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Autore: EffyLou    21/09/2017    1 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
- - - - - -
I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
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11. Der Höhepunkt 


Dopo Fraberger aveva combattuto contro i due fratelli Eggert.
Walter era professionista dal ’24 e aveva disputato solo cinque incontri prima di Trollmann, di cui ne aveva vinto uno all’inizio della carriera. L’incontro con Gipsy finì in parità.
Allora suo fratello Karl lanciò la sfida a Rukeli, organizzando l’incontro una settimana dopo. Se il pugile sinti non era riuscito a battere un pugile scadente come Walter Eggert, ma solo a pareggiare, allora Karl Eggert avrebbe potuto sconfiggerlo e far schizzare il suo nome alle stelle. D’altronde, lo zingaro aveva un’ottima fama e sconfiggerlo valeva più di una semplice vittoria.
Karl era più in gamba di Walter. Era professionista dal ’31 e aveva disputato sedici incontri, di cui due persi e due pareggiati. Non male.
Con Trollmann fu il diciassettesimo incontro e il terzo pareggio.
Box-Sport criticò Trollmann perché “Un pugile del suo talento, avrebbe potuto facilmente mettere K.O. i fratelli Eggert nel giro di un paio di round, come fece con Boelck. Non si possono fare predizioni in un match di Trollmann a causa del suo essere così istintivo, animalesco, influenzabile, e anche per questo i suoi risultati toccano picchi incredibili con vittorie lampo, per knock-out, e poi lo fanno perdere in incontri di basso livello. Il grafico dei suoi risultati è una montagna russa.”
Il problema di Rukeli era questo suo istinto animalesco, secondo Box-Sport. Ma Trollmann era una miscela efficace di istintività e razionalità, difficile da spiegare, perché sul ring non aveva una strategia particolare finché non inquadrava l’avversario. E lo inquadrava per istinto e capacità d’osservazione. Ripensò che era dovuto al suo segno zodiacale, secondo una vecchia storia.Una vecchia zingara una volta gli aveva calcolato le stelle. Segno zodiacale, ascendente, la carta natale. Aveva dodici anni. 
Col senno di poi Johann, ripensando a quelle parole, si accorse di quanto aveva ragione quella vecchia zingara mezza sdentata. Non ci aveva mai creduto alle stelle e a quelle cose astrologiche, ma nel suo caso si erano rivelate veritiere ed era rimasto colpito. Ci aveva creduto, perché a pensarci con il senno di poi… lui era così.

 
* * *


2 maggio 1933

Gli aveva detto che secondo lui era presto per un passo del genere. Ma poi Kaspar gli disse che Gilda era rimasta incinta, e voleva sposarsi in quei mesi prima del parto. Voleva una famiglia.
Johann ci era rimasto di sasso. Ma poi lui ed Hans erano esplosi in applausi e pacche sulle spalle, abbracci, auguri, sfottò di vario genere.
Hans gli tirò un orecchio. «Ma come, e io che volevo provarci con te! Pensavo che fossi tu quello gravido ma che ti vergognavi a dircelo!»
Johann gli passò il braccio intorno al collo e strofinò il pugno chiuso sulla sua testa rasata. «Sai invece cosa pensavo io? Siccome ogni volta che esci dallo spogliatoio c’è sempre un bel fetorino di piscio, è evidente che hai un problema di mira, fratello. Quindi dubitavo che avresti fatto centro con Gilda, quasi ci stavo per pensare io!»
«Brutti stronzi!»
«Dai, non t’incazzare che ti sposi! Condoglianze!»
Persino Zirzow si era sbilanciato e gli aveva fatto gli auguri per il pargolo e il matrimonio.

E così, dopo quei tre giorni che seguirono dall’incontro con Karl Eggert il 28 aprile, ecco arrivato il matrimonio di Kaspar.
Gli invitati erano i ragazzi della palestra con le fidanzate, per chi le aveva, Leyendecker, e tutti gli altri amici e parenti della coppia di sposi. A fare da testimone a Kaspar fu suo fratello maggiore Joachim, la damigella di Gilda era la sua migliore amica Teresa.
Si sposarono in una chiesa evangelica. Una di quelle classiche, con la rosa sulla facciata.
Johann andava in chiesa con la famiglia solo nelle festività cristiane, come il Natale o la Pasqua. Ma solo quand'era bambino. Non credeva né all’inferno e né al paradiso, e nemmeno in Dio. Credeva nel destino, credeva nella reincarnazione. Non tutti i sinti credevano nell’anima che si reincarnava e in altri concetti simili, sulla linea della ruota karmica, l’eredità dalle terre dell’est. Nemmeno nella sua famiglia ci credevano. A lui ne aveva parlato un anziano sinti nell'accampamento nomade sulle rive del Leine, fuori Hannover, nelle campagne dove andava a giocare da bambino.
Frieda invece veniva da una famiglia ortodossa, anche se non le era mai importato nulla della religione. A pensarci, Johann non sapeva in cosa credeva Frieda, ma non la trovava una cosa così importante. Non l’avrebbe amata di meno o di più per questo.
Il ricevimento era in grande stile. Kaspar e Gilda avevano organizzato tutto alla Meistersaal, a Postdamer Platz.
Era una sala magnifica, con lampadari di cristallo che pendevano dal soffitto e candelabri aggraziati ai tavoli rotondi. Il soffitto era in legno intagliato in figure geometriche. In fondo alla sala c’era un piccolo palco scenico con le tende rosse aperte e una banda che suonava musica da camera senza disturbare gli ospiti che chiacchieravano.
La torta nuziale fatta con i frutti di bosco era deliziosa. Frieda osservò la panna, il pan di spagna, la assaggiò. Interrogandosi su quale fosse il segreto di tanta bontà e per quale motivo lei non riusciva a ottenere quei risultati.
A metà serata aveva bevuto abbastanza champagne da essere brilla. Rideva a crepapelle e sprizzava allegria da tutti i pori. Sembrava più felice lei della sposa. Johann assecondava il suo buon umore, Frieda gli dava una carica positiva incredibile. E gli sembrava quasi una bambina nel paese dei balocchi.

Kaspar fece sgomberare i tavoli dal centro della stanza, era il momento di ballare. I musicisti cominciarono a suonare melodie più allegre, danzabili.
Johann tese la mano a Gilda. «Signora Kölher, vuole darmi l’onore?»
Lei accettò di buon grado, con una risata squillante e frivola, l’invito del sinti. Solo dopo si ricordò di guardare il suo nuovo marito, come a chiedergli il permesso. Le donne sposate, devote o meno, avevano tutte quella reazione di fronte all’apollo dalla pelle d’ambra.
Kaspar stava chiacchierando con Frieda, quando notò lo sguardo di Gilda le fece un sorriso. Guardò l’amico con un sopracciglio sollevato e un sorriso di sfida, afferrò la ragazza cosacca e la trascinò in pista. Dovevano giocare ad armi pari.
Le due donne si ritrovarono l’una con le spalle verso l’altra, i loro compagni si fronteggiavano.
Gli occhi neri di Rukeli brillavano di sfida e giocosità. Kaspar si tracciò il pollice sul collo, minacciandolo. Johann scoppiò a ridere, stretto alla moglie di un altro.
Fecero volteggiare le signorine, ora si davano le spalle loro due. Johann piegò la testa verso di lui, sbuffò un sorriso.
«Te le stacco quelle mani, stai attento a dove le metti.» gli sorrise, oltre la spalla.
«Attento tu, quella è mia moglie, testina di cazzo.»
Rukeli si bloccò di colpo, e costrinse anche Kaspar a voltarsi. Lo fissò negli occhi, intensamente, dall’alto al basso.
Gilda e Frieda si scambiarono un’occhiata. Hans strillò un: «Bacio!» che fece scoppiare a ridere tutti.
Johann era serio in volto. Gli occhi del lupo fecero indietreggiare Kaspar di un passo. Ma poi quel momento di tensione si sgretolò. Il giovane sinti si inchinò di fronte all’amico.
«Balla con me.» glielo disse come se fosse una proposta di matrimonio.
La sala scoppiò in una fragorosa risata. L’amico dalla testa rasata sfarfallò le ciglia come una signorina stupefatta e gli afferrò la mano con una delicatezza che non apparteneva ad un peso massimo.
I due amici cominciarono a ballare e cantare, volteggiando e saltellando per la sala.
Gilda guardò Frieda, ma la ragazza era tornata sul buffet per prendere dei pasticcini con la panna.
Si era detta basta champagne. Non si era mai ubriacata totalmente, ma quasi. Johann le aveva detto che diceva cose strane quando era mezza ubriaca, come discussioni profonde con Buddha e qualche divinità indù. Perciò basta alcool.
Sorrise divertita, invece, al ricordo di Johann totalmente sbronzo. A volte gli prendeva male, e si rattristiva senza motivo o per eventi della sua infanzia – come la carcassa di un topolino che aveva trovato in strada un giorno che aveva sette anni. A volte era in vena di fare cose pazze, spericolate e anche illegali. Tipo mettersi a correre nudo per il Tiergarten.
Quella sera, probabilmente, non era ubriaco ma solo su di giri.
Lo vide dare una pacca sul fondoschiena di Kaspar e allontanarsi. Cercò qualcuno tra i presenti, e quando incrociò gli occhi di Frieda le si avvicinò. Si passò una mano tra i capelli e si accovacciò di fronte a lei, seduta al tavolo dove avevano cenato.
«Me lo concede un ballo, madame?» 
Si tirò su, le prese la mano e la portò in pista. Ballò con lei quella melodia allegra.
Frieda, il peso di una farfalla. La faceva volteggiare e ogni tanto la faceva scendere con la schiena, tenendola saldamente mentre lei era a testa in giù e rideva come una bambina. Le fece fare un paio di giravolte.
«Che fai, anticipi i miei passi? – le domandò con un sorriso. – Saresti un’ottima pugile.»
«In un’altra vita, forse.»
I suoi occhi neri s’illuminarono, come se si fosse ricordato di una cosa importantissima.
«Ah, ecco! Devo dirti un paio di cose, non te l’ho ancora dette.»
«Dimmi allora.» gli sorrise.
Un’altra giravolta.
«Il sedici maggio devo andare in Belgio, ad Anversa, per un combattimento. Devo affrontare un pugile granitico, e ti voglio con me.»
«Ci sarò. ─ gli rispose, alzando un sopracciglio quasi a volerlo sfidare. – E la seconda cosa?»
Lui la fece scendere con la schiena di nuovo, lei quasi a testa in giù che rideva.
Johann si chinò su di lei, i visi talmente vicini che i respiri si mescolavano. «Ti amo da impazzire.»
Una scarica di brividi percorse la schiena della ragazza. Lui la tirò su, attaccò il corpo al suo.
«Sei ubriaco marcio.» rise, un po' in imbarazzo da quella confessione a bruciapelo. Era arrossita, sentiva le orecchie andare a fuoco.
«Mai stato così lucido. – un sorriso da folletto. – Mi dispiace non avertelo detto prima. Davo per scontato che bastassero i gesti, ma le parole hanno la loro importanza. - le pungolò una guancia rossa. - Mi piace la tua sindrome da pesciolino rosso.»
Gli occhi di Rukeli. Neri, bollenti, profondi come un baratro. Così intensi. Così magnetici. Per un attimo temette di perdersi in quella notte senza stelle. Si accorse di aver trattenuto il respiro, ed espirò lentamente.
Meniñ ömir maxabbat.
Lui sorrise, ricordando quelle parole e il loro significato. La fece volteggiare di nuovo.
«Sai, bambina… tra di noi, l’amore dell’esistenza viene chiamato Jaaneman. È un amore a livello dell’esistenza dell’anima, dicono. Te lo spiegherò meglio, prima o poi. – la strinse dolcemente. – Tu sei Jaaneman


 
 * * *
 
16 maggio 1933

Anversa, Belgio.
Gustav Roth era un professionista dal 1927.
L’incontro con Trollmann era il suo cinquantasettesimo. Aveva perso solo tre volte, due per squalifica, e pareggiato otto volte.
Lo zingaro era più alto, più agile e scattante, e più grande di due anni. Ma ancora una volta, con pugili più piccoli, era Rukeli a sembrare più giovane. Lo scorrere del tempo non si manifestava sul suo viso né sul fisico o nell’atteggiamento. Induriva i muscoli e migliorava la tecnica, invece.
Roth pesava tra i sette e i dieci chili di più rispetto a Johann, macinava colpi senza stancarsi.
Prima dell’incontro scattarono una foto ai due pugili e ai rispettivi manager. Zirzow aveva la faccia quasi seccata, le mani sui fianchi; Rukeli era eretto come il tronco di un albero, il viso rivolto dritto verso la fotocamera, era serio e lo sguardo penetrante. Roth si stringeva l’accappatoio, non guardava l’obbiettivo, e il suo allenatore e manager gli circondava le spalle con un braccio e l'aria trionfale.
I primi round andarono a Trollmann, contava di buttarlo giù o resistere fino alla fine delle dieci riprese previste, quanto meno. Le ultime due furono difficili. Roth sembrava non schiodarsi, non barcollava e anche se aveva la faccia livida, non dava segno di cedimento. Trollmann aveva individuato tutti i suoi punti deboli e colpiti con forza, schivato le mosse meccaniche del picchiatore belga. Ma arrivò stanco al decimo round, non saltellava nemmeno più. L’ultima ripresa la passò a schivare e incassare quando doveva. Quello non si schiodava e continuava a macinare colpi. Johann era andato in knock-down qualche volta, approfittava della conta dell’arbitro per riprendere fiato, e all’ultimo si tirava in piedi con un balzo, dandosi lo slancio con le gambe.
Gipsy Trollmann perse ai punti, ma almeno riuscì a finire tutti i round senza andare al tappeto. Riportava le sue ferite di guerra: una sacca di sangue sotto l’occhio, diversi tagli gli spezzavano il sopracciglio e aveva il labbro inferiore leggermente spaccato al lato.
Al suo angolo, sputò il paradenti nel secchio che teneva Leyendecker. Attraversò il ring per complimentarsi con Roth.
«Dannazione, nessuno mi aveva mai impegnato così.» gli sorrise.
L’altro gli batté il guanto sul suo. «Mi hai dato un bel da fare, Gipsy Trollmann. Bell’incontro. Hai davvero talento, i giornali per una volta dicevano il vero.»
«Ti ringrazio, ma sei tu ad aver vinto, dovrei farteli io i complimenti.»
«Beh se vuoi farmeli, ascolterò! – amiccò, ridacchiando. – Farai tanta strada, amico. Buona fortuna e buon ritorno a Berlino.» gli strizzò l’occhio. Johann gli sorrise come un bambino sorride ad un nuovo giocattolo. Lo salutò e si addentrò nello spogliatoio per cambiarsi e farsi dare un’aggiustata alla faccia da Frieda.
Lei gli fece un sorriso, vedendolo entrare, poi lo fece accomodare sul lettino dello spogliatoio. Prese due bastoncini cotonati.
«Zirzow e Leyendecker sono fuori a fumare.» gli comunicò, distratta.
Aveva preso un po’ di disinfettante e dei cerotti dall’armadietto. A Johann usciva un po’ di sangue dal naso, pur non essendoselo rotto aveva preso una bella botta. Si tamponò la narice con un fazzoletto.
La ragazza fece uscire il sangue dalla sacca che si era formata sotto l’occhio, spremendo la pelle con i bastoncini all’altezza del taglio che si era procurato. Presto il suo volto si sgonfiò, restando arrossato. Gli disinfettò il taglio e ci applicò un cerotto. Disinfettò anche gli altri tagli minori sull’altro zigomo e sull’arcata sopraccigliare, prima di metterci piccoli cerotti a strisce. Per il labbro non poteva fare molto, quelle erano ferite che si rimarginavano presto.
Johann le accarezzò i fianchi con le mani, affondando il viso sul suo petto. Era il suo modo di ringraziarla. Lei lo baciò tra i capelli ricci.
«Sbrigati a farti la doccia così torniamo in albergo.»
«Non vedo l’ora di mangiare e dormire.»
«E datti una ripulita, mio focoso caprone.»
«Nessuna donna mi ha mai chiamato così. Non capisco se sia un complimento.» ammiccò.
Frieda scoppiò a ridere, scuotendo piano il capo e lasciandolo solo nello spogliatoio.
 

Il giorno dopo dal ritorno a Berlino. Era il 18 maggio 1933.
Aveva fatto una serie di flessioni e addominali, sollevato pesi, saltato la corda e ora si stava allenando al sacco veloce. Frieda era seduta su una delle panche dall’altro lato della palestra, leggeva una rivista di sartoria. La teneva aperta sulle gambe e tra le mani teneva una tazza di caffè che le aveva portato Gunter, il signore addetto al banco iscrizioni.
Quella ragazza gli era sempre stata simpatica. Non veniva spesso, ma era gentile e non disturbava. Quando poteva dava una mano. Con i conti non era brava, ma aveva un ottimo modo di organizzare i vari documenti. Gli piaceva la solidarietà incrollabile che dimostrava verso Rukeli Trollmann, la diceva lunga sulla ragazza. E poi aveva quel cugino… l’orso ucraino. Ogni volta che entrava in palestra sembrava far tremare i pavimenti, tanto era possente. Il segretario ammirava il coraggio dei giovani pugili a confrontarsi con quel peso massimo alto e incrollabile.
Quel giorno c’era anche lui. L’altro peso massimo, Kaspar Kölher, lo stava utilizzando come sparring partner, sotto stretta sorveglianza di Leyendecker. Se le suonavano e poi ridevano.

Zirzow aveva fatto irruzione nella palestra con la rivista Box-Sport ed una raccomandata. Né Frieda né il segretario seppero dire se fosse contento o angosciato.
«Trollmann!» urlò per farsi sentire dall’altro lato della palestra. Lo zingaro si fermò immediatamente, lasciando roteare a vuoto il sacco veloce.
Si avvicinò in fretta, in una corsetta tra gli attrezzi, i sacchi e tra le corde dei ring allestiti in mezzo alla sala. La maglietta nera era infilata nei pantaloncini grigio scuro e c’era una piccola chiazza di sudore al centro del petto. Anche Leyendecker si avvicinò, interrompendo l’allenamento di Kaspar ed Ivan. In realtà, si fermarono un po’ tutti. Corpi fumanti in attesa.
«Il 9 giugno 1933, alla Birreria Bock, Johann Gipsy Trollmann di Hannover disputerà l’incontro per il titolo nazionale dei pesi mediomassimi!» urlò Zirzow, in modo che l’intera palestra potesse sentirlo.
Seguì un secondo di silenzio. Il tempo di metabolizzare la notizia. Comprendere appieno cosa significasse per tutti, per Johann in primis.
I suoi occhi si sgranarono lentamente, un sorriso si fece largo sul suo bel viso selvaggio. Si tolse i guanti, li lanciò in aria. L'occasione attesa da una vita, finalmente eccola. La prima volta che salì su un ring aveva otto anni. La prima volta che vinse il campionato nazionale dei pesi medi dilettanti, aveva diciotto anni. Da allora, a Hannover, era considerato quasi un simbolo. E da allora, da quando vide la speranza di riscatto nei volti dei sinti, decise che avrebbe vinto un titolo da professionista e restituito dignità alla sua gente. Quella era la sua occasione, il suo momento. Aveva toccato l'apice, raggiunto il culmine. Doveva solo allungare la mano e prendersi la vittoria.
Tutti i pugili della palestra si fecero intorno a lui, lo sollevarono di peso portandoselo in spalla. Cantavano canzoni in suo onore, gli davano pacche sulle spalle, si congratulavano.
Leyendecker aveva le lacrime agli occhi. Seguiva quello zingaro indisciplinato dall’estate del 1929. Insieme ne avevano passate tante. Finalmente avevano raggiunto il traguardo a cui puntava di portarlo da quando aveva messo piede nella nuova palestra.
«Leyendecker! – gli urlò, con quella sua voce roca. – Grazie di tutto! E grazie anche a te, Zirzow! Senza di voi sarei ancora ad Hannover, è merito vostro se sono qui e sono arrivato fino al titolo nazionale.»
Non avrebbe mai potuto ringraziarli abbastanza. Zirzow ci aveva messo la faccia, il cervello per organizzare ogni incontro e costruire, mattone dopo mattone, il suo percorso verso il titolo nazionale. Zirzow gli aveva incastrato incontri con pesi medi, mediomassimi e massimi di tutta Germania, con campioni nazionali di altri Paesi. Grazie a Zirzow si era costruito una fama, incontro dopo incontro.
Leyendecker ci aveva messo la pazienza, l’impegno, la perseveranza. Laddove tutti vedevano uno zingaro ballerino, miserabile figlio di musicanti, lui aveva visto il talento allo stato puro e aveva fatto in modo che uscisse fuori ed esplodesse in tutte le platee di Germania. Grazie a Leyendecker aveva imparato mosse e combinazioni efficaci, aveva indurito i muscoli, aveva imparato ad incassare, aveva imparato a gestire il fiato ed avere molto più occhio per le situazioni e per l’avversario. Leyendecker voleva portarlo a combattere per il titolo da quando arrivò a Berlino nel ’29. Aveva sempre reputato Johann Trollmann un campione. Ma non solo di boxe, era un campione nella vita, nel mondo. Il fatto che si fece cucire “zingaro” sui pantaloncini e che li sbandierava in ogni ring di Germania, la diceva lunga su di lui. Anche il suo complimentarsi sempre e comunque con l’avversario dopo il match, fermarsi e parlarci del più e del meno. Il suo non prendersi sul serio, il suo giocare con leggerezza e vincere. Era una ventata di rivoluzione. Ma non piaceva a tutti.
 
 
La mattina del venti maggio, in casa Trollmann arrivò una lettera dalla Francia.
Fu Frieda a recuperarla dalla cassetta della posta, leggendo che il mittente era Erich Seeling, si incupì. La portò a Johann, che stava bevendo il suo caffè.

Mi spiace disturbarti e allarmarti così, ma purtroppo non c’è altro modo.
Il momento è arrivato, i cambiamenti di cui parlavo stanno cominciando, Trollmann. Il 31 marzo so che sei stato tu a sostituirmi all’incontro con Seifriend, a Neue Welt. Mi spiace che te l’abbiano detto all’ultimo minuto. Immagino che nessuno ti abbia detto del perché. La versione ufficiale è che sono stato poco bene e non ho potuto combattere. La verità è un’altra e la devo dire a te, perché presto questa situazione toccherà anche te la tua gente e chi hai vicino. Prima dell’incontro, le camice brune sono venute da me. Mi hanno intimato che non mi sarei dovuto presentare in nessun modo all’incontro altrimenti avrebbero preso la mia famiglia e li avrebbero fucilati uno ad uno. Appena sono andati via, io e mia moglie abbiamo fatto i bagagli. Siamo partiti subito per la Francia. Ecco perché non ho combattuto, stavo scappando. Ero su un treno per la salvezza.
Ho intenzione di raggiungere l’America e continuare lì la mia carriera, mi sono già messo in contatto con Schmeling e Machon.
Mi hanno tolto il titolo e tu sei uno dei candidati. So che lo disputerai ad ogni costo. Sappi che ti metteranno contro uno dei campioni ariani scelti dal Reich. Sarà propaganda. Fai attenzione, io sono ebreo e guarda come sono finito per colpa dei Nazionalsocialisti. Tu sei un sinti, uno zingaro, e quelli sono fissati con la “pura razza”. Temo che tra non molto si accaniranno anche sulla tua gente, Trollmann, e su tutti coloro che sono diversi dal loro ideale malato e perfetto. Ti prego, vai via dalla Germania. Sei ancora in tempo. Raggiugi me e Schmeling in America, ci saranno tante opportunità. Vai via finché sei in tempo.
E. Seeling


Johann indurì la mascella, accartocciando la lettera nel palmo della mano.
La boxe era uno sport da ariani. E chiedevano ad uno zingaro di disputare l’incontro proprio nell’anno dell’ascesa del nazionalsocialismo di Adolf Hitler.
Johann sapeva che Hitler era un appassionato di pugilato. Johann aveva capito che la boxe sarebbe diventata il suo strumento più efficace per fare propaganda razziale e promuovere le sue ideologie sulla razza ariana. Gli ebrei erano stati cancellati dalle liste delle varie categorie della boxe, solo gli ariani potevano boxare.
Lui era l’unico zingaro nello scenario pugilistico di Germania, ed era uno tra gli atleti più famosi e amati dal pubblico. Ma la boxe non era uno sport neanche per zingari: l’avevano mandato via dalle Olimpiadi del ’29 per un motivo preciso, cioè quello.
Non si sarebbe tirato indietro, mai. Si sarebbe preparato ad affrontare tutte le ombre che erano in agguato. Bastava stringere le fasce più strette.
«Che dice la lettera?» lo riscosse Frieda. Lo stava fissando, studiando. Johann conosceva quello sguardo. Gli occhi attenti di chi stava prendendo la mira. Gli occhi di un cecchino.
Non poteva mentirle. Quegli occhi di cielo glielo impedivano. E poi, lei se ne era già accorta che qualcosa non andava. Si sarebbe accorta anche delle sue bugie.
Sistemò la lettera, gliela mostrò. Lei lesse velocemente le parole di Seeling. I suoi occhi si indurirono.
«Combatterai lo stesso?» gli chiese, semplicemente.
«Combatterò, e quel titolo me lo prenderò pure.»



 

 

 
   
 
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