Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: Kya_63    21/09/2017    0 recensioni
Percy Jackson pensava che la sua vita sarebbe stata tranquilla, ovviamente nei limiti di un mezzosangue, ma non pensava che stesse tutto per cambiare.
Harry Potter aveva combattuto la sua battaglia, aveva sconfitto il Signore Oscuro e salvato i suoi amici e il mondo maglico, ma qualcosa stava cambiando.
Due mondi diversi, due eroi diversi e un pericolo in comune che minaccia di distruggere il mondo. Questa è la storia che nessuno ha il coraggio di raccontare, che nessun poeta o scrittore conosce veramente sino in fondo e che non ha mai trascritto. Questa è la storia che pure gli Dei hanno paura a narrare.
(Spoiler di Eroi dell'Olimpo, la saga di Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo e Harry Potter. Non tiene conto di TOA)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

IDENTITÁ

Era tardi ormai e Valentina sapeva che doveva andare a dormire, ma voleva aspettarlo. Doveva venire. Non l'avrebbe delusa, ne era sicura. Da quando aveva conosciuto Sebastian a Mosca non faceva che pensare a lui e sapeva che non era bene. Poteva essere benissimo un nemico o chissà che cosa, persino un mutaforma. Eppure, era come se quel ragazzo le fosse entrato dentro, lasciando un segno indelebile nel suo cuore. Ormai era un chiodo fisso, tanto che lo sognava persino di notte. Non c'era nulla di normale. Era arrivata, in pochi giorni, a dimenticare i sentimenti nascenti per il suo migliore amico che, ora, vedeva solo come tale. Vide qualcuno, da un tetto, salutarla e lei sorrise. S'assicurò che nessuno la vedesse e scese dalla nave volante. Il biondo la salutò e fece cenno di sedersi accanto a lui. Sebastian iniziò a parlare e, per l'ennesima volta, Vale gli chiese perché non venisse con loro. Era da giorni che si chiedeva perché il ragazzo la volesse incontrare solo di notte, quando non c'era nessuno. Le aveva proibito di parlare di lui, a chiunque. Aveva detto che era come il loro piccolo segreto, anche se la ragazza non capiva. Il ragazzo, prontamente, rispondeva che non poteva, perchè non voleva essere rifiutata. Vale leggeva tristezza in quelle parole. L'aveva aiutata a Mosca e lei non aveva potuto fare a meno di iniziare a fidarsi di lui. Rimasero in silenzio per un po' finchè non le chiese di raccontare qualcosa su di lei che ancora non sapeva. La figlia di Chione gli raccontò così dei nuovi progetti che avevano in mente i suoi amici, senza però andare troppo nei dettagli. Sapeva che potevano esserci spie ovunque e anche quando Sebastian insistette, la ragazza non cedette. Gli disse che alcuni di loro erano appena partiti per l'America, per distruggere alcune della basi dei loro nemici e che era una missione suicida. Sebastian non batteva ciglio e ascoltava la ragazza rapito, come se stesse prendendo appunti nella sua testa. Sapeva che era sbagliato ingannare quella ragazza in quella maniera, ma doveva avere le informazioni di cui necessitava. Nonostante ciò, sentiva che qualcosa lo attirava verso quella ragazzina di appena quattordici anni. Era come se lo avesse incantato. Sapeva però come erano fatti i figli di Chione: freddi, spietati, insensibili... insomma, l'amico che tutti vorrebbero avere. Eppure, Valentina Romanov gli era sembrata totalmente diversa: simpatica, generosa incredibilemente bella, nonostante la sua giovane età.
-Hey Seb, tutto bene?- chiese Valentina guardandolo con i suoi occhi color ghiaccio: bellissimi e gelidi. Sebastian sobbalzò. Quella ragazzina gli stava causando non pochi problemi senza rendersene conto.
-Hey, tranquillo, tranquillo, non ti mangio- gli sussurrò la ragazza accarezzandogli il braccio muscoloso- Sono io. Non devi avere paura.
Sebastian sorrise alla ragazzina che gli stava accanto. Vale si allungò e abbracciò il ragazzo, timorosa, però, della sua reazione. Temeva di essere respinta, di essere cacciata via in malo modo. Aveva osservato Sebastian durante quelle poche ore in cui si erano visti: sempre attento, un po' rigido e distaccato. All'inizio credeva che fosse perchè lei era un'estranea che aveva conosciuto da poco, ma poi si era resa conto che quello era il suo carattere e che non poteva cambiarlo. L'unica cosa che poteva fare era accettarlo per come era e lo avrebbe fatto, perchè lei era una brava amica. Sebastian non si ritirò dal suo abbraccio e la figlia di Chione ne fu conteta. Il figlio di Elio, intanto, si stava domandando perchè quella ragazzina lo facesse sentire così amato, così protetto. Era tutto troppo smielato per lui. Il fatto era, però, che non voleva lasciarla andare. Voleva abbracciarla ancora più forte, facendo toccare il corpo esile della ragazzina con il suo, grande e muscoloso. Era strano come, in quei giorni, avesse ripreso ad amare. Durante giornate intere passate a riflettere, era giunto alla conclusione che quello che provava per Brooke era amore, ma un amore diverso da quello vero. Era più simile all'amore fraterno. Aveva iniziato ad amare la ragazza che ora lo stava abbracciando, anche se non aveva ancora capito il modo in cui ci fosse riuscita. Era da tanto che non amava. Gli era stato strappato tutto a lui e non gli era rimasto niente, dopo quella notte calda e afosa di metà agosto. Se la ricordava troppo bene per essere dimenticata, come se gli Dei, per fargli un dispetto, gli avessero inciso quella notte. Scacciò dalla mente quei pensieri. Voleva godersi il momento, perchè sapeva che quando la ragazzina avrebbe scoperto chi era lui e per chi lavorava, l'avrebbe odiato come non mai e avrebbe voluto ucciderlo e lui, troppo in colpa per quello che aveva fatto, l'avrebbe lasciata fare, ponendo fine alla sua vita. Doveva dirle la verità, allontanarla prima che si scottasse, salvarla e poi scappare, il più lontano possibile.
-Vale...- la chiamò lui sciogliendo l'abbraccio. La ragazzina lo guardò con i suoi occhi color ghiaccio, che lo lasciavano sempre ammaliato, lo catturavano e non lo lasciavano andare più. Che stregoneria è mai questa?, si chiedeva ogni volta e ogni volta si rispondeva con il silenzio più totale. Valentina sorrise:-Stai zitto, okay? Non voglio sapere nulla questa sera, mi dirai tutto domani.
Domani. Troppo lontano era il domani. Avrebbe potuto non esserci un domani per loro, come nessun altro. Era difficile da accettare, eppure, quando stava con Valentina apprezzava anche quella parola che fin da piccolo gli aveva dato fastidio: domani. Forse era innamorato. Forse però era una magia che la figlia di Chione gli aveva fatto. Impossibile, non ne era capace. Intanto, quella parola, gli rimbombava nella testa. Domani, domani le avrebbe detto la verità.
-Va bene- le disse con la voce tremante- Domani sia.
-Ci spoteremo in Turchia domani- sussurrò Valentina tornando a sedersi sul tetto fatto di coppi di terracotta- La rotta è Instambul. Sei sicuro di riuscire a starci dietro?
-Posso essere più veloce di voi, ragazzina- scherzò Sebastian vedendo la ragazza accanto a lui scoccargli un'occhiataccia degna di nota- Immagina la luce, la sua velocità. Io posso andare a quella velocità.
-Scherzi vero?- chiese lei con gli occhi che s'illuminavano. Aveva sempre amato la luce, il suo calalore, la sua variazione di colori, insomma, tutto. Forse era dovuto al fatto che lei avrebbe dovuto odiare la luce. Si domandava perchè s'innamorava di ciò che non poteva avere, come la luce. Era successo la stessa cosa con una cane. Suo padre le aveva detto di no, siccome abitavano in una casa non sufficientemente grande, e lei si era innmorata di quel cucciolo. Finiva sempre così. Non poteva e s'innamorava. Ma chi cavolo glielo faceva fare? Soffriva e basta alla fine, ma era stato quel dolore a renderla sempre più forte.
-No che non scherzo- rispose Sebastian ridendo, mentre guardava gli occhi della ragazza, luminosi come non mai- Dai, torna sulla nave. Vai a dormire e riposati un poco, okay?
Valentina annuì, s'alzò e, prima di andarsene, disse:- Mi hai chiesto di raccontarti qualcosa su di me che non sapevi. Il mio vero nome è Alexia Romanov.
-Quindi il tuo vero nome è Alexia- mormorò il figlio di Elios- E perchè non lo usi. Credo che sia molto più bello di Valentina, senza offesa.
-Valentina era il nome di mia sorella- sussurrò la ragazzina. Sebastian vide il suo volto inscurirsi ed era certo di aver visto una lacrima scendere lungo la guancia candida della giovane, prima che ella l'asciugasse con il palmo della mano. Il figlio di Elio s'alzò in piedi e raggiunse la giovane, accarezzandole la guancia, poi i capelli, abbracciandola, infine. Lei singhiozzava contro il suo petto in silenzio, senza produrre alcun suono. Lui le accarezzava i capelli candidi e lei piangeva, bagnando la maglietta del biondo. Valentina s'aggrappò alla sua T-shirt, come se fosse un'ancora di salvezza. Era falso. Sebastian sapeva di starla ingannando. La stava usando e basta. Come avrebbe fatto, poi, a dimenticarsi di lei, ad ucciderla? Non l'avrebbe fatto. Sciolse l'abbraccio e la lasciò andare, asciugandole le ultime lacrime che solcavano le sue bellissime guance candide e perfette. Valentina lo salutò, creando poi una scala di ghiaccio, ritornò sulla nave, salutando un'ultima volta il biondo che la guardava. Stava per scendere sottocoperta, quando venne intercettata dal suo migliore amico, forse uscito dalla sua cabina per andare a fumare l'ennesima sigaretta. Per l'ennesima volta, vide Sebastian al posto di Rick. Scosse la testa, immaginandosi poi i due ragazzi a fumare una sigaretta sul ponte, a parlare come se fossero amici da sempre.
-Hey Vale- la chiamò Rick sottovoce, in modo da non svegliare coloro che stavano riposando prima del loro turno di guardia- Che ci fai alzata a quest'ora?
-Volevo prendere solo un po'aria- rispose la ragazza aprendo la porta della sua cabina- Ci vediamo domani, va bene?
Senza dargli il tempo di rispondere, Valentina chiuse la porta di scatto, lasciando senza parole il amico. S'avvicinò alla piccola cassettiera che teneva in camera e dove aveva sistemato alcuni vestiti. Aprì uno dei cassetti, pescando la sua giacca fortunata e schiudendo la tasca interiore, prendendo una fotografia. Era vecchia. Aveva i lembi rovinati ed i colori erano sbiditi. La guardò per un poco, incorntrando gli occhi della sorella: violetti. I capelli lugnhi erano biachi e azzurrini. Il suo contrario. Pianse, quella notte, la figla di Chione, versando tutte quelle lacrime che aveva trattenuto per troppo tempo.

Ziah aveva iniziato a maledire chiunque incontrasse dopo l'ora di pranzo. Era inziato bene e stava andando male, parecchio male. Si chiedeva perchè non erano ancora morti, a volte. Lanciò l'ennesimo incantesimo, sbuffando e maledicendo il mago che l'aveva attaccata. Già, stava andando proprio male. Era stanca, parecchio stanca. Ma cosa c'era che non andava nel mondo in cui vivevano? Proprio durante la loro "epoca" il Caos doveva decidere di volere vendetta? Non andava bene tra... qualche secolo o anche mai. Erano ancora a Città del Capo, ad aspettare non si sapeva cosa. Walt era riuscito nella sua impresa da solitario ed era tornato vivo. Peccato che poi li avevano ritracciati, più o meno verso l'ora di pranzo, così era iniziata un lotta su due fronti: la Casa della Vita e le forze del Caos. La cosa che più le dava fastidio era il fatto che li avevano interrotti nell'ora di pranzo e a questo Ziah non piaceva. Almeno il suo cheeseburger potevano lasciarglielo mangiare. No, ovviamente no, dovevano attaccare in quell'esatto momento. Era lì, che si portava il panino alla bocca per addentarlo, poi BUUM!, la vetrina rotta, il ristorante per metà saltato in aria e il pranzo era saltato con il ristorante. Perciò aveva iniziato a maledire tutti, anche chi non le aveva fatto niente. Stanca di tutto quel casino, evocò, attraverso un leggero sfioro sul bracciale, il potere di Ra. In quei giorni aveva imparato solo quello. Uno sfioro al bracciale d'oro e tutto diventava luce pura. Dopo arrivava la parte difficile: rimanere in piedi. Fu Carter a prenderla al volo, quella volta. Le spostò i capelli sudaticci dalla fronte e le posò un bacio sulla fronte sudata e accaldata. Ziah sorrise al lieve contatto, lasciandosi cullare anche dal silenzio che ora regnava,
-Sei un'incosciente- commentò Carter sottovoce- Sei davvero un'incosciente. Non farlo mai più okay? Lo sai che se lo usi troppo potresti...
-Lo so, Carter, ma era necessario- rise debolmente lei accarezzandogli la guancia. Con l'aiuto dei due fratelli Kane, Ziah si rimise in piedi e camminó sino ad ad una piccola scaletta che portava ad una porta di metallo vecchia e arruginita. Si sedette sul primo scalino e tirò un sospiro, come se cercasse più aria di quanta gliene servisse effettivamente. Si lasciò cullare dal piccolo alito di vento fresco, che interruppe per poco quel caldo afoso e appiccicoso che c'era. Cosa avrebbe dato per un minimo di caldo? Tutto. C'era troppo caldo.
-Bevi- le ordinò Sadie porgendole una bottiglia d'acqua. Ziah prese la bottiglia e bevve avidamente, cercando conforto in quell'acqua fresca che le scorreva giù per la gola. Mise il tappo e la passò alla bionda, ringraziandola. Sadie le sorrise e la ripose nella sua borsa di tela. Soledad si passò una mano tra i capelli scuri e, con voce stanca, disse:- Bene, direi che possiamo anche andarcene da qui, ora che il nostro lavoro è finito.
Con fatica, s'incamminarono verso la periferia della città. Presero il treno che conducevano fuori dalla capitale, sedendosi sui vecchi seggiolini del mezzo pubblico o stando in piedi, aggrappati ai pali colorati di ferro. Ziah appoggiò la testa al finestrino di vetro, inciso di nomi di persone che lei non conosceva. Ripensó all'ultima chiamata con Percy e Kya. Una parte di loro sarebbe andata in America, di nuovo, per distruggere diverse basi del nemico. Ziah non credeva che fosse una grande idea, ma lasciò che i suoi due cugini facessero ciò che cresessero giusto. Era gelosa dei suoi cugini, gelosa di quel rapporto cosí profondo che li faceva sembrare due telepatici. Non avrebbe mai fatto completamente parte della famiglia Jackson, lo sapeva, ma ci aveva sperato, almeno un poco. Ascoltò le ruote del treno stridere sulle rotaie, mentre il mezzo si fermava e apriva le vecchie porte, permettendo a coloro che lo aspettavano di entrare al suo interno. Tra loro c'era silenzio. Solo i due gemelli, Lupe e Uriel, si scambiavano qualche parola, probabilmente sugli ultimi videogiochi usciti. Due nerd, ma utilissimi. Erano in grado di evocare il potere di Nefti e di hackerare ogni computer possibile, inoltre erano bravi ad ideare piani in maniera rapida e veloce. Guardò fuori, mentre si fermavano all'ennesima fermata. Si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sospirò, chiudendo poi gli occhi e lasciandosi cullare dai ricordi che volevano farsi strada nella sua mente. Rimpiangeva quei tempi in cui era tutto tranquillo, che sembrava quasi noioso. Perché non si era goduta quei momenti? Era stata una stupida a pensare che sarebbe stato tutto tranquillo. Adesso non si sentiva più nemmeno lei, era come se qualcosa si fosse aperto, forse una porta, rivelando la vera Ziah, quella che nessuno, neppure lei, conosceva. Una questione d'identità era. Chi era lei? Ziah. Cogn Sbuffó, scacciando via i pensieri con uno spolverino immaginario, pensando che presto sarebbe tutto finito, addormentandosi.

Percy cadde sulle ginocchia, appoggiando le mani sul legno scuro e cercò aria, respirando affannosamente. I muscoli gli facevano male, troppo male. Il cervello gli sembrava che si fosse ridotto ad una frittata e lo stomaco chiedeva una sola cosa: zuccheri e un bel cheeseburger degno di nota, con tanto formaggio e ketchup, contornato da patatine fritte. Il rumore che fece il suo stomaco gli fece capire che non doveva pensare al cibo, non ora che era sotto allenamento. Gli sembrava di essere tornato alla prima estate come semidio, quando ancora era tutto assurdamente facile, quando ancora, però, non erano una famiglia. Respiro profondamente ancora un paio di volte, come se volesse assicurarsi che i suoi polmoni funzionassero ancora. Sì, funzionavano ancora.
-Alzati, Percy- lo rimproveró Luke- Il Caos non ti lascerà riposare, lo sai.
-Sono a pezzi, Luke- rispose il figlio di Poseidone- Mi stai affaticando troppo e non mi lasci riposare.
-Devi spingerti a più del tuo massimo, Percy. È l'unico modo per riuscire ad avere un minimo di possibilità contro il Caos. Forza, rialzati e continuiamo.
Luke alzò con forza il figlio di Poseidone da terra, mettendolo in piedi, mentre lui sbuffava come un treno a vapore. Erano settimane che si allenavano ed non erano giunti a niente. Percy ancora faticava ad utilizzare il dominio del sangue e il troppo utilizzo lo stava sfinendo. Annabeth era preoccupata, ma Luke diceva che era necessario e lei ci credeva. Nonostante i suoi precedenti, Luke era una brava persona, che ti sapeva aiutare nel momento del bisogno e sapeva cosa bisognava fare in quei casi.
-Riprova Percy- dichiarò Luke. Il figlio di Poseidone si concentrò, lasciando che quella poca energia che aveva in corpo fluisse lungo la sua spina dorsale, lasciandola fluire nel sangue. Lui era acqua. Lui era un ocerano in tempesta, un uragano che distruggeva, ma che dava la possibilità di creare nuovamente, perché senza distruzione non c'è la creazione. Sentì l'umidità andare verso di lui, attirata dal suo richiamo. Una calamita era. Respiró diverse volte e pensò alla rabbia che aveva. Assolutamente niente. Come al solito. Annabeth gli aveva parlato della facilità con cui altro figli di Poseidone avevano utilizzato quel potere. Una facilità che, però, a lui era estranea.
-E se non avessi questo potere?- chiese- Se non...
-Impossibile- lo interruppe Luke con le braccia incrociate al petto, lo sguardo azzurrino che guardava solo e unicamente lui- So che è difficile. Secondo me, quello che ti blocca è la paura. Tu hai paura di quello che può succedere. Quando hai salvato Annabeth dai Dissennatori, non stavi ragionando. Avevi abbandonato tutti le tue emozioni, tenedoti aggrappato alla rabbia.
-Io so cosa può succedere se uso il dominio del sangue, Annabeth me l'ha spiegato. Io... Non voglio essere come loro.
-Non lo sarai- lo rassicuró Luke dandogli una pacca sulla spalla- Ci siamo noi con te.
-Già... È proprio quello che mi preoccupa- sussurró Percy mentre afferrava un asciuamano appoggiato lì vicino e asciugandosi la fronte dal sudore. Non ce la poteva fare. Sarebbe stata colpa sua se il Caos avrebbe vinto e questo lo sapeva. Si sentiva inutile. Tutti su quella nave sapevano cosa fare, come utilizzare i propri poteri. Tranne lui.
-Hey ragazzi!- li salutò Piper entrando nella stanza- Come procedono gli allenamenti?
-Non male- rispose Percy mentre Luke gli scoccava un'occhiataccia degna di nota. Piper rise alla vista di quell'occhiata:- Luke, Talia ti vuole di sopra.
-Vado subito- esclamò il biondo afferrando la felpa e dirigendosi verso l'uscita. Percy, ridendo, urlò all'amico:-Sei cotto marcio, amico!
-Questo l'ho sempre saputo!- ribattè il figlio di Hermes correndo su per le scalette di legno e sparendo dalla vista degli altri due semidei. Piper scosse la testa, poi guardò il figlio del Dio del Mare. Doveva parlargli. Ora, o non avrebbe più avuto il coraggio. Voleva sapere. Aveva pensato di chiedere a Kya, ma era partita, perciò doveva fare domande a Percy. Contò fino a dieci e si sedette per terra, mentre Percy prendeva una bottiglietta d'acqua dal minifrigo posto a lato della stanza.
-Percy...- lo chiamò Piper con voce flebile. Era quasi impossibile sentire la sua voce, ma Percy si voltò nel sentirsi chiamare. Sorrise alla figlia di Afrodite e si sedette accanto a lei, aprendo la bottiglietta d'acqua e bevendone un lungo sorso. Richiuse la bottiglietta di plastica con il tappo rosa fluo e Piper si chiese dove cavolo le avessero comprate: possibile in Romania? Ma cosa importava, in quel momento? Niente, doveva sapere che cosa era successo a Parigi. Era passato troppo tempo da quando avevano passato la città e Piper non aveva ancora avuto risposte.
-Dimmi Pips- dichiarò Percy sorridendole, con quel sorriso che faceva innamorare tutte le ragazze del campo di lui, ma che in realt era solo un sorriso che rassicurava, nulla di più. Piper si passò la lingua sulle labbra:-Devi darmi delle risposte. Cosa è successo a Parigi? Come ho fatto a fare...
-Pip- la interruppe percy- Stiamo ancora cercando di saltarci fuori, ma supponiamo che tu discenda da una qualche divinità diversa da quelle che conosciamo. Probabilmente legata anche al tuo passato. Per il resto, posso solo dirti che ci stiamo lavorando. Kya andrà a trovare mia madre e le chiederà spiegazioni sulla nostra famiglia e, probabilmente, sarà tutto collegato.
-Se c'è qualche novità me lo dici, vero?- chiese timorosa la figlia di Afrodite. Percy le passò un braccio intorno alle spalle e l'abbracciò:-Certo Pip. Non preoccuparti. Ne verremmo a capo, te lo prometto.
Piper si lasciò cullare dal calore di quello che ormai considerava un fratello. Stava abbandonando la sua vecchia identità per arrivare a ciò che era veramente. Chiuse gli occhi, poi chiese:- Ti va se ti aiuto con i tuoi allenamenti? Magari potremmo provare nuove tecniche.
-Illuminami Pip- scherzó Percy lasciando andare la ragazza, che lo tirò su in piedi tirandolo per la mano. Si misero uno di fronte all'altro, poi Piper gli fece mettere le mani congiunte e congiunse anche le sue.
-Ho frequentato un corso di yoga prima durante l'autunno, forse può aiutarti- disse la ragazza con il sorriso stampato sulle labbra, mentre metteva il piede destro sulla gamba sinistra, assumendo la posizione dell'albero. Respiró molte volte, ispirando ed espirando, cercando di mantenere il suo equilibrio interiore.
-Rilassati Percy- gli disse- Mantieni la calma e sii tutt'uno con l'aria.
-Ti ricordo che il mio elemento è l'acqua- le rispose il giovane, mentre la copiava, assumendo la posizione del guerriero.
-Ma concentrati sull'aria- sussurró la mora- Senti l'aria e l'umidità. Prendine il controllo. Tu sei acqua e aria.
Piper poi si mosse velocemente, cambiando posizione: un piede avanti e uno indietro e le braccia, con i palmi aperti, rivolte verso Percy. Il figlio di Poseidone fece come gli era stato detto, assumendo la posa che aveva Piper. Fece come la figlia di Afrodite gli aveva detto, lasciando che l'energia che lui era, che ciò che lui era, la sua vera natura, fluisse. Calma e pace. Niente uragani, oceani in tempesta, solo pace e calma. Lui era la parte buona dell'oceano. Non era come i suoi fratelli defunti, lui era diverso.
Piper sorrise. Ce l'aveva fatta. Aveva accettato chi era.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Kya_63