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Autore: Light Clary    23/09/2017    1 recensioni
[Fantasia]
"Mi chiamo Iris e oggi raggiungo la mia maggiore età.
Il che vuol dire andarsene da questo monastero in cui sono stata costretta a rimanere per tutta la vita a causa della morte di mia madre avvenuta subito dopo il parto.
Dovrò cavarmela da sola in un mondo che non conosco. Ma non prima di aver sistemato un conto in sospeso. Avere delle risposte sulla persona che in una notte lontana mi ha donato una chiave in grado di aprire i portali attraverso ogni opera sia mai stata scritta.
Non dico che entrare nei libri sia un'esperienza spiacevole. E' bello avere amici in un mondo immaginario anziché venire disprezzati in quello reale.
Ma non è piacevole che qualcuno brami sempre di ucciderti pur di ottenere questa chiave.
Ripeto. Oggi vado via. Inizio il mio viaggio nella vita reale. Divento adulta.
Quindi solcare il confine tra realtà e magia non dovrà più essere di mio interesse"
Genere: Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Capisco che l’aereo è in fase di atterraggio dopo aver dormito per almeno tre ore.
Non ho mai pensato che viaggiare desse tutta questa sonnolenza, sarà che è la prima volta che salgo su un velivolo.
Scendo i gradini, prendo una macchinina che porta me e altri passeggeri lontani dalle piste di atterraggio e decollo e dopo aver attraversato un lungo tunnel mi ritrovo al Boston Logan International Airport.
C’è un via vai di gente di varie nazioni che si spintonano a vicenda per raggiungere le proprie mete.
Al momento la mia è alla fermata dei taxi.
Trascino la mia valigia, senza chiedere permesso o scusa a chiunque mi venga addosso perché da quanto posso notare sono l’unica che non corre.
Non ho mai visto un posto più affollato di questo. C’è una fila che mi tratterrà qui per almeno per un’altra ora. Tanto vale che prenda la metropolitana o mi metta a fare l’autostop.
Dalle grandi vetrate però posso ammirare la città.
Da tutte le immagini che in questi anni ammiravo in foto o sui libri, tra Boston e New York c’è molta somiglianza se viste dall’esterno.
Devo prepararmi a vivere nella confusione di una simile città.
Sono passati circa venti minuti quando finalmente riesco ad acchiappare un taxi e mi infilo dentro prima che qualcun altro alle mie spalle me lo fotta.
-Buongiorno – mi saluta il tassista.
-Salve – ricambio. Frugo nel bagaglio a mano e tiro fuori la busta con dentro la lettera dove era segnato l’indirizzo e glielo porgo.
-Va bene. Arriveremo fra mezz’ora – mi comunica.
Non riesco a trattenere uno sbuffo. Già mi immagino vista la grandezza della città, l’imponente traffico che troveremo a sbarraci la strada: - Perfetto.
Ringrazio che almeno non mi sono beccata un tassista chiacchierone come quello che mi ha portato all’aeroporto di Philadelphia della serie “Dove e diretta e perché”
Lo fanno perché si annoiano tutto il giorno ad andare a destra e a manca a favore della gente, ma dovrebbero capire che queste hanno una cosa che si chiama “privacy”
Poggio la testa sul finestrino e contemplo tutto quello che piano piano compare davanti a noi.
Il percorso è abbastanza piacevole da osservare.
I grattacieli si innalzano senza che riesca a vederne la cima. C’era un via vai continuo per le strade tanto che il traffico pedonale sovrasta quello stradale.
Vorrei che fosse notte per ammirare le luci che tutti simili edifici trasmettono illuminando la città. Io ho sempre amato la notte. La preferisco cento volte al giorno.
E mi riprometto, una volta sistemata nella mia nuova abitazione, di farmi un giretto in una di queste bellissime piazze, magari con un itinerario, e dimenticarmi per un attimo che ho un obbiettivo.
Infondo è il mio primo giorno di libertà. Chi potrebbe fermarmi?
-Mi scusi? – chiedo al tassista indicando un punto fuori dal finestrino – Cos’è quello? – si tratta di un edificio agli occhi molto più arcaico di tutti i palazzi moderni che lo circondano.
-Quella – mi corregge lui usando il femminile – è la Old State House. E’ lì dal millesettecento. Ci crede se le dico che è considerato l’unico manufatto di quel periodo che è rimasto intatto?
-Ci credo – confermo – quindi immagino che funga da museo?
-Indovinato – spiega lui – Hanno preveduto più e più volte di demolirlo, ma si tratta pur sempre della sede del governo coloniale, dove fu letta in pubblico la Dichiarazione D’indipendenza. Un’attrazione vantaggiosa. Ma è comunque affittabile per eventi.
Mi riporto queste brevi informazioni in mente, così come l’immagine dell’edificio che oltrepassiamo per addentrarci nel traffico di Washington Street, da come dicono i cartelli.
Non faccio più domande. Mi limito a osservare gli edifici, stavolta vedendo se riesco a scorgere qualche biblioteca, senza la quale so già che non mi sentirei mai a casa.
_______________________________________________________________________
Sono passati venti minuti quando veramente mi riprendo dal contemplare la città e mi preparo a scendere.
Il quartiere non è male. Rileggo l’indirizzo: 37° Summer Street.
Anche se non siamo proprio nel mirino di Summer Street, ma solo due vicoli nascosti dalla strada principale che si affaccia su una piazzetta poco frequentata con un piccolo parco e qualche negozio. Ammiro l’edificio che è comunque enorme. Non supererà i dieci piani.
Sospiro dicendomi che almeno non è una zona affollata.
Do la mancia al taxi che saluta e se ne va.
Mi metto a leggere i citofoni un po’ nervosa. Assai nervosa. Sto per andare a convivere.
I miei nuovi inquilini potrebbero non esserci, ma nell’ultima lettera della nostra corrispondenza c’era il dettaglio che nel caso, dovevo chiedere ai portieri di Mcbride e mi avrebbero lasciato le chiavi di scorta.
Mcbride eccolo! Esito solo un secondo prima di premere il pulsante del microfono facendo accendere la targa.
Mentre aspetto continuo a guardarmi intorno provando ad abituarmi al mio nuovo quartiere. Dovrò trovare il tempo di esplorarlo tutto.
-Hello?
Una voce ha risposto. È femminile.
-Ehm … – rispondo – Sono Iris Barnett – tanto per la cronaca mi è stato scritto sul passaporto da Suor Maria Angela il nuovo cognome a cui mi dovrò adattare - Dell’abbazia di Santa Isabella.
-Uuh …giusto … settimo piano!
E prima di riagganciare apre il portone.
Tengo stretti i miei bagagli e supero la hall dando il buongiorno ai due portieri che stanno chiacchierando con una sigaretta dietro il bancone.
L’ascensore si apre per fare uscire una famiglia con due bambine io prendo il loro posto.
Premo il numero sette e vengo sollevata. Le ascensori mi hanno sempre dato un po’ di nausea.
Ora che arrivo dovrò soltanto presentarmi, fare una veloce chiacchierata per conoscerci meglio e poi uscire con la scusa di vedere un po’ il posto. In parte è vero, però l’obbiettivo principale è riuscire a trovare una libreria abbastanza vicina.
Da quanto mi hanno scritto negli ultimi mesi anche loro si sono trasferiti da poco in città. Dovrò chiedere a qualcun altro più esperto.
Le portiere dell’ascensore si aprono e mi ritrovo in un lungo corridoio costeggiato da porte di legno verde.
Ad intuito mi dirigo verso quella in fondo che è socchiusa.
Prima di entrare faccio due bussate con le nocche.
-Avanti! – mi rispondono dall’interno.
Prendo un respiro profondo trattenendo l’agitazione e mi faccio avanti … per ritrovarmi davanti al più grande mucchio di scarpe che abbia mai visto. Occupano metà ingresso che da quel che vedo è abbastanza ristretto.
-Salve …? – chiamo.
E dal cumulo di tacchi esce fuori una testa bionda insieme a tutto il corpo. Sobbalzo. Si era completamente mimetizzata con le scarpe.
 È una ragazza dalla pelle chiarissima, così come gli occhi che tendono al verde oliva. Mi stupisco quando mi accorgo che ha i capelli bagnati e un asciugamano intorno alla vita.
Non appena entro, si rimette subito in piedi inciampando più volte nelle scarpe che lancia a destra e a sinistra per farsi una strada sicura e raggiungermi.
-Ciao – mi arriva davanti tendendomi la mano – Iris giusto? Ti prego perdona il caos, ma non mi aspettavo arrivassi proprio mentre uscivo dalla doccia. Mi ero ripromessa una volta asciutta, di dare una ripulita, ma poi mi sono ricordata che non avevo ancora scelto l’outfit con cui mi sarei dovuta presentare – indica il mucchio di scarpe – questo non è niente a ciò che c’è in camera mia, però io trovo che scegliere le scarpe prima dei vestiti, dato che è la parte più scomoda, vada messo come primo pensiero. In questo modo si lascia il meglio alla fine. Dulcis in fundo dicevano i latin….
Porca paletta, ho trovato una “Mrs Parlantina”. Mi ha rifilato diciotto informazioni in cinque secondi! Continua e non mi ha ancora detto il nome! Se non la fermo mi verrà un emicrania.
-Okay! – la spiazzo ad alta voce educatamente – Ho capito. Non ti preoccupare. Se vuoi posso aiutarti a dare una mano a ripulire, ma prima vorrei almeno mettere da parte le valigie.
-Oh, ma certo!– meno male. La tiritera si è fermata. Scavalchiamo il mucchio di scarpe e ci dirigiamo verso il corridoio principale dove veniamo invase dal calore del vapore che esce da un bagno dove evidentemente si era docciata poco prima – Non vedevo l’ora di conoscerti. Spero di poterlo fare una volta sistemata – fa una risatina nervosa – la tua stanza è di qua.
-Grazie signorina- chissà perché l’ho chiamata così.
A occhio e croce siamo coetanee. Devo levarmi l’abitudine di rivolgermi a tuti come se fossero miei superiori. Mi capitava solo nel luogo nel quale non metterò più piede.
-Signorina? – esclama lei offesa ma facendo l’ironica – Ma per chi mi hai presa, una governante? Se vogliamo essere buone coinquiline dobbiamo entrare già da subito in confidenza. Ho da poco compiuto 18 anni– come immaginavo. Fa una risatina veloce. Mi riprende la mano e stavolta la agita: - Chiamami Berry. Dayana Berry.
  
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