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Autore: Ode To Joy    23/09/2017    0 recensioni
ABBANDONATA
[Lotor x Lance]
Post-S3
”I tuoi occhi sono blu…”
Lance avvertì una nota sorpresa nella sua voce. Sorrise.
“Adesso, però, devi dirmi di che colore sono i tuoi.”

Dopo una battaglia finita male, Lance si ritrova solo ed incapace di vedere a causa di un danno irreversibile subito agli occhi.
"Mi permetterai di vedere il tuo viso, prima che tutto questo finisca?"
Viene salvato e fatto prigioniero da un giovane generale Galra senza nome che ha tutte le intenzioni di sfruttare il Paladino a suo vantaggio.
"Hai già visto molto più di quello che avresti dovuto, Paladino Blu."
Ma ogni strategia ha i suoi punti deboli.
[Questa storia partecipa al contest “Humans +” a cura di Fanwriter.it!]
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, McClain Lance
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Numero Parole: 2789
Prompt/Traccia: P. 6. Malfunzionamento

III
Silenzio

 


Da quel giorno, fu il Generale a parlare con lui per la maggior parte del tempo. “Il tuo pianeta si chiama Terra, vero?”

Non lo interrogava. Non cercava di ricavare da lui informazioni utili alla guerra.

Era stato di parola: Lance non avrebbe recitato altro ruolo in quella terribile storia se non quello dell’ostaggio e dell’esca. L’unica cosa che poteva fare era starsene disteso su quel dannato materasso circondato da quell’opprimente oscurità da cui, suo malgrado, solo le voci del Generale e delle sue ragazze riuscivano a strapparlo.

Lance se ne vergoganava. Non voleva che la vicinanza del nemico rappresentasse un qualche tipo di conforto per lui. Non quando sarebbero stati i proprietari di quelle stesse voci a massacrare i suoi compagni.

“Mi hai sentito?” Domandò il Generale.

Sì, Lance lo aveva sentito chiaramente ma non aveva alcuna voglia di rispondere. Se ne stava disteso su quel materasso dalle lenzuola ormai luride con il viso rivolto verso il soffitto. Non lo vedeva ma sapeva che gli non avrebbe prestato particolare attenzione se avesse potuto. Era solo un modo come un altro per contemplare l’inevitabile: Keith stava per portare se stesso e tutti gli altri in una trappola mortale e Lance non poteva fare assolutamente nulla per evitarlo.

Quella consapevolezza lo dilaniava.

Si girò su un fianco, si raggomitolò su se stesso: aveva ancora addosso l’armatura e cominciava a fare male in più punti della schiena, oltre a fare ribrezzo.

“Mi hai sentito ma non mi stai ascoltando,” notò il Generale.

Un pregio ce lo aveva: non bisognava dargli troppe spiegazioni.

Era intuitivo, abile nell’usare le parole e Lance provava un sincero timore a dialogare con lui. Il fatto che non lo stesse interrogando non significava che avesse rinunciato a studiarlo. Era pur sempre il Paladino Blu e conoscere lui significava conoscere una delle cinque parti di Voltron.

C’erano momenti in cui Lance aveva voglia d’informarlo che era l’ultima ruota del carro della sua squadra, che si era creato un talento quasi dal nulla e che vi si era attaccato con le unghie e con i denti pur di riconoscere a se stesso qualche valore.

Voleva farlo per incrinare la compostezza con cui il Generale si atteggiava nei suoi confronti, per sbattergli in faccia che, forse, il suo piano diabolico per attirare i restanti quattro Paladini in trappola non era poi così perfetto.  

Poteva percepire la sua sicurezza nel tono della sua voce, nel modo in cui gli parlava ed anche dalle parole che usava.

Era curioso. Passava il tempo con lui come lo avrebbe fatto un terrestre con una curiosa creaturina aliena.

In fin dei conti, Lance era proprio questo per quel Generale: un alieno.

“Raccontavano che il Campione era figlio di un pianeta chiamato Terra,” disse il suo carceriere con tono casuale. “Tu appartieni alla sua stessa specie.”

Suo malgrado, Lance sentì le labbra piegarsi in un sorriso divertito: c’era qualcosa di poetico nel modo in cui gli alieni riuscivano a concepire gli abitanti di ogni singolo pianeta come un popolo unico.

Di contro, rendeva ancor più ridicolo che, in molti casi,  i terrestri non fossero capaci di vedere il loro prossimo come un proprio simile.

In fondo, avevano solo un pianeta in comune, no?

Sulla Terra, un giovane uomo di origini giapponesi e un ragazzino di Cuba erano due individui lontani, completamente diversi. Nello spazio le cose erano diverse. Lì, tra le stelle, essere terrestri era un po’ come essere fratelli.

Ora che aveva il tempo di rifletterci, Lance doveva ammettere che era una cosa che gli piaceva. Sì, essere il fratello di altri quattro giovani completamente diversi da lui ma con un pianeta in comune ed era qualcosa di assurdamente bello.

Perchè non lo aveva detto a tutti loro quando ancora ne aveva la possibilità?

Perchè ci pensava solo in quel momento, mentre era troppo tardi per dire o fare qualsiasi cosa?

Campione non è il suo nome,” replicò Lance distrattamente.

Non voleva partecipare a quella conversazione ma non poteva nemmeno rischiare di far annoiare il suo carceriere: finchè era vivo poteva sempre a provare a fare qualcosa per i suoi compagni.

Anche se non era ancora riuscito a capire cosa.

Il Generale esitò un istante. “Shiro…” Disse con un poco d’insicurezza. “Shiro è il suo vero nome, giusto?”

Lance voltò il viso nella direzione in cui credeva che l’altro si trovasse. “Come lo sai?”

“Nell’Impero il suo nome è più conosciuto di quello del Principe,” spiegò il Generale. “La speranza nasce da una piccola cosa e diviene più grande un sussurro dopo l’altro. Così nascono gli eroi del popolo.”

“Shiro non è solo una speranza sussurrata,” replicò Lance con astio. “Zarkon ne sa qualcosa!”

Il Generale non parlò per un lungo istante. Forse, nominare il suo Imperatore non era stata una grande idea. Lance, tuttavia, non era certo che la lealtà di cui avevano parlato in precedenza valesse per Zarkon quanto valeva per il Principe Lotor. Non per quell’uomo e per le donne ai suoi ordini, almeno.

“È stato Zarkon stesso a plasmare la sua  caduta,” disse il Generale.

Per Lance, quelle parole furono la conferma che la sua intuizione era giusta: l’equilibrio del potere nell’Impero non era così fermo come i Galra facevano credere ai loro nemici. Lance non era certo che questa fosse una buona cosa.

Zarkon era una minaccia instabile. Se il Principe Lotor era come lui, uno scontro tra i due non avrebbe coinvolto solo i membri dell’Impero ma anche tutto ciò che vi era intorno.

E la coalizione di Voltron non si sarebbe salvata dall’onda d’urto.

“Sono parole tue?” Domandò Lance mettendosi a sedere. “O sono del Principe?”

“Non permetto a nessuno di mettermi delle idee in testa,” replicò il Generale. “Lotor non è Zarkon ed io non sono uno schiavo.”

Lance sbuffò. “L’hai già ripetuta questa storia della schiavitù ma perdonami se non riesco a vedere nel tuo Principe questo sovrano illuminato di cui vai tanto fiero!”

“Avete esplorato le sue colonie?” Domandò il Generale.

Lance venne preso di sorpresa. “Ha delle colonie?”

“L’universo è grande, Paladino Blu. Potrà sorprenderti ma è ben più grande di un Impero creato in diecimila anni.”

“Lotor ha un impero suo?”

“Stai facendo troppe domande.”

“Tu non fai altro con me da giorni,” ribatté Lance annoiato. “Perchè t’interessa sapere del mio pianeta? Non saprei nemmeno indicarti la rotta per raggiungerlo!”

Il silenzio che seguì diede al Paladino l’idea che fu il Generale ad essere preso di sorpresa quella volta. “Non sai dove è il tuo pianeta?”

“No e non ne voglio parlare!” Tagliò corto Lance incrociando le braccia contro il petto ed appoggiando la schiena alla parete.

Il Generale rimase non forzò il suo silenzio. Al contrario, tacque a sua volta ma Lance lo sentì muoversi nella stanza avanti ed indietro.

Il Paladino trasalì quando sentì il materasso abbassarsi sotto il peso di una seconda persona. Premette la nuca contro la parete fredda e rimase immobile. Poteva percepire il respiro del Generale a poca distanza da lui ma, per sua fortuna, quella vicinanza fu breve.

L’uomo si allontanò dal suo letto emettendo un verso disgustato.

Lance inarcò le sopracciglia. “Cosa c’è?” Domandò scocciato.

“Emani un odore pungente,” rispose il Generale.

Sotto la benda d’acciaio, Lance sgranò gli occhi. “Prego?”

“Puzzi, Paladino,” ripetè l’altro in modo decisamente meno galante.

Lance spalancò la bocca scandalizzato. Provò a dire qualcosa ma l’indignazione era tale che riuscì solo ad aprire e chiudere le labbra come un pesce fuor d’acqua.

Il Generale lasciò andare uno sbuffo terribilmente simile ad un risata mal trattenuta.

“Non osare deridermi, bastardo!” Esclamò Lance. Sentì il sangue riversarsi sulle guance e seppe di essere arrossito. “Sono un prigioniero di guerra, non un damerino da compagnia! Sì, mi piacerebbe essere presentabile ma non ho molta voce in capitolo!”

“Ordinerò ad Acxa e le altre di prendersi cura di te,” disse il Generale. “Non mi sei utile in alcun modo se ti ammali. Non ho idea di quanto sia fragile la tua razza e non voglio rischiare.”

“Fragile?!” Urlò Lance spostandosi verso il bordo del materasso. “Vieni qui e ti faccio vedere io quanto sono fragile! Sono sopravvissuto a battaglia catastrofiche! Sono ancora vivo dopo aver respirato un gas letale e non credere…”

La porta della cella si riaprì e richiuse.

“E non te ne andare mentre ti sto ancora urlando contro!”


Il Generale fu di parola anche in quell’occasione.

Poche ore ed Acza ed Ezor si presentarono nella sua cella.

“Dobbiamo metterti queste, Gattino Blu,” disse quest’ultima allegramente afferrandogli un polso. “È più per la tua sicurezza che per la nostra! Non vogliamo mica che tu faccia qualche sciocchezza che ci induca a decapitarti, vero?”

Lei non lo vide ma Lance alzò gli occhi al cielo. Si lasciò ammanettare e non fece nulla per ribellarsi quando sentì le mani di entrambe le donne Galra sulle braccia.

Lo guidarono in silenzio lungo i corridoi della nave o della base. Lance non sapeva nemmeno se stessero ancora navigando o fossero fermi in un punto preciso. Per i primi metri, tentò anche di contare i passi, di memorizzare quando svoltavano ed in che direzione ma, alla fine, il mal di testa ebbe la meglio e dovette lasciar perdere.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi togliere quella benda e riuscire a vedere intorno a sè.

”Ha perso la vista. Anche volendo, non saprebbe dove andare.”

Quelle parole erano riecheggiate contro le pareti della sua mente molte volte in quei lunghi giorni di prigionia ma Lance continuava ad essere scettico. Sì, aveva avvertito un dolore agli occhi che non avrebbe mai trovato le parole per descrivere ma, fino a prova a contrario, l’unica prova che aveva della sua cecità era l’affermazione di un nemico.

E quella benda d’acciaio sui suoi occhi non faceva che renderlo più sospettoso.

Il rumore di una porta automatica che si apriva lo strappò dai suoi pensieri.

“Ce lo dobbiamo bollire dentro?” Udì domandare Zethrid.

Suo malgrado, Lance ridacchiò: la sete di violenza di quella Galra e la puntualità con cui non riusciva mai a soddisfarla era quasi comico.

“Sono più buono da crudo,” replicò. “Morbido e condito con un po’ d’olio.”

Alla sua destra, Acxa sospirò.

Ezor, invece, rise. “Questo Gattino Blu è divertente.”

“Non possiamo nemmeno annegarlo?” Domandò Zethrid disperata.

“L’ordine è di prendersi cura di lui,” spiegò Acxa. “Se non badiamo al suo igiene, si ammalerà.”

“Ed il mio naturale charme potrebbe rimetterci drammaticamente,” aggiunse Lance. “Non posso permettermelo mentre sono circondato da tante fanciulle.”

Ezor rise di nuovo. “Non puoi nemmeno vederci, Micino.”

“Non essere presentabile in presenza di una donna è contro i miei principi morali!” Esclamò Lance. “Bene, c’è qualche… Valletto nella stanza?”

Nessuno gli rispose. Forse, non lo avevano capito.

“C’è qualcuno che può aiutarmi a svestirmi ed entrare nella vasca?” Rivolse entrambi gli indici verso il suo viso. “Ho qualche problema tecnico a farlo da solo…”

“Oh! Ma ce ne occupiamo noi!” Lo informò Ezor con un po’ troppo entusiasmo.

Lance rimase calmo alcuni istanti aspettando che Acxa intervenisse e la riportasse alla ragione. L’altra Galra, però, rimase in silenzio e cominciò a temere che si trattasse di una cosa seria.

“Eh?” Domandò smarrito.

Non si curarono di lui nè del suo sgomento.

“Ti tolgo le manette,” lo informò Acxa e, per un volta, il Paladino credette di udire una nota minacciosa nella sua voce. “Se provi a fare qualcosa…”

“Siete in quattro contro uno, cosa potrei mai fare?” Domandò Lance esasperato. “E comunque non voglio essere…” Arrossì di nuovo e strinse le labbra.

“Oh, non sentirti imbarazzato!” Intervenne Ezor. “Per noi non sei un uomo, sei come un animaletto carino e curioso a cui stiamo per fare il bagno.”

Lance aveva sempre creduto che ci fosse un limite al numero di volte che un povero ragazzo poteva essere insultato gentilmente in un solo giorno ma il Generale e le sue ragazze non sembrano conoscerlo.

“Io non sono un animaletto!” Esclamò irritato mentre Acxa lo liberava delle manette. “Sono un giovane nel fiore degli anni che…”

Qualcuno tentò di togliergli l’armatura e Lance si ritrasse con un urletto. “Faccio da solo!” Disse tremolante. “Voltantevi tutte!”

“Se ci voltiamo come facciamo a portarti alla vasca?” Domandò Ezor.

“Non sei nella posizione di dare alcun ordine,” gli ricordò Acza duramente.

“No, non voglio!” Lance sapeva che quello non era il momento migliore per perdere la calma ma sapeva anche che non voleva che quella fosse la prima volta che una donna gli metteva le mani addosso. “State lontano da me!”

Zethrid emise un ringhio animalesco e Lance fu certo di avvertire la terra tremare sotto i suoi piedi mentre lei attraversava la stanza. Lo afferrò e gli strappò l’armatura di dosso senza alcuna premura.

Nudo come un verme, Lance non riuscì a dire e fare niente. Poté solo urlare istericamente, mentre Zethrid lo sollevava di peso e lo gettava come un rifiuto dentro la vasca piena d’acqua. Il suo sedere urtò il fondo dolorosamente e gli ci volle un istante di troppo prima di recuperare il controllo di sè abbastanza da tornare in superficie.

Tossì ed ingoiò aria, poi si passò una mano tra i capelli bagnati.

L’acqua era calda, confortevole ma si avvolse le braccia intorno al corpo come se avesse freddo.

“Uffa, volevo dargli un’occhiatina,” si lamentò Ezor.

“A cosa c’è da osservare?” Domandò Zethrid annoiata. “Niente cosa, orecchie terribilmente piccole, niente con cui possa difendersi in assenza di un’arma! I terrestri sono davvero degli insetti…”

Lance chinò la testa affondando nell’acqua fino alle spalle. Voleva sparire.

“Sì, ma ha un coso tra le gambe, volevo guardarlo meglio!” Esclamò Ezor.

D’istinto, il Paladino si strinse le ginocchia al petto.

Voleva sparire. Voleva sparire. Voleva sparire.

Qualcosa di freddo gli sfiorò la guancia e si ritrasse. Sentì le lacrime pungere agli angoli degli occhi e non si sforzò di trattenerle.

Appoggiò la fronte alle ginocchia e si lasciò andare.

“Che cosa gli prende?” Domandò Zethrid.

“Ezor, vallo a chiamare!” Ordinò Acxa.

“Perchè sta piangendo?”

“Ezor…”

“Va bene, vado!”

“Zethrid, Narti, aspettate fuori.”

Lance era tanto sconvolto da non riuscire più a distinguere le loro voci. A stento era in grado di capire quello che dicevano. Sentì la porta riaprirsi, la voce di Acxa farsi più lontana.

Il Paladino smise di singhiozzare. Prese un respiro profondo ma il caos nella sua testa non si placò. Quanto sarebbe stato bello mettere la testa sotto la superficie dell’acqua e fingere che tutto quello che stava accadendo intorno a lui fosse solo un brutto sogno.

Appoggiò la nuca al bordo della vasca e scivolò.

Sotto l’acqua, tutto gli parve improvvisamente più semplice.

Il calore lo avvolgeva come uno degli abbracci della mamma e l’assenza di suoni non era più una cosa negativa.

L’oscurità non era appariva più così minacciosa. Si chiese se era così essere nel grembo materno e desiderò che quel singolo minuto d’apnea che i suoi polmoni potevano concedergli durasse per sempre.

Venne strappato da quell’illusione contro la sua volontà.

Una mano gli afferrò i capelli più corti sulla nuca e lo tirò verso la superficie senza gentilezza.

Tossì di nuovo e riempì i polmoni d’aria.

La mano sulla sua testa, però, gli artigliò i capelli con rabbia e Lance inarcò la schiena lasciando andare un’esclamazione di dolore.

“Ti ho detto che mi servi vivo,” sibilò la voce del Generale molto vicino al suo orecchio.

Quello di Lance, però, non era stato un tentativo estremo di sfuggire a quella situazione.

No, era stato solo un banale, temporaneo tentativo di fuga dalla realtà.

E ad accoglierlo fuori da quell’illusione trovò di nuovo l’oscurità.

Agitò la testa e si liberò dalla presa del Generale, poi si portò le mani alla nuca afferrando spasmodicamente i bordi di quella benda d’acciaio.

Il Generale gli strinse il viso tra le dita. “Che cosa credi di fare?”

Lance si fece indietro. “Toglimela!” Urlò istericamente. “Toglimela immediatamente!”

“Cosa pensi di ottenere, Paladino Blu?”

”Toglimela!”

In risposta gli arrivò un colpo in pieno viso e fu tanto forte da sbatterlo contro il bordo della vasca. Stordito, Lance vi si aggrappó con le poche forze che gli erano rimaste.

“Acxa, esci di qui…”

“Mio signore…”

“Fuori.”

Lance non rimase attento abbastanza da capire se Acxa obbedì all’ordine o no. Riprese completamente il controllo di sé solo quando il Generale infilò le dita tra i suoi capelli cercando i bordi della benda d’acciaio. Non appena avvertì la pressione intorno alle sue tempie scomparire, Lance trattenne il fiato.

“Apri gli occhi.” Ordinò il Generale.

E Lance lo fece.





 
   
 
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