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Autore: Ode To Joy    24/09/2017    1 recensioni
ABBANDONATA
[Lotor x Lance]
Post-S3
”I tuoi occhi sono blu…”
Lance avvertì una nota sorpresa nella sua voce. Sorrise.
“Adesso, però, devi dirmi di che colore sono i tuoi.”

Dopo una battaglia finita male, Lance si ritrova solo ed incapace di vedere a causa di un danno irreversibile subito agli occhi.
"Mi permetterai di vedere il tuo viso, prima che tutto questo finisca?"
Viene salvato e fatto prigioniero da un giovane generale Galra senza nome che ha tutte le intenzioni di sfruttare il Paladino a suo vantaggio.
"Hai già visto molto più di quello che avresti dovuto, Paladino Blu."
Ma ogni strategia ha i suoi punti deboli.
[Questa storia partecipa al contest “Humans +” a cura di Fanwriter.it!]
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, McClain Lance
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Numero Parole: 2757
Prompt/Traccia: P. 4. Bambini curiosi

IV
Scontro



Il Paladino sollevò le palpebre lentamente e le sbatté un paio di volte.

Non disse niente e Lotor rimase seduto sul bordo della vasca ad osservarne il profilo con interesse: aveva il naso piccolo, con la punta un poco all’insù.

Non era sicuro di quanto gravi fossero i danni riportati dagli occhi del Paladino a causa del gas ma una tale assenza di reazione lo sorprese.

“Che cosa vedi?” Domandò.

Il Paladino trasalì, come se si fosse dimenticato della sua presenza.

Non seguì il suono della sua voce, non voltò il viso nella sua direzione.

Si ritrasse fino al bordo della vasca stringendo le ginocchia al petto.

Il suo sguardo era perso nel vuoto.

“Niente…”

La sua voce suonò estranea alle orecchie di Lotor. Era priva di qualsiasi intonazione.

“Non vedo niente,” aggiunse ed altre lacrime gli rigarono le guance.

Quanta emotività per un guerriero.

“È la prima volta che ti succede?”

“Cosa?” Domandò il Paladino girando appena il viso verso di lui ma tenendo gli occhi bassi. “Di essere fatto prigioniero o di avere un crollo nervoso?”

“È così che lo chiamate, voi terrestri?” Domandò Lotor. “Crollo nervoso?”

“Tu come lo definiresti, Generale?”

Il Principe non rispose a quella domanda. “Ed è la prima volta che sei fatto prigioniero?”

Le labbra del Paladino si piegarono appena in una smorfia sarcastica. “Sono un Paladino, Generale e, mio malgrado, devo confessarti che la pietà per i prigionieri non è mai stata un’opzione prima dell’arrivo del tuo Principe.”

Era una risposta più che sufficiente.

Lotor annuì. “Sì, sei un Paladino. Proprio per questo dovresti essere preparato a tutto questo.”

“Preparato?” Ripetè l’altro aggrottando la fronte. “Pensi che mi abbiano preparato ad essere un Paladino? Pensi che abbia seguito un addestramento che mi abbia reso idoneo a pilotare il Blue Lion?”

Lotor inarcò un sopracciglio: non era a bordo del Blue Lion che aveva trovato quel Paladino ed era il Red Lion ad essere rinchiuso nel loro hangar. Non lo corresse, però: stava parlando spontaneamente e voleva ascoltare dalla prima all’ultima parola.

“Non ti hanno insegnato niente su Voltron, Generale?” Domandò il Paladino con tono quasi velenoso. “Il tuo Principe non conosce i dettagli del Difensore Leggendario? Dovrebbe, Zarkon ha contribuito enormemente a scriverne sia l’inizio che la fine!”

Lotor strinse i pugni nel sentir nominare suo padre ma mantenne il controllo.

“Non si sceglie di essere Paladini, Generale. Sono i leoni a scegliere e non sempre le loro decisioni rispettano i nostri desideri.”

“Odi essere un Paladino?”

Il viso del giovane terrestre s’illuminò un poco. “Amo essere un Paladino,” rispose. “Temo, però, che tu non possa capire.”
Lotor si alzò dal bordo della vasca e raccolse da terra una bottiglietta di shampoo che doveva essere caduta dalle mani di una delle ragazze durante il caos di poco prima. “Conosco le storie di Voltron meglio di quanto pensi,” disse poggiando un ginocchio a terra, alle spalle del prigioniero. “Forse, anche più di te.”

Si versò un poco di shampoo sul palmo della mancina, poi la strofinò con la destra. “Voltron è una macchina da guerra,” disse. “Che cosa c’è da capire?”

Il Paladino ridacchiò. “Visto?” Disse. “Non puoi comprendere, Generale.”

Lotor non replicò ed infilò le mani insaponate tra i capelli castani del Paladino senza alcun preavviso. L’altro si fece immediatamente rigido. “Che cosa stai facendo?”

“Non ti sto facendo del male,” rispose il Principe. “Fattelo bastare. Perchè non mi aiuti a comprendere?”

“Cosa?” Domandò il Paladino con voce notevolmente più intimorita.

Lotor pensò che doveva sentirsi a disagio con le sue mani addosso ma non si fermò. “Voltron…” Disse. “Cerca di farmi capire Voltron.”

Il Paladino tentò di voltarsi. “Non puoi capire Voltron, devi viverlo!”

“Fermo con la testa,” ordinò il Principe. “Cosa c’è da vivere? La guerra? Quella la vivo da quando ho memoria, Paladino.”

“Te l’ho detto, non puoi capire.”

“Ed io ti ho ordinato di spiegarmi.”

Il Paladino sbuffò e rimase a pensare per un istante. “Tu tieni a loro, vero?”

“A chi?”

“Alle tue ragazze.”
Le mani di Lotor si fecero immobili per un istante e tanto bastò a tradirlo.

“Lo sapevo…” Disse il Paladino.

Lotor non poteva vedere il suo viso ma era certo che stesse sorridendo. Allontanò le mani dalla testa del prigionero, si alzò in piedi e prese un asciugamano. Alle sue spalle, sentì l’acqua muoversi mentre il Paladino s’immergeva e tornava in superficie velocemente.

Quando lo guardò di nuovo, lo vide passarsi le dita tra i capelli tirandoli indietro.

“Che cosa sapevi, Paladino?” Domandò Lotor.

L’altro sospirò appoggiando la nuca contro il bordo della vasca. “Ci ho pensato per un po’. Quando non mi annoi con le tue continue domande, devo coprire il silenzio con i miei pensieri.”

Lotor sapeva per esperienza che era un’ottima strategia per farsi del male da soli ma non lo disse.

“Quando hai detto che la più grande dimostrazione d’amore in guerra è cadere per un proprio compagno e quando hai parlato di lealtà... All’inizio, ho creduto che si trattasse del tuo Principe, poi ho capito… La tua lealtà non è per Lotor, nè per l’Impero. Tu sei leale a loro.”

Lotor lo guardò fisso. Qualunque parola lo avrebbe tradito ma il silenzio non giocò a suo favore. Gli angoli della bocca del Paladino si sollevarono. “Sei il loro leader ma loro non combattono per te… Loro combattono con te.”

Improvvisamente, Lotor si pentì di averlo lasciato parlare, di avergli dato il modo di dare voce ai suoi pensieri. Lo aveva sottovalutato. “Parli di sfumature invisibili agli occhi,” disse.

“Parlo di ciò che distingue Shiro da Zarkon.” Replicò il giovane terrestre.

“Potrebbe essere quello che distingue il Principe da suo padre.”

Il Paladino sospirò annoiato. “Se Lotor odia tanto suo padre come dici, perchè combatte contro di noi?” Domandò esasperato. “Perchè dovrebbe essere qualcosa di diverso dall’ennesimo folle assetato di potere? Non mi pare abbia rinunciato a quello che Zarkon ha creato macchiandosi le mani di sangue per secoli!”

Sì, lo aveva lasciato parlare troppo.

Lotor dimenticò ogni autocontrollo e si ritrovò con le dita strette tra i capelli del prigioniero. “Pensi di sapere tutto, Paladino?” Sibilò mentre il terrestre stringeva le palpebre per il dolore. “Pensi che questa guerra millenaria, perchè è di questo che si tratta, possa essere raccontata solo da due punti di vista? Gli Altean sono stati massacrati ed i Galra massacrano l’universo da allora. È questa la tragica storia che ti ha raccontato la tua Principessa, giusto?”

Lo lasciò andare.

Il Paladino piegò la testa in avanti massaggiandosi la nuca con entrambe le mani.

“Forse combatti con il tuo leader ed i tuoi compagni, Paladino,” aggiunse Lotor con voce velenosa. “Ma tutti e cinque combattere per qualcuno ed essere un liberatore, alle volte, è solo un modo diverso d’indossare i panni di un conquistatore.”

Se ne andò e lasciò il prigionero da solo.



Da quel giorno, il Principe non si disturbò più a mettere piede nella cella del Paladino.



C’era una telecamera nella cella del Paladino Blu ed era collegata ad uno degli schermi del ponte della nave. In quel modo, Lotor poteva osservarlo regolarmente anche quando non era con lui… Quando le ragazze si facevano da parte e gli permettevano di dare un’occhiata.

“È carino,” commentò Ezor con un sorrisetto appoggiando i gomiti sul pannello di controllo. “È anche divertente… Quando capisco quello che dice.”

“È un prigioniero, Ezor,” le ricordò Acxa pazientemente.

“Può essere carino anche come prigioniero!”

“Io devo capire perchè ancora non lo abbiamo torturato,” intervenne Zethrid seduta alla sua postazione con le braccia incrociate contro il petto. Era imbronciata come una bambina a cui era stato negato il suo dolce preferito.

Acxa sospirò stancamente, poi cercò lo sguardo del Principe.

“Perchè non ci serve torturarlo,” disse Lotor, il viso appoggiato al pugno chiuso. “E non voglio che nessuna di voi sprechi energie per qualcosa d’inutile.”

“A me rilassa torturare,” borbottò Zetrhid.

“Ma il Gattino Blu ci serve intero o gli altri Paladini potrebbero non volerlo più,” disse Ezor.

Acxa riportò gli occhi sullo schermo. “Non fa altro che piangere.”

Lotor sapeva che quelle parole erano rivolte a lui ma non sapeva come replicare.

“Se Zethrid non lo avesse malmenato,” disse Ezor con un fare petulante.

“Se Ezor non avesse deriso il suo coso!” Ringhiò Zethrid.

Il Principe guardò Narti. Lei se ne stava in un angolo ad accarezzare la schiena di Kova come se loro non fossero nemmeno lì. Lotor non sapeva cosa le passava per la testa, solo che provava pietà per quel Paladino, per aver perso la capacità di vedere.

“Qualcuno sa come si chiama?” Domandò Ezor distogliendo lo sguardo dallo schermo per guardare il Principe e le compagne di squadra.

Acxa rimase in silenzio e Zethrid scrollò le spalle.

Ezor storse la bocca. “È qui da settimane ed ancora non sappiamo come si chiama?”

“E non lo abbiamo torturato!” Aggiunse Zethrid.

Acxa alzò gli occhi al cielo.

A Lotor sfuggì un sorriso ma lo nascose appoggiando la bocca contro il pugno chiuso.

“Glielo andiamo a chiedere?” Propose Ezor con un gran sorriso.

“Ezor, il Paladino non è un animale da compagnia con cui giocare,” le ricordò Acxa come se il concetto non fosse già stato ribadito ripetutamente.

“Sì, ma ci era anche stato ordinato di studiarlo, vero?” Domandò Ezor lanciando un’occhiata speranzosa al Principe seduto sul trono.

“Prima che il moscerino blu facesse arrabbiare Lotor,” intervenne Zethrid.

Il Principe venne preso alla sprovvista da quelle parole ma seppe nasconderlo: non aveva detto a nessuna di loro come era finita la conversazione tra lui ed il Paladino Blu ma immaginava di aver reso le ragazze sospettose quando aveva ordinato loro di non fargli più visita.

“Non è un moscerino,” replicò Ezor incrociando le braccia contro il petto. “È un gattino ed io voglio sapere perchè non possiamo più giocarci.”

“Ed io voglio sapere perchè lei può giocarci ed io non posso torturarlo!” Esclamò Zethrid.

“Smettetela di discutere gli ordini!” Esclamò Acxa esasperata. “Ora!” Aggiunse quando Ezor tentò di aprire gli nuovo la bocca.

Quest’ultima sospirò ed alzò le mani in segno di resa. “Va bene.” Un attimo di pausa. “Possiamo scommettere su come si chiama, però!”

Acxa prese a massaggiarsi la fronte e sospirò stancamente.

“Chissà che avrà da piangere?” Domandò Zethrid alzandosi dal suo posto per dare un’occhiata allo schermo sul pannello di controllo. “I Paladini non dovrebbero essere dei guerrieri leggendari? Questo qui mi sembra più un moccioso nel posto sbagliato al momento sbagliato.”
Lotor non riuscì a far scivolar via quel commento. Ci riflettè in silenzio. Sentiva lo sguardo di Kova su di sè e seppe che Narti lo stava osservando. Se Acxa non aveva capito quanto in profondità quel Paladino era riuscito ad arrivare con le sue parole, forse, lei lo aveva intuito.

Lotor, però, non aveva mai condiviso i suoi pensieri con nessuno. Nemmeno con loro.

Si alzò dal trono e gli sguardi delle ragazze furono tutti su di lui.

“Principe Lotor?” Domandò Acxa.

Lui le guardò. “Vado da lui. Se collassa saremo costretti ad attraccare alla base più vicina e non voglio rischiare che qualcuno fedele a Haggar o a mio padre gli metta le mani addosso.”



Il Paladino Blu giaceva sul letto in modo da dargli le spalle.

La schiena era scossa dai singhiozzi ed appariva ancor più gracilino con i vestiti puliti che gli avevano messo addosso. Erano larghi. I terrestri erano davvero piccoli o, forse, era lui ad esserlo.

Lotor aveva sentito molte storie sulla forza del Campione, su come fosse capace di sconfiggere il suo nemico anche a mani nude. Come sempre, le voci dovevano aver esagerato o quello Shiro doveva essere un raro esempio di guerriero tanto bravo ad uccidere quanto ad usare la testa.

Gli sarebbe piaciuto duellare contro di lui un giorno. A differenza dei Generali di suo padre, avrebbe potuto rivelarsi un avversario degno.

Non avrebbe sottovalutato il Paladino Blu per il suo aspetto, però. Era un errore che aveva già compiuto.

“Paladino…” Chiamò.

La figura raggomitolata sul letto trasalì ma non si voltò. “Vattene…”

Lotor non replicò.

“Vattene!” Urlò il Paladino. “Vattene! Lasciami solo!”

“Mi era parso di capire che non tollerassi il silenzio.”
Il giovane terrestre si mise a sedere di scatto. Sebbene Lotor fosse alla sua destra, gli occhi erano rivolti alla parete opposta al letto. “Tollerare?” Domandò con voce tremante ma non di paura, bensì di rabbia. “Vuoi sapere che cosa davvero non riesco a tollerare, Generale? L’attesa! L’inevitabile!”

Non si vergognava di piangere, di singhiozzare.

Qualunque addestramento quel Paladino avesse seguito, Lotor dedusse che non doveva aver avuto molto a che fare con la disciplina. Zethrid aveva ragione: sembrava un ragazzino nel posto sbagliato al momento sbagliato.

“Li vedo nei miei incubi!” Il Paladino si asciugò il viso alla male e peggio con il dorso della mano. “Li vedo mentre fate loro del male. Avete il Red Lion e non possono formare Voltron senza quello!”

Lotor fu incuriosito da quella scelta di parole. “Non possono formare Voltron senza di te.”

“Sono cieco, maledizione!” Urlò il Paladino. “Che differenza vuoi che faccia la mia presenza? Io sono sostituibile ma loro no. Non possiamo perdere ancora Shiro! Keith non ce la fa… Fa del suo meglio ma non può sopportare una cosa del genere per la terza volta! E Pidge… Lei già non dorme per suo fratello e perchè è una fottuta nerd, non può caricarsi sulle spalle tutta la squadra! E Hunk… Moriranno di fame senza Hunk!”

Lotor comprese solo metà di quello che stava dicendo ma gli bastò. “Avete perso il Paladino Nero?”

Il giovane terrestre si fece subito calmo, silenzioso. Aveva parlato troppo.

“Chi sta guidando Voltron?” Domandò Lotor.

“Pensavo che la fama di Shiro lo precedesse.”

“È inutile mentire, sapevo già che era successo qualcosa al pilota del Black Lion...”

Il Paladino voltò il viso nella sua direzione ma tenne lo sguardo basso. “Che cosa sapevi?”

“Che il Paladino Nero contro cui ho combattuto la prima volta che ci siamo scontrati non poteva essere quello che aveva sconfitto Zarkon.”

L’altro non disse nulla a proposito.

“È scomparso dopo quella battaglia, vero?” Lotor non ne era sicuro ma qualcosa gli diceva che qualunque cosa fosse successa al Paladino Nero doveva aver influenzato in qualche modo anche le condizioni di suo padre.

“Shiro è a casa,” affermò il Paladino. “Voltron è ancora in piedi…”

“Hai appena detto che senza il Red Lion…”

“Lo recupereranno!”

“Ma quel leone si fa pilotare solo da te, no?”

“No! Io…” Il Paladino si morse il labbro inferiore, poi si lasciò cadere sul letto dandogli di nuovo le spalle. “Lasciami in pace!”

Era troppo emotivo, troppo impulsivo, troppo tutto.

Poteva essere un Paladino ma la sua natura non era quella di un soldato.

“Sei ancora qui?” Sbottò con astio.

Già… Era anche arrogante.

“Come ti chiami?” Domandò Lotor senza girarci troppo intorno.

Il Paladino si fece immobile e silenzioso per un lungo minuto, poi si girò lentamente ma i suoi occhi ciechi continuarono a fissare il punto sbagliato. “Perchè vuoi saperlo?”

“Perchè non lo so e voglio saperlo.”

“Ma perchè t’interessa saperlo?” Insistette il Paladino.

Irritante. Lotor aggiunse anche quella alla lunga lista di caratteristiche che rendevano quel giovane poco degno del suo titolo. “Ti ho ordinato di dirmi il tuo nome, Paladino Blu.” Disse col tono di chi non ammette altre obiezioni.

L’altro s’imbronciò come un bambino annoiato, poi sollevò gli occhi.

Per un istante, Lotor pensò che riuscisse a vederlo.

“Lance…” Rispose. “Mi chiamo Lance.”

Lotor memorizzò quel nome velocemente. Aveva un suono semplice, facile da pronunciare.

“Io devo continuare a chiamarti Generale?” Domandò il Paladino.

Non poteva rispondere a quella domanda e non si disturbò ad inventare una bugia che reggesse. Si voltò ed uscì.

Una volta richiusa la porta della cella, però, Lotor non potè evitare di udire il Paladino imprecare contro di lui: “ma tu guarda questo stronzo!”

Suo malgrado, gli venne da ridere.



Pochi minuti dopo, Lotor era di nuovo sul ponte di comando.

“Lance,” informò i suoi Generali. “Si chiama Lance.”

Detto quello, tornò sui suoi passi: aveva ordinato al Paladino Blu di fargli comprendere la natura di Voltron e non era ancora stato accontentato.

Rimaste sole, le quattro non dissero nulla per alcuni istanti.

Alla fine, Ezor sbuffò. “Così non è giusto, però!”













 
   
 
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