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Autore: heliodor    21/09/2017    3 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Ombre danzanti

Chiuse la porta della camera a doppia mandata, quindi afferrò il primo oggetto che le capitò per mano, un vecchio libro che non leggeva da tempo e lo scaraventò contro il muro.
Il libro rimbalzò sul pavimento e si aprì su una pagina a caso.
Joyce sedette sul bordo del letto, i pugni stretti e gli occhi chiusi.
Non voleva piangere più, ma era difficile trattenere le lacrime.
I suoi genitori la trattavano come un'incapace.
Bryce voleva portarle via l'amore della sua vita.
Oren la considerava una ragazzina stupida e viziata.
Solo Vyncent l'amava per ciò che era.
A lui non sembrava importare quanto fosse debole e inetta la piccola Joyce. Era l'unico ad essere stato sempre sincero con lei e sempre fedele, nonostante tutto.
Se c'era una persona che meritava il suo amore era lui.
Si guardò i palmi delle mani.
Era stata così vicina a evocare quel dardo. Tanto che non voleva sapere se sarebbe stata davvero capace di usarlo.
Sarebbe bastata una sola esitazione e lei sarebbe stata perduta per sempre.
Era solo arrabbiata con Bryce o era l'effetto della magia contro natura? Stava diventando crudele e arrogante come i maghi delle leggende?
Lei non si sentiva diversa da ciò che era prima, a meno che non diventasse Sibyl.
Era bello essere lei, sentirsi forte, importante, capace di compiere imprese che i comuni esseri umani si sarebbero sognati.
Aveva affrontato un troll.
Era sopravvissuta all'esplosione di Vanoria e alla rivolta di Taloras.
Non era un'inetta, un incapace, una debole ragazzina, quando era Sibyl.
Se almeno avesse potuto parlarne con qualcuno, tutto si sarebbe messo a posto, lo sentiva. Forse, dopo il matrimonio, avrebbe trovato le parole giuste per confessare a Vyncent il suo terribile segreto.
Ma poi le tornò in mente che lui era uno stregone e non avrebbe mai tollerato di avere una maga al suo fianco.
Se l'avessero scoperta non solo avrebbero ucciso lei, ma di sicuro non avrebbero risparmiato Vyncent.
Non voleva che soffrisse a causa sua, non lo meritava. Doveva custodire quel segreto a costo della propria vita.
Prese il compendio e lo aprì al capitolo dove era bloccata da giorni. Una rosa stilizzata campeggiava in bella mostra. La calligrafia era quella di Arran Lacey, ma lo stile era diverso. Le parole stesse erano disposte in maniera differente. La formula magica era più lunga, simile a una filastrocca per bambini.
Elegante era la prima parola che le veniva in mente.
C'era più eleganza in quel capitolo, come se Lacey vi avesse infuso uno sforzo particolare per renderlo tale.
Si mise a lavorare sulla traduzione sotto la guida del poema di Hopott. C'erano tanti termini arcaici e in molti casi andò a intuito, ma riuscì alla fine ad avere l'intera formula magica.
Era davvero lunga, più delle altre che aveva imparato fino a quel momento. Quanto le sarebbe occorso per impararla a memoria, con la giusta metrica, senza commettere mai un errore?
Passò i giorni successivi a impratichirsi con la formula. Ne imparò un pezzo alla volta, declamandola fino allo sfinimento, spesso ripetendola a memoria quando era a pranzo o a cena.
"Cara, ti vedo distratta" disse sua madre vedendola assorta mentre giocherellava con dei pezzetti di carne a mollo nella zuppa ormai fredda.
Joyce si limitò a scrollare le spalle.
"È perché hai litigato con Bryce?"
Qualcuno aveva fatto la spia?
"Tuo padre mi ha detto che l'altro giorno avete discusso a voce alta."
"È stato solo un malinteso" disse restando nel vago.
"Sai, a volte anche io litigavo con mia sorella" disse la regina Marget.
Anche lei era una maga sotto mentite spoglie? E tu volevi portargli via il futuro marito?, pensò Joyce.
Notando il suo silenzio la regina aggiunse: "Ma abbiamo sempre trovato  il modo di riconciliarci. Sono sicura che anche voi ci riuscirete."
L'accenno a Bryce le ricordò che lei e Vyncent erano da soli al tempio del circolo.
'Da soli' era forse troppo. C'erano un altro migliaio di streghe e stregoni insieme a loro e dovevano prendersi cura degli allievi che gli erano stati affidati. Avevano così poco tempo per pensare ad altro e Vyncent non si faceva vedere da giorni.
Da quando lei e Bryce avevano litigato, ora che ci pensava bene.
Quel pensiero la disturbò.
Allontanò il piatto e si alzò. "Scusa, ma non ho fame. Vado a riposarmi."
"Certo, fai pure."
Tornò in camera e si chiuse dentro. Provò a leggere un libro, ma i suoi pensieri tornavano sempre su Vyncent e Bryce. C'erano stanze dove potevano appartarsi, lì nel tempio, e starsene da soli.
Che sciocchezza, pensò. Hanno passato settimane insieme sul campo di battaglia, cosa vuoi che siano pochi giorni al tempio?
Dopo una notte insonne, il giorno dopo fece chiamare Deliza. "Voglio andare al tempio" annunciò alla strega.
Presero un paio di cavalli e lasciarono il castello di buon mattino. Giunta al circolo ricevette una brutta notizia.
"Maestro Vyncent è partito due giorni fa" disse Bardhian.
"Non ha lasciato nessun messaggio per me?" gli domandò.
Lo stregone fece spallucce. "Non sono il suo valletto."
Anche Bryce era partita, però si era portata dietro la sua protetta, Djana.
Joyce non osò chiedere dove fossero andati e per quale motivo. Una parte di sé non voleva sapere, ma l'altra non voleva ascoltare la risposta a quella domanda che la dilaniava.
Deliza la riaccompagnò al castello e le due si congedarono.
Tornata in camera Joyce voleva provare il nuovo incantesimo, ma non si fidava a farlo lì. Da quando avevano tentato di rapirla, suo padre aveva fatto raddoppiare le guardie. Persino il cortile e lo spiazzo dove si era allenata la prima volta erano sorvegliati. Un solo rumore e avrebbe allertato tutto il castello.
Aveva bisogno di un posto tranquillo dove poter fare tutto il baccano che voleva.
Ma in tutta la città non esisteva un posto del genere e lei non aveva voglia di andare fuori città con i pericoli che nascondeva.
Poi le venne in mente che un posto del genere esisteva, solo che non era dentro la città, ma sotto di essa.
 
Non fu semplice trovare l'entrata delle grotte. Le ci volle una visita in biblioteca per recuperare una vecchia mappa, impararla a memoria in modo da non lasciare tracce e poi avventurarsi alla sua ricerca per tre notti di seguito.
Stando a quello che le avevano raccontato, l'entrata delle grotte era a sud dell'accampamento che suo padre aveva piantato per assediare la città durante la ribellione di Persym.
Prima però dovette trovare un modo per lasciare il palazzo in sicurezza. Non poteva andarsene in volo come prima. C'erano stregoni che sorvegliavano la zona con la loro vista speciale.
Joyce sapeva che ce n'erano almeno due che pattugliavano sempre il perimetro. Sapeva anche che erano in grado di accorgersi se qualcuno si muoveva camuffato con l'invisibilità o la trasfigurazione.
Se avesse tentato di usare uno di quegli incantesimi l'avrebbero individuata come una lucciola solitaria in una notte senza luna e senza stelle.
Tuttavia non poteva lasciare il castello in nessun altro modo. Allontanarsi da sola era impensabile. Se ci avesse provato le guardie l'avrebbero bloccata a una delle uscite e il re sarebbe stato avvertito.
Forse poteva inventarsi una scusa credibile per quella uscita notturna, ma se contava di farlo regolarmente doveva trovare un altro modo.
Il trucco usato con Oren era da escludere. Troppo complicato e pericoloso. E non poteva rientrare una volta uscita. Questo sempre se lui avesse accettato di aiutarla.
Doveva fare da sola.
Per giorni prese nota dei movimenti delle guardie e degli stregoni che sorvegliavano il castello. Ne studiò le abitudini, imparando tutto quello che poteva su di loro.
Garl per esempio era mezzo cieco all'occhio sinistro. Reffem, uno stregone alto e dinoccolato, dall'espressione sofferente, iniziava sempre in ritardo il suo turno di guardia. Il risultato era che c'erano dei secondi preziosi durante i quali un certo percorso diventava sicuro.
Joyce esplorò ogni magazzino del castello alla ricerca di un punto debole, ma non ne trovò. Persino il foro che aveva usato per introdursi alla riunione dell'alleanza, quando era stata maledetta, era stato riparato e rinforzato.
Avere un re così efficiente era quasi una beffa per lei.
Alla fine trovò quello che cercava a ridosso delle stalle. C'era un punto cieco, grande appena quanto un fazzoletto di terreno, dove nessuno guardava mai.
Joyce fece un esperimento. Raggiunse il posto senza farsi notare e vi lasciò una delle sue collane.
Attese per giorni che qualcuno la trovasse e gliela riportasse, o che la tenesse per se, ma non accadde.
Quando tornò in quel posto la trovò lì, in attesa.
Era tutto ciò che le serviva.
 
Quella notte indossò abiti comodi e stivali, prese la borsa decorata con fiori viola e gialli e vi infilò dentro il mantello logoro, delle candele e una coperta che aveva preso dall'armadio. Prese anche dei vecchi piatti di porcellana scheggiati che usavano i valletti. Nessuno se ne sarebbe accorto.
Uscì dalla sua stanza e scese nei magazzini. Nei giorni precedenti aveva imparato a memoria il percorso. Poteva farlo a occhi chiusi, quindi non ebbe bisogno di evocare un globo luminoso per trovare la strada.
Arrivò nel punto cieco e attese. Sopra di lei sentì le guardie passare e salutarsi, quindi levitò fino alla sommità delle mura. Da lì poteva osservare le stalle e parte dei cortili.
C'erano altri punti ciechi nel sistema di sorveglianza, ma per entrare nel castello erano necessari giorni di osservazioni meticolose e di appostamenti nel buio. Solo chi si trovava già all'interno poteva riuscirci.
Nessuno proveniente dall'esterno avrebbe mai trovato quel sottile percorso senza destare l'attenzione delle guardie.
Sfruttando ognuna di quelle piccole falle Joyce raggiunse l'esterno del castello, dove iniziava la città vera e propria. C'erano altri posti di guardia attorno al palazzo, ma le maglie di quella rete erano più larghe e le fu facile passarvi attraverso.
Una volta lontana dal castello levitò oltre le mura della città.
 
Trovò l'entrata delle caverne dopo tre tentativi andati a vuoto. Stava per perdere le speranze quando si imbatté nella grotta quasi per caso.
Lei si era aspettata un'entrata imponente e ben visibile, invece si trattava di un semplice foro scavato nel terreno.
Si avventurò al suo interno facendo attenzione a dove metteva i piedi.
L'esplorazione delle grotte le portò via altri tre giorni. Non aveva alcuna intenzione di perdersi lì dentro. Nessuno sapeva che era lì, quindi non poteva contare su di un aiuto esterno.
Alla fine trovò la strada giusta e il tempio sotterrano dove Vyncent e Bryce - possibile che quei due fossero sempre insieme? - l'avevano salvata da Persym.
Era più o meno come l'aveva trovato la prima volta, a parte i lievi segni lasciati dalla battaglia di qualche settimana prima.
Sulle colonne erose dal tempo c'erano le lievi bruciature e le schegge lasciate dai dardi che Persym e Bryce si erano scambiati.
Joyce decise di non perdere altro tempo. Quel luogo era l'ideale per allenarsi e fare tutto il rumore che voleva.
Per prima cosa provò il nuovo incantesimo che aveva tradotto.
Recitò tutta la filastrocca facendo attenzione alla cadenza e agli accenti. Un solo errore e avrebbe fallito.
Una figura umana apparve a una decina di passi da lei. Era alta e informe, quasi un'ombra che si proiettava sulle antiche pietre.
A tutta prima Joyce non riuscì a capire se si trattasse di un'evocazione o di uno spettro. Sapeva che alcuni stregoni erano in grado di materializzare delle creature viventi, ma quell'ombra non sembrava viva.
Se ne stava immobile al centro della grande sala, come in attesa.
Joyce prese il compendio. Nelle note in calce del capitolo c'erano dei versi. Aiutandosi con il poema di Hopott li tradusse al volo.
Forse servivano a completare l'incantesimo?
"Gar Sym" disse ad alta voce.
L'ombra si sdoppiò. All'inizio fu come se si deformasse e Joyce temette di aver sbagliato qualcosa, poi dalla prima nacque una seconda figura, di poco meno imponente.
Le due ombre rimasero in piedi di fronte a lei, come in attesa.
Joyce prese il compendio e tradusse un altro verso. "Gu' Var" disse ad alta voce.
Le due figure presero a muoversi librandosi a pochi centimetri dal suolo.
Una sfiorò Joyce, che si ritrasse di scatto. Non avvertì nessuna sensazione, nemmeno quella dell'aria che si muoveva.
Le due figure sembravano eseguire dei movimenti regolari e precisi, ripetendoli a intervalli di alcuni minuti.
Incuriosita, Joyce allungò la mano verso una delle figure. Come il globo luminoso, sembrava fatta di luce pura. Non era reale e al tempo stesso era vera.
Si allontanò di una ventina di passi per poterle osservare da lontano e si accorse che i movimenti non solo erano a tempo, ma anche coordinati.
Le due figure stavano danzando.
I due ballerini ombra eseguirono una decina di volte lo stesso numero, finché non si dissolsero nel nulla quando il tempo dell'evocazione terminò.
Che magia era quella?
Era sicura di non averne mai sentito parlare. Forse avrebbe dovuto frequentare di più il tempio del circolo per scoprire quali evocatori erano in grado di creare quelle forme e animarle.
Per quella volta ne ebbe abbastanza e decise di tornare al castello. Rifece a ritroso il percorso, ripassando dallo stesso punto delle mura che aveva scavalcato poche ore prima.
Anche stavolta nessuno la notò entrare. Evitò d'un soffio le guardie che pattugliavano i giardini seguendo un complicato percorso tra le aiuole che aveva pianificato con cura e tornò alla sua stanza.
Non appena dentro si chiuse dentro e si tolse i vestiti.
Il cuore le batteva forte ma ora sapeva che poteva farcela.
Stanca e assonnata si gettò sul letto e si addormentò quasi subito. Per una volta, dopo tanti giorni, non sogno di Vyncent e Bryce, ma di danzatori d'ombra che volteggiavano in sale da ballo di castelli fatti di luce.

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