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Autore: Lucius Etruscus    23/09/2017    0 recensioni
Libera reinterpretazione del mitico film "I sette samurai" (1954) di Akira Kurosawa - plagiato poi per "I magnifici sette" (1960) di John Sturges - ma con i Predator al posto dei samurai. Una storia inedita ma con personaggi che strizzano l'occhio ai Predator visti in film, fumetti e videogiochi.
Un pianeta sperduto, una colonia umana aggredita da spietati Bad Blood. L'unica speranza per gli umani: sette guerrieri senza onore...
Genere: Azione, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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L’esplosione del primo candelotto di dinamite fu il segnale che tutto era giunto a compimento. Non c’era più tempo per i ripensamenti e i ragionamenti, per i pianti e per i rimpianti. L’attacco finale era appena iniziato e al di là di come sarebbe finito, ciò che importava era proprio questo: che tutto sarebbe finito. Quel suono esplosivo significava che erano tutti tornati Blooded Warrior, guerrieri onorevoli, in quanto stavano per affrontare con coraggio e sprezzo del pericolo un nemico palesemente superiore in ogni aspetto.

Erano belle parole da rigirarsi nella mente, ma non potevano nulla contro il terrore più nero.

Machiko aveva spiegato con calma e pazienza ai coloni che ad un tempo prestabilito avrebbero dovuto accendere quei candelotti di dinamite e iniziare a lanciarli ad intervalli crescenti: prima dieci secondi, poi trenta, poi un minuto e via così. Serviva a destabilizzare il nemico, per non far capire quando sarebbe arrivata la prossima esplosione, creando momenti di panico preziosissimi per poter intervenire di sorpresa.

C’erano pochissimi candelotti, l’attacco finto non sarebbe durato molto, ma era più che sufficiente per sferrare un attacco mortale ai Bad Blood.

Achab guidò la silenziosa camminata per arginare la colonia, così da attaccare dalla parte opposta da dove sarebbero arrivate le esplosioni e prendere i Bad Blood alle spalle. Non se la sentì però di dare ordini: ognuno sapeva già che avrebbe dovuto sgattaiolare il più silenziosamente possibile alle spalle dei nemici distratti per poi ucciderli, possibilmente in modo veloce: se perdevano l’effetto sorpresa o riuscivano solo a ferire il nemico di turno, erano in pratica già morti.

Erano passati dalla jeep per fare il carico di armi. Nessuno credeva che sarebbero vissuti così tanto da tornare indietro a ricaricare, quindi cercarono tutti di dotarsi il più possibile. Solo City Hunter non prese nulla. «Ho già addosso tutto quello che mi serve», disse. «Armi Yautja che mi hanno accompagnato per tutta la vita: non ho bisogno d’altro.»

Machiko si tenne a tracolla il fucile che aveva usato finora, sebbene con rassegnazione avesse notato che non c’erano altre munizioni: le rimaneva un colpo, ma era sempre un colpo in più rispetto allo zero. Si infilò le due piccole pistole Glock dietro la cintura e prese un fucile M16. Un classico, nella caccia al Predator: non era mai servito, ma solo perché chi lo aveva usato non sapeva dove colpire.

«Tu non prendi niente?» chiese la donna rivolta a Scar, che se ne rimaneva immobile a fissare il magro arsenale.

«Non so usare le armi Yautja, figuriamoci quelle umane», bisbigliò Scar, dal volto scuro. «L’unica arma che finora ho saputo usare è questa», e mostrò il suo lungo coltello. «Tante vale continuare ad usarla.»

Finito di armarsi, tutti procedettero in silenzio e rapidamente, non avendo molto tempo prima dell’inizio dell’operazione. Falconer avrebbe voluto assicurarsi che la strada fosse libera ma ormai il suo drone era inservibile: prese un Kalashnikov più per scena che per altro. Il suo cuore si era fermato quando aveva dovuto abbandonare il suo amato e inseparabile drone, del resto ormai gli importava poco. Aveva approfittato dell’occasione di tornare un guerriero onorevole senza molto sforzo e l’aveva presa: l’unico impegno che gli si richiedeva era morire, e per far questo un’arma o un’altra poco importava.

Il gruppo entrò guardingo nella colonia stupendosi che non ci fossero sentinelle. In fondo i Bad Blood non si aspettavano visite ed anzi si stavano preparando a partire, quindi in fondo era logico che l’accesso fosse sguarnito.

Machiko aveva dato l’ordine di separarsi e procedere ognuno in una direzione diversa, così da risultare più difficile dare nell’occhio: dovevano trovare Bad Blood isolati e, appena iniziate le esplosioni, ucciderli. Uno per uno. Detta così sembrava facile...

Si addentrarono nella colonia in silenzio, infilandosi fra la vegetazione e le case, muovendosi lentamente e guardando ovunque. Sembrava una città fantasma ma l’importante era assicurarsi di procedere senza lasciarsi nemici alle spalle. Machiko chiudeva il gruppo, come ai vecchi tempi. Ai tempi in cui andava a caccia con il Maestro Dachande. Ai tempi in cui era una guerriera onorevole. Quella sensazione di adrenalina e sangue gli era maledettamente mancata...

La donna guardava l’orologio che aveva sincronizzato con il colono: mancavano pochi secondi all’inizio della fine. Quando finalmente la sua inutile e umiliante vita umana sarebbe finita... e sarebbe iniziata la sua fama Yautja...

«E tu chi cazzo sei?»

Il sangue le si gelò nelle vene. Nel momento più importante della sua vita... si era distratta...

Non aveva visto nessuno in giro e per quegli ultimi secondi era rimasta allo scoperto, a guardare la colonia e a pensare alla sua fama Yautja. E da un cespuglio alla sua destra era fuoriuscito un Bad Blood: forse era una sentinella distratta o qualcos’altro, poco importava. Importava che mancavano ancora quattro secondi all’inizio del piano e non poteva attirare l’attenzione prima del tempo..

quattro secondi

Machiko lanciò il suo M16 addosso allo Yautja che, sorpreso e confuso, lo afferrò, come a parare un colpo.

Era proprio quello su cui contava la donna, che scattò in avanti.

tre secondi

Si lanciò verso il Bad Blood prima che questi, con le mani ancora occupate dall’arma, potesse reagire. Con mosse rapide si arrampicò sul busto dello Yautja fino a stringergli i fianchi con le cosce, in una tecnica che non proveniva certo dal Maestro Dachande bensì dallo studio delle arti marziali asiatiche terrestri.

due secondi

Il Bad Blood lasciò cadere l’M16 e si preparava a strapparsi di dosso la donna, ma Machiko aveva già estratto le Glock e le aveva posizionate ai due lati del collo del Predator proprio sotto la mandibola. Schiacciò il grilletto di entrambe le pistole.

un secondo

La dura pelle dello Yautja e la sua massa cerebrale fecero da silenziatore alle Glock, mentre i rispettivi proiettili squarciavano il cranio del Bad Blood. Un doppio tonfo sordo fu tutto ciò che si udì, e Machiko sperò che gli altri fossero troppo lontani per averlo notato.

La prima esplosione dalla miniera cancellò ogni altra esitazione.

~

Caso volle che Wolf stesse guardando in direzione della miniera quando avvenne la prima esplosione. Non aveva altro da fare, mentre i suoi uomini preparavano la nave per il ritorno.

Guardo quella deflagrazione, quella fiamma e quel fumo con uno stupore profondo: ogni dubbio finalmente lo abbandonò. Non sapeva se ci fosse Celtic, dietro, ma ora alla fine l’attacco temuto era arrivato aveva finalmente modo di entrare in azione. E Wolf amava l’azione.

Imperversava da molti anni per l’universo, depredando pianetini poveri ma pieni di occasioni per divertirsi. Ne aveva di esperienza, così tanta da sapere che i Colonial Marines non lanciano bombe a caso, quando attaccano: chiunque ci fosse in quella miniera, era talmente più debole di lui da dover fare la “voce grossa” con ridicole esplosioni fuori portata.

«Guardatevi le spalle!» gridò il grosso Yautja ai suoi uomini, sparsi per la colonia.

~

Dopo il fragore dell’esplosione Achab sentì in lontananza una voce potente cominciare ad impartire ordini: sicuramente era Wolf, e una scarica di adrenalina mista a terrore gli irrorò ogni ganglio nervoso.

Si spinse in avanti più velocemente, visto che finora quella parte di colonia sembrava deserta. Girato l’angolo di una casa vide la schiena di un Bad Blood che stava fermo in mezzo alla strada, a fissare in direzione della miniera lontana: il piano di Machiko funziona, pensò Achab.

Si avvicinò lentamente sentendo tremare ogni centimetro del suo corpo, finché reputò che non sarebbe riuscito ad andare oltre senza fare rumore, alzò il corto fucile che aveva scelto, lo puntò alla nuca dello Yautja e sparò. Aveva scelto il fucile a pompa perché le sue munizioni erano racchiuse in cartucciere di cuoio da tenere a tracolla, non certo perché conoscesse la forza dell’arma. Quando vide la testa del nemico aprirsi in due, sventrata dall’esplosione ravvicinata, il terrore sembrò diminuire di molto: se fosse stato sempre così facile, c’era addirittura la possibilità di uscire vivi da quella missione.

~

Jungle non aveva più aperto bocca da quando erano nella miniera: il terrore glielo impediva. Un terrore che l’aveva gettato nello sconforto e nel panico, anche se non voleva darlo a vedere ai suoi compagni. Avrebbe scommesso sarebbero stati altri a cedere prima di lui, vista la sua esperienza maggiore, e invece gli altri andavano avanti mentre lui era finito. Continuava a camminare e si atteneva al piano, ma sapeva benissimo di non avere più il controllo di sé: si muoveva in automatico in attesa della morte.

La vegetazione che aveva davanti gli si sovrapponeva al ricordo della giungla in cui uno stupido umano aveva avuto la meglio su di lui. Ritornò il terrore, ritornò lo sconforto di aver perso, l’umiliazione, la vergogna, la sconcia paura della morte, volgare per definizione. Aveva nascosto tutto dentro, aveva fatto finta di niente per tutti quegli anni ma era tutto lì: ed ora era salito a galla.

Jungle stringeva uno dei fucili rubati ai Bad Blood di Celtic ma neanche se ne rendeva conto, e si aggirava fra le case dei coloni alla ricerca di un unico obiettivo: trovare chi finalmente mettesse fine a quel dolore. Il dolore di aver fallito miseramente la ricerca di gloria e onore, il dolore di aver voglia di scappare e di non farlo unicamente perché non aveva alcun mezzo per sottrarsi al suo destino. Il dolore di vergognarsi così tanto di se stesso.

Quando si ritrovò d’improvviso faccia a faccia uno Yautja, sorpreso, una strana calma avvolse Jungle. Finalmente era finita.

Il Bad Blood era confuso, sentiva delle esplosioni lontane e si aspettava l’arrivo di umani, coloni o militari: invece davanti a lui c’era uno Yautja. Non lo conosceva, ma non poteva essere una nemico. O sì? Attimi preziosi di esitazione che permisero a Jungle di alzare il fucile e sparare.

Non lo fece convinto, in fondo addirittura voleva mancarlo perché così il Bad Blood lo uccidesse e tutta questa orribile vicenda sarebbe finita. Infatti il colpo non fece altro che ferire il braccio del nemico.

Un fiotto di sangue verde acceso fuoriuscì dalla ferita ma il Bad Blood sembrò addirittura non accorgersene. Jungle guardò gli occhi furiosi del nemico mentre questi prendeva lo slancio, e rimase inerme aspettando la morte, che sperò fosse veloce. Almeno un’ultima grazia alla fine di quella ferita vergognosa che era stata la sua vita.

Il Bad Blood era già saltato quando una lama ne bloccò lo slancio: la lama di Scar che si conficcò nel ventre del nemico distratto. Quest’ultimo incespicò ed urlò dal dolore. «Forza, aiutami!» gridò Scar a Jungle.

Quest’ultimo era raggelato a guardare il giovane amico che, inchinato, premeva con forza la sua lama nel ventre del Bad Blood, che cominciava a spillare sangue fosforescente ovunque. Il nemico gridava, non era un’azione pulita ed altri avrebbero sentito tutto: non cera tempo di riflettere. Jungle alzò il fucile e lo puntò alla testa del Bad Blood. Fece fuoco e questa scomparve, lasciando membra sconquassate da convulsioni. E sangue verde dappertutto.

Crollato il corpo a terra, Scar estrasse la lama e la pulì sul cadavere. «Non un bel lavoro ma almeno è uno in meno, no?» disse rialzandosi e sorridendo. Ma ciò che vide fu solo Jungle con gli occhi fissi nel vuoto. «Ehi, che hai? Sei ferito?»

Jungle, con il volto ricoperto di sangue, roteò lentamente gli occhi e li fermò guardando Scar. «Ho... capito...» bisbigliò.

«Come? Cosa hai detto...?»

Ma ormai Jungle non c’era più: aveva iniziato una corsa disperata e scomposta fuori dalla colonia.

~

Falconer sentiva rumori strani e terribili. Rumori di morte.

Avanzava lentamente tenendo puntata davanti a sé la sua arma, senza in realtà sapere molto del suo funzionamento. Procedeva quasi come un sonnambulo finché non vide in lontananza un paio di Bad Blood: prima di avere l’istinto di nascondersi per avvicinarsi di più, non visto, quelli si girarono verso di lui. Era finita. Tanto valeva premere il grilletto.

Partì una rumorosissima raffica di proiettili che cominciò a colpire qualsiasi cosa nelle vicinanze, e dopo qualche secondo Falconer capì che il Kalashnikov non era un’arma di precisione e che gli era impossibile controllarlo.

Il suo corpo tremava ed ondeggiava, mentre la forza dell’arma a ripetizione lo scuoteva con forza, finché d’un tratto tutto si placò. Il suo corpo non fremette più. Né toccava più terra.

Come in un sogno, Falconer vide davanti a sé il mondo sfrigolare mentre sentiva il suo collo stringersi. Avvicinatosi con attiva la propria invisibilità, ora Wolf gli si materializzò davanti agli occhi, mentre lo teneva sollevato da terra. L’imponente Yautja aveva indosso la maschera ma bastava il fiammeggiare dei suoi occhi per incutere terrore.

Wolf afferrò la mano di Falconer che teneva l’arma e la strinse. La strinse lentamente ma inesorabilmente finché non fu completamente maciullata.

Falconer non poteva gridare, aveva il collo saldamente stretto dalle possenti mani di Wolf, quindi poteva limitarsi a mugolare disperatamente.

Wolf si avvicinò al suo volto. «Posso distruggerti ogni osso del corpo o posso darti una morte rapida, tutto dipende se rispondi a questa domanda: quanti guerrieri siete?»

Falconer aveva dato più di quanto fosse in grado di dare, quindi non aveva senso continuare. «Cinque» gorgogliò.

Wolf annuì soddisfatto, e rispose: «No... quattro.» E spezzò il collo a Falconer. In altre occasioni non sarebbe stato così magnanimo, né si sarebbe sentito in dovere di mantenere un patto con una vittima, ma non aveva tempo.

L’ultimo pensiero di Falconer prima di morire fu di soddisfazione per la risposta data. Gli aveva fornito il numero dei guerrieri... non il numero totale.

~

Machiko non riusciva a ritrovare la concentrazione: come aveva potuto distrarsi così? Proprio nel momento più importante della sua...

Un fruscio violento la fece voltare di scatto e stava già per sparare, quando riconobbe all’ultimo secondo Jungle. «Dove cazzo vai?» gli gridò dietro, ma lo Yautja era ormai già lontano: aveva abbandonato la colonia.

Non stava andando come sperato, si disse la donna.

~

«Ho finito, ho lanciato l’ultimo candelotto. Ora non ci resta che pregare

I coloni si stringevano fra di loro mentre lanciavano idee sul da farsi. «Che bisogno c’era di stuzzicare quei mostri? Avete visto, stavano partendo, bastava aspettare

«Proprio così ci siamo messi nei guai: abbiamo aspettato e a momenti facevamo la fine di quegli altri. Non ti bastano tutti i morti che abbiamo avuto?»

«Ora che si fa?»

«Ovvio, aspettiamo che si ammazzino fra di loro poi raggiungiamo la nostra nave e ce la filiamo

«Ma se...» tutti iniziarono a gridare alla visione di uno Yautja che li raggiungeva correndo.

«Calmi, calmi, è uno dei nostri», li tranquillizzò Bishop.

Jungle si avvicinò proprio al sintetico, gli batté una mano sulla spalla e gli gridò: «Tu, vieni con me.»

Lo trascinò fuori dalla miniera e lo portò alla jeep. «Ho visto che guidi bene, sai farlo aumentando la velocità?»

«Aumentandola quanto?»

«Sai cosa vuol dire fottere?»

Il sintetico lo guardò fisso. «In senso letterale o metaforico?»

Jungle gli calò di nuovo la mano sulla spalla. «Devi guidare questo giocattolo in modo fottutamente veloce, come se avessi qualcuno alle spalle che vuole fotterti.»

«Penso di poterlo fare», rispose Bishop senza espressione.

Jungle girò intorno alla jeep e cominciò ad armeggiare con degli attrezzi, velocemente ma in modo preciso, mentre continuava a bofonchiare «Ci ho messo anni... ci ho messo una vita... ma finalmente... ho capito...»

Bishop prese posto alla guida e rimase immobile. Solo quando Jungle finì di armeggiare alle sue spalle l’androide piegò leggermente la testa. «Posso chiedere cos’è che avresti capito, dopo tutto questo tempo?»

Con uno strappo secco Jungle scoprì la mitragliatrice che aveva appena montato su un treppiede nel retro della jeep, e gorgogliò profondamente: «Se può sanguinare... può essere ucciso!»

   
 
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