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Autore: EffyLou    22/09/2017    1 recensioni
ATTENZIONE: storia interrotta. La nuova versione, riscritta e corretta, si intitola Stella d'Oriente.
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Ha venti anni quando incontra per la prima volta quegli occhi, lo sguardo fiero del re di Macedonia, il condottiero che non perdona; ha venti anni quando lo sposa, simboleggiando un ponte di collegamento tra la cultura greca e quella persiana. Fin da subito non sembra uno splendente inizio, e con il tempo sarà sempre peggio: il suo destino è subire, assistere allo scorrere degli eventi senza alcun controllo sulla propria vita, e proseguire lungo lo sventurato cammino ombreggiato da violenza, prigionia e morte.
Una fanciulla appena adolescente, forgiata da guerre e complotti, dalla gelosia, dal rapporto turbolento e passionale col marito. Una vita drammatica e incredibile costantemente illuminata da una luce violenta, al fianco della figura più straordinaria che l'umanità abbia mai conosciuto.
Rossane, la moglie di Alessandro il Grande. Il fiore di Persia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
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۱۰ . Dah
 
 
Amu alla sorella Roshanak – Mia cara sorella!
So che è passato molto tempo e non so quando questa lettera giungerà a te.
Ti scrivo finalmente in un momento di tregua. Ho una profonda e logorante nostalgia per te, per i tuoi sorrisi, i tuoi giochi, la tua vena dispettosa.
Ho sposato Kassìm, non abito più ad Al-Khanoum. Sono a Susa in questo momento, molto vicina a Babilonia. Vorrei che venissi a trovarmi, un giorno, mia cara sorella.
Sento la mancanza dei monti dietro il palazzo in cui siamo cresciute, la nostalgia dell’harem, di nostro padre e di Darya, dell’aria profumata di incenso e fiori secchi, dei nostri giochi.
Kassìm è un marito buono, non mi fa mancare nulla. A volte è un po’ grezzo e può avere scatti d’ira violenti. Forse non sono stata educata sufficientemente.
Spero che riceverai presto questa lettera e riuscirai a rispondermi, le voci delle incredibili gesta di tuo marito sono giunte fino alle mie orecchie! Raccontami, sorella!
 
Roshanak alla sorella Amu – Salve, sorella!
Spero di riuscire a venire fino a Susa. Ma da quando sono sposata con Alessandro, la mia vita è molto incerta!
Tutte le avventure che sto vivendo mi proibiscono di sentire la mancanza di casa, ma quando sopraggiunge la sera, sento una morsa nel petto e la nostalgia disturba il mio riposo. Anche tu e Darya mi mancate molto, ma se devo essere sincera Al-Khanoum non mi manca affatto. Mi mancate voi, delle persone, e non un luogo fisico. Mi mancano i ricordi, non un palazzo colmo di segreti e complotti.
Le avventure che sto vivendo sono numerose. Ad esempio in questo momento sono tra le giungle dell’India, te lo saresti mai aspettata? Te ne parlerò a voce non appena verrò a Susa.
La vita con Alessandro non è rose e fiori, ma sicuramente te lo aspetterai: la vita da moglie non è pane per i miei denti e credo che nemmeno lui sia l’uomo più tagliato per essere un marito, un padre, un compagno. Un amante, un amico, questo sì. Ci sono stati dei problemi tra noi.
Il nostro rapporto si avvelena e si guarisce a intervalli. Al momento pare che abbiamo trovato una stabilità.
Amu, sorella mia, non permettere a Kassìm di imporsi su di te, di trattarti come se fossi un soprammobile o un bell’ornamento per il talamo. Tu sei molto di più e vali molto di più. Tieni la schiena dritta e fatti sempre valere. Sei una donna persiana e pertanto sei sua pari, anche secondo la legge. Confido che il tuo sposo non ti abbia fatto del male o lasciato segni evidenti sulla pelle.
Abbi cura di te, ti scriverò appena potrò.
Ti voglio bene.
 
Roshanak al padre Oxáthrēs, re di Sogdiana, satrapo di Battria e di Paropamiso – Salve, padre.
Volevo innanzitutto congratularmi per la tua promozione: ho saputo che Alessandro ti ha nominato satrapo della provincia di Paropamiso. Ora sei il signore di tutta la Sogdiana e dell’intera catena montuosa dell’Hindu Kush. Complimenti per la scalata al potere.
Mio marito mi ha riferito del vostro scambio di lettere e mi ha ricordato di scriverti. Con tutto ciò che mi è accaduto, mi è passato di mente. Inoltre, da quanto ne so, ci sono stati anche problemi con i corrieri. Ad ogni modo, sto bene.
Porta i miei saluti a Darya, Mizda e Fayruz.
Riguardati.



«Scrivi a tuo padre?» domandò Alessandro, entrando nella tenda.
Rossane sobbalzò, colta di sorpresa, facendolo sghignazzare. Ripose lo stilo nel calamaio e soffiò sulle pagine di pergamena per far asciugare l’inchiostro.
«Anche a mia sorella Amu.»
«Qualche novità?» le posò un bacio frettoloso tra i capelli.
«Nessuna. Pare che il suo sposo sia violento e iracondo. Spero non le abbia fatto del male.»
«Dov’è tua sorella?»
«A Susa.»
«Quando torneremo a Babilonia, ci fermeremo lì così potrai salutarla e vedere tu stessa se le è stato torto un capello.»
Rossane si voltò a guardarlo, sorpresa. «Andremo a Babilonia?»
«Prima dobbiamo conquistare l’India.» fu una sorta di scherzoso monito, come a consigliarle di non illudersi troppo in un ritorno imminente.
Lei annuì con un sorriso rassegnato, e arrotolò le pergamene. «Tu come stai?»
Alessandro si accovacciò di fianco a lei, guardandola dal basso. Le mani che stringevano quelle di lei. «Dovrei chiederlo io a te. È stata la tua prima volta in battaglia e mi auguro l’unica. Sembri così tranquilla, eppure hai visto l’orrore.»
Rossane abbassò lo sguardo con un sorriso incerto. «Sto bene.»
Le accarezzò la coscia, laddove c’era la fasciatura. Guardava attento quelle bende candide strette sulla pelle dorata, poi alzò lo sguardo sul suo petto. Poggiò la mano all’altezza del costato. La regina sussultò per quel contatto inaspettato e delicato.
«E le costole? Come respiri?»
«Non benissimo, ma ci vorrà solo pazienza.» sorrise.
«Tu non ne hai molta. Ne vuoi un po’?» la canzonò.
Rossane ridacchiò. «Tienila da parte, serve di più ad un grande re. – ammiccò. – Qualche novità da Poro?»
Alessandro si alzò in piedi. «Sì. Ho atteso che si sentisse meglio per inviargli Ambhi in mia vece, ma ha tentato di assassinarlo considerandolo un traditore. Dovrò andare io con un altro interprete.»
«Vedi? Quelle scorte di pazienza ti serviranno subito.» lo prese in giro bonariamente.
Lui arricciò il naso, le posò un bacio sulla fronte e uscì di nuovo, informandola che sarebbe andato da Poro. Le sconsigliò di aggirarsi troppo nell’accampamento, dal momento che era disseminato di feriti. Le sere precedenti c’erano state le pire: bruciavano blocchi di duecento cadaveri.
Quella sera si sarebbe tenuta l’ultima pira.
Alessandro era partito con la pioggia incessante verso l’accampamento di Poro.
Rossane era rimasta tra i macedoni. Perdicca l’aveva tempestata di domande sul perché quella scelta avventata. Lei si era limitata ad alzare gli occhi al cielo e sorridergli. «Tu ci sapresti stare fermo e buono invece di dare un contributo, pur sapendo utilizzare le armi e cavalcare un cavallo?»
E il generale aveva taciuto.
Con Alessandro avevano deciso che nessuno, eccetto chi lo sapeva già e i fedelissimi, avrebbe dovuto sapere della regina in battaglia.
Come si sentiva Rossane in realtà, era difficile da spiegare.
Era come se guardandosi indietro e rivivendo i momenti di quella notte, guardava nei ricordi di un’altra persona. Si era emotivamente dissociata. Come se non fosse stata lei ad uccidere gli arcieri, a mietere vittime sul campo di battaglia. Anche se non sentiva apparentemente nulla, sapeva che ad un qualche livello molto profondo di sé, la battaglia l’aveva segnata. Tutti quei morti, i feriti, i corpi dilaniati dalle spade e dalle zanne degli elefanti, schiacciati dal peso dei pachidermi. Cadaveri ed interiora fino ai polpacci, il sangue che sporcava l’armatura, le gambe, il volto, le mani, l’anima.
Immagini che con il sopraggiungere del sonno, si ripresentavano alle porte della mente sottoforma di terribili incubi. Sentiva una vaga inquietudine, un vago turbamento. Ma affrontava la cosa con contegno tanto che se ne era quasi totalmente distaccata.
Mentre combatteva con gli indiani era terrorizzata e reattiva, l’adrenalina la rendeva più forte, più veloce, più intrepida, rendeva il pensiero più vigile, i sensi più fini, i riflessi più rapidi. Era quella che l’aveva salvata, insieme ad una mano divina e ad una massiccia dose di fortuna. Ma d’altronde, come ripeteva Alessandro: “La fortuna aiuta gli intrepidi”. Doveva essere vero, almeno nel suo caso. Sapeva di essere stata avventata e neanche molto intelligente, sapeva d’aver rischiato tanto. Non si sentiva coraggiosa, si sentiva quasi folle, incosciente.
Sentiva che il suo cuore era stato bruciato dalle fiamme della guerra, qualcosa si era irrimediabilmente spezzato una volta per tutte. Aveva toccato un fondo che non credeva di poter raggiungere, e sentiva scivolare via i frivoli pensieri della fanciullezza, sentendo che non le appartenevano più.
Rossane aveva ventuno anni, ormai era una donna fatta e finita.
 
 
Si fece notte. Nello spiazzo dell’accampamento erano state preparate tre enormi pire con i cadaveri posti ordinatamente. A turno, tutti resero l’ultimo omaggio ai defunti, su ognuno di loro erano state messe due dracme sugli occhi per il traghettatore nell’Ade.
Rossane in piedi tra le pire. Efestione la affiancava, la guardò. «Dovresti provare a dire qualcosa, visto che Alessandro non c’è per fare le esequie.» le disse in greco, facendole un sorriso confortante.
In quei giorni di convalescenza, il re aveva aiutato molto Rossane ad imparare la sua lingua. Lei apprendeva, ma non capiva ancora la maggior parte delle parole e non era in grado di fare discorsi troppo lunghi o articolati. Inoltre bisognava usare parole semplici e parlarle piano, affinché capisse.
Sfarfallò le ciglia. «Io non…»
«Prova.»
«Fallo tu, sei un generale.»
«E tu sei la regina.»
Rossane aggrottò le sopracciglia, contrariata. «Non li conoscevo.»
«Alcuni di loro, non li conoscevo neanche io. Guarda le facce di chi è rimasto: aspettano che tu dica qualcosa.»
La regina si schiarì la voce. Non era un gioco, doveva onorare quei soldati valorosi.
La folla, in effetti, sembrava attendere due parole da parte sua in quanto loro sovrana. Seppur barbara, era comunque la moglie di Alessandro..
«Pensa a cosa direbbe Alessandro.» provò a consigliarle Efestione, con un’alzata di spalle.
Rossane inarcò un sopracciglio, lo guardò con un’intensità tale da metterlo in soggezione. «Io non sono Alessandro. Esm e man Roshanak.» aggiunse l’ultima frase in persiano, come a voler sottolineare il concetto. Io mi chiamo Rossane.
Efestione ammutolì, e si limitò ad annuire col capo.
«Voi siete uomini valorosi. – cominciò la regina con voce incerta, nella sua lingua natia, mentre l’interprete traduceva. – Mi dispiace che tocchi a me, la regina barbara dai confini del mondo, onorare con un discorso questi uomini caduti in battaglia. Non conosco il greco, non conosco la vostra religione né le vostre usanze. Ma se c’è una cosa che ho imparato a conoscere e ad ammirare, è il vostro valore in battaglia. Il vostro coraggio, la vostra dedizione. Alla fine della vita, tutto ciò che conta è ciò che ti lasci dietro. Questi uomini, questi fratelli, lasciano dietro di loro gesta eroiche e coraggio insormontabile. E per questo motivo sono sicura che nel vostro oltretomba, qualunque esso sia, le anime di questi soldati non saranno misere ombre destinate a sbiadire nella memoria con il passare degli anni, ma brilleranno come astri per generazioni. Io di certo non potrò mai dimenticare il loro valore e il loro coraggio, né i loro sguardi pieni di determinazione durante la battaglia o mentre spiravano.»
L’ultima frase fu aggiunta a bassa voce, quasi parlasse con sé stessa. L’interprete non la udì neppure e si limitò a tradurre fino a “battaglia”. La sua mente era corsa a quel soldato che aveva aiutato a morire, conscia che l’avrebbe rivisto ogni qualvolta avrebbe parlato di battaglie.
Efestione le fece un cenno col capo, come ad approvare quelle parole. Cratero, in prima fila, la fissava con le braccia incrociate al petto. Increspò un angolo delle labbra.
Rossane sapeva che molti soldati conoscevano il persiano e l’avevano capita, ma pensò che sentire quel discorso in greco facesse loro un altro effetto.
La folla la fissò senza dire niente. La regina allora accennò un inchino e si dileguò a grandi passi, impettita.

Si accasciò seduta sull’impalcatura di legno su cui era montata la tenda reale. Osservò i soldati dare fuoco alle pire e restare lì a testa china per rivolgere un ultimo pensiero ai loro compagni.
Cratero si sedette vicino a lei, le mani intrecciate tra le gambe.
«A me è piaciuto, se può consolarti.»
Lei gli rivolse un sorriso dispettoso che nascondeva una punta d’amarezza.
«Tu sei di parte, la tua opinione non vale.»
«Mi offendi. – le scoccò un’occhiata astuta. – Non sminuirti, è stato il tuo primo discorso e aveva il suo perché. Poi credo che fatto da te, abbia tutt’altro effetto.»
«E dubito che sia positivo, sono pur sempre una barbara. Non ho nemmeno il carisma di Alessandro.»
«Nessuno è come lui. – si volse verso di lei con la testa. – Cos’è questa storia che eri tra di noi durante la battaglia?»
Rossane non batté ciglio. «Perché?»
«Perché lasciatelo dire: non sei stata molto intelligente. Ti sei schierata in prima linea all’inizio della battaglia e hai preso parte alla cavalleria che è stata massacrata dagli elefanti, sei diventata matta?»
«Attento a come parli, Cratero, sei mio amico ma non dimenticarti del mio rango. – sorrise, come se lo stesse ammonendo. ─ Comunque non ho fatto proprio niente, nessun gesto eroico. Ho combattuto molto poco. Sono saltata su un cavallo e ho scoccato frecce, perlopiù. Solo per poco ho preso parte ad uno scontro diretto. E ci ho pure rimesso con una freccia nella gamba.» mugugnò.
«E gli arcieri sugli alberi sono morti da soli?»
«Non è detto che sia stata io.» brontolò.
Cratero le lanciò un’occhiata con il sopracciglio sollevato. «Ma voi giovani persiani non venite educati per essere onesti e sinceri fino a fare male?»
«Non ho dato una risposta decisiva.»
«Sei stata tu o no?»
Rossane sospirò, stanca di quel gioco. «Non è stato un incarico pericoloso, dovevo solo fare attenzione. Quello non significa niente: chiunque avrebbe potuto farlo.»
«Rossane, non è l’azione in sé. Ma è stata la lungimiranza che ha guidato il tuo atto. La guerra d’informazione è una tattica per confondere l’avversario, Alessandro stesso l’ha utilizzata. Nessuno di noi crede alle voci di mercato per questo motivo. Forse Poro lo sapeva e se ne voleva approfittare, ritorcendoci contro la nostra diffidenza, oppure non è una tattica che si usa qui in India, diffondere false informazioni. In ogni caso, tu hai avuto fede e vedendo che nessuno si preoccupava di quel problema, ci hai pensato tu. Così inesperta e così pronta a gettarti nella mischia. Per stavolta ti è andata bene, avevi ragione e sei viva, ma la prossima potresti morire oppure restare delusa da quanto l’essere umano sa essere bugiardo e calcolatore. Tu sei ancora molto giovane e per questo ingenua e priva di esperienza, impara a guardarti le spalle da chiunque.»
Rossane abbassò lo sguardo senza sapere bene cosa dire. Si era già accorta delle menzogne che sembravano mandare avanti l’esistenza degli uomini. A partire da quel traditore di suo padre e compreso Alessandro, che seppur le fosse affezionato – e lei lo sapeva – mandava avanti il teatrino facendole credere di amarla. Conosceva l’animo bugiardo degli uomini, eppure ogni volta cadeva nelle sue stesse convinzioni, ci credeva sempre alle loro parole. Cratero aveva ragione: era molto giovane. Per questo ancora immatura e ingenua, complice anche la sua crescita in una campana di vetro. Ma era un mondo insidioso e crudele, doveva indossare una corazza anche se non doveva scendere in battaglia.
Lui le strinse la spalla con affetto. «Ti dirò una cosa. Io, ad Alessandro, non ce lo vedevo proprio a prendere in moglie una fanciulla tutta inchini e riverenze.»
«Difficile dirlo: non c’è tanta concorrenza femminile.»
Cratero scoppiò a ridere e le mollò una pacca sulla schiena guadagnandosi un’occhiataccia. Non la vedeva più come un delicato fiorellino esotico, ma come un fiore dai petali d’acciaio.
«Questo lo pensi tu, per il resto… è tutto un altro discorso. Sta tornando il tuo re. Ti auguro una buona notte.»
Rossane ricambiò il saluto e sospirò. Entrò nella tenda, e si tolse la grossa pelliccia dalle spalle. Chissà quando sarebbe rientrato Alessandro, sicuramente avrebbe fatto un giro tra i diadochi. Forse si sarebbe infilato nella tenda delle concubine.

Ne approfittò quindi per farsi preparare una vasca d’acqua fresca da Bagoa, che l’aiutò a lavarsi, asciugarsi. Non si dissero niente, lui cominciò a districarle i capelli, trattarli con gli oli e gli impacchi naturali. Le massaggiò la pelle, le applicò la pasta depilatoria su tutto il corpo – dove poteva, tra ferite e bendaggi.
Mentre l’aiutava poi a sciacquarla via, si mise a ridacchiare, e Rossane lo guardò interrogativa.
«Gli ideali di bellezza greci sono strani. – le spiegò. – Ad esempio, per loro una bella donna deve avere le sopracciglia unite. Se non le hanno così naturalmente, se le disegnano.»
La regina sfarfallò le ciglia. Com’era possibile trovare attraente e addirittura ideale una cosa del genere? Tra i persiani, le sopracciglia unite ricordavano i gorilla e oltretutto veniva rimossa tutta la peluria per cultura. I peli non erano considerati igienici e non erano belli da vedere, trattenevano il sudore e facevano puzzare la pelle, per questo andavano tolti. Nella zona intima a volte venivano tenuti, proteggendola da infezioni, ma qualcuno preferiva comunque toglierli e dedicarsi all’igiene di quella zona più attentamente. Alcuni persiani si toglievano persino le sopracciglia e se le facevano tatuare.
Anche i greci applicavano la pasta depilatoria sul corpo, soprattutto tra le fanciulle in età da marito. Il corpo era considerato un tempio: non andava sporcato né profanato, ma anzi curato e reso impeccabile. Anche sotto questo punto di vista, i persiani venivano considerati barbari: tra gli iranici c’era la cultura del tatuaggio – soprattutto sul viso – e degli ornamenti che bucavano la pelle sulle sopracciglia, sul naso, sull’ombelico, e in altre parti del corpo, oltre agli orecchini. Erano mode in voga soprattutto tra la nobiltà, perché in quel modo mostravano apertamente la loro gloria. Ma ogni classe sociale aveva il suo ornamento e tatuaggio, come a marcare il suo ruolo nella società.
Per i greci, era profanazione del corpo e disprezzo per la bellezza naturale concessa dagli dèi, un vero atto barbarico.
«Oh, e a loro piacciono le donne carnose. – proseguì Bagoa. ─ Quando ti ho visto la prima volta mi sono stupito per questo, sei molto magra rispetto ai loro canoni e non mi aspettavo che Alessandro avesse preso in sposa un peso piuma come te.»
Anche tra i persiani le donne in carne erano apprezzatissime. Avevano i seni floridi, i glutei e le cosce morbidi, c’era di più da toccare rispetto a un corpo come quello di Rossane.
Voluttuose, paffute. Più rispecchiavano queste caratteristiche e meglio era. Questo era stato motivo di imbarazzo per Rossane e le sue sorelle, in quanto non si sentivano idonee. Era vero che la cultura persiana non imponeva modelli da seguire, che ogni donna veniva valorizzata, ma le donne carnose erano comunque favorite: c’era più da toccare, rispecchiavano un’ottima salute e una predisposizione alla fecondità. La servitù aveva cercato di riempirle di cibo per far loro mettere su qualche altro chilo, ma non era servito a nulla. Darya soffrì molto per questo, ancor di più in quel periodo in cui il suo corpo cambiava e da ragazzina diventava donna. Amu e Rossane se n’erano fatte una ragione, invece, perché avevano imparato che molti apprezzano i corpi magri e atletici come quello delle tre sorelle.
Bagoa le fasciò nuovamente le gambe dove doveva. Accese una lucerna, mentre aspettava che Rossane indossasse la sua clamide, fermata con due spille sulle spalle, e le fu dietro per intrecciarle i capelli.
«Sei scesa in battaglia, ma non sai farti una treccia. Questo è buffo.» commentò con un sogghigno.
«Io e gli intrecci non andiamo tanto d’accordo.» borbottò con le braccia incrociate al petto.
Alessandro fece in quel momento il suo ingresso nella tenda. Fissò Rossane, infine Bagoa.
L’eunuco sentì il cuore fargli un salto mortale nel petto, si accorse di essere arrossito. Imbarazzato dall’entrata del re, dal suo sguardo attento e sorpreso, come se fosse stato beccato in flagrante in un atto osceno. Lo stesso cuore gonfio di gioia per il suo sguardo, venne stretto in una morsa notando che sorrideva a Rossane e sembrava non avere occhi che per lei.
Cos’era cambiato? Era da tempo che Alessandro non si dedicava più a nessuno. La prima sera a Taxila le concubine avevano danzato nello spiazzo, il re ne aveva adocchiata una e non aveva più lasciato andare i suoi occhi per tutta la durata della danza. Non l’aveva più considerato da allora, non aveva più giaciuto con nessuno: o con la regina o con nessuno.
Cos’era cambiato tra loro due? Era un continuo rincorrersi, avvelenarsi e guarirsi. Ma a differenza delle volte precedenti, Alessandro non aveva più giaciuto con altri, nemmeno quando litigava con Rossane. Che avessero trovato un equilibrio? Bagoa aveva sentimenti contrastanti in merito: era felice per l’amica, ma al contempo sentiva una lacerante invidia nei suoi confronti.
Lo guardò sganciarsi il mantello, gli schinieri e la corazza, restando con il chitone militare.
«Lascia, Bagoa, ci penso io ora.» lo congedò con un sorriso garbato ma distaccato.
L’eunuco trattenne le lacrime. Accennò un inchino e se ne andò.
Rossane lo guardò uscire. Probabilmente non si aspettava quel cambiamento da parte di Alessandro. Dal canto suo, il re sembrava non accorgersi di niente e si dedicava alla cura dei capelli di sua moglie con impegno. Continuò lui ad intrecciarli, beccandosi un’occhiata curiosa e amareggiata da Rossane, attraverso lo specchio d’argento.
Persino lui, un uomo che non ne ha bisogno, sa intrecciare i capelli. Ho qualche problema.
«Come è andata?» gli domandò in greco.
Alessandro ricambiò l’occhiata attraverso lo specchio, vagamente sorpreso per la lingua che lei stava utilizzando per parlargli.
«Ho apprezzato particolarmente lo spirito di Poro e del suo esercito. Gli ho riferito questo, ho risparmiato i suoi duecento elefanti. Gli ho chiesto come volesse essere trattato, lui ha risposto “Per quello che sono, un re”. Gli ho donato un territorio in più e gli ho concesso di regnare sul territorio che già possedeva più uno, in mia vece. E l’ho fatto riappacificare con Ambhi. Mi ha fatto dono di cinquemila uomini e settanta elefanti, come supporto per l’avanzata verso il Gange.»
Nonostante lui parlasse piano, scandendo bene le parole per farle capire, lei afferrò solo qualche frase e il senso generale del discorso.
«Hai un grande cuore, Aléxandre.» mormorò.
Al re piaceva come le parole in greco che pronunciava Rossane risultassero incerte, come se ci riflettesse su per ricordarne il significato. Gli piaceva il modo in cui venivano distorte dal suo accento esotico. Gli piaceva quando pronunciava il suo nome cercando di essere fedele alla pronuncia originaria. Quando gli parlava in persiano e lo chiamava per nome, risultava sempre Iskandar.
Ma d’altro canto, valeva anche per lui. Se la pronuncia originaria di Rossane era Roshanak, lui la pronunciava “alla greca”: Roxane. Così come Ossiarte, per lui era Oxyartes.
Gli piaceva sentirla parlare, sentire la sua voce – solitamente ferma e sicura – improvvisamente incerta, come se vederla impacciata la facesse risultare sottomessa e dandogli quindi un senso di dominazione su di lei.
«Mi è stato detto che hai reso tu gli onori ai cadaveri della pira.» sbuffò un sorriso tenero, mentre chiudeva la treccia con un laccio per poi sistemargliela su una spalla.
«Ci ho provato. – ammise. – Ma i soldati sono abituati ai tuoi discorsi potenti, il monologo di una barbara non è lo stesso.»
«Non voglio più che ti consideri una barbara. Tu non ti devi preoccupare di niente, Rossane. – le sussurrò in persiano, come a rimarcare il concetto, baciandola sotto l’orecchio. – Lo sai, quando ero bambino e Aristotele mi dava lezioni, diceva che i greci sono superiori ai persiani. Io mi chiedevo per quale motivo, allora, i persiani regnavano su tre quarti del mondo e lui non sapeva rispondermi. Ho scoperto che siete un popolo antico, molto più del nostro, siete la culla della civiltà e noi osiamo chiamarvi barbari mancandovi continuamente di rispetto. È assurdo, ed è anche per questo che mi sto impegnando quanto possibile per integrare le civiltà. Non voglio più che ti consideri come una regina barbara. Semmai il barbaro sono io. – le sorrise, scherzoso. – Ma tu non lo sei di certo. Né tu, né gli altri persiani o indiani. Siete popoli meravigliosi. Tu sei meravigliosa.»
Aggiunse l’ultima frase in un sussurro, come a volerne sottolineare l’intimità.
La vide alzarsi, le sue mani gli cinsero il volto e i suoi occhi lo studiarono. La cicatrice sullo zigomo, sulla coda della palpebra, sul sopracciglio. Il corpo di Alessandro era tappezzato da segnacci di guerra e questo lo rendeva grezzo e maschio.
Lui la guardava trattenendo il fiato, gli occhi gli brillavano come folgori. Quando i loro sguardi infine si incrociarono, lesse negli occhi chiari di Rossane – in quel momento simili all’ambra – tutta la sua innocenza e ingenuità, che gli ricordò quanto lei fosse giovane e preziosa. Si chinò per incontrare le sue labbra. Tiepide, delicate, morbide.
Potevano andare così d’accordo, loro due, in fondo. Perché dovevano continuare ad avvelenarsi? Quanto sarebbe durata quella tregua? Ci voleva una guerra per farli unire così? I loro animi erano inquieti a pensare che era una calma fatiscente, temporanea, perché entrambi sapevano che sarebbe bastato poco a far crollare quel palazzo di vetro. Alternavano attimi di passione ad attimi di tempesta, dalla complicità alla diffidenza, dall’affetto all’odio.




♠ ANGOLO AUTRICE ♠
Boh io sti angoli autrice li "dichiaro" sempre in modi diversi, troverò pace un giorno.
Capitolino di passaggio senza pretese e abbastanza vago, con sprazzi di fashion(?) dell'epoca e romanticherie a caso. Ho voluto spezzare una lancia in favore dell'atto pazzoide di Rossane, per bocca di Cratero. #TeamCraty 
Btw ho fatto ricerche ragazi, su questi argomenti di cui non frega niente a nessuno: il fashion greco e persiano. Ma non vi assicuro che sia proprio vero. O meglio, i persiani avevano il culto del tatuaggio e del piercing, questo sì, ma sotto la dinastia Achemenide... non sono sicura, anche se probabile di sì!
I greci consideravano barbari persino i macedoni, poveracci, che abitavano comunque a nord della Grecia, parlavano il greco e veneravano gli stessi dèi - ma avevano un re quindi... BARBARI!!!11! Quindi immaginate come potevano considerare i persiani. 'Sta cosa mi ha sempre dato un po' fastidio, mannagg. Ateniesi e tebani smorfiosetti (?)

Quindi sì, questo capitolo è un po' così. Un po' generico, un po' di passaggio. Nel prossimo le cose si movimenteranno un pochino, e in ogni caso siamo molto vicini alla fine della spedizione in India! Il ritorno a Babilonia non sarà semplice... e nemmeno pacifico e tranquillo.

Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va! Nel frattempo... grazie a tutti ♥
Alla prossima!
   
 
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