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Autore: Laix    22/09/2017    3 recensioni
Lo scopo di questa raccolta di one-shot è di sperimentare varie coppie (non solo love couples) sia tra le più conosciute che tra le più impensabili. Alcune delle presenti sono già state suggerite da voi: con diversi personaggi e couple sperimentate, si vede cosa ne esce e si cerca di accontentare tutti! Non siete vincolati alla lettura dell'ultima shot pubblicata... Ogni shot è una storia a sé, quindi liberi di aprire la tendina dei capitoli e scegliere i duetti favoriti! ;) I contesti possono essere dei più svariati, anche passando per l'assurdo :D
***
35. Mary Sera e Shuichi Akai ~ [Sei dura, donna. Dura come la pietra, il ghiaccio, sei cemento. Io con te divento calce ma tu non ti rompi mai, una corrente salata che viaggia al contrario e apre le onde. Eppure guarda cosa hai nascosto lì sotto. Dietro le botte, gli insulti, lo sguardo, l'odio, ti stai solo preoccupando per me e per il destino avverso che inseguo. Hai già visto tutto coi tuoi occhi e su un altro uomo.]
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Heiji Hattori, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Vermouth | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo, Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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35. Rei e Shiho ~ 

Rating: Arancio/Rosso

***







Lava arancio bollente


Shiho rimaneva con il pugno sospeso in aria, a contemplare la porta chiusa dell'appartamento di Amuro.
Era passata al bar Poirot per trovarne l'indirizzo, chiedendolo ad Azusa, la quale era stata restia sulle prime per una ragione prettamente legata alla privacy. Dopo aver finalmente ceduto, capendo che era importante, le aveva scritto l'indirizzo su un post-it - e Shiho si chiese cosa esattamente l'avesse convinta, a quel punto: la sua paura era che Azusa si fosse messa in testa che tra lei e Amuro scorresse del tenero, e che quindi volesse favorire gli eventi; il viso di Shiho doveva essere stato molto più teso del necessario. Con un sorriso accennato e forse inopportunamente complice, Azusa le aveva passato il foglietto giallo con sopra l'indirizzo.
E adesso Shiho si trovava lì, di fronte casa sua. Di fronte alla sua porta chiusa. Col pugno pronto a bussare timidamente, ma che ancora non si era mosso di un millimetro. Rimaneva nell'aria, congelato.
Sospirò, guardando in basso. Sentì il suono di musica ovattata provenire da un altro appartamento, musica anni '30 americana, a sua volta accompagnata dal ronzare della lampadina difettata sopra la sua testa. Il corridoio era deserto e in penombra, dalle pareti di uno spento color azzurrognolo, le persiane delle finestre di quel pianerottolo rotte e storte. Entravano degli spiragli d'aria calda e afosa, nonostante fosse sera inoltrata, che caricavano il viso della ragazza di un velo umido di sudore fermo.
Shiho deglutì e chiuse gli occhi, sentendo il disagio cominciare a serpeggiarle dentro. Era arrivata così sicura di sé in quel posto, con tutto un discorso ben confezionato già in testa e con un sorriso dipinto in volto che quasi si sarebbe potuto definire spavaldo, ma appena messo piede fisicamente nel condominio e arrivata poi al terzo piano, di fronte alla sua porta, tutto questo pacchetto di sicurezza interiore era svanito nell'etere. Nel forte odore di candeggina che permeava quel posto. Chiudendo gli occhi stava riuscendo a concentrarsi di più sui rumori, ad udire i passi di lui all'interno dell'appartamento. Quindi c'era e non era fuori casa, adesso ne era sicura, ma questo non facilitava il suo tentativo di approccio.
E il pugno rimaneva in aria, in attesa di un suo segnale. Doveva solo bussare, avvertirlo della sua presenza e parlare con lui di una cosa. Senza possibilmente scappare prima che lui aprisse la porta.
Solo bussare.

***

- Giusto, giusto – annuì Sherry frettolosamente, guardando l'orologio da parete con un'evidente ansia negli occhi.
- Se poi rifai tutto il calcolo senza tenere conto delle percentuali di rischio, in realtà il risultato può avvicinarsi a quello sperato! Vero, Sherry? Confermi? -
- Confermo, dottor Kinoyata – annuì ancora lei, mordendosi il labbro e iniziando a muovere un piede su e giù senza rendersene conto.
- Davvero confermi? Questo significa che sei pronta a rifare tutto il progetto... senza includere consciamente i rischi? - chiese perplesso il dottore, anche se in parte ammirato.
- Sì, sì, credo di sì – tagliò corto lei con un gesto della mano, alzando ancora lo sguardo verso l'orario. Poi, come se le avessero assestato un colpetto sul collo, realizzò la natura dell'azzardo a cui stava dando riscontro positivo, e sgranò gli occhi. - No, aspetti. Cosa?! -
- Ecco, immaginavo non mi stessi ascoltando... -
- Non è così, dottore... -
- Quindi niente? Anche tu rifiuti? -
- Senta... -
- Vuoi che ne parliamo un'altra volta? -
Sherry si portò un'unghia ai denti, mordicchiandola preoccupata e imbarazzata. Riguardò l'orario, di riflesso.
Mancavano solo venti minuti alla rubrica di moda “Carol's Fashion Corner”, in onda prima dei talk show serali. E lei doveva ancora sistemare le attrezzature, pulire e correre fino alla sua stanza che era dall'altra parte dell'edificio...
- E' una cosa importante, Sherry. Spero tu lo capisca. E' fondamentale tu lo capisca. Chi accetterà la modifica di questo progetto senza implementare misure di sicurezza e ignorando i margini di rischio relativi... -
Quella sera presentavano la nuova collezione Victoria's Secret. Maledizione.
- ...e dunque, nonostante compierà un significativo gesto per la nostra comunità criminale, dovrà al contempo prendere coscienza di una grande, terribile responsabilità. Tu sei giovane, ma tutti sanno che... -
- Sì, infatti – mormorò lei sovrappensiero, senza più ascoltarlo da un po' e guardando un punto fisso di fronte a sé con le pupille ristrette.
- Sei proprio certa di voler fare questa cosa? -
- Io adesso devo sistemare tutto, dottor Kinoyata. E andarmene. Le dico domani. -
- “Le dico domani” cosa? -
- Una risposta -
- Una ris... -
Ma Sherry lo ignorò, decisa a fare quello che doveva: era già molto in ritardo sulla sua tabella di marcia. Dopo aver quasi rischiato di accettare un progetto mortale a causa di una svista, gli sorrise di sfuggita e gli aprì gentilmente la porta per fargli capire, senza parole inopportune, che era libero di andare. Il dottore la guardò perplesso, per poi avanzare un passo esitante verso la porta ed uscire a testa bassa.
Sherry richiuse la porta quasi con violenza, una volta che il dottore fu fuori. Corse nel centro del laboratorio e con grande fretta iniziò a raccogliere tutti gli strumenti per riporli nelle credenze, stando comunque attenta a non romperne nessuno – ma per forza tutti delicati, dovevano essere?! Le venne il fiatone in men che non si dica, che cresceva d'intensità insieme al tintinnio nevrotico degli strumenti che si scontravano l'un l'altro tra le sue braccia. Quando ebbe finito diede una pulita generale con uno straccio già sporco, sapendo quindi di star commettendo un brutto errore per il quale, comunque, valeva assolutamente la pena. Strofinò le superfici in ceramica, i fornelli metallici, qualche vetro, senza badare praticamente a nulla poiché la sua mente era già altrove, nella sua stanza. Sul suo programma preferito.
Si tolse il camice velocemente, lo ridusse ad una palla di stoffa e lo lanciò in una cesta apposita in uno sgabuzzino. Uscì dal laboratorio, lanciò un ultimo e apprensivo sguardo all'orologio da parete, chiuse a chiave la porta e corse. Corse come una furia attraverso i cupi corridoi della sede dell'Organizzazione, sbattendo una porta dopo l'altra e arrivando velocemente nell'ala est dell'edificio dove, invece di prendere l'ascensore, scelse le scale. Salì due scalini per volta, udendo il proprio respiro forsennato e sentendo la gola bruciare. C'era fortunatamente abituata, poiché ogni giovedì, il giorno che dedicava la serata televisiva al Carol's Fashion Corner, si ritrovava strettissima coi tempi. Il suo programma di moda preferito, l'unica cosa decente che guardasse in TV, iniziava proprio pochi minuti dopo la fine del suo turno di lavoro.
Trafelata e sudata arrivò davanti la porta della sua stanza, cercando rapidamente la tessera magnetica nelle tasche dei jeans. Quando la trovò la strisciò sul pannello applicato alla maniglia, la serratura non fece in tempo a completare il suo giro di scatto che lei entrò dentro di getto, fiondandosi sul divano a pancia in giù e scovando il telecomando nascosto in mezzo ai cuscini. Accese la TV sul canale che trasmetteva la rubrica di moda e, quando vide che era appena cominciata la sigla d'inizio, si rilassò emettendo un grande sospiro e sorridendo sollevata. Ansimò ancora per un po', a causa dello sforzo fatto durante la corsa e la scalinata, placando piano piano il suo respiro e deglutendo più volte. Infine capì di avere un gran caldo e di essere completamente sudata, ma non poteva ancora farsi una doccia, doveva vedere la nuova collezione e i commenti infuocati di Carol a riguardo. Perdersi anche solo una frase di quella donna equivaleva ad essersi persi l'intera puntata. Era davvero il massimo!
A Shiho la linea Victoria's Secret piaceva da morire, ma sapeva già che Carol avrebbe devastato il marchio infilzandolo a suon di parole taglienti e già insanguinate dai precedenti attacchi contro le case di moda più importanti. A volte concordava con lei, mentre in altre occasioni la trovava davvero fuori luogo – ma, intendiamoci, era questo il bello. Era il bello della moda, dei dibattiti sulla moda, del fuoco vitale che si accendeva sulla moda. I vestiti, l'intimo, i colori sgargianti, le modelle, i pizzi e i filamenti degli abiti più eccentrici, le passerelle, i flash forsennati dei fotografi, le montature d'occhiale appariscenti portate dai critici di moda, e la splendida Carol col suo rossetto viola bruttissimo. Il giovedì sera era tutto ciò che ancora, senza alcuna riserva, le animava il volto con sorrisi sinceri. Shiho avrebbe osato dire che viveva per i giovedì sera, in quel posto maledetto dov'era rinchiusa e che non aveva proprio nient'altro da offrire. Finché le lasciavano la TV, e finché il palinsesto non fosse cambiato, lei avrebbe tirato avanti alla grande. Alla faccia di tutti.
Si lasciò scappare un risolino eccitato alla vista del primo corpetto fucsia e nero che lo schermo della TV fece scorrere, seguito subito dopo dallo sguardo disgustato ma divertentissimo di Carol.
«Nemmeno a Carnevale avrei il coraggio di vederlo in giro!» emise la donna dalla TV.
Shiho rise e intanto, ancora sdraiata a pancia in giù sul divano, si sfilò il maglioncino nero rimanendo in reggiseno. Il bello di avere una stanzetta tutta per sé. Aveva ancora un gran caldo dalla corsa, nonostante il suo cuore avesse ritrovato un ritmo regolare; sospirò scompigliandosi i capelli, già arruffati e in parte appiccicati al viso, focalizzando lo sguardo vivo sullo schermo.
Solo in quell'esatto momento qualcosa andò storto. Solo allora avvertì una sensazione opprimente e subdola, che le affondò i suoi neri e sottilissimi tentacoli nel petto avvinghiandosi silenziosamente attorno al suo cuore. Poteva quasi vederli, mentre con lentezza diffondevano ombra al suo interno pulsando debolmente di un'intensa luce viola. Non sapeva dove poteva aver visto un'immagine simile per poterla evocare così facilmente, forse in un film. O forse era la sua mente a conoscerla già da prima. Una sensazione così chiara, ma di cui non si era minimamente accorta fino a quell'istante.
Non avrebbe saputo descriverla, era solo a livello sensoriale ma era più netta che mai, soprattutto ora che si era calmata e che il silenzio, inframmezzato solo dalle voci accalorate e sintetiche prodotte dal televisore, dominava la stanza.
I suoni le parvero improvvisamente più attutiti. Aveva solo una finestra, piccola e stretta, oltre la quale vedeva scendere il buio della sera. E in quella fitta penombra, mentre il respiro tornava a farsi inspiegabilmente pesante e usciva soffocato dalla sua gola, Shiho voltò lentamente, molto lentamente, lo sguardo verso sinistra. Verso la cucina. Sapeva che qualunque fosse la minaccia, la sua forma, la sua vibrazione tetra, il suo alone e il suo odore, proveniva da lì. Era in cucina.
Le sue labbra iniziarono a tremare, e così fecero le mani. Gli occhi attenti e sgranati, pronti a cogliere ogni minimo movimento. Sembrava tutto fermo. Ma a quel punto lo vide. La luce in cucina era spenta, ovviamente, ma lei vide perfettamente. Osservò la sagoma alta e oscura di Gin ergersi sulla soglia, e vide anche il riflesso dei suoi denti bianchi. Stava sorridendo.
Con il cuore che balzava in gola in un triplo salto, Shiho scattò seduta sul divano come se avesse ricevuto una scossa elettrica di migliaia di volt, allungando per prima cosa un braccio verso il suo maglione abbandonato.
- No. Ferma così come sei. -
Shiho obbedì, perché non poteva fare altrimenti. Quel timbro vocale profondo e denso, che attraversava tutta la stanza per unirsi alle zone d'oscurità che la permeavano, non ammetteva sicuramente repliche o atti contrari al suo ordine. Nel suo immaginario, Shiho rivide uno di quei tentacoli neri e pulsanti uscirgli dalla bocca. E raggiungerla.
La ragazza rimaneva immobile, con un braccio teso verso il maglione e con lo sguardo fisso su Gin. Con il suo corpo, racchiuso solo in un reggiseno bianco e in pantaloni neri, esposto verso di lui. Deglutì in mezzo ai suoi respiri, ma non ebbe il coraggio di fare altro. In sottofondo la voce ovattata di Carol sbraitava contro un critico di moda che sosteneva il marchio, e il pubblico rideva.
- Non ti muovere di un millimetro. Ma continua a respirare così. - sibilò lui, uscendo dall'ombra e venendo avanti di qualche passo.
Shiho avrebbe voluto indietreggiare, e col busto lo fece. Si tirò un poco indietro ma non troppo, poiché le parole di Gin erano come un incantesimo: la condizionavano a ciò che chiedevano. Aveva imparato un registro di comunicazione molto importante da quando viveva in quel luogo e da quando aveva conosciuto Gin: o si faceva come diceva lui, o si riceveva in regalo un proiettile.
Il busto di Shiho, mantenuto in una posizione tanto tesa, iniziò a tremare.
- Come hai fatto a entrare? - trovò il coraggio di chiedergli in un sussurro.

***

La ragazza rilassò il pugno e lasciò che il suo braccio si abbandonasse lungo il fianco, sospirando scocciata. Amareggiata da se stessa, dalla sua mancanza di coraggio.
Aveva affrontato situazioni ben peggiori in passato, non riusciva a capire perché trovasse tanta difficoltà a compiere gesti stupidi come bussare ad una porta o parlare direttamente con una persona che non aveva alcuna intenzione malevola nei suoi confronti. Che poi tutto ciò che doveva dire a quella persona, Tooru Amuro, o meglio Rei Furuya, il quale ora si trovava dietro quella porta in casa sua a farsi gli affari suoi, era “grazie”. Dopodiché se ne poteva andare. Non lo avrebbe disturbato, perché era solo un “grazie”, non rubava tempo. C'era solo il problema delle convenzioni sociali, che richiederebbero alcuni pro-forma: magari lui sarebbe stato ospitale e l'avrebbe invitata dentro a bere un bicchiere d'acqua o a fare due chiacchiere, ma lei avrebbe detto “no, no, volevo solo dirti grazie”. “Grazie”. “Grazie”.
Grazie.
Grazie.
Ripetila ancora un paio di volte in testa.
Quanto poteva essere complicato pronunciare quella parola. Anche solo per rivolgerla a Kudo, che tanto aveva fatto per lei, ci aveva messo una vita.
- Chi c'è? - disse una voce ovattata al di là della porta.
Shiho sobbalzò sul posto, allarmandosi. In qualche modo l'aveva sentita o percepita. Boccheggiò e si guardò intorno, come per cercare un nascondiglio e considerando anche la possibilità di fuggire rapidamente lungo lo stesso corridoio che l'aveva condotta lì. Il suo corpo stava già scattando da solo in quella direzione - si costrinse con sforzo a non farlo. Senza sapere essenzialmente cosa fare, specialmente se soggetta a quella pressione improvvisa, riguardò la porta con un misto di imbarazzo a apprensione per se stessa. Fissò precisamente l'occhiello, rendendosi conto che lui doveva essere già arrivato lì da un pezzo e che probabilmente la stava guardando. Questo significava che, adesso, si stavano guardando l'un l'altra. Chissà le risate che si era fatto. Oppure no?
Come avesse fatto a percepire la sua presenza era un mistero, ma contrariamente non sarebbe diventato l'agente acuto che era. La porta si aprì delicata, quasi silenziosa, lasciando aperto solo uno spiraglio.
Porca miseria, che ansia.
Da lì arrivarono immediatamente luce, suoni allegri e aria condizionata fresca. Shiho vide tutto a rallentatore e questo le consentì di cogliere ogni dettaglio e di avere quasi il tempo psicologico per prepararsi. Si passò una mano sul volto, sospirò velocemente e riabbassò il braccio, stringendo forte il pugno. Aspettò solo che uscisse anche la testa di lui, dallo spiraglio.

***

- Non mi ci vuole niente ad entrare nelle stanze degli altri, se riesco ad avere il pass-partout - le rispose Gin in tutta calma, senza abbandonare il ghigno.
Il ghigno era qualcosa che forse faceva anatomicamente parte del viso di Gin. Shiho aveva pensato spesso che magari non si poteva eliminare, ormai plasmato nei suoi muscoli facciali.
- E perché mai, con tutte le stanze più interessanti che avresti potuto violare... hai scelto la mia? - continuò Shiho, senza però riuscire a guardarlo negli occhi e puntandoli quindi al colletto della camicia di lui.
- Perché nessun'altra stanza è interessante come questa, in realtà. - proseguì lui, fissandola come lei invece non riusciva a fare.
- Ti... ti sbagli – sussurrò Shiho socchiudendo gli occhi, iniziando a capire dove lui voleva andare a parare. Ma avrebbe tergiversato, preso tempo, fatto la finta ignorante. Era l'unico modo di venirne fuori.
- Su cosa mi sbaglio? -
- Forse credi di trovare qui dentro documenti top-secret, o compresse miracolanti. Ma non c'è niente di tutto questo, io lascio tutto in laboratorio a disposizione di chiunque. Qui non troverai niente, solo un televisore e un po' di cibo precotto. Tutto qua. -
- Ed oltre a questo, trovo anche ciò che cerco davvero. Ciò a cui ho puntato fin dall'inizio, Sherry. - la indicò con lo sguardo. - Dei documenti segreti non me ne faccio nulla. -
- Qua non c'è niente che ti possa servire, Gin. Puoi uscire, adesso... -
E smetterla di fissarmi mentre sono in questo stato.
- Lascia deciderlo a me, questo punto. Sarò io a constatare cosa mi possa servire e cosa no... non sei d'accordo? -
Shiho era consapevole dell'inquietante ossessione che quell'individuo aveva sviluppato nei suoi confronti. Prima di allora era stata solo certezza astratta, consolidata da sguardi, gesti, parole ambigue; ora si apprestava a divenire concreta da un momento all'altro. E questo era spaventoso, andava evitato assolutamente in qualsiasi maniera le fosse venuta in mente. Senza volerlo l'aveva istigato, vista la sua condizione attuale che sicuramente non lasciava Gin indifferente. Se pensava che poco prima si stava spogliando, ansimando accaldata per la corsa, e che lui era già lì...
Fu scossa da un terribile brivido. Questo brivido giunse dalle profondità dense e basilari del suo essere, quelle che mai venivano stimolate, portandosi dietro tutto un bagaglio di consapevolezza che forse non sapeva neanche di avere: tale brivido la convinse ad arrendersi, a non provare neanche a fermare ciò che stava per accadere – per il semplice fatto che nulla avrebbe potuto impedire l'imminenza. Lei era troppo fragile e spaventata rispetto a lui, sicuro di sé e fisicamente più forte.
Ma com'era possibile che il suo corpo le consigliasse questo? Come poteva esserci un vero e proprio accordo tra il corpo e la mente, la quale invece rifiutava categoricamente la disgrazia? A quale dei due doveva dare retta? Erano entrambi parte di lei, ma in profondo disaccordo.
Quando lei smise di rispondergli, poiché già precipitata in uno stato simile allo shock, lui lo interpretò come arrendevole accondiscendenza. Non passarono neanche due secondi interi che lui si avviò a grandi passi verso di lei, sormontandola. E fu in quell'istante che Shiho scelse la mente, scelse di reagire laddove il corpo già si rifiutava a priori per non sprecare inutilissime energie: prima di permettere al corpo di Gin di esserle addosso, fece saettare gli occhi verso la porta d'ingresso. Dopodiché scattò in quella direzione, sgusciando da sotto il corpo dell'uomo, scivolando via come una zanzara invisibile. Si diede una spinta sui polpacci e schizzò verso la porta per scappare, poteva farcela.
Gin fu comunque più veloce. Ma lei, intimamente, lo sapeva già.
Lui si voltò di colpo e la afferrò per un braccio prima che scappasse, strattonandola verso di sé in malomodo e rilanciandola sul letto. Lei urlò, mentre impattava col materasso.
In fondo non avrebbe davvero potuto farcela. Mentre vedeva Gin salirle sopra e stringerle una mano al collo e l'altra al polso sollevato, capì che in fondo il corpo aveva avuto ragione fin da subito intimandole di non combattere più. C'è un istinto, quello più biologico e slegato dal raziocinio, che per quanto soggetto ad ostinata ignoranza non smette di esistere. Chiuse gli occhi, sentendo un dolore acuto al braccio strattonato.
Ma lei non voleva arrendersi così, era contro i suoi principi e il suo carattere. Perché diamine non lo faceva, invece, gettando le armi che non aveva mai avuto? Perché la mente ergeva questa armatura di ferro difensiva che la teneva sveglia, vigile, lucida nonostante tutto? Sarebbe stato più semplice se non l'avesse fatto, se anche la mente avesse deciso di soccombere, di dimenticare presto.
Il reggiseno le venne strappato via, e urlò di nuovo. Il cuore batteva all'impazzata e doveva uscirne, subito, ma non sapeva come. Provò a rotolare via dal letto, sempre sgusciando da sotto di lui, ma la presa al collo era forte e avrebbe rischiato di soffocarsi da sola. Aveva ancora gli occhi chiusi, come ottimo strumento difensivo per non vedere il proprio corpo ridotto in quel modo e per non osservare lo sguardo folle di Gin mentre le faceva questo – ma, ovviamente, ad un certo punto li riaprì. Scelse di provocarsi altri traumi, per non si sa quale logica ragione, ma riteneva opportuno farlo per poter prendere atto e liberarsi.
Lui le strinse forte le spalle per tenerla ferma, ma lei si muoveva in continuazione e quasi a spasmi, urlandogli addosso e mordendogli le mani. Al che lui le lasciò libero il collo per tapparle bruscamente la bocca, coprendo però anche il naso fino a quasi non permetterle di respirare. Con l'altra mano le bloccò il ventre nudo, riuscendo intanto a muoverla in altre zone che Shiho avrebbe preferito tenere per sé ancora per un bel po'.
Le faceva male ogni punto che lui esplorava, non c'era un pizzico di delicatezza in quell'atto ma solo la dichiarata volontà di renderlo memorabilmente orribile, doloroso. Era una violenza sotto ogni singolo aspetto e lei la stava subendo.
Devo rendermene conto. E devo stare tranquilla. Lo dimenticherò. Sono forte.
Devo stare tranquilla.
Lo dimenticherò.

Non riusciva a proteggersi in nessun modo. Il suo corpo tremava da cima a fondo e aveva l'impressione che più si muoveva e più le mani di lui si chiudevano su di lei, bloccandola e ferendola. Che ogni suo tentativo di difendersi comportava una ferita aggiuntiva, come un piccolo animale che per dimostrare al branco di saper arrivare alla cima di un albero alto e con la corteccia troppo spessa e sgranata si ferisce nel farlo, precipitando prima per il dolore insopportabile.
Mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime tentò con entrambe le mani di liberarsi dalla presa di Gin che le serrava bocca e naso, perché rischiava davvero di soffocare – e forse lui, in preda alla follia, nemmeno se ne stava rendendo conto.
Merda umana. Ti odio.
Riusciva a pensare nonostante tutto, anzi, erano parole molto chiare nella sua testa, come se lì nel cranio il tempo scorresse più disteso. Strinse forte il polso di Gin e spinse, tirò, strattonò, diede colpi, ma non c'era verso. Il petto stava per esploderle invocando fiato, percepì pressione inaudita ai bulbi oculari.
Ti detesto, ogni cosa di questo mondo muore al tuo passaggio.
Ogni cosa del mondo.

Gli tirò anche un paio di calci, col solo risultato di permettergli di afferrare una delle sue gambe da sotto la coscia. Considerò la possibilità di morire così, prima che lui potesse attuare il peggio su di lei, risparmiandosi tanto dolore per i tempi a venire. Ed era una buona possibilità, malauguratamente le piacque. Dal televisore sentiva provenire le risate del programma, che fortemente stridevano con i suoi lamenti soffocati.
Quando decise di non lottare più e di lasciarsi andare, staccò le mani dal polso di Gin e le lasciò scivolare lungo i bordi del letto, tenendo gli occhi aperti e socchiusi, fissi al soffitto. Tenne il corpo ancora acceso per alcuni attimi, ma spense l'anima.
Fu a quel punto che sentì distintamente una terza voce nella stanza.
- Lasciala andare. Subito. -
Tutto si fermò, Gin compreso. Quest'ultimo voltò il viso furibondo in direzione della porta, per capire chi avesse parlato e fatalmente interrotto quel momento. Chiunque fosse stato, lo avrebbe ammazzato lì sul posto.
La sua presa sulla bocca di Shiho si era in automatico rammollita, per via della sorpresa che ora gli spostava l'attenzione sulla sua prossima preda. La ragazza ne approfittò per levarsela di dosso, tirare una rumorosa boccata d'aria che le bruciò la schiena e rotolare giù dal letto, sfinita. Iniziò a tossire e ad ansimare, restando in posizione rannicchiata a terra e cercando di riprendersi. Si portò una mano al seno per coprirselo, alzando poi il viso verso la porta.
Riconobbe Bourbon, un giovanissimo agente dell'Organizzazione. Non doveva avere tanto più della sua età. L'aveva visto non più di due o tre volte per i corridoi dell'edificio.
Cosa ci faceva lì? E anche lui, come diamine aveva potuto aprire la porta della sua stanza?
Poi le venne in mente che forse non era stata chiusa bene. Quando era entrata di corsa in camera per guardare la TV, aveva aperto forzatamente la serratura per la fretta e probabilmente era rimasta incastrata fuori, impedendo alla porta di chiudersi del tutto. Che lui fosse passato in corridoio in quel momento e avesse sentito strani rumori all'interno?
Ma cosa poteva ricavarci dal salvarla, uno di quella malvagia congrega? Perché non aveva semplicemente riso della situazione e tirato avanti per la sua strada, come avrebbe fatto chiunque altro lì dentro?
- Spiegami chi diavolo saresti tu. - proferì Gin nella sua direzione, con occhi gelidi e tono di tenebra.
- Forse non ti ricordi di me. Sono Bourbon. -
- Infatti, non ricordo. Le persone poco importanti che non mi colpiscono sono destinate a evaporare ai miei occhi -
- Beh, vorrà dire che da questo momento di me ti ricorderai bene - insinuò il ragazzo con sicurezza e un sorrisetto sfottente in volto. Poi gli ricordò qualcosa con un lampo d'astuzia negli occhi. - E tu, Gin, oggi avresti una missione importante. -
- So bene quali sono i miei programmi. Non mi muovo prima di sera, però, e come vedi adesso ho altro da fare – ringhiò lui in risposta.
- Non credo ci sia permesso sprecare energie in modo improprio poco prima di missioni importanti. -
- Non ci sarebbe neanche permesso ficcare il naso nelle questioni degli altri. -
- Però tu lo fai, esattamente come tutti. Quindi lo faccio anche io, e non credo nemmeno che il boss sarebbe particolarmente felice di constatare ciò che sta succedendo qui, prima delle tue operazioni – suggerì Bourbon con un sorriso saccente e tutt'altro che amichevole. - Ci sono situazioni in cui il tempo ci sfugge di mano. Sono semplicemente venuto a ricordartelo, Gin. -
Gin gli riservò un'occhiata diabolica e omicida, prima di alzarsi dal letto e ricomporsi. Nominare il boss, in qualche modo, riusciva sempre a placarlo un poco e farlo anche desistere da determinati propositi.
- Ti beccherai una pallottola nel cranio molto presto. Stanne certo. - gli sibilò Gin a bassa voce mentre gli passava accanto per uscire dalla stanza, smuovendo ombre e sgradevoli correnti d'aria. Rivolse un'ultima occhiata fredda a Sherry, prima di sparire.
Bourbon sorrise di quell'intimidazione, sapendo che non avrebbe avuto alcun riscontro concreto: Gin era famoso per il suo pronunciare quotidianamente quel genere di frasi. Dopodiché abbassò lo sguardo su Shiho, ancora a terra, e il sorriso gli si spense nell'immediato.
Entrò nella stanza, avvicinandosi cautamente a lei.
- Ehi. Dimmi, va tutto ben... -
- Vattene. -
Il tono glaciale e mortuario con cui gli venne rivolta quell'unica parola lo bloccò sul posto. Sembrava essere stata pronunciata da un'antica statua in rovina, dimenticata per secoli dal genere umano e ricordata solo per caso.
- Ascoltami. Ti voglio solo aiutare a rialzarti. Volevo sapere se... - allungò una mano verso di lei, ma la ragazza gliela colpì forte per allontanarla da sé, sentendosi completamente minacciata.
- Non osare toccarmi! - urlò lei all'improvviso con forza, contro di lui. Era una furia, tremava da capo a piedi.
Lui si sentì destabilizzato, ma tentò di capirla. Qualunque essere umano di sesso maschile, in quel momento, doveva apparire come un mostro ai suoi occhi di giovane ragazza. Si prese circa un secondo di tempo per guardarla e individuare la sua disperazione, gli occhi iniettati di sangue e i lividi sulle spalle. Il suo sentirsi sola contro tutti. Voleva davvero aiutarla, ma non contro il suo volere.
- Va bene. Ho capito. Perdonami. -
Bourbon si voltò e tornò nel corridoio esterno, chiudendo delicatamente la porta e lanciandole un'ultima occhiata prima di farlo.


Il giorno dopo, durante il lavoro in laboratorio, Sherry continuava a distrarsi. Tutte le operazioni che richiedevano attenzione le facevano perdere lo sguardo nel vuoto, sbagliare. Le tremavano leggermente le dita. In quei momenti mollava il lavoro a metà e correva in bagno, fissandosi a lungo allo specchio e bevendo ampie sorsate d'acqua dal rubinetto.
Aveva una nausea costante da quando si era svegliata, la voglia di vomitare sempre dietro l'angolo. Non lo faceva solo perché non aveva ancora toccato cibo dalla mattina e lasciato lo stomaco vuoto.
Quella era già la quinta volta che si trovava in bagno – che chiamarlo bagno era un complimento, era solo uno sgabuzzino angusto provvisto di specchio, rubinetto e water. Ma lei lo preferiva, perché era sicura che andando lì non avrebbe incrociato nessuno. Tutti preferivano i bagni grossi e lussuosi che il posto offriva in altre parti dell'edificio. E per la quinta volta in quella giornata, si prendeva interi minuti per rimanere sola e isolata, e per avere brutte opinioni di se stessa.
Sentiva di avere ceduto. Di avergliela data vinta, di aver deciso di soccombere sotto il suo potere. Di non aver reagito abbastanza e di avere forse scelto, inconsciamente, di dare il suo corpo a lui. Pensieri negativi, contrastanti e insensati le riempivano la testa in quei brevi minuti di solitudine, e se si guardava allo specchio le cresceva la voglia di distruggerlo per cancellare il suo stesso riflesso. Sentiva i nervi al limite.
Si raccolse in se stessa, stringendosi le braccia e tremando d'angoscia. Forse l'evento era ancora troppo fresco, ma non riusciva a levarsi dalla mente le immagini che l'avevano caratterizzato. Ricordava ogni singolo dettaglio, gli odori e i suoni. Odore di fumo e cuoio vecchio quando lui si era avvicinato. Rumori bruschi e urla quando l'aveva presa.
Si portò le mani al viso, ma subito dopo si scosse sentendo bussare alla porta.
Chi poteva essere? Nessuno, nessuno mai veniva in quello schifo di bagno.
- Chi... chi è? - chiese lei con voce tremula. L'idea che fosse ancora Gin la privava di ogni forza.
- Fossi in te uscirei da quello stanzino in fretta. Non ti fa bene passarci così tanto tempo, è claustrofobico! -
Shiho sgranò gli occhi, riconoscendo la voce fresca di Bourbon. Ma che faceva, la spiava?
- Se ti stai chiedendo se per caso ti spio, la risposta è no. E' che anche io cerco di venire sempre in questo bagno, non amo il lusso sfrenato fine a se stesso specie se usurpato da certi individui. Preferisco questo, ma oggi lo trovo sempre occupato per poi scoprire che c'eri dentro tu. -
Shiho aprì la bocca per controbattere, ma non le uscì alcuna parola. Rimase in silenzio ancora per un po', guardandosi allo specchio. Constatò per l'ennesima volta che aveva un aspetto orrendo.
- Adesso... esco – biascicò lei, con voce roca.
- Grazie. - rispose lui, neutro.
Ma lei non uscì. Non ce la faceva. Non poteva fare a meno di analizzare la situazione a posteriori: il giorno prima lui l'aveva vista in quello stato pietoso, aveva anche tentato di aiutarla ma lei gli aveva urlato contro come una bestia in catene. Come faceva adesso ad uscire e passargli accanto in tutta calma, salutarlo come se niente fosse accaduto? E mostrarsi a lui, ancora una volta, in tutta la sua vulnerabilità?
E se lui, in quanto uomo, avesse tentato di approfittarsi di lei? Esattamente come aveva fatto Gin?
Se fosse stato tutto un suo piano per adescarla?
Quasi come si fosse dimenticata che lui era fuori, Shiho sospirò e si strinse le braccia nuovamente, abbassando il volto e provando paura per la sua stessa ombra.
- Stai bene? - chiese all'improvviso lui da oltre la porta, non sentendola più.
Shiho non gli rispose, ma qualcosa la colpì. Il tono di voce di lui non era secco, nonostante avesse tutto il diritto di esserlo. Era tranquillo, pacifico, morbido. Pronto ad accogliere ogni sua risposta come un grande cuscino pieno di piume. Quel “stai bene” non era un generalissimo e impersonale “come stai” di circostanza. Era proprio “tu, Shiho Miyano, stai bene? Oppure stai male? Me lo vorresti dire?”
Non lo conosceva di persona, ma su questo Shiho non aveva alcun dubbio. Era istinto.
- No. Non tanto. - rispose lei senza giri di parole.
- Lo immagino, e ti capisco.
- Come puoi capirmi?
- Perché ieri ti ho guardata negli occhi.
La ragazza sussultò a quelle parole, guardandosi di nuovo riflessa nello specchio. Era davvero così palese, ciò che credeva essere il suo nascostissimo stato d'animo?
Sì. Il giorno prima, quando lui l'aveva vista nel momento peggiore, era stato per forza palese. Shiho scosse la testa, perché così non andava bene: lei lì dentro aveva una determinata reputazione che era decisa a mantenere almeno con gli estranei. Se proprio non riusciva a guadagnarsi il rispetto di alcuni membri che la conoscevano meglio, come Gin e Vermouth, doveva provare con chi ancora non aveva avuto modo di rapportarsi con lei. Non intendeva incutere timore a nessuno, al contrario di molti altri. Ma almeno farsi rispettare in modo degno, nel suo essere naturale, e far capire che ben poche cose la scalfivano o turbavano a dispetto delle apparenze, questo sì. Si raddrizzò.
- Ascolta, non credo di capire bene di cosa parli. Ieri ho avuto un momento no, questo non posso negarlo, ma come ne ho avuti tanti altri. Non è successo niente di che, credimi – gli disse in modo fermo da dentro il bagno.
- Ne hai avuti tanti altri? Quindi è ricorrente che Gin cerchi di abusare di te mentre guardi la TV? -
Shiho rimase zitta, sentendosi irritata. Lui stava facendo dell'umorismo, lo capiva, forse per alleggerire la conversazione o forse per tenerle testa. Comunque non stava apprezzando.
- No, non intendo... precisamente quello – biascicò lei. - Ma che, come puoi vedere tu stesso, non viviamo in un posto idilliaco. Queste cose, se non peggiori, succedono. -
- Okay, capito! Molto chiaro. Quindi, alla luce di questo... ti spiacerebbe uscire e lasciarmi il turno? - chiese lui con un tono sempre calmo, tanto che Shiho lo immaginò perfettamente stringersi nelle spalle.
- Sì... ora... ora esco – ripeté lei, cercando di darsi una sistemata alla faccia pallida. Aprì il rubinetto per sciacquarsi. Anche dopo essersi asciugata, tuttavia, non accennò ad uscire. Era colta da quest'onda di disagio che non la mollava, al contrario le rimaneva arpionata attorno.
Passarono probabilmente minuti. Non sapeva se Bourbon fosse ancora là fuori, ma capì che era così quando lui riparlò con voce bassa e affabile.
- Non hai alcun bisogno di fingere vada tutto bene. Sherry... noi non ci conosciamo, ma conoscevo tua madre - e dicendo questo Shiho sussultò di nuovo e drizzò le orecchie. Ebbe la sensazione che il ragazzo non fosse molto sicuro di proseguire e che stesse faticando a formulare quelle parole, nonostante avesse comunque deciso di farlo. - Se per caso tu hai ereditato la sua sensibilità, beh... da un lato sono felice per te, perché è una buona dote. Ma dall'altro no, per niente, poiché credo di sapere cosa ti passi per la testa in questo momento. -
- Ascolta, vattene. Ti prego. Lasciami sola. - rispose Shiho di getto e con voce incrinata. Iniziava ad essere troppo per lei. Erano parole che le servivano, che voleva sentire, ma che al contempo la sopraffacevano come colate laviche e non conosceva nessun metodo valido per gestirle.
- L'ultima cosa di cui tu hai bisogno è essere lasciata sola, lo sai questo? -
Shiho sbarrò gli occhi, senza credere alle sue orecchie. No, ma sul serio, ma chi credeva di essere e cosa pensava di sapere di lei? Delle sue sensazioni? Della sua persona, dei suoi bisogni? Cosa?
- Lo so, sì! Non ci volevi per forza tu, di cui ricordo a malapena la faccia, a puntualizzarmelo! - rispose con la stessa acidità, senza sapere perché lo trattasse così. Le veniva spontaneo, ma ci soffriva.
- D'accordo, io me ne vado. Ma tu in cambio devi fare una cosa e promettermi che la farai. -
La ragazza scosse la testa, senza capire. Si era immaginata una risposta tanto brusca quanto la sua, invece lui aveva ancora mantenuto la calma e avanzato quella richiesta. Lo avrebbe mandato a quel paese, se non fosse stata colta da gran curiosità.
- Promettimi che, quando sentirai i miei passi allontanarsi, tu smetterai di guardarti allo specchio. -
Shiho rimase ad ascoltarlo allibita. Era convinta, a questo punto, che lui la spiasse sul serio. Guardo in alto sul soffitto, timorosa di trovarci telecamere o cimici.
- Non è odiando te stessa che risolverai questa situazione. Non è dandoti colpe o giustificando in qualche modo gli atti di Gin. -
Lei si riguardò allo specchio all'istante, facendo l'esatto contrario di quel che lui aveva appena consigliato. Ma adesso aveva necessità di farlo, di scontrarsi con l'espressione angosciata che la fissava di riflesso.
- Quei segni che oggi riesci a vedere così bene, non sono stati causati da te o dalla tua mancanza di coraggio. -
Quasi come se lui fosse una voce guida, lei si portò una mano alla spalla destra e tirò giù la spallina della maglietta bianca: intravide un grosso livido viola che ancora padroneggiava quell'area di pelle. Scese con la mano poco più sotto, sfilando man mano il tessuto della maglia e arrivando all'altezza dell'ascella, scorgendo dei graffi rossi.
Eppure, più li guardava e più si convinceva fosse colpa sua. Perché lei aveva consentito a quei segni di apparire sul suo corpo. Lei aveva reagito a malapena all'attacco di Gin, permettendogli di fare questo.
Le bruciarono gli occhi, le bruciò il petto.
- In questo specchio compare una persona debole. E voglio che lo capisca, che è debole. Che deve migliorare. - rispose Shiho, atona e inflessibile.
- E' proprio la risposta che mi aspettavo da te. Per questo voglio assicurarti che no, non è così. Sei anche fin troppo forte. Hai reagito con velocità, sei venuta a lavoro stamattina, stai cercando di superare tutto da sola senza condividere la tua disperazione. Ma stai sbagliando. Colpevolizzi la persona sbagliata, mirando a te stessa. -
- Perché perdi tempo a dirmi tutte queste cose? Avrai un sacco da fare, no? - la sua voce usciva strozzata, ma se ne capivano le parole.
- Esisteva una persona per la quale, ancora oggi, mi sento in dovere di farlo... -
Continuando ad ascoltarlo vedeva la stanza annacquarsi. Si passò le dita delicate sul collo, ricordando la pressione che Gin vi aveva esercitato senza esitazione, e singhiozzò. Si portò una mano alla bocca guardandosi ancora, senza staccare gli occhi avviliti dal vetro.
Il suo collo. Trattato in quel modo.
- Ho la conferma che sei come tua madre, per questo sento forse il dovere di fermarti. Lei faceva esattamente come te quando qualcosa andava storto nella sua vita... - disse Bourbon in modo affettuoso, inducendo Shiho a gemere e stringere forte gli estremi del lavandino. - Si colpevolizzava di continuo, credeva che ogni singolo sbaglio fosse opera sua anche quando non c'entrava nulla. E il fatto di aver messo te e tua sorella in questa condizione non faceva che aggravare l'odio verso se stessa. Era una testona incredibile, lo sai? Peggio di un mulo - continuò lui leggero, con un evidente sorriso dolce ad accompagnare le sue parole, una dolcezza intrisa nei suoi ricordi che stava riuscendo a trasmettersi a Shiho. - Passava ore davanti allo specchio a fare questo genere di ragionamenti. Si feriva da sola laddove gli altri non avevano ancora colpito, e tu non fare come lei, per favore. Non fare mai come lei. Perché ti amava, Shiho. E perché lei non vorrebbe questo per te. -
Le lacrime sgorgavano copiose lungo il viso di Shiho, mentre ritirava su le spallina e abbassava lo sguardo con la mano ancora premuta sulla bocca, per non vedersi più riflessa.
Non andartene. Parlami ancora di lei.
Dall'altra parte, Rei Furuya fissava la porta con un sorriso mesto. Gli sarebbe piaciuto guardarla negli occhi mentre le faceva quei discorsi, o magari sfiorarle la mano, quel tipo di gesti affabili che credeva potessero fare piacere ad una ragazza. O magari no, fatto sta che a lui sarebbe piaciuto farlo, se non fosse che il temperamento di Shiho gli impediva anche queste semplici mosse. Chissà che in futuro non ci sarebbe riuscito davvero, instaurando con lei un rapporto quanto meno normale che non si svolgesse attraverso le porte? Con lei, in realtà, sospettava non si potesse dare per scontato. Sorrise di nuovo, stavolta in modo più dolce.
Da dentro il bagno Shiho sentì i passi di Bourbon in procinto di allontanarsi, forse perché, sentendola piangere, preferiva lasciarla sola almeno per un po'. Fu colta da un poderoso moto di premura e ansia.
Non andartene, continua.
Non mi lasciare sola.

D'istinto, senza pensarci, Shiho aprì la porta del bagno e lo bloccò afferrandogli la mano.
Lui allora cercò di voltarsi per guardarla, ma lei gli respinse la spalla robusta in avanti e gli chiese di non farlo, di non guardarla mentre era in quello stato. Lui accettò e la rispettò nei suoi voleri, rimanendo fermo com'era a guardare lo stretto corridoio in penombra e udendo Shiho singhiozzante alle sue spalle. Sentiva che lei gli stringeva la mano forte, gli parve anche di percepire qualche lacrima arrivargli sulla pelle.
Stettero così per molto tempo, ognuno dei due senza muoversi dal posto, facendo quello che stavano facendo anche prima: lei piangendo alla ricerca di conforto, di una stretta di mano, e lui offrendola senza riserve e usando il suo tempo a quello scopo.
Poi qualcosa si mosse dentro di lui, un tipo di potenza corporea motivata dalla volontà di andare oltre quel genere di approccio. Forse era il suono della sua voce, anche se incrinata dal pianto, forse era il tocco della mano. Iniziò a non bastargli più come consolazione, gli sembrò d'un tratto troppo statica e insapore. Come faceva Shiho a trarne davvero vantaggio? Come tutti gli impulsi, compreso quello stesso mostrato dalla ragazza, anche questo in arrivo era piuttosto irrazionale e privo di premesse, allo stesso modo in cui lo sarebbero state le conseguenze possibili – e proprio per questo gli sarebbe riuscito facile da seguire. Provò nell'immediato.
- Se ti abbraccio ti arrabbi? - disse lui a bassa voce, rivolto al corridoio.
- Mi arrabbio moltissimo. -
- Con un abbraccio io non potrei comunque vedere il tuo viso. Farò in modo di non vederlo. -
- Lo devi promettere, però. -
- Cosa? -
- Che non mi guardi. -
Rei abbassò lo sguardo con un lieve sorriso, privo di qualunque malizia. Si voltò lentamente su se stesso e alzò lo sguardo sopra la testa ramata della scienziata, deciso a rispettare i patti nonostante i propri desideri; con la coda dell'occhio la trovò ferma e rigida, indecisa sul da farsi, e prima di darle il tempo di pentirsi allargò le braccia e la avvolse trattenendola vicino a sé, in silenzio, come un guscio sui fondali marini si richiude col preciso fine di proteggere dalle creature feroci.
Senza spiegarsi perché mai avesse accettato, ma probabilmente per via di quello stesso impulso che aveva mosso Rei e che chiedeva tutt'altro che spiegazioni logiche se non quelle di un corpo solo e freddo, Shiho constatò che, in mezzo a quello sconforto che l'aveva scossa in profondità, riuscì quasi ad arrossire quando entrò in contatto col petto di lui. Riuscì a sentire il proprio battito cardiaco e a capire che era viva. Poi sentì anche quello di lui, contro il timpano.
Oddio...
E' caldissimo, qui.

Era il calore il fattore che più la colpiva, non credeva si potesse percepirne così tanto in un solo momento. Deglutì, chiudendo gli occhi e azionando una serie d'istinti non inclini a sottostare al suo controllo: annusò il suo profumo, affondò la testa dove le sembrava più morbido, aumentò lievemente la stretta attorno al suo busto. Non osò quantificare il tempo che sarebbe rimasta ancorata a lui.
Rei chiuse gli occhi allo stesso modo, sentendola fragile ma al contempo vitale contro di sé; percepiva scorrere in lei un fiume di vibrazioni che gli si trasmettevano tramite la pelle. Appoggiò il mento e il naso tra i suoi capelli, e al pari di lei non si premurò mai di valutare il tempo trascorso. Sperava solo fosse sufficiente a risollevarla.
Passo per passo, forse, non lo sapeva. Ce l'aveva fatta ad averla vicino dal vivo e non attraverso le porte, ma non poteva ancora guardarla in viso – quello, forse, sarebbe stato il prossimo step. Lo diceva che non poteva dare niente per scontato.

***

- Oh... ciao, che sorpresa – disse Tooru alzando le sopracciglia, piacevolmente sorpreso di trovarsi Shiho Miyano sulla soglia della sua porta di casa. Non aveva nemmeno idea di come avesse trovato il suo indirizzo, ma si stava vergognando un po' al pensiero di lasciarla lì fuori in quel tugurio di corridoio. Mandò giù un altro sorso della birra in lattina che teneva in mano, prima di invitarla dentro. - Vieni, non rimanere lì. Posso per caso offrirt... -
A quelle parole, Shiho strinse gli occhi spaventata e si voltò di scatto per fuggire. Non aveva più voglia di questa situazione, di essere costretta a ricordare brutti avvenimenti del passato, di tirare fuori un loro momento di cui probabilmente lui non aveva neanche più memoria. Per lei era stato importante, ma a lui cosa gliene poteva mai fregare? Si era messa lei in quella situazione, ma se ne era pentita. Non era pronta come aveva stupidamente pensato di essere. Gli avrebbe scritto un bel SMS più tardi, aveva il suo numero.
Però lui la bloccò, come aveva fatto lei alcuni anni prima. Per la precisione le afferrò una mano e la fece rimanere ferma com'era, con lo sguardo rivolto al corridoio afoso. Strinse poi quella mano, ricreando un silenzio denso tra loro che Shiho incassò senza neanche fiatare.
Era un messaggio molto chiaro, questo, da parte di Rei Furuya, alias Bourbon. Stava cercando di dirle che lui ricordava. Che lui sapeva perché in quel momento, dal nulla e con sorpresa, Shiho si trovasse lì. E sapeva anche perché le stava mancando il coraggio di affrontarlo.
- Adesso puoi girarti. Ed entrare a bere qualcosa con me – mormorò lui in tono affabile quando ritenne che il tempo necessario al loro difficile ricongiungimento fosse trascorso.
- Non... non c'è bisogno... volevo solo dirti... -
“Grazie.” Avanti, dillo. E' una sola parola, anche breve. “Grazie, grazie”.
Grazie.
Perché non te l'ho mai detto.
Nonostante tu mi abbia salvata.

- Potrai dirmi quello che vuoi, ma siccome mi vergogno molto a lasciarti in mezzo allo schifo che c'è qua fuori, che ne dici di dirmi le stesse parole davanti a un cesto di patatine e una bottiglia di birra fresca? -
Shiho deglutì e considerò l'opzione.
Lei amava le patatine.


E furono proprio quelle, le patatine, il mondo in cui lei si rifugiò. Ne mangiava una dietro l'altra in silenzio, riempiendo l'aria del rumore di patatina masticata. Rei ridacchiava alla vista di tutto ciò, aprendo la birra.
- Aspetta, ho un dubbio terribile. Sei maggiorenne? Puoi berla la birra? - chiese lui con finto allarmismo, tenendo la bottiglia sospesa sul suo bicchiere senza versarla. Lei gli scoccò un'occhiata sarcastica, al che lui rise e gliela versò.
Shiho ormai conosceva la vera identità del ragazzo, così come lui conosceva perfettamente la sua. Non c'era alcun tipo di vera tensione tra loro, contrariamente a quanto Shiho aveva sospettato mentre si dirigeva lì.
In ogni caso, qualunque cosa lei intendesse dirgli, desiderava farlo subito e togliersi il dente una volta per tutte: non ce la faceva più, i nervi saltavano come pazzi.
- Allora, cosa volevi dirmi? - chiese, passandole il bicchiere di birra.
- Sono qui solo perché mi sono resa conto di una cosa, e per nient'altro. Era importante e da affrontare di persona, niente e-mail o messaggi – disse tutto d'un fiato e con voce fermissima, fissando il cesto di patatine. Poi alzò gli occhi su di lui, incrociando limpidamente il suo sguardo intelligente. Iridi contro iridi. - Ero a casa mia a leggere una rivista. Ero annoiata, ho anche acceso la TV e ho trovato una rubrica di moda. Mi stavo divertendo a quel punto, ma poi qualcosa ha iniziato a pungermi il petto. Più guardavo e più mi pungeva, non capivo cosa fosse, fino a che non ho coraggiosamente azionato i ricordi, poiché qualcuno, una volta, mi disse che secondo lui ero anche “fin troppo” coraggiosa. E così ho ricordato delle cose accadute in un passato che adesso mi sembra molto lontano. Ho ricordato cose che pur avendomi segnata non mi hanno più perseguitata, per non essere andate a fondo ed essere state interrotte al momento giusto. Ho ricordato all'improvviso che non ti ho mai ringraziato per quella volta. -
Dopo quel breve discorso, Shiho era priva di forze e con la gola secca. Afferrò il bicchiere di birra in tutta calma e lo tracannò letteralmente.
Amuro rimase fermo con una mano attorno al mento a riflettere, guardandola. Non le aveva staccato gli occhi di dosso un solo attimo durante il suo discorso – anche volendo non sarebbe riuscito, doveva ammettere che il magnetismo dei suoi due occhi turchesi era forte, molto forte e prepotente, specie quando parlava in quel modo concitato. Da interlocutore si era sentito avvolgere e attrarre in modo piuttosto totale.
- Che ne pensi? - gli chiese Shiho, ormai con entrambi i piedi su quel percorso imbarazzante.
- Penso che ho capito. Bene. Ma non mi devi ringraziare, perché lo fai? – rispose lui stringendosi nelle spalle e bevendo la sua birra.
- Mh, forse perché mi hai evitato uno stupro? - azzardò lei, appoggiando il bicchiere vuoto sul tavolo.
- Ah, per quello. Ma figurati. Era mio dovere di essere umano impedire una cosa del genere -
Lei si prese qualche attimo di silenzio per poterlo fissare con sguardo fermo e occhi ben puntati su di lui. Rei la guardò di rimando, reggendo la sua espressione. Era un po' difficile non distogliere lo sguardo per primo, specie con la consapevolezza che lei non avrebbe ceduto, ma era anche molto bello e affascinante riuscire a reggerlo a lungo. Sotto sotto iniziò a divertirsi.
- Quindi tu non ci hai dato molta importanza. Giustamente. Beh, per me è stato molto importante e soprattutto temerario da parte tua, visto che hai rischiato di essere ammazzato per salvare una mezza sconosciuta -
- Se dico “per una donna questo ed altro” risulta una patetica battuta da film di serie B? -
- Assolutamente patetica e assolutamente di serie B. -
Lui sorrise, scuotendo la testa. - E' un rischio che ho corso molto volentieri. Se ben ricordi ero arrivato preparato, non sono uno sprovveduto. -
Shiho annuì, ricordava bene. Il ragazzo si era servito della scusa della missione urgente per convincere Gin a desistere dalle sue intenzioni: informandosi tempo dopo, Shiho aveva scoperto che Bourbon aveva l'abitudine di studiarsi minuziosamente le tabelle lavorative di tutti i colleghi, in modo da arrivare sempre informato da loro ed eventualmente scoccare loro dei tiri mancini, proprio come aveva fatto quella volta con Gin. Se non avesse saputo che Gin aveva degli impegni quel giorno stesso, con quale altra scusa avrebbe potuto farlo sloggiare?
- Comunque... qualunque sia il motivo per cui tu hai deciso di salvarmi quella volta... io ti dico grazie. Perché non l'ho mai fatto là dentro, nemmeno quando ne ho avuto l'occasione, mi vergognavo troppo. Dopo quel giorno, vicino al bagno sgabuzzino... - si morse il labbro ricordando il momento d'affetto che avevano avuto, un momento rimasto isolato e che, per quanto la sua mente ancora lo delineasse perfettamente, non aveva mai più avuto alcun seguito. Si passò una mano sulle labbra. - … io non ti ho più avvicinato. Non volevo che tu mi ricordassi nello stato pietoso in cui mi avevi trovata. Non volevo tirare più fuori la questione, e ringraziarti invece comportava che io lo facessi, come adesso. -
- Ti sta costando fatica e dolore, quindi. Per questo desidero informarti del fatto che non era necessario, né prima né adesso, ma che lo apprezzo. Sei davvero molto coraggiosa, più di me. - concluse lui sorridendole dolcemente. Shiho arrossì all'istante.
Maledizione.
La ragazza abbassò bruscamente lo sguardo sulle patatine, continuando a mangiarle con vigore, e lui rise.
Il fatto che lui desse scarsa importanza alla gravità dell'avvenimento, o lasciasse intendere che per lui era così, non le dispiaceva. Non si sentiva mancata di rispetto o danneggiata nella sua sensibilità, anzi, cercava di risucchiare leggerezza dal punto di vista più spensierato di lui. C'era già lei ad appesantire sempre le situazioni e a vederle più gravi di quel che erano: se c'era qualcuno che si comportava all'opposto di lei e liquidava il tutto con un'alzata di spalle, le conveniva andargli allegramente dietro.
- Qualsiasi cosa ti provochi imbarazzo o dolore, preferirei che terminasse qui. Ti ringrazio delle tue belle parole, ma finiamo qui questi tristi discorsi e parliamo d'altro. Cosa fai nel weekend? - propose lui allegro, alzandosi per accendere la TV.
- C... cosa? - chiese lei stupefatta e ancora destabilizzata, non capendo se aveva sentito bene.
- Ahah, sto scherzando – ridacchiò lui, anche se in modo un po' troppo ambiguo per i gusti di Shiho. - Vorrei però davvero parlare di qualcos'altro. -
- Tipo... di cosa? - chiese timidamente lei con le patatine in bocca, non sapendo di cosa potesse parlare con un ragazzo che conosceva così poco.
Ma soprattutto, ora che aveva fatto il suo bel discorso, non era forse il caso di alzarsi e levare le tende? Non capiva perché fosse ancora seduta su quel divano a bere birra e mangiare.
- Tipo di questo film. L'hai mai visto? - chiese lui, fermando lo zapping su un canale preciso.
- Ascolta, non vorrei rubarti altro temp... -
- Dimmi almeno se l'hai visto – insisté Rei.
Con un sospiro e un particolare batticuore, Shiho guardò lo schermo e vide delle immagini a lei sconosciute.
- Si chiama “Entrampment”, è un film di spionaggio di fine anni '90 davvero avvincente. Ti va di guardarlo? -
- Di guardarlo... nel senso... adesso? Con me? - chiese lei confusa.
Rei si guardò attorno, sollevando le sopracciglia. - Non so, tu vedi qualcun altro? A parte il tuo amico immaginario? -
- Lascia stare i miei amici immaginari... -
- Uh, sono più di uno? -
- Qualunque numero tu possa pensare, loro sono sempre di più. -
Lui rise, apprezzando quel tipo di tetro umorismo e pensando che lei lo esercitasse con una certa classe. - Appunto. Sì, Shiho, mi riferisco a te. - disse sorridendo e guardandola, in attesa di una sua reazione e/o risposta. Shiho si schiarì la gola e abbassò lo sguardo, trovando un po' di difficoltà nel guardarlo in viso.
Adesso che si era tolta quel grande peso di dosso e gli aveva detto ciò che doveva, si sentiva leggera e abbastanza euforica. Quel pensiero l'aveva appesantita per tutta la settimana da quando le era tornato in mente, ed era stato un vero sollievo rivelarglielo ed ottenere addirittura un riscontro così positivo da parte sua. E poi stava ripensando a poco prima, al gesto che aveva fatto per assicurarle che lui ricordava tutto: senza servirsi di parole, solo mani e movimenti, gli stessi che aveva fatto lei anni prima. Una scelta davvero sottile e anche molto empatica.
Già.
In ogni caso, Shiho si scoprì incline a farsi trascinare volentieri dal sereno stato d'animo in cui versava in quel momento. Esattamente come quando si lasciava trascinare da negatività infusa, per fortuna le capitava anche il contrario. A quanto pareva.
Alzò lo sguardo su di lui, ancora in attesa. Si ficcò una patatina in bocca e annuì, scucendo un sorriso che, per quanto lei l'avesse completamente ignorato, demolì il cuore di Rei.
- Sì, va bene. Mi piace guardare film mai visti. Ma se per caso non mi piacesse, mettiamo su “I love shopping”. -
- Guarda, sono certo che arriveremo ai titoli di coda. - affermò lui assottigliando gli occhi, come se avesse accettato una terribile sfida.
Lei sorrise ancora e lui di nuovo perse un fiato. Se andava avanti così tutta la sera avrebbero dovuto attaccargli una bombola d'ossigeno da sub.
E così quella che doveva essere una conversazione toccata e fuga, piena di timori e dubbi e ricordi oscuri, si era trasformata in una serata film alla velocità della luce. Come era potuto accadere, Shiho ne ignorava le occulte dinamiche. Alle volte determinate persone potevano renderlo possibile, e lo imparò quella sera. Le sembrava un po' di essere ad un appuntamento al buio, anche se naturalmente le premesse non erano quelle – qualunque cosa fosse, sperava andasse bene.
Qualunque cosa fosse quel calore che a tratti le si addensava nel petto, quando lui le si sedeva accanto o le offriva qualcosa senza aspettarsi nulla in cambio, o qualunque fosse la natura della luce che lui conteneva negli occhi quando la guardava, sperava fosse qualcosa di buono.










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Io parto sempre con l'idea di fare delle shot brevi e concise, gente. Lo giuro, non so come altro spiegarlo se non giurandolo. Ma poi escono le pappardelle, e perciò ringrazio chi ha avuto la voglia di arrivare fino a qui ç___ç
Allora, mi sembra chiaro che in questa shot ho stravolto tutto ciò che si poteva stravolgere in virtù di un filone narrativo che altrimenti veniva complicato: i tempi, prima di tutto; la relazione esistente o meno tra Amuro e Shiho ai tempi dell'Org, visto poi il loro incontro sul Bell Tree Express e quello che si dicono (Shiho non era Shiho, ma le parole di Amuro erano dirette a lei); e poi la faccenda di Elena, ma su questo pare ci siano pochi dubbi. Come per altre volte, però, mi interessava mostrare altri fattori nella shot :)
Spero che nel complesso vi sia piaciuta. Questi due personaggi sono molto particolari immaginati in una ship, soprattutto perché, correggetemi se sbaglio, sono oggettivamente belli se considerati potenzialmente come coppia. Gosho è un gran mandrillone, è inutile che si nasconda dietro a casi impossibili e teste mozzate, appena scorgerà il momento adatto farà fare cose ad alcuni suoi personaggi mancanti; Ai/Shiho è un personaggio che non può permettersi di lasciare senza accompagnatore, visto che sta accoppiando pure i ciottoli della strada di fronte l'agenzia investigativa. Sa bene che Ai con qualcuno ci deve finire e siccome Shinichi non potrà mai andare bene non gli rimane che trovare qualcun altro: diciamo che tra le scelte possibili, si può pensare che Rei ne esca vincitore. Oppure lascia crescere Mitsuhiko e ciao, ma sinceramente come posso dire, spero di no.
La scelta di questo pairing per la raccolta è avvenuta in seguito alla corrente che da poco si è formata nel fandom (sempre più utenti scrivono a riguardo) e perché sapete che se posso cerco di seguire i vostri consigli; e a questo proposito voglio ringraziare la carissima _Violetta (cuori <3) che, dopo diverse chiacchierate, mi ha suggerito di provare a shottare questo pairing di cui lei è piuttosto esperta... anzi, molto esperta – così come LadySherlock, che ugualmente me l'ha suggerita poco dopo e che ugualmente ci scrive sopra. Lo stesso suggerimento è arrivato poi da altri, quindi tirando le somme l'unica non esperta sono io e OOOLLLE'! D:
E grazie, grazie come sempre a tutti voi che commentate e leggete! <3 Vi aspetto anche qui, eh! A prestissimo!!! 

  
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