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Autore: FrancescaPotter    23/09/2017    0 recensioni
Long sugli ipotetici figli delle coppie principali di Shadowhunters (Clace, Jemma e Sizzy), ambientata circa vent'anni dopo gli avvenimenti di TDA e TWP. TWP non è ancora uscito al momento della pubblicazione, e nemmeno l'ultimo libro di TDA; questa storia contiene spoiler da tutti i libri della Clare fino a Lord of Shadows, Cronache dell'Accademia comprese.
Dal quarto capitolo:
"Will abbassò il braccio e distolse lo sguardo, ma lei gli prese delicatamente il polso. «Lo sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, vero?» gli chiese, morsicandosi inconsapevolmente il labbro inferiore. Era una cosa che faceva spesso e che faceva uscire Will di testa. «So che è George il tuo parabatai» continuò abbassando la voce, nonostante non ce ne fosse bisogno perché George era concentrato sul suo cibo e Cath stava leggendo qualcosa sul cellulare. «Ma puoi sempre contare su di me. Mi puoi dire tutto. Lo sai, vero?»
Will sospirò. «Lo so, posso dirti tutto».
Tranne che sono innamorato di te."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clarissa, Emma Carstairs, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Julian Blackthorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo sette – Due anni prima
 
Ricordava ancora le parole che George le aveva detto, le sentiva rimbombare nella sua mente anche a distanza di giorni, come un eco lontano: forse dovresti prestare più attenzione al modo in cui ti guarda.
Will.
Si riferiva al modo in cui Will la guardava. Avrebbe dovuto prestare più attenzione.
Rose non capiva, non capiva e si odiava perché non riusciva a capire. Significava forse che Will la vedeva come più di un’amica? Che era… innamorato di lei?
Rose e Will si conoscevano da tutta la vita. Will era nato a febbraio e Rose a ottobre: non aveva mai vissuto in un mondo senza di lui. Ma neanche senza George, che era nato a maggio. Anche lui aveva sempre fatto parte del loro gruppo, ma Rose non poteva negare di provare sentimenti diversi quando pensava all’uno e all’altro.
È normale, si disse decisa, ogni rapporto è unico, non puoi provare le stesse cose sia per George che per Will.
Quando pensava a George vedeva il fratello che non aveva mai avuto, che la prendeva in giro, ma che avrebbe spezzato le gambe a chiunque l’avesse fatta soffrire. Will, invece… che cos’era Will? Rose non riusciva a pensare a lui come a un fratello. Puoi pensare che tuo fratello sia il ragazzo più bello e gentile che tu abbia mai incontrato e che la persona della quale si innamorerà sarà la più fortunata sulla faccia della terra? No, decisamente no.
Ma questo non significava niente. E anche se avesse significato qualcosa, Rose era sempre stata convinta che Will non l’avrebbe mai vista come più di un’amica. Ma ora George le aveva mandato in cortocircuito il cervello: forse dovresti prestare più attenzione al modo in cui ti guarda.
Era successo esattamente una settimana prima: si stavano allenando a New York –Rose spesso si allenava all’Istituto assieme ai ragazzi- e lei e George si stavano esercitando con arco e frecce mentre Will tirava di spada con Marisol, la responsabile del loro addestramento.
«Quindi, Catherine?» aveva iniziato Rose. «Finalmente una ragazza che ti ruba il cuore».
George aveva incoccato una freccia nell’arco e preso la mira con un ghigno. «Nessuna avrà mai il mio cuore» aveva lasciato andare la freccia e fatto centro al primo tentativo.
Rose aveva incrociato le braccia al petto. «Hai dato buca a me e a Will almeno tre volte nell’ultimo mese per uscire con lei».
«Gelosa, Blackthorn?»
Rose aveva alzato le spalle e sventolato una mano per aria, come a scacciare un insetto fastidioso. «Forse. Anche se quello più geloso qua è sicuramente Will».
Rose stava scherzando. Lei e Will sarebbero stati solo contenti se George avesse smesso di uscire una sera sì e l’altra no per rimorchiare, costringendoli ad andare con lui.
George le aveva passato l’arco, improvvisamente serio. «Secondo me non gli dispiace passare più tempo da solo con te».
Le mani di Rose avevano iniziato a tremare e dovette serrarle a pugno per nasconderlo. «Cosa intendi dire?»
George aveva alzato le spalle, cercando il suo parabatai con lo sguardo. A Rose era sembrato incredibilmente stanco e triste, come se stesse portando un peso sulle spalle che pian piano lo stava schiacciando al suolo. «Dico solo che forse dovresti prestare più attenzione al modo in cui ti guarda».
Rose non aveva fatto in tempo a rispondere perché Will stesso li aveva raggiunti con il suo solito sorriso stampato sulle labbra e il discorso era caduto, ma era bastata quella semplice frase per mandarla in confusione.
Ovviamente aveva chiesto a George che cosa intendesse, ma lui l’aveva liquidata velocemente, affermando di non ricordare esattamente di che cosa stesse parlando e che probabilmente stava solo blaterando a vanvera.
Ma ormai il danno era fatto e Rose non poteva cancellare dalla sua mente ciò che aveva sentito. Perciò fece ciò che le veniva meglio: seguì le istruzioni, seguì il consiglio di George, e iniziò a prestare più attenzione del solito a Will.
In quella settimana aveva iniziato a tenere una sorta di diario nel quale annotava i suoi comportamenti. La cosa però le aveva preso un po’ troppo la mano, perché si era ritrovata a fissarlo in modo così insistente che lui se n’era accorto e le aveva chiesto se per caso avesse qualcosa sul viso.
Rose aveva persino cercato su Google come fare a capire se un ragazzo è interessato a te –sentendosi molto stupida e senza risultati soddisfacenti.
Aveva concluso che il comportamento di Will era sempre lo stesso, lo stesso che aveva sin da quando erano bambini, e Rose riteneva molto improbabile che lui fosse innamorato di lei quando aveva otto anni.
Rose si gettò sul letto a pancia in giù, seppellendo la testa nel cuscino e ponderando l’idea di chiedere consiglio a sua madre. Sì, era abbastanza disperata e non aveva amiche femmine, a parte le sue cugine che avrebbero sicuramente fatto la spia. L’unica persona con la quale poteva parlarne era George, ma se si sentiva così confusa era solo colpa sua ed era chiaro che non fosse intenzionato ad aiutarla.
Quella sera sarebbero andati in un locale di Beverly Hills, lei, George e Will. Era stata riportata una strana attività demoniaca nella zona, in particolare nei pressi dei night club più popolari: i demoni erano attratti dai mondani ubriachi. George aveva colto la palla al balzo, proponendo di passare una serata in compagnia tenendo gli occhi aperti nel caso avessero visto qualcosa di sospetto.
Suo padre le aveva raccomandato, come ogni volta che usciva, di non bere nulla, di non interagire con i mondani e di stare attenta a eventuali demoni. Rose aveva ascoltato tutto annuendo e alzando gli occhi al cielo perché suo padre si preoccupava troppo e le ripeteva sempre le stesse cose; non era più una bambina, aveva sedici anni ormai, era quasi un’adulta e sapeva badare a se stessa.
Si alzò controvoglia dal letto e prese un top nero con i brillantini e una lunga gonna viola scuro che aveva comprato in saldo in un negozio poco lontano dall’Istituto, così che i marchi sulle sue gambe non fossero visibili.
Si raccolse i capelli con delle forcine di ferro e nascose un paio di pugnali negli stivali. Indossò dei braccialetti che in realtà erano chakram e per finire si coprì con del fondotinta la runa della chiaroveggenza sulla mano sinistra. Sapeva che i mondani avrebbero fissato le sue cicatrici e che si sarebbero chiesti come una ragazza così giovane potesse avere una pelle tanto rovinata. Rose spesso si era ritrovata ad osservare le ragazze mondane prendere il sole sulla spiaggia invidiando la loro pelle liscia e splendente, immacolata, senza neppure un graffio. Ma Rose era una Shadowhunter ed era consapevole che quelle cicatrici dovevano essere motivo di orgoglio e non di vergogna.
Scese le scale di corsa, sapendo di essere in ritardo e cercando di non cadere per via dei tacchi. Nell’atrio Will e George stavano chiacchierano con i suoi genitori, che le davano le spalle. Will fu il primo a notarla; quando la vide sbatté gli occhi per un attimo, come se non la riconoscesse e la vedesse per la prima volta.
Forse dovresti prestare più attenzione al modo in cui ti guarda.
Se lo stava immaginando? E ammesso che davvero la stesse guardando in quel modo, cosa significava? Forse era solo sorpreso di vederla indossare una gonna…
«Wow, Rose» sussurrò Will quando li raggiunse. Aveva parlato a bassa voce, così che solo lei e forse George potessero sentire.
Rose temette di morire.
O mio Dio, pensò. O mio Dio.
Fu salvata da Catherine. Non l’aveva notata mentre scendeva le scale perché era talmente piccola –sarà stata alta a mala pena un metro e sessanta, pensò Rose- che era rimasta nascosta dalla figura di Julian. Indossava un vestito blu scuro con le maniche lunghe che le arrivava alle caviglie e che le copriva tutti i marchi e le cicatrici che le decoravano la pelle.
«Tu devi essere Rose» le disse con un leggero accento francese. «Sono Catherine Bellefleur, ma tutti mi chiamano Cath».
Aveva pronunciato il suo nome alla francese, Catrìn. Le tese una mano con un sorriso e Rose gliela strinse, contenta di fare finalmente la sua conoscenza. «Rose Blackthorn in carne ed ossa. Qualunque cosa George ti abbia detto su di me, non è vera».
Cath rise come se quello che Rose aveva appena detto fosse davvero divertente. Aveva una risata dolce e sincera, come quella dei bambini. Sembrava quasi sua cugina Olivia perché, come lei, aveva i capelli biondo chiaro e dei lineamenti così delicati che Rose dovette trattenersi dal chiederle se nella sua famiglia ci fosse del sangue di fata.
Rose non si sarebbe mai aspettata una ragazza tanto carina; credeva che George avrebbe perso la testa per una ragazza alta, formosa, con i capelli colorati e la faccia di una che ti avrebbe staccato le dita dei piedi se l’avessi fatta arrabbiare. Cath non era niente di queste cose, ma George la guardava con una tenerezza con cui Rose non gli aveva mai visto guardare nessun’altra.
«Mi raccomando» disse Emma. «Non fate niente che io non farei».
«Non fate niente che io non farei» la corresse Julian con un sospiro. «Sei abbastanza sprovveduta, Em».
«Tranquilli» li rassicurò Will. «Siamo persone responsabili».
Emma alzò un sopracciglio nella sua direzione. «Sei il figlio di Jace Herondale. Non ci credo neppure se lo vedo, che sei responsabile».
Will si portò una mano al petto con un ghigno. «Così mi ferisci».
«Lo sappiamo che il più responsabile sono io» disse George, e tutti, Julian compreso, scoppiarono a ridere.
Rose non avrebbe mai definito George responsabile e se avesse dovuto associargli un colore, quello sarebbe stato il nero, non solo per i suoi capelli e occhi scuri come la pece, ma anche perché quando non indossava la divisa da combattimento si vestiva comunque di quel colore. Credeva che gli desse un’aria misteriosa e Rose e Will lo avevano preso in giro più volte per questa sua fissa.
«La più responsabile è Rose» decise Emma, passandole un braccio attorno alle spalle. «È mia figlia, ma è anche figlia di Julian, deve per forza essere responsabile».
Rose se la scrollò di dosso imbarazzata e lanciò un’occhiata di sottecchi a Will, che sembrava si stesse divertendo.
Indossava una camicia azzurro chiaro e un paio di pantaloni scuri che mettevano in risalto la sua figura slanciata. Non era alto quanto George, che raggiungeva il metro e novanta, ma superava Rose di almeno dieci centimetri così che lei dovesse comunque alzare un po’ il capo per poterlo guardare negli occhi. Si era tirato indietro i capelli biondi, di una tonalità più scura rispetto a quelli di Emma, e il suo viso risplendeva limpido nella semioscurità dell’ingresso dell’istituto.
Era così bello che Rose avrebbe passato la sua vita a ritrarlo, se solo avesse saputo disegnare. Ma quello bravo a disegnare era proprio Will, non lei che non sapeva neppure da che parte prendere in mano una matita.
«In realtà, scoprirete che la più responsabile è Catherine, nonostante sia la più piccola» disse George, pronunciando il nome della ragazza all’inglese e facendole alzare gli occhi al cielo.
Cath aveva quindici anni e si era appena trasferita con il padre dalla Francia in un appartamento a Brooklyn, quindi spesso si allenava nella palestra dell’Istituto di New York. Rose però non aveva mai avuto occasione di conoscerla prima di quel momento, quindi non poteva giudicare il suo livello di responsabilità. Non si fidava molto di George sotto quel punto di vista, ma Cath sembrava a posto.
Salutarono Julian e Emma e uscirono. Fuori soffiava un leggero vento; stava pian piano calando la sera e il sole era ormai tramontato oltre l’orizzonte.
Rose aprì la sua macchina, una Toyota vecchissima che era appartenuta ai suoi genitori quando erano giovani e che ora avevano lasciato a lei, e si mise al volante.
«Non ho capito perché devi sempre guidare tu» le disse George.
«Ehm». Rose fece finta di pensarci. «Forse perché sono l’unica che sa guidare?»
«È così ingiusto che a New York non abbiamo una macchina». Will prese posto al sedile del passeggero, mentre George e Cath si sedettero dietro di loro.
«Con tutto il traffico che c’è a New York sarebbe inutile, è molto più comoda la metro» fece notare Cath ragionevolmente.
«Non può essere così difficile guidare» continuò George mentre Rose metteva in marcia e premeva l’acceleratore.
«Una volta che hai imparato non lo è» spiegò Rose. «Ma non ti farei toccare la mia macchina nemmeno in cambio di un computer quantistico».
«Ma se è un rottame!» protestò George.
«Vero». Rose si voltò velocemente per lanciargli un’occhiata seria. «Ma è il mio rottame».
Will ridacchiò piano al suo fianco e il cuore di Rose fece una capriola. Strinse le mani attorno al volante per darsi una calmata e concentrò la propria attenzione sulla strada davanti a sé.
Era vero, la macchina era vecchia, ma era sua. Aveva imparato a guidare con quella macchina e la trattava come se fosse il suo animale domestico, dato che non ne aveva nessuno.
A parte Church ovviamente, ma lei non gli era mai piaciuta più di tanto, quindi si rifiutava di prenderlo in considerazione.
Raggiunsero il night club nel giro di mezz’ora. Era un locale vicino all’oceano, piuttosto popolare tra i giovani perché la sicurezza all’entrata non era molto selettiva.
«Rune» disse Will, scendendo dalla macchina. «Meglio essere prudenti».
Passò lo stilo a George, che iniziò a disegnargli dei marchi sotto le maniche della camicia: una runa applicata dal tuo parabatai era più potente. Rose sospirò, aveva sempre voluto un parabatai, ma non aveva ancora trovato la persona giusta.
Vide Cath scarabocchiarsi un paio di marchi sulla caviglia e tornò alla realtà. Cercò distrattamente il proprio stilo nelle tasche della gonna, ma queste erano vuote fatta eccezione per il cellulare.
Non fece in tempo a chiedersi dove diavolo lo avesse cacciato che sentì la mano di Will sul braccio. «Hai bisogno di qualche runa?»  
Alzò il capo per guardarlo negli occhi. Non era sicura di riuscire a formulare una risposta di senso compiuto, quindi si limitò ad annuire e a voltarsi, mostrandogli la schiena. Will spostò la mano dal suo braccio alla spalla e Rose sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale.
Will le scostò il top di lato, e le poggiò lo stilo sulla scapola. «Velocità» sussurrò mentre disegnava. «Precisione». Rose sospirò, ogni sua terminazione nervosa era diventata ipersensibile.
«Agilità». Il respiro di Will sulla pelle nuda era un dolce tormento che la stava facendo uscire di testa. Desiderava che la attirasse a sé, voleva abbracciarlo, sentirlo vicino, seppellire le mani nei suoi capelli. Voleva toccarlo a sua volta e… e che cavolo, Rose!
«Non trovo il mio stilo» disse con voce sottile per cercare di non pensare alle mani di Will sul suo corpo. «Dev’essermi caduto in macchina».
«O magari lo hai dimenticato» disse Will. La sua voce era roca. Se la schiarì prima di parlare di nuovo. «Non sarebbe la prima volta». Rose lo sentì spostare lo stilo sull’altra scapola. «Hai bisogno anche di vista notturna e forza, ma non ho più spazio» disse poi, una volta che ebbe tracciato l’ultima runa.
«Va bene così». Rose si volto in fretta verso di lui così da poterlo guardare in faccia.
«Non puoi andare là dentro senza vista notturna. Non è sicuro, è la runa più importante!» Fece un passo verso di lei e Rose trattenne il fiato. Li separavano solo pochi centimetri. «Lascia che te la disegni qui».
Le scostò di nuovo la maglietta di lato, ma questa volta le scoprì la spalla. Quando Will vide la spallina del reggiseno deglutì e la spostò delicatamente, per poi appoggiarle lo stilo sulla pelle. Rose sentì il familiare senso di bruciore che caratterizzava l’applicazione delle rune, ma questa volta era diverso: era come se stesse andando a fuoco. La mano di Will tremava leggermente, ma Rose credette di esserselo immaginato. Non era in grado di pensare lucidamente in quel momento.
Quando Will ebbe terminato, abbassò la mano e i loro occhi si incontrarono. Rose non distolse lo sguardo, non ce l’avrebbe fatta neanche se avesse voluto, e Will neppure.
«Ehi, è ora di…» urlò George, per poi bloccarsi non appena li vide così vicini. Will e Rose si allontanarono subito come se avessero preso la scossa. «… di andare» concluse George con voce più bassa.
Rose si azzardò a lanciare uno sguardo a Will, e il suo cuore sprofondò. Stava sorridendo al suo parabatai come se niente fosse, come se Rose si fosse immaginata tutto quello che era appena successo tra loro.
O forse… non era successo proprio niente tra loro. Forse lui non aveva provato niente e lei si era immaginata tutto.
Si incamminarono verso l’entrata della discoteca ma Rose si tenne un po’ distante dagli altri. Si sentiva frastornata, confusa.
«Adoro la tua gonna». Cath le si era avvicinata e la stava guardando con un piccolo sorriso stampato sulle labbra. «E i tuoi occhi, sono bellissimi».
Rose la osservò con la bocca leggermente aperta per qualche secondo prima di riprendersi e riuscire a far funzionare il cervello. «Grazie» disse, sinceramente sorpresa. Poi si affrettò ad aggiungere: «Anche il tuo vestito è molto bello, ti mette in risalto il colore dei capelli. Ho sempre desiderato avere i capelli biondi».
Cath passò le mani sulla stoffa blu del vestito e sospirò. «Grazie. Era di mia madre, è morta qualche anno fa».
«Oh». Rose non sapeva come comportarsi in certe situazioni: doveva metterle una mano sulla spalla? O forse era meglio di no, dato che si erano appena conosciute? «Mi dispiace per la tua perdita» si limitò a dire, sentendosi profondamente dispiaciuta per Cath. Sapeva che la vita che conducevano era una vita all’insegna del rischio, pericolosa, e che non era inusuale per uno Shadowhunter morire piuttosto giovane in battaglia, ma il solo pensiero di sua madre, o suo padre, o uno dei suoi zii morti le faceva venire voglia di urlare.
Cath alzò le spalle e fece per aggiungere qualcosa, ma avevano ormai raggiunto i ragazzi all’entrata del pub, dal quale proveniva un rumore assordante.
Rose si preparò psicologicamente a tornare a casa con il mal di testa quella notte. Non sopportava quando nei locali mettevano la musica a un volume troppo alto, al punto che non riuscivi neppure a sentire quello che qualcuno ti stava urlando nell’orecchio. Quella sera la musica era così forte che Rose a malapena riusciva a sentire i suoi pensieri, il che forse non era un male…
Il buttafuori li squadrò da capo a piedi, decidendo se farli entrare o meno. Non sembrava che avessero ventun anni, Rose lo sapeva, ma certamente potevano passare per diciottenni. Alla fine l’uomo decise di farli passare, stampò loro un simbolo sul dorso della mano e si spostò di lato.
Rose non era mai stata in quella discoteca. Era molto spaziosa e la pista da ballo era piena di ragazzi che si strusciavano gli uni sugli altri. Sul lato sinistro c’era una fila di divanetti e di tavolini bassi sui quali erano appoggiati dei bicchieri pieni di liquidi colorati. Tra la folla Rose individuò dei vampiri e anche un paio di stregoni al bancone, che occupava tutto il lato destro del posto.
«Nascosti» urlò Cath, assottigliando lo sguardo.
«Strano da parte loro frequentare un luogo pieno di mondani» commentò George.
«Dici?» fece Will, guardandosi attorno con curiosità. «Magari vogliono farlo diventare un ritrovo per Nascosti. Meglio tenere gli occhi aperti in ogni caso, non mi fido di vampiri ubriachi in presenza di ragazze umane altrettanto ubriache»
George prese Cath per mano e la portò sulla pista da ballo. Le diede un bacio sulla guancia e lei si mise a ridere, allacciandogli le braccia attorno al collo.
«Le piace davvero tanto, vero?» gridò Rose a Will, cercando di farsi sentire. «Cath, intendo».
Will annuì e le fece segno di seguirlo attraverso il locale.
Rose notò una ragazza con i capelli rossi che ballava assieme a un vampiro. Era umana e molto probabilmente non aveva idea che il ragazzo fosse una creatura sovrannaturale.
Will si fermò e per poco Rose non gli finì addosso. Si trovavano all’estremità opposta della pista da ballo, vicino al muro. Qui c’era un po’ più di spazio per respirare, nonostante fossero ancora circondati da ragazzi che si muovevano sulle note della musica.
«Hai visto anche tu quel vampiro?» le chiese Will scrutando la folla con attenzione.
«Sì» rispose Rose. «Ma sembrava a posto».
Will parve non sentirla. Si voltò verso di lei e la osservò con espressione seria, come se stesse combattendo una battaglia interiore. Rose gli sorrise, non capendo il suo cambio di umore e lui le mise la mano sul fianco come se non potesse farne a meno, come se non fosse padrone delle proprie azioni. Poi le passò lentamente la mano dal fianco alla schiena e la attirò a sé. I loro corpi si toccarono, incastrandosi alla perfezione, e Rose poté finalmente respirare. Poggiò la testa sulla spalla di Will e chiuse gli occhi. La musica era assordante, eppure, stretta tra le sue braccia, non si era mai sentita più tranquilla. Non stavano ballando, a mala pena si muovevano, ma a Rose non importava: per lei esisteva solo Will e si strinse a lui, aggrappandosi alle sue spalle, desiderosa di sentirlo più vicino.
«Rose». Rose sentì Will pronunciare il suo nome e sollevò il capo. «Io…»
Grazie agli stivali con il tacco solo pochi centimetri li separavano e Rose pensò che le sarebbe bastato muovere la testa leggermente verso l’alto per baciarlo.
Fece per avvicinarsi ancora di più, mossa da un istinto irrazionale che non le apparteneva, ma si bloccò quando vide con la coda dell’occhio la ragazza con i capelli rossi venir trascinata verso l’uscita di sicurezza da un ragazzo diverso dal vampiro con cui stava ballando prima.
Un demone, dedusse immediatamente. Le era bastato osservarlo per una frazione di secondo per rendersi conto che non si trattava di un umano.
Senza fermarsi a pensare, Rose si allontanò da Will e inseguì i due fuori dal locale. Sentì Will che la chiamava, ma non aveva tempo per fermarsi a spiegargli la situazione. La strada sul retro era deserta, fatta eccezione per qualche bidone della spazzatura maleodorante e un furgoncino bianco abbandonato.
Il demone era addosso alla ragazza, che giaceva al suolo priva di sensi. Rose tirò un calcio alla creatura e questa sibilò, mostrando il suo vero aspetto: pelle squamosa, denti aguzzi e occhi gialli come quelli di una serpe.
Rose prese un coltello dallo stivale e lo lanciò, ma il demone fu più veloce e lo schivò, gettandosi contro di lei. Rose si abbassò e si spostò di lato, afferrando un altro pugnale e conficcandolo nel dorso del demone, che morì e tornò alla sua dimensione originaria, non senza schizzarla di icore sul braccio.
Rose imprecò per il dolore. Il sangue demoniaco non era letale, ma poteva creare qualche danno permanente se ingerito e se non ripulito in fretta, e lei non aveva nemmeno con sé il suo stilo.
Si avvicinò alla ragazza dai capelli rossi e notò che aveva ripreso i sensi. Stava tremando e si guardava attorno confusa.
«Cos’è successo?» chiese.
«Niente» rispose subito Rose, inginocchiandosi accanto a lei per assicurarsi che non fosse ferita. «Volevi prendere una boccata d’aria e sei svenuta. Ora chiamiamo un taxi così puoi farti portare all’ospedale. Temo tu abbia battuto la testa».
La ragazza scosse il capo. «Sono qua con una mia amica».
«D’accordo». Rose le tese una mano e la aiutò a sollevarsi da terra. «Allora andiamo a cercarla».
«Sei ferita» le disse piano la ragazza guardando il braccio arrossato di Rose mentre si incamminavano verso la discoteca.
Rose, ancora vittima dell’adrenalina, non sentiva alcun dolore. «Non è niente» disse, aprendo la porta antipanico con una spalla.
All’interno, nulla sembrava essere cambiato, la gente continuava a ballare come se niente fosse e la musica continuava a rimbombare a livelli disumani.
«Naomi!» Una ragazza con la carnagione scura e una pelle così liscia da far invidia a Rose si precipitò verso di loro. «Ecco dov’eri finita, ti ho cercata dappertutto! Un attimo eri qui e quello dopo sei sparita».
Naomi si portò una mano allo stomaco intontita. «Mi viene da vomitare».
«Ha picchiato la testa» spiegò Rose. «Dovresti portarla all’ospedale».
L’altra ragazza annuì sconsolata e prese Naomi con sé, ringraziando Rose per averla aiutata.
Rose le osservò allontanarsi, poi si voltò e per poco non si sentì mancare la terra sotto ai piedi. A pochi passi da lei, dove prima aveva stretto Will come in un sogno, stava proprio lui, Will. Ma non era lei che stava abbracciando, era un’altra ragazza dalla pelle verde e i capelli azzurri che le arrivavano fino alla vita. Era bellissima, e Will doveva essere dello stesso avviso, perché la guardava come se fosse la cosa più meravigliosa che avesse mai visto. Le sussurrò qualcosa all’orecchio, per poi prenderle il viso tra le mani e baciarla.
Rose voleva chiudere gli occhi e scappare via, ma non riusciva a muoversi. Rimase lì, a guardare Will che baciava con trasporto un’altra ragazza e a soffrire come se le stessero strappando il cuore dal petto. Se lo meritava: era stata una stupida, solo una stupida avrebbe potuto pensare che Will Herondale fosse interessato a lei, e ora meritava di soffrire, meritava di affrontare la realtà, la realtà che lei, per Will, sarebbe sempre stata come una sorella.
Non piangere, si disse, non azzardarti a piangere. Non ne hai alcun diritto, è tutta colpa tua.
Will sussultò e spalancò gli occhi. Allontanò le mani dal volto della fata come se si fosse reso conto solo in quel momento di ciò che stava succedendo. Rose fece per scappare via, ma Will alzò il capo e i loro occhi si incontrarono. Will si allontanò dalla ragazza e si diresse verso di lei.
«Rose» disse con voce spezzata, ma Rose lo interruppe. Non voleva che lui fosse dispiaciuto per lei, non voleva che la compatisse.
«Wow» si costrinse a sorridergli e a fargli un cenno di incoraggiamento, cercando di non svenire. «Colpo grosso per te questa sera».
Non si era mai sentita così stupida in tutta la sua vita e non poteva permettergli di vedere quanto stesse soffrendo.
«No» disse lui, prendendola per le spalle come un disperato. «No no no, non hai capito».
«Will». Rose si mise a ridere, sperando di suonare convincente. «Hai baciato una ragazza, va tutto bene. Dovresti chiederle il numero».
Allontanò delicatamente le mani di lui da sé -non poteva sopportare che la toccasse, non quella sera- e sussultò a causa della ferita.
Will sbiancò. «Che ti è successo al braccio?» glielo afferrò, ignorando le sue proteste, e le disegnò un iratze all’interno del polso. Rose si liberò dalla sua stretta e rabbrividì: ciò che prima l’aveva fatta sentire così bene, ora le faceva venire voglia di gettarsi da una rupe.
«Te lo racconto dopo» disse, senza guardarlo in faccia. «Torna dalla tua fata, non vorrai farla aspettare».
Si girò in fretta e andò a cercare George e Cath, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra lei e Will. 

NOTE DELL'AUTRICE
Ahhhhh, chiedo venia per non aver aggiornato ieri! E' stata una giornata piuttosto impegnativa e mi è completamente passato di mente, scusate!
Ecco qui il nuovo capitolo comunque. <3 
E' un flashback di quanto successo due anni prima. George e Cath sono in quella fase in cui "okay, stiamo uscendo ma stiamo insieme o non stiamo insieme?" Si piacciono entrambi un sacco ma non hanno ancora DTR (Define The Relationship), per citare Clary, ahah. 
Will e Rose, be', che dire di quei due salami se non che sono due salami? Sono due salami, lo so. Comunque è per questo che Rose è convinta di non piacere a Will e che tra di loro non ci sarà mai nulla se non pura e semplice amicizia, ed è per questo che cerca fi farsi piacere qualcuno, tipo Logan.
Nulla, la smetto di blaterare e vi auguro un buon fine settimana!
A presto,

Francesca 
  
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