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Autore: smile_tears    23/09/2017    1 recensioni
Quando Taehyung aprì gli occhi intorno a lui era tutto buio. Si sollevò lentamente dal pavimento su cui era disteso, per poi guardarsi intorno. Azione inutile dato che intorno a lui c’era solo nero. Mettendo meglio a fuoco, però, riuscì a scorgere la piccola luce di una candela, dall’altra parte della stanza. Cautamente iniziò ad avanzare, sperando di non trovare ostacoli lungo il suo percorso. Raggiunta l’agognata meta la fiammella si spense.
Un attimo e si accorse di star sprofondando. Tutto tornò buio.
[...]
Si separarono quando ormai non avevano più fiato, ma restarono comunque tremendamente vicini, al punto di sentire il respiro dell’altro sulla propria pelle. «Non sparire mai più, Tae»
Taehyung sorrise, per poi baciarlo di nuovo, ancora più dolcemente. «Mai. Tu hai solo me e io ho solo te, siamo legati insieme. Ricordi?»
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando Taehyung aprì gli occhi intorno a lui era tutto buio. Si sollevò lentamente dal pavimento su cui era disteso, per poi guardarsi intorno. Azione inutile dato che intorno a lui c’era solo nero. Mettendo meglio a fuoco, però, riuscì a scorgere la piccola luce di una candela, dall’altra parte della stanza. Cautamente iniziò ad avanzare, sperando di non trovare ostacoli lungo il suo percorso. Raggiunta l’agognata meta la fiammella si spense.
Un attimo e si accorse di star sprofondando. Tutto tornò buio.
 
Quando trovò il coraggio di aprire nuovamente gli occhi si ritrovò in piedi davanti ad un imponente portone marrone, dall’aria piuttosto familiare. Abbassò leggermente la maniglia ed entrò, attraversando uno stretto corridoio bianco. Sulla destra c’era una cucina, anch’essa bianca, dove spiccava un divanetto a due posti color giallo canarino. Continuò ad avanzare, entrando in un enorme salotto. Quasi al centro della stanza c’era un tavolo con sopra un vaso blu notte; nell’angolo a destra un divano rosso fuoco, con dietro un piedistallo con sopra un vaso antico ampiamente decorato e una vetrina piena di bomboniere. Alla sua sinistra si apriva un altro corridoio, leggermente più ampio di quello all’ingresso, dove c’erano un bagno sulla sinistra e poco più avanti, sulla destra, una padronale. Di fronte a quest’ultima c’era un'altra camera. Un lettino coperto da un piumone a scacchi giallo e blu si trovava giusto al centro della stanza; tutt’intorno c’erano pupazzi a non finire e altri giocattoli sparsi sul pavimento. A quella vista il suo cuore perse numerosi battiti. Quell’ambiente gli sembrava così familiare  perché era stata la sua casa, prima del trasferimento. Era ancora piccolo quando avevano traslocato quattro case più avanti, ma riusciva a ricordare ancora tutto di quel luogo, ogni singola stanza, ogni singolo nascondiglio. Una sensazione di tristezza si impossessò del suo cuore, ma non riuscì a darle molta importanza, perché delle voci provenienti dal salotto lo riportarono con i piedi per terra. Percorse il tragitto fatto precedentemente, ma al contrario, e rientrato in salotto non riuscì a spiegarsi cosa stesse succedendo. Sul divano c’erano i suoi genitori, ringiovaniti di almeno una decina di anni, che parlavano con quelli che riconobbe come i genitori di Jimin, il suo migliore amico. A terra poi c’erano due bambini e sembravano proprio lui e Jimin, ma tutto quello non era possibile. Erano grandi ormai, erano quasi degli adulti, mentre i due a terra dimostravano si e no cinque anni. Si mosse velocemente piazzandosi davanti ai suoi genitori, in cerca di spiegazioni. «Mamma, papà! Che significa tutto questo? Cosa sta succedendo?»
Ma quelli lo ignorarono completamente, continuando a conversare tra di loro. Iniziò allora a muovere le mani davanti ai loro occhi, reclamando attenzione, ma fu tutto inutile, sembravano non vederlo. Scosse la testa, incredulo, cominciando ad indietreggiare fino a sbattere contro il muro. Non riusciva a capire cosa stesse accadendo, gli sembrava di essere un fantasma e di star viaggiando nei suoi ricordi, ma non era assolutamente possibile. Non poteva, anche perché avrebbe implicato l’essere morto. E lui non lo era, vero?
 Ancora sconvolto si rialzò, lacrime salate scivolavano lungo le sue guance fino a raggiungere il collo, e corse fuori, lontano da quella casa, da quei ricordi, sperando di svegliarsi e scoprire che fosse tutto un brutto incubo. Ma una volta uscito non c’era più il pavimento sotto di sé e cadde.
Atterrò in piedi, per fortuna, ritrovandosi in un piccolo parco di Daegu, quello dove lui e Jimin erano soliti trascorrere i loro pomeriggi.
Rinunciando a trovare una spiegazione a tutta quella situazione cercò di calmarsi, nonostante quel peso opprimente che sentiva sul suo petto e si incamminò lentamente verso il loro luogo preferito: una vecchia casetta abbandonata, dove i bambini non andavano più a giocare da chissà quanti anni. Fece il tragitto con una lentezza estenuante, ripercorrendo con la mente tutte le volte che lui e il suo migliore amico avevano trovato rifugio lì. Avevano scoperto quel luogo quasi per caso, mentre cercavano rifugio dalla pioggia. Come tutti i pomeriggi da quando ne aveva memoria stavano giocando sulle giostre, quando un improvviso acquazzone li costrinse a scappare. Non conveniva tornare a casa, si sarebbero inzuppati dalla testa ai piedi. Iniziarono quindi a correre alla ricerca di un posto dove avrebbero potuto attendere che spiovesse e dopo un po’ trovarono quella casetta. Nessuno sembrava sapere della sua esistenza, per questo decisero di farlo diventare il loro posto. Quando avevano un problema si rifugiavano lì, in attesa che l’altro arrivasse e cercasse di far tornare la felicità.
I suoi pensieri furono interrotti da un ragazzino che gli sfrecciò accanto, facendolo sobbalzare. Guardandolo bene si accorse che quel moccioso non era altro che lui a tredici anni e per questo prese a corrergli dietro, sapendo bene a quale ricordo della sua vita stesse per assistere. Riuscì a raggiungerlo proprio nel momento in cui entrò chiudendosi la porta alle spalle, controllando che nessuno lo avesse seguito. Un lieve sorriso si dipinse sul suo volto mentre si avvicinava, accovacciandosi davanti al vano che doveva fungere da finestra posando  le braccia sul davanzale. All’interno la scena era esattamente come la ricordava. In un angolino sedeva Jimin, le gambe strette al petto e la testa posata sulle ginocchia, mentre vari singhiozzi scuotevano il suo corpo. Dall’altra parte c’era lui completamente immobile, spaventato dal comportamento dell’amico.
Gli si avvicinò lentamente, come se avesse  avuto paura di spaventarlo e farlo scappare, e gli prese delicatamente una mano. «Jiminie, ti prego dimmi che cos’hai, mi stai facendo preoccupare»
L’amico non rispose, ma vedendo che non si ritrasse al suo tocco il piccolo Taehyung si avvicinò ulteriormente fino ad abbracciarlo, cercando di fargli capire che gli sarebbe stato sempre accanto. Dopo un po’ parve calmarsi e i singhiozzi si placarono, permettendogli di dire cosa lo avesse rattristato così tanto. «I miei genitori»
Sentendo quelle parole Taehyung si preoccupò ancora di più. Sapeva che ultimamente i genitori del suo amico non andassero molto d’accordo e questo lo spaventava. «Cos’è successo?»
Gli occhi dell’altro ragazzo si riempirono nuovamente di lacrime, che presero a scorrere lungo le sue guance e sul collo per poi infrangersi sulla maglietta che indossava. «I-i miei genitori continuano a litigare. O-ogni volta che si i-incontrano non fanno altro che urlarsi contro cose orribili. Tae, i-io ho paura, non voglio perderli, non voglio restare solo»
Vedendo che i singhiozzi erano più forti di prima lo riprese tra le sue braccia, stringendolo forte contro il suo petto cercando di rassicurarlo, nonostante lui stesso stesse piangendo. «Andrà tutto bene Jiminie, te lo prometto. Qualunque cosa accada io sarò sempre con te, non ti lascerò mai da solo»
Taehyung, che aveva osservato tutta la scena dalla finestrella, decise che quello a cui aveva assistito era abbastanza, per cui si alzò e dopo essersi pulito i pantaloni all’altezza delle ginocchia si avviò verso l’uscita del parco.
Sapeva bene com’era finita quella storia. I genitori del suo migliore amico continuarono a litigare per settimane, finché non decisero che l’unica soluzione per porre fine a tutto quello fosse il divorzio. Jimin la prese malissimo, tant’è vero che invece di andare a vivere subito con la madre com’era stato deciso passò due mesi e mezzo a casa di Taehyung, il quale era molto preoccupato per lui. In quei mesi cercò di farlo rilassare, di farlo sorridere, di farlo sentire amato e apprezzato. Fu difficile, ma alla fine il suo piano parve riuscire, perché l’amico tornò a comportarsi come prima e si decise a tornare a casa con la madre. Non fu facile all’inizio, c’erano delle volte in cui Jimin aveva delle ricadute e chiamava Taehyung piangendo, dicendo che gli mancavano suo padre e suo fratello e si sentiva tremendamente solo. Puntualmente Tae piangeva con lui, cercando di rassicurarlo come meglio poteva, tentando allo stesso tempo di infilarsi le scarpe, pronto a raggiungerlo a casa sua. Oramai la madre si era abituata, quando lo sentiva uscire di sera sapeva già che stava andando dal suo migliore amico, limitandosi solo a sospirare. Teneva a Jimin come ad un figlio, l’aveva visto crescere e non voleva soffrisse così tanto, non lo meritava affatto. Uscito di casa Taehyung correva, correva come un pazzo, fino a quando non si trovava di fronte a quella casa dall’aria così familiare con le gambe a pezzi. La mamma del suo amico gli apriva sempre con aria dispiaciuta, gli occhi rossi come se anche lei avesse appena smesso di piangere.  “Mi dispiace” gli diceva sempre, ma lui si limitava a scuotere la testa e salire le scale il più in fretta possibile. Appena entrato nella camera da letto si fiondava su Jimin abbracciandolo forte, la testa seppellita tra i suoi capelli neri, mentre l’altro cercava rifugio nel suo petto, facendosi ancora più piccolo di quanto già non fosse. E allora piangeva e piangeva, finché non esauriva le lacrime e Tae piangeva con lui, sussurrandogli parole di conforto. «Va tutto bene Jiminie, ci sono io qui con te. Non sei solo e mai lo sarai, io resterò con te per sempre. Tu hai solo me e io ho solo te, siamo legati insieme e nulla potrà mai separarci.»
I suoi pensieri vennero interrotti da un’improvvisa folata di vento, talmente potente da fargli chiudere gli occhi dallo spavento e spingerlo all’indietro  con una velocità impressionante. Quando ritornò a vedere si accorse di essere tornato al parco dal quale era appena uscito, con l’unica differenza che ormai era diventata notte fonda e stava piovendo a dirotto. Era confuso, tremendamente confuso. Perché era ritornato lì? Quale ricordo stava per rivivere? Non riuscì a trovare una  risposta alle sue domande, almeno finché il suo sguardo non cadde all’interno della casetta. Quella vista gli mozzò il respiro, portandolo in uno stato di apnea per un paio di secondi. Gli occhi gli si velarono di lacrime e il suo corpo fu scosso da centinaia di brividi. Non riusciva a reggersi in piedi, fu a malapena in grado di raggiungere la finestrella e cadde sulle ginocchia, stremato. Non era pronto a rivivere quel momento della sua vita, quello che poteva definire il più orrendo, ma sapeva di dover guardare, di affrontare quel ricordo tanto brutto. Cercò di farsi forza e di assumere una posizione che gli permettesse di osservare la scena. Nell’angolo più scuro della casetta c’era un Taehyung diciassettenne che piangeva come un disperato, le ginocchia strette al petto per rendersi quasi invisibile nell’oscurità e le mani nei capelli. I singhiozzi erano così forti da sovrastare il rumore della pioggia che si abbatteva violentemente sulla struttura in legno, era una scena dannatamente straziante.
Era da mesi che Taehyung si sentiva strano. Gli capitava sempre più spesso di avere una strana sensazione allo stomaco, come se al suo interno ci fossero migliaia di aghi, era fastidioso. E il suo respiro ogni tanto veniva meno, anche stando seduto faceva fatica a respirare, come se avesse corso per chilometri e chilometri. Ma questo non succedeva sempre, ma solo quando si trovava a stretto contatto con Jimin. Gli bastava un abbraccio, un minimo sfioramento e lui arrossiva all’istante, mentre tutte quelle strane emozioni prendevano possesso di lui. Per non parlare di quando l’amico sorrideva, con quei suoi bellissimi occhi ridotti a due mezzelune e quelle labbra rosee e piene che sembravano dirgli “baciaci, mordici, siamo qui solo per te”.
Taehyung lo aveva capito ormai, non era stupido, ma non voleva ammetterlo. “Finché non lo ammetto non è reale” pensava. Oh, come si sbagliava.
Incominciò inconsciamente ad evitare Jimin, i suoi gesti d’affetto e i suoi sguardi dispiaciuti e preoccupati. Poco alla volta si allontanò da tutti, sua madre compresa. Nessuno riusciva a capire cosa gli fosse successo così all’improvviso ed erano preoccupati per lui, ma lui non voleva essere aiutato. Non poteva essere aiutato.  Perché sì, aveva capito di essere innamorato del suo migliore amico e nessuno poteva cambiare la realtà delle cose.
Si sentiva uno schifo, un lurido verme. Capire di essere attratto da un ragazzo lo aveva sconvolto, ma neanche più di tanto, era una cosa che poteva accettare. Ma essere innamorato di Jimin… quello proprio no. Innamorarsi dell’unica persona che non lo aveva mai abbandonato, della persona con la quale era cresciuto e con cui si era confidato gli sembrava una cosa assurda e tremendamente sbagliata. Sentiva di aver tradito la sua fiducia. “E poi lui non potrebbe mai ricambiarmi” pensava.
Per mesi continuò così, evitando chiunque, ma quel giorno esplose e decise di rifugiarsi nella loro casetta. Non riusciva a stare lontano da lui e nonostante tutto i suoi sentimenti non sparivano, anzi sembravano aumentare. Pur non vedendolo spesso e non avendo alcun contatto fisico con lui il suo cuore continuava ad accelerare i battiti ogni volta che gli capitava di pensarlo e il suo stomaco cominciava a far male fino a livelli insopportabili. E così finì  nel loro rifugio, piangendo come mai in vita sua e tirando i capelli in preda alla rabbia, rabbia verso se stesso e i suoi sentimenti. Fu così che Jimin lo ritrovò, qualche ora dopo. Incominciò a sentire i suoi singhiozzi quando era ancora lontano e gli si spezzò il cuore. Non riusciva a capire cosa fosse successo a Tae per distruggerlo in quel modo e in così poco tempo. Entrò nella loro casetta quasi timoroso, non voleva farlo arrabbiare o intristire più di quanto già non fosse. Si avvicinò a lui, cauto, e gli prese delicatamente le mani tra le sue. Taehyung alzò di scatto la testa spaventandosi, ma non appena vide il viso preoccupato di Jimin si sentì morire. «Tae, ti prego, non ce la faccio a vederti così. Cosa ti è successo? Perché ti sei allontanato da tutti, da me?»
Non riusciva a rispondergli. Era incantato dal suo viso, terrorizzato dalle sue emozioni. Le sue guance erano diventate rosse alla sola vista dell’altro ragazzo e il suo stomaco sembrava si stesse contorcendo su se stesso. Ma per la prima volta non gli sembrò di finire in uno stato di apnea, al contrario gli sembrò di tornare a respirare dopo giorni, mesi in cui non lo aveva fatto. Quel distacco forzato da Jimin gli aveva fatto male invece che bene e se ne rendeva conto solo adesso. Non era in grado di vivere senza di lui, senza i suoi sorrisi, senza il suo tocco delicato sulla pelle. Era impossibile rinunciare a lui, per quello pensò che la cosa migliore fosse accettare i sentimenti che provava nei suoi confronti e stargli accanto cercando di nasconderli. Sarebbe stato difficile, avrebbe fatto male, ma nulla l’avrebbe fatto soffrire più di stargli lontano.
Mentre lui era perso nelle sue riflessioni Jimin continuava a fissarlo, in attesa di una risposta. Una mano dell’altro si spostò delicatamente su una sua guancia, in maniera quasi impercettibile. «Tae…»
Doveva dirgli qualcosa. Non poteva continuare a fissarlo senza parlare. Ma aveva paura, cavolo. Non gli poteva dire di essere innamorato di lui, ma anche solo dirgli di essere innamorato di un ragazzo era tremendamente difficile. Aveva paura di non essere accettato, di essere deriso e abbandonato. A quel solo pensiero gli occhi gli si riempirono nuovamente di lacrime e buttò le braccia al collo di Jimin, poggiando il viso sul suo petto. «J-jiminie mi d-dispiace tanto. Mi d-dispiace, ma n-non lasciarmi»
L’altro ragazzo lo strinse a sé, accarezzandogli piano i capelli. «Calmati Tae. Non hai motivo di dispiacerti. E perché mai dovrei lasciarti? Starò con te per sempre»
Taehyung aumentò la stretta, come se avesse avuto paura che allontanandosi anche solo un po’ Jimin sarebbe potuto scomparire dalle sue braccia. «Tu mi odierai Jiminie e mi lascerai solo»
«Ma che dici Tae? Perché mai dovrei farlo?»
Era ora di vuotare il sacco. Non poteva continuare a nascondersi, non da Jimin. «I-io mi sono innamorato di un ragazzo Jimin. Un ragazzo, capisci?»
Sputò fuori quelle parole con tristezza e sconforto, riprendendo a piangere più forte di prima, aspettandosi di essere preso in giro da un momento all’altro. Ma non accadde.
Jimin rimase sorpreso, certo. Non avrebbe mai immaginato che al suo amico potessero piacere i ragazzi, ma qual era il problema? Non c’era niente di male.
Indossò il suo miglior sorriso e prese a parlargli in maniera dolce accarezzandogli i capelli. «Va tutto bene Tae. Non hai niente di cui scusarti o vergognarti. Sei solo innamorato, che sia un ragazzo o una ragazza che importa? Basta che tu sia felice»
Taehyung non riusciva a crederci, era allo stesso tempo sconvolto e felice. Jimin lo accettava, accettava i sentimenti che lui stesso aveva ritenuto malati. Si separò lentamente da lui e lo guardò con gli occhi ancora lucidi di pianto. Voleva ringraziarlo, chiedergli scusa per come lo aveva trattato, ma non ci riusciva, sembrava che la sua voce fosse scomparsa. Ma non ci fu bisogno di parlare, Jimin aveva capito tutto solo guardandolo. Infatti gli sorrise, gli sorrise in quel modo che lui tanto amava e dopo avergli asciugato gli ultimi residui di lacrime gli lasciò un lieve bacio sulla fronte. «Ti voglio bene Tae, ricordalo sempre»
 
 
Taehyung, dalla sua postazione, decise che aveva visto abbastanza. Si alzò e dopo essersi asciugato le lacrime che ancora correvano lungo il suo viso voltò le spalle alla casetta e se ne andò. Erano passati tre anni da allora, lui era un ventenne ormai, eppure era ancora innamorato perso di Jimin come anni prima. Forse lo era persino di più.
Continuava a fare male a volte, stargli vicino, avere il desiderio di baciarlo e sapere di non poterlo fare era orribile. Ma sapeva che allontanandosi da lui sarebbe stato peggio, non poteva rinunciare a lui e alla sua amicizia. Avevano un legame troppo forte e insieme avevano costruito dei ricordi meravigliosi, non avrebbe mai potuto rinunciare a tutto quello. Perso nei suoi pensieri non si accorse di un sasso nel mezzo del sentiero e ci inciampò. Quando si alzò, però, non era più nel parco ma in un edificio dalle mura bianche. Iniziò a guardarsi intorno e vide intorno a lui uomini e donne che indossavano lunghi camici. Un ospedale? Che ci faceva lì? Erano secoli che non ci metteva piede, non poteva avere nessun ricordo legato ad esso. Mosse qualche passo in avanti, incerto, finché arrivato davanti ad una stanza non sentì una voce fin troppo familiare.
Entrò, sapendo di non poter essere visto, e la scena che gli si presentò davanti gli fece mancare un paio di battiti. Su un lettino, attaccato a mille macchinari, c’era lui, sembrava stesse dormendo. Al suo fianco un Jimin in lacrime non faceva che stringergli la mano e parlargli. Che stava succedendo? Aveva tutto sempre meno senso.
«Questi erano solo alcuni dei tanti momenti che abbiamo passato insieme, ma penso che siano quelli più importanti, quelli che ci hanno portato ad essere amici per così tanto.»
Ricordi? Ma allora tutto quello che aveva visto era solo frutto dei racconti di Jimin? Ma lui come c’era finito in ospedale? E com’era possibile che lui fosse fuori dal suo stesso corpo? Era diventato un fantasma?
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce dolce e rotta dai singhiozzi dell’amico. «Dai Tae, svegliati adesso. Sono due giorni che dormi. Dobbiamo creare tanti altri ricordi insieme. Non voglio che l’ultima cosa a legarci sia quel maledettissimo incidente…»
Incidente? Di che sta parlando?
Un’improvvisa fitta alla testa lo fece gemere e delle scene iniziarono a farsi largo nella sua mente. Vide lui e Jimin passeggiare per la strada, diretti al parco dove avevano trascorso l’intera infanzia. Stavano ridendo, non saprebbe dire il perché, quando vide una bambina correre in mezzo alla strada per recuperare un pallone, una macchina stava arrivando a tutta velocità. Non ci pensò un attimo, corse più veloce che poteva e si buttò per salvare la bambina, poi il nulla. Vedendo le condizioni in cui si trovava la macchina lo aveva preso. Chissà se almeno la bambina stava bene.
Non riusciva ancora a credere a quella storia, ma era inutile crucciarsi, non poteva fare nulla per cambiare le cose.
Si avvicinò lentamente a Jimin e si mise alle sue spalle, per poi avvolgergli le braccia attorno al collo. Lo sentì tremare sotto il suo tocco, sembrava quasi lo sentisse. «Tae, non puoi lasciarmi, torna da me. Io ho solo te, ricordi? E poi non puoi andartene proprio adesso, quando avevo finalmente deciso di dichiararti i miei sentimenti. Perché sì Kim Taehyung, io sono perdutamente innamorato di te da anni ormai. Ti prego torna, ho bisogno di te.»
Non poteva crederci. Jimin era innamorato di lui? Non lo avrebbe mai immaginato, non gli aveva mai detto che gli piacessero i ragazzi. Dio, non poteva scoprire una cosa del genere ora che era il quelle condizioni, quando non sapeva se avrebbe mai fatto ritorno tra le braccia dell’amore della sua vita.
No, niente se e niente ma, lui doveva tornare da Jimin, non poteva lasciarlo solo.
Non fece in tempo a dire o fare nient’altro che venne colto da un improvviso mal di testa più forte di quello precedente. Si portò entrambe le mani alle tempie, il dolore era troppo forte e non accennava a diminuire. La vista incominciò ad appannarsi e le forze lo stavano lentamente abbandonando, finché non crollò a terra, poi il buio.
 
 
Un altro giorno era passato e Jimin era ancora in ospedale. La madre di Taehyung aveva provato a mandarlo a casa, ma era stato irremovibile. «Non me ne andrò da qui finché non si sveglierà» erano state le sue ultime parole. “Perché ti sveglierai, vero?”
Dopo aver insistito aveva convinto la donna ad andare a casa almeno un paio d’ore per farsi una doccia e riposare, sarebbe rimasto lui con l’amico. Non l’avrebbe mai lasciato solo.
Come sempre era seduto accanto a letto, la mano sinistra di Tae sempre ben stretta tra le sue. Vederlo lì immobile era una vera e propria sofferenza, non riusciva a sopportarlo. Il suo amico era una persona talmente solare, rumorosa e irrequieta che vederlo così silenzioso gli aveva provocato una fitta al cuore. Sospirò, poggiando il viso su quelle lenzuola bianche che ormai sapevano di casa. «Torna da me Tae, torna»
Era passata un’oretta quando Taehyung aprì finalmente gli occhi. Li aveva aperti lentamente, non abituato a tutta quella luce. Si guardò intorno spaesato, non capendo dove si trovasse, finché non ricordò tutto.
Jimin. Il suo pensiero volò immediatamente a lui e guardò se il ragazzo fosse ancora lì con lui. Lo trovò con la testa sul letto, le loro mani intrecciate. È rimasto qui con me. Sorrise leggermente e aumentò la stretta sulla sua mano, sperando di essere notato.
Sentendo quella leggera pressione Jimin scattò immediatamente seduto, ritrovandosi Tae che lo guardava con aria stanca, ma allo stesso tempo felice. Gli occhi gli si riempirono di lacrime e riprese a singhiozzare come un bambino. Si era svegliato, era di nuovo con lui. «Sei di nuovo qui con me, non ci posso credere. Vado a chiamare il medico, aspettami.»
Ma lui non era d’accordo e con la poca forza che aveva in corpo aumentò la stretta sulla mano dell’altro, facendolo voltare. «Aspetta- tossì appena, la gola gli faceva male ma lui doveva assolutamente diglielo-  Devo dirti una cosa prima.»
L’altro sembrava sorpreso, ma gli fece segno di parlare. «Mentre ero incosciente io, io ero in grado di sentirti Jiminie. Ho sentito tutto. Tutti i ricordi che abbiamo passato insieme e ho anche sentito quando hai detto di a-amarmi. E anche io sono innamorato di te. Quella volta che ti confessai di essere innamorato di un ragazzo parlavo di te»
L’espressione di Jimin passò dall’imbarazzato, all’incredulo e poi al felice. Oramai piangevano entrambi di gioia , i loro sentimenti erano ricambiati e non potevano essere più felici di così.
Jimin poggiò delicatamente una mano sulla guancia di Taehyung, accarezzandola, per poi posare le sue labbra su quelle sottili e screpolate dell’altro. Sognavano quel bacio da anni e finalmente era arrivato. Forse non come se l’erano immaginato, ma andava bene così. Si separarono quando ormai non avevano più fiato, ma restarono comunque tremendamente vicini, al punto di sentire il respiro dell’altro sulla propria pelle. «Non sparire mai più, Tae»
Taehyung sorrise, per poi baciarlo di nuovo, ancora più dolcemente. «Mai. Tu hai solo me e io ho solo te, siamo legati insieme. Ricordi?» 



Hola!
Buonasera a tutti. Come promesso sono tornata a scrivere nel fandom, questa volta con una Vmin. 
Io e questi due abbiamo un legame particolare che non sto qui a spiegarvi, sappiate solo che li adoro, sia che si tratti di amicizia che d'amore.
Ho incominciato a scrivere questa one shot mesi fa, ma solo adesso sono riuscita a terminarla. Non sarà scritta al massimo probabilmente, ma io ci tengo davvero tanto, quindi spero che vi piaccia. 
Non credo di avere altro da dire, se non buona lettura e grazie a chiunque leggerà, nella speranza che qualcuno mi dica anche cosa ne pensa, ne sarei felicissima. 
A presto, 
Miky. 
  
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