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Autore: Martocchia    22/09/2017    0 recensioni
Ojos de Cielo è il racconto di un amore, di due ragazzi, ma anche la storia di una canzone e di quante sue simili essa possa contenere. Questo è il racconto di come la musica possa radicarsi così in profondità da diventare linguaggio e linfa vitale, legame di un amore fresco come le rose bagnate dalla rugiada.
I primi capitoli potrebbero lasciarvi un po' interdetti, ma vi invito a proseguire, ad andare oltre ciò che appare e ad immedesimarvi nei personaggi che ho creato, i quali non sono poi tanto lontani dalla realtà...
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Dopo pochi minuti Luca si ferma e con delicatezza mi fa sedere sul suo motorino, mettendomi il casco. Poi vi sale lui e ancora una volta allaccia le mie braccia intorno ai suoi fianchi, dopodiché incominciamo a muoverci. Non vedo assolutamente nulla: sento solo l’aria fredda colpirmi e poi ho la sensazione che stiamo andando in salita, attraversiamo una zona in pavé e poi ancora salita, fino a che non svoltiamo a sinistra e iniziamo a scendere, salire, curvare più e più volte per un tempo indefinito. Finalmente ci fermiamo. Luca mi prende nuovamente in braccio e cammina per un breve tratto, poi si ferma, sembra armeggiare con delle chiavi, sento un porta aprirsi. Mi prende per mano e mi guida in un ambiente, mi rendo conto, più buio. Alla fine, proprio quando incomincio a perdere le speranze, mi toglie la benda. Apro e chiudo le palpebre un paio di volte prima di mettere a fuoco ciò che mi sta intorno: sono in una spaziosa dependance - fuori da una finestra scorgo una villetta più grande – arredata in modo giovanile e chiaramente maschile. Tutto però rimanda alla musica: il pianoforte, le chitarre, i libri di spartiti, lo stereo, gli scaffali pieni di CD, poster di gruppi stranieri e poi un divanetto rosso dall’aria molto comoda, una televisione, una scrivania con lampada e computer e in un angolo una piccola cucina con tanto di frigorifero.
Mi guardo intorno stupita.

-Cos’è questo posto? – chiedo infine, mentre Luca appende le nostre giacche in un piccolo armadio di fianco all’ingresso.

-Questo è il mio covo. – risponde, prima di prendermi nuovamente per mano e farmi sedere di fianco a lui sul divano. – Io suono e canto molto, ma finisco per dare fastidio ai miei genitori, così appena ne hanno avuto l’occasione hanno costruito questa casetta tutta per me. È insonorizzata, così anche da fuori non si sente nulla e posso sfogarmi quanto voglio. Spesso resto fino a tardi e per non svegliare nessuno mangio e dormo qui. – Mi accorgo solo adesso del soppalco fornito di comodo letto a una piazza. – E preferisco anche studiare qui. È decisamente più tranquillo. -.

- È davvero stupendo… - dico senza fiato, guardandomi ancora intorno.

-Ne sono davvero contento. Sai… Sei la prima persona che faccio entrare qui dentro. -. Mi volto piena di stupore verso di lui e solo ora mi accorgo che sta tormentando l’orlo della sua felpa nervosamente.

-Credimi è tutto ciò che vorrei anch’io… Ma perché proprio io? Questo posto è tuo… -.

-Perché so che la nostra passione per la musica è uguale. Ho pensato che il migliore regalo che potessi farti per il tuo compleanno fosse darti la possibilità di fare ciò che più ami e questo è il miglior posto che conosco per farlo. – mi risponde, guardandomi timidamente negli occhi.
Sorrido dolcemente.
-L’hai capito allora. -.

- È uno stupido chi non lo capisce. Quando canti i tuoi occhi brillano di luce propria e i sentimenti che ci butti dentro diventano concreti. Tu prendi le parole delle canzoni e le fai tue, completamente. Sei viva quando canti, viva sul serio. -.
Lo guardo incapace di capire come sia riuscito a comprendere la cosa più importante di me nel poco tempo in cui ci siamo conosciuti. Mi ha letta, dall’inizio alla fine, come se fossi un libro aperto, senza alcun lucchetto, anche se in realtà ne ho così tanti…

-Tu… sei sorprendente. – mi lascio sfuggire a bassa voce.

- È un complimento? – mi chiede divertito.

-Sì, certo. Si possono contare sulle dita di una mano le persone che hanno compreso da sole, senza che dicessi loro nulla, che cosa mi faccia sentire viva, che cosa mi scorre nelle vene come linfa vitale… Io non posso fare a meno di cantare, è come cibo, acqua, ossigeno. È sempre stato il mio modo di esprimere i sentimenti: non sono molto brava con le parole e non ho mai amato troppo parlare di ciò che mi frulla per la testa, non con persone qualsiasi, e cantare è diventato l’unico canale di sfogo, soprattutto quando mi sento triste o arrabbiata. È il mio speciale linguaggio e se perdessi la capacità di parlarlo, sicuramente ne morirei. -.

-Io mi sento esattamente nello stesso modo… La musica è… Non c’è un termine che possa spiegarlo… È semplicemente tutto. – dice lui guardandomi intensamente negli occhi. Non so cosa mi stia succedendo, ma attraverso quelle iridi blu riesco a comprendere esattamente cosa voglia dire, riesco a percepire quell’amore infinito per le sette note, che ci lega in uno spartito, dove stiamo componendo, senza saperlo, una canzone dal finale ancora totalmente sconosciuto.
A rompere il contatto visivo è proprio Luca, il quale abbassa gli occhi e si passa una mano sulla nuca imbarazzato.

-Che ne dici di cantare qualcosa? Ho voglia di suonare il piano. – mi chiede, tornando rilassato.

-Ho sempre voluto saper suonare il pianoforte, ma mio fratello non ha mai voluto insegnarmi. -.

-Se vuoi ti posso far suonare… - mi propone sorridendo.

-Davvero? – chiedo stupita ed eccitata come una bambina.

-Certo, vieni. – dice prendendomi per mano e guidandomi verso lo strumento, addossato a un muro. Si siede sullo sgabellino rivestito in pelle nera e mi fa segno di sedermi sulle sue gambe. Lo guardo incerta e imbarazzata:

-Tranquilla, non ti mangio. Farò il bravo, lo prometto. – mi rassicura facendomi un occhiolino.
Allora mi siedo con attenzione sulle sue gambe e immediatamente percepisco la pressione del suo petto sulla mia schiena.

-Che cosa vuoi cantare? -.

-Che ne dici di Demons? Adoro quella canzone… -.

-D’accordo, mi pare perfetta. -.
Luca mi prende delicatamente le mani e le appoggia sui tasti del piano, ricoprendole con le sue, facendo aderire ogni singolo dito a uno dei miei. Le sue mani sono grandi, da musicista, e avvolgono completamente le mie in una calda coperta. Poi avvicina le sue labbra al mio orecchio e mi parla a voce bassa:
-Le mie dita saranno il prolungamento delle tue. Le guiderò io per te, tu semplicemente abbandonati a me, alle mie mani. -.
Un brivido mi attraversa la schiena, eppure ho così caldo; le mani e le gambe mi tremano, ma sono sicura che le mie guance siano bollenti. Non capisco cosa mi stia succedendo…
Le sue dita incominciano a guidare le mie verso i tasti e sento la sua voce accarezzarmi i capelli come dolce brezza primaverile.

When the days are cold
 And the cards all fold
 And the saints we see
 Are all made of gold

La sensazione provocata dallo sprigionare della musica dal tocco delle mie dita sui tasti d’avorio del pianoforte è stupenda. Le mani di Luca mi guidano sapientemente con leggerezza e la sua voce… Mai come adesso sono riuscita a sentirla scavare dentro di me.

When your dreams all fail
 And the ones we hail
 Are the worst of all
 And the blood’s run stale

I want to hide the truth
 I want to shelter you
 But with the beast inside
 There’s nowhere we can hide

No matter what we breed
 We still are made of greed
 This is my kingdom come
 This is my kingdom come

La mia voce la sento così lontana, come se fossi volata in un’altra dimensione. Il mio corpo non mi appartiene più, è ormai completamente abbandonato alla guida di Luca. La mia anima è invece sospesa nell’aria a bearsi dell’armonia di voci e strumento, che si legano indissolubilmente in un canto d’amore dedicato esclusivamente alla musica.

When you feel my heat
 Look into my eyes
 It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide
 Don’t get too close
 It’s dark inside
 It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide

When the curtain’s call
 Is the last of all
 When the lights fade out
 All the sinners crawl

So they dug your grave
 And the masquerade
 Will come calling out
 At the mess you made

Don’t want to let you down
 But I am hell bound
 Though this is all for you
 Don’t want to hide the truth

No matter what we breed
 We still are made of greed
 This is my kingdom come
 This is my kingdom come

When you feel my heat
 Look into my eyes
 It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide
 Don’t get too close
 It’s dark inside
 It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide

They say it’s what you make
 I say it’s up to fate
 It’s woven in my soul
 I need to let you go

Your eyes, they shine so bright
 I want to save their light
 I can’t escape this now
 Unless you show me how

Le parole che Luca sta cantando è come se le stesse rivolgendo proprio a me, come se fossero vera espressione di ciò che il suo cuore custodisce. Racconta di un tormento a cui solo io posso porre rimedio, ma dal quale vorrebbe anche allontanarmi, senza però riuscirvi.

When you feel my heat
 Look into my eyes
 It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide
 Don’t get too close
 It’s dark inside
 It’s where my demons hide
 It’s where my demons hide

E alla fine lo guardo davvero negli occhi, chiedendomi come ci possano essere ombre in uno sguardo così limpido e puro. Non vedo demoni in quell’azzurro, solo il cielo. Non c’è oscurità, ma solo un desiderio struggente. Questi occhi traboccano di un sentimento così forte da incantarmi.
La sua voce è solo un sussurro, ma così dolce…

-Sono davvero pessimo… Non so mantenere le promesse: non riesco a fare il bravo quando si tratta di te, non ci riesco più Clara. -.
Quel desiderio si fa ancora più concreto nella sua voce, come un’urgenza che non può più aspettare.
Una sua mano si stringe lentamente attorno alla mia, intrecciando le sue dita alle mie; l’altra mi accarezza i capelli e li sposta dietro l’orecchio con un gesto lento e dolce. Poi le sue dita percorrono leggere il contorno del mio viso e poi del mio collo, provocandomi brividi per tutto il corpo, mentre i suoi occhi non si staccano dai miei: vi si immergono dentro cercando di memorizzare ogni più piccola sfumatura di colore e io faccio la medesima cosa con i suoi, senza provare il minimo desiderio di allontanarmi o di deviare il mio sguardo.
Le sue dita si immergono nei miei capelli e il suo palmo si chiude delicatamente sulla mia guancia. Il suo viso si avvicina al mio, mi stringe più fortemente la mano, il suo sguardo è ancora incollato al mio, non chiude gli occhi e non lo faccio neanch’io. I nostri nasi si sfiorano e lui abbassa per un attimo lo sguardo sulle mie labbra, poi lo riporta sui miei occhi: quel desiderio e quel sentimento sono ancora più forti. Sembra chiedermi il permesso di andare avanti. Annuisco impercettibilmente e allora Luca inclina leggermente la testa, senza smettere di guardarmi, e si avvicina sempre di più fino a che le nostre labbra non si sfiorano…

La suoneria del suo cellulare irrompe forte e squillante nel silenzio della stanza. Sgraniamo entrambi gli occhi stupiti e quasi spaventati dall’improvviso rumore e per un attimo rimaniamo completamenti fermi, senza sapere cosa fare. Ma ormai la magia si è dissolta e l’imbarazzo ritorna a impadronirsi di noi.
Ci allontaniamo lentamente l’uno dall’altro, senza alcuna parola, mi alzo e rimango in piedi, imbambolata, in mezzo alla stanza, mentre Luca risponde al cellulare, dopo averlo guardato quasi con rabbia.
Io intanto cerco di concentrarmi su qualcosa che non sia la sua conversazione, ma la mia mente non fa altro che farmi ripensare alla situazione in cui ci trovavamo poco fa. Inutile chiedersi cosa sarebbe successo se non fosse squillato il cellulare, è scontato ed è probabilmente questa consapevolezza a rendere tutto più imbarazzante. Dopo pochi minuti Luca finisce la chiamata e mi guarda con un’espressione indecifrabile sul volto.

-Mi dispiace, ma mia mamma vuole che vada a fare delle commissioni per lei… È meglio che ti riaccompagni a casa. – dice infine, tornando apparentemente rilassato come al solito.

-Va bene. Non c’è problema. – rispondo balbettando.

Risaliamo ancora una volta in moto, ma quando avvolgo le mie braccia intorno ai suoi fianchi, sento Luca irrigidirsi e tremare al mio tocco. D’altra parte neanch’io sono molto tranquilla, improvvisamente consapevole del calore emanato dal suo corpo e del suo fisico snello e allenato.
Il viaggio verso casa mia sembra durare un’eternità, un tempo infinito in cui riesco ad essere cosciente solo del mio cuore che batte furiosamente nella cassa toracica e del petto di Luca che si alza e si abbassa altrettanto velocemente.
Finalmente ci fermiamo sotto casa mia. Scendo dalla moto, seguita da lui e mi tolgo il casco, pensando a come congedarlo. Deglutisco nervosa e alzo gli occhi su di lui, il quale sta giocando altrettanto nervosamente con il cinturino del casco che sta tenendo in mano.

-Grazie davvero per questa giornata. È stato un compleanno speciale. – dico infine, rompendo l’imbarazzante silenzio.

-Sul serio? – chiede stupito.

-Sì, perché l’ho passato con te. -.
Sorride timidamente.
-Anch’io devo ringraziarti: mi hai dato la possibilità di trascorrere il tuo diciottesimo con te e tu… Lo sai, per me sei speciale e rendi unico ogni minuto trascorso insieme. -.
Sembra essere tornato così sicuro di sé… Io invece mi sento un coniglietto spaventato anche dalla propria ombra.

-Beh… è ora che vada. – dice Luca, per poi prendermi sorprendentemente il volto fra le mani e darmi un delicato bacio sulla fronte. Avvampo immediatamente e mi passo le mani sulle guance per nascondere il rossore, ma ormai lui l’ha visto e sorride.

-Ciao Clara e ancora buon compleanno. Spero che riusciremo presto a terminare il nostro… discorso. -.
Non faccio in tempo a rispondergli che è già salito in moto ed è partito. Rimango immobile a guardarlo allontanarsi, sempre più consapevole di essere irrimediabilmente e profondamente innamorata di lui.

   
 
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