsa alla stomaco lo aveva portato a sospirare angosciosamente, con lo sguardo nel vuoto oltre la spalla di Stiles, quindi quando l’altro gli prese la mano stringendola poco, quasi sobbalzò.

“Derek” mormorò, con un sorriso dolcissimo, che portò il lupo ad essere sicuro di sentire il mondo franare e ricomporsi, prima che Stiles si lasciasse scivolare tra le sue braccia, baciandolo piano ancora una volta, per poi intrufolarsi nel suo abbraccio come se lui fosse una fortezza dall’orrore del mondo.

“E’ stata un’ottima idea”, gli sussurrò sul petto, facendolo sorridere.

Forse le idee per funzionare non dovevano essere solo buone, ma addirittura ottime, si disse cadendo di nuovo tra le labbra del più piccolo.



Piccola storia scritta mentre ero impelagate nelle carte del lavoro + i miei due cani non mi lasciavano concentrarmi veramente.
Nessuna pretesa particolare, ultimamente sono ispirata. 
   
 
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