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Autore: ntlrostova    24/09/2017    1 recensioni
Pensò ai duecentomila yen che doveva raccogliere per i Lil Tykes. Pensò che Sawamura era uno studente dell’università. Pensò a se stesso e Iwaizumi, sei anni, o forse di meno, che si lanciavano un pallone e ridevano.
Era impossibile.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le persone che non fanno rumore sono pericolose
- Jean de La Fontaine
 

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Tornare a Miyagi per la prima volta fu come entrare nella propria casa d’infanzia, ormai abitata da qualcun altro, e ricordarla ma non riconoscerla, non davvero.

Miyagi non era più la stessa, o forse era stata Kiyoko a cambiare irreversibilmente, e ora Kiyoko e Miyagi si vedevano, ma non si capivano.

Non più.

Rimaneva il fatto che, non appena aveva messo piede a terra, il suo cuore aveva preso a battere all’impazzata. Le sue mani, impegnate a reggere i bagagli, erano sudate, come quando aveva un esame importante alla United States Military Academy. Non era una sensazione spiacevole, ma inaspettata, quello sì.

Rivedere i suoi genitori dal vivo fu la sensazione di soddisfazione e leggerezza che si prova dopo aver tirato un sospiro di sollievo.

Giocare di nuovo a Shogi con Nayako (che, dopo aver vinto, le aveva detto, il volto illuminato da un sorriso abbagliante, “Non vergognarti di aver perso contro una quindicenne, Nee-san, perché hai perso contro la quindicenne più furba dell’intero Giappone. No, no, che dico, del mondo!”) fu il sorso di acqua fresca che si beve alla fine di una gara, il supporto incondizionato e la complicità di chi conosci da sempre.

Stringere la mano di Yachi fu il calore che avvertiva ogni volta che le sorrideva dallo schermo del cellulare, ma amplificato, quasi paragonabile al calore che Kiyoko aveva sentito sotto le proprie labbra quando si era chinata per baciarla.

Rivedere i suoi compagni di squadra della Karasuno fu travolgente.

Quando lei e Yachi arrivarono al punto d’incontro di fronte all’Izakaya Osuwari e si accorsero che Sugawara e Sawamura erano gli unici già presenti, Kiyoko pensò, siete voi.

Il sorriso di Sugawara che si allargava un po’ di più ad ogni passo che le ragazze muovevano verso di loro, gli occhi gentili di Sawamura e la sua postura fiera, le braccia incrociate sul petto; era tutto così familiare che Kiyoko fu sopraffatta da una nostalgia quasi soffocante.

Adorava abitare negli Stati Uniti, adorava andare alla USMA e sentirsi responsabile e pianificare, lentamente, passo dopo passo, il proprio futuro.

Però.

Però gli anni del liceo, passare i pomeriggi con Sugawara e con Sawamura e con Azumane, il ruolo di manager della Karasuno; sarebbe dovuto durare di più.

“Siete voi,” disse Kiyoko, perché non poteva farne a meno.

“Sei tu.” Sawamura allungò una mano, la ritirò, si profuse in un mezzo inchino, solo per raddrizzarsi immediatamente.

Poi si fermò per un istante, sorrise a malapena e allargò le braccia.

Si abbracciarono, e i loro petti, schiacciati l’uno contro l’altro, cominciarono a muoversi all’unisono: un ritmo placido di inspira ed espira.

“Yachi-san, da quanto tempo," disse Sugawara. “Come va con la squadra?”

“Sì!” Yachi chinò la testa, poi arrossì. “Ehm… volevo dire, va tutto bene. I primini si stanno integrando e abbiamo disputato due o tre partitelle con delle squadre universitarie, perciò abbiamo buone possibilità di vincere il Torneo di Primavera, ma non vorrei attrarre la sfortuna, quindi non ci riporrò troppe speranze.”

Sugawara rise. “La Karasuno è proprio una squadra fortunata.”

Kiyoko provò un improvviso moto di affetto nei confronti di Yachi.

Goffa e impacciata e tenera Yachi; curiosa e brillante e diligente Yachi.

Quando si staccò da Sawamura, incrociò il proprio sguardo con quello di Sugawara. La sua mente divenne un’accozzaglia di come stai mi sei mancato com’è l’università sembri diverso ma non proprio e, prima che riuscisse a decidere esattamente cosa dirgli, parlò qualcuno dietro di lei.

 “È davvero esaltante rivedervi, senpai, ma, per favore, fateli smettere,” fece Ennoshita, indicando con la mano il punto da cui era arrivato.

“Riesco a vedere tutte le vostre teste da quassù.” La voce scatenata di Nishinoya, proveniente dalla strada alla loro destra, avrebbe potuto spazzare via le tegole dalle case, ma si limitò ad investirli con la potenza di una cascata.

Azumane lo portava in spalla e non ne sembrava particolarmente entusiasmato. Probabilmente la decisione non era stata sua. Barcollava a destra e a sinistra sulla strada deserta e, con voce preoccupata, continuava a pregare Nishinoya di stare attento.

Tanaka camminava un passo indietro, seguendo il percorso traballante di Azumane con le braccia tese in avanti e rideva, ma quando vide Kiyoko si fermò di botto.

“Kiyoko-san!” urlò. “Sei tornata! Per noi?”

“Kiyoko-san!” gli fece eco Nishinoya, sbracciandosi per salutarla. Quasi perse l’equilibrio e Azumane, per contro, quasi perse il battito cardiaco, a giudicare dall’espressione sul suo viso.

“Oi,” Sawamura non alzò la voce, non ne aveva bisogno. “Smettetela. State disturbando il vicinato.”

Tanaka e Nishinoya si zittirono immediatamente, e nel silenzio che calò si sarebbe potuto avvertire anche il suono di una piuma adagiata su uno specchio d’acqua.

“Scendi di lì, Nishinoya.”

“Daichi, fai paura,” piagnucolò Azumane, mentre Nishinoya si arrampicava giù dalla sua schiena.

“Asahi,” Sugawara gli si avvicinò e lo colpì su una spalla, strappandogli un gemito di dolore. “Non sta sgridando te.”

Kiyoko lasciò che le proprie labbra si piegassero in un sorriso alla familiarità della scena, e rise a tutti gli effetti quando Ennoshita le confidò, “Narita ha chiesto a me e Kinoshita di andare ad Okinawa con lui e la sua famiglia quest’estate. Kinoshita ha detto di sì, e io sto cominciando a pentirmi di non averlo fatto.”

Poi, di colpo Yachi prese a correre, e Kiyoko, voltatasi nella direzione in cui si era mossa l’altra, la vide chiacchierare animatamente con Yamaguchi e Hinata, che dovevano essere appena arrivati.

A qualche passo di distanza, Kageyama e Tsukishima si stavano avvicinando. Entrambi la salutarono con un inchino e Tsukishima le lanciò uno sguardo simpatetico che lei interpretò come, neanche io voglio essere qui, Shimizu-senpai.

In realtà, Kiyoko voleva essere lì.

Si sentiva leggera ed elettrizzata e sapeva che Tsukishima non era tanto infastidito quanto dava a vedere.

Nonostante pensasse di essere tanto piena di felicità da esplodere, il suo corpo riuscì a contenere una punta di sorpresa quando Hinata disse, “Che strano. Kenma dovrebbe essere già arrivato da un pezzo.”
 

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“I miei sensi mi dicono di andare di là,” dichiarò Bokuto, indicando l’ennesimo vicolo.

“Sei sicuro?” ribattè Kuroo e puntò l’indice verso un altro vicolo stretto e deserto. “Perché i miei sensi mi dicono di andare di qua.”

Keiji sospirò, “Scommetto che questa la vince Kuroo.”

Kozume scrollò le spalle, senza staccare gli occhi dallo schermo del suo cellulare. Era da più di un’ora che tentava di mettersi in contatto con Hinata, cercando un posto in cui la linea prendesse.

“E va bene,” capitolò Bokuto. “Andiamo. Ma sarà un’altra strada senza uscita.”

“Non puoi saperlo,” la voce di Kuroo si allontanò man mano che si inoltrava nel vicolo.

Quando Bokuto gli passò davanti per seguirlo, controvoglia, Keiji dovette trattenere uno sbuffo divertito.

A quell’ora la città era completamente deserta, schiacciata dal sole di un primo pomeriggio abbagliante.

Faceva già troppo caldo e Keiji si pentiva di aver acconsentito a prendere parte in quella follia. Doveva studiare per i test di ammissione all’università e concentrarsi sulla Fukurodani, non aveva tempo da perdere.

Non aveva estati da sprecare.

“Akaashi, avevo ragione!” Bokuto gli sorrise, riemergendo dal vicolo, con al seguito un Kuroo sconsolato. “Vedrai che il mio è quello giusto.”

In treno, nel giro di dieci minuti, Bokuto aveva elencato, contandole sulle dita, tutte le attività che era possibile mettere in piedi per organizzare una raccolta fondi.

“Sono stato sveglio tutta la notte a fare ricerche,” aveva detto. “Sapevate che c’è un’associazione contro la caccia ai rapaci? Io no. Ma dato che aveva un sito ho donato tutti gli yen che avevo messo da parte per comprare quell’enorme dipinto di un gufo, te lo ricordi, Akaashi? Ho pensato: meglio salvare un gufo vero, che comprarne uno finto da appendere in casa.”

Il modo in cui si era preso quella questione tanto a cuore, tanto velocemente e senza rifletterci due volte, era così Bokuto che Keiji se ne sentiva risucchiato.

Il suo petto si strinse in una morsa e le dita cominciarono a prudergli dalla voglia di accarezzargli il volto, di sfiorargli la curva delle clavicole, di passargli i palmi sulle spalle, toccandole appena, e di percorrere con i polpastrelli il profilo delle sue braccia.

Bokuto lo prese per mano e lo condusse attraverso una fila di abitazioni.

A Miyagi non c’erano i palazzi enormi di Tokyo, non c’era traffico, e in quel momento nessuno passava di lì.

Nessuno a cui chiedere indicazioni.

A Miyagi il tempo sembrava non scorrere e magari Keiji poteva lasciar perdere gli studi e la pesantissima sconfitta che la Fukurodani aveva subito agli Interscolastici.

Magari, a Miyagi, poteva concentrarsi su quell’istante in cui Bokuto si girò verso di lui con gli occhi brillanti, increduli per un secondo, e rise.

La sua risata crepò il silenzio e trafisse il cielo.

Tutta Miyagi rimase con il fiato sospeso, insieme a Keiji, per ascoltarla.

Questa non è un’estate sprecata, pensò.

“Disturberai il vicinato, Bokuto-san,” sussurrò, suo malgrado.

“Ma ce l’ho fatta!” esclamò Bokuto. “Ho trovato una strada. Kuroo, questo non è un vicolo cieco.”

Kuroo apparve dietro di loro e curvò le labbra in una smorfia. “Che direzione prendiamo, adesso? Destra?”

“Perché non sinistra?”

“Perché sento che il ristorante è a destra.”

Bokuto incrociò le braccia. “Ah, ma io ho ragione più spesso di te.”

“Non penso che dovremmo continuare a girare a vuoto,” intervenne Keiji. “Sono ore che andiamo avanti.”

“Akaashi, ci siamo già persi,” ribatté Bokuto. “Non vuoi perderti di più?”

“Io preferirei non essere perso. Non ho idea di che cosa tu stia parlando,” disse Kuroo.

“Perdersi è un’opportunità,” rispose Bokuto, gonfiando il petto.

Poi balzò in mezzo alla strada e svoltò a sinistra. “Forza andiamo!”

Keiji guardò la sua schiena allontanarsi, osservò la luce del sole che gli danzava attorno e allungava la sua ombra in terra e seppe di essersi perso per davvero.

Raggiunse Bokuto in pochi passi, strizzando gli occhi per proteggerli dal sole e lasciando che le loro spalle si toccassero, così avrebbero avuto una sola ombra.

Presto anche quelle di Kozume e Kuroo si unirono alle loro.

Procedettero così, affiancati lungo una strada sconosciuta e battuta dal sole, il rumore dei tasti del cellulare di Kozume l’unico elemento di perturbazione del silenzio, fino a quando non giunsero a un incrocio.

Bokuto si fermò di colpo fissando un punto preciso alla sua sinistra. “Ohoho?”

Kuroo, che stava per proseguire dritto, si voltò di scatto e sorrise. “Ohohoho?”

 
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“TSUKKI!”

La voce era tanto forte che Tobio dovette tapparsi le orecchie e stringere i denti, prima di voltarsi per scoprire da dove provenisse.

Vide l’ex capitano della Fukurodani, Bokuto Koutarou, che correva verso di loro, agitando un braccio in segno di saluto. Si fermò a pochi passi da Tsukishima e gli mollò una pacca su una spalla. “Vi stavamo cercando!” disse, chinandosi per riprendere fiato.

“Bokuto-san?”esclamò Hinata.

Tobio sentì Sawamura scongiurare tra i denti, proprio mentre Bokuto si portava le mani ai fianchi. “Hinata! Allora? Sei già diventato un asso?”

Hinata si grattò la nuca e prese a gesticolare furiosamente. “No, non c’è bisogno di farmi i complimenti. Non sono mica un genio.”

“Ehi!” fece Tanaka. “Sono io l’asso della Karasuno.”

Tsukishima schioccò la lingua in un verso di disappunto e Tobio spostò l’attenzione sulle tre persone che camminavano verso di loro.

“Oi, Tsukki,” Kuroo Tetsurou, mimò il gesto di Bokuto, poggiando una mano sulla schiena di Tsukishima, ma senza colpirlo.

Prima che Tsukishima potesse dire qualsiasi cosa, però, Kuroo si allontanò. “Sawamura!” esclamò. “È tanto che non ci vediamo!”

Akaashi Keiji e Kozume Kenma li salutarono con un inchino, scusandosi per il comportamento dei loro senpai.

“Kenma!” disse Hinata, quando lo vide. “Cominciavo a preoccuparmi.”

L’accenno di sorriso che Kenma gli rivolse era probabilmente l’unica cosa che non potesse essere messa in ombra da quello esageratamente grande, esageratamente luminoso di Hinata.

Tsukishima emise ancora quel verso, uno tch di disprezzo e Tobio alzò gli occhi verso di lui.

Il suo volto lasciava trasparire ben poco, ma Tobio aveva imparato a conoscerlo e sapeva che Tsukishima non era quasi mai quello che voleva dare a vedere.

“Ti hanno dato fastidio?” chiese.

Tsukishima si aggiustò gli occhiali con l’indice. “Sono troppo rumorosi.”

Poi si lanciò uno sguardo intorno, soffermandosi su Hinata e Bokuto e, di nuovo, fece schioccare la lingua. Ci mise più impegno, stavolta, come se volesse sottolineare qualcosa.

“Cosa sei? Un orologio?” disse Tobio.

“Purtroppo sono un essere vivente.”

Tobio non sapeva cosa ribattere, e, dato che era semplice stare con Tsukishima perché gli andava bene anche stare in silenzio, non disse niente.

Fu l’altro a parlare di nuovo.“Non capisco perché sono così esaltati.”

Tobio seguì il suo sguardo.

Hinata e Nishinoya discutevano animatamente con Bokuto di qualcosa. Ciò che fuoriusciva dalle loro bocche erano per lo più suoni eccitati e non vere e proprie parole, un insieme di fwah e guwa e woosh. Akaashi li osservava a breve distanza, un’espressione crucciata in volto.

Sawamura cercò di farli smettere, ma i suoi risultati furono alquanto scarsi, perché Kuroo gli stava addosso e gli parlava senza sosta.

Tobio guardò di nuovo Hinata, che adesso era impegnato a mimare una schiacciata con Tanaka.

Pensò al momento in cui gli aveva alzato la prima palla e a quando aveva fatto in modo che incontrasse direttamente il suo palmo.

Pensò a quando l’aveva visto per la prima volta.

Non abbiamo ancora perso.

Pensò a quando, finalmente, dopo essersi allenati tanto, era riuscito ad alzargli una palla che si fermava di fronte a lui, dandogli la possibilità di decidere dove indirizzarla.

Pensò alle partite contro l’Aoba Johsai, quella persa e quella vinta, e a quanto era stato vicino a raggiungere il livello di Oikawa, anche se solo per un istante.

La prossima volta lo farò di nuovo.

Infine, pensò all’ultimo anno alla Kitagawa Daiichi, quando tra lui e i suoi compagni di squadra si era aperta una voragine.

Il Re del campo.

“Le cose piccole possono farti molto felice, anche se per poco tempo,” disse Tobio, senza staccare gli occhi da Hinata. “Non bisognerebbe sottovalutarle.”

“Kageyama?” disse Hinata, battendo i denti. “Cosa ti ho fatto? Perché mi fissi come se volessi uccidermi?”

Tobio abbassò la testa. “Idiota.”

Tsukishima gli lanciò un ghigno sottile.

“Smettila.” Tobio corrugò le sopracciglia e si guardò le punte dei piedi.

“Le cose piccole, eh?”

Tobio spalancò gli occhi, sentendosi arrossire. Si affrettò a nascondere il volto con una mano e deglutì. “Basta.”

“Non ti stavo prendendo in giro,” sbuffò Tsukishima. “Lascia perdere. Tra i due sei tu l’idiota.”

“Non è vero.” Tobio prese ad esaminarsi le unghie, perfettamente limate. “Lo pensi sul serio?”

“Ti sei risposto da solo.”

Tobio gli colpì leggermente il braccio con una gomitata e Tsukishima gli restituì il gesto.

“Io ho fame,” esclamò Nishinoya all’improvviso, spaventando Azumane che stava conversando tranquillamente con Shimizu. “Mi era stato promesso il pranzo.”

“Sawamura, ci offrirai qualcosa?” disse Kuroo, ridacchiando.

“Davvero?” chiese Bokuto. “Allora andiamo, che aspettiamo?”

Sawamura si strinse il ponte del naso tra pollice e indice. “Nessuno ti offrirà niente,” disse, rivolto a Kuroo.

Poi guardò Bokuto. “Stavamo aspettando lui.”
Indicò la strada più grande dell’incrocio, quella esattamente di fronte al ristorante.

Tobio seguì con lo sguardo la direzione del suo dito.

A schiena ritta e ad ampie falcate, Oikawa si avvicinava nella loro direzione, parlando al cellulare.

Iwaizumi lo seguiva, camminando con le mani nelle tasche dei pantaloni.

Oh, pensò Tobio. Oh, no.

 
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“Makki, aiuto, sembra un film dell’orrore,” disse Tooru al cellulare che si stava premendo sull’orecchio. “Mi fissano tutti.”

Gli occhi della Karasuno (e anche quelli di qualcuno che si distingueva per via della particolare caratteristica di essere chiaramente non Karasuno) erano puntati su di lui e Iwaizumi, che avanzavano a passo spedito. Tooru gradiva, spesso e volentieri, l’attenzione di larghi gruppi di persone, ma, per qualche motivo, in quel momento avrebbe preferito non tenere ai Lil Tykes tanto quanto faceva.

Però era difficile dimenticarsi del broncio con cui Takeru aveva detto, tirando su con il naso, Chiuderanno, Tooru. Ed era altrettanto difficile scordarsi di come Iwaizumi aveva aggrottato le sopracciglia quando gli aveva riferito l’informazione.

Dobbiamo fare qualcosa, gli aveva detto, il mento alzato perché sapeva che era quello che Tooru voleva sentirsi dire.

Quindi, era difficile per Tooru voltarsi e tornare indietro sui suoi passi, ignorare così facilmente la gentilezza gratuita di Sugawara e Sawamura, per quanto volesse farlo.

La voce di Hanamaki gli arrivò a tratti.

“Pensavo ti piacesse—” poi silenzio, poi, “Oh, sta zitto, razza di imbecille—” poi silenzio, poi, “Oikawa?”

“Non ti sento,” rispose Tooru. “Aspetta, sono io l’imbecille?”

“No, no, dicevo a Matsu— Ugh, fottute Fiji—” poi silenzio, poi silenzio.

Tooru smise di camminare per fissare minacciosamente il suo cellulare.

Iwaizumi, qualche passo più avanti, lo chiamò da sopra la spalla. “Vuoi darti una mossa? Ci stanno aspettando.”

“Si chiama essere elegantemente in ritardo, Iwa-chan.”

Sistemarsi nel ristorante fu un’impresa ardua. Erano troppi, forse, ma, dopo aver manovrato qualche tavolo e infastidito l’intero locale, riuscirono a sedersi.

Tooru cercò di ignorare l’insistente sguardo di Kageyama e, dopo essersi schiarito la gola, parlò. “Okay, nonostante questa situazione sia piuttosto bizzarra, apprezzo davvero il fatto che siate tutti qui. Anche se non era assolutamente necessario che voi—”

“Oi,” lo interruppe Iwaizumi. “Non vedi che non ti ascolta nessuno?”

Rendersi conto del fatto che gli unici occhi concentrati su di lui erano quelli di Sawamura e Sugawara e, più lontani, quelli di Kageyama, scalfì Tooru nell’orgoglio più di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere.

Sospirò debolmente.

Vide Akaashi, seduto qualche sedia alla sua destra, passare a Bokuto un tovagliolo, sul quale aveva scarabocchiato mentre Tooru parlava. Parve che il mondo si fermasse per qualche istante, immerso in un silenzio immobile, preparatorio, prima che Bokuto scoppiasse in una risata, cristallina e intensa. O forse sembrò così solo a Tooru: aveva la tendenza a drammatizzare, una cattiva abitudine che si manifestava quando veniva ignorato.

Dal lato opposto, Yachi stava discutendo con Tsukishima e Yamaguchi di un documentario sui cavallucci marini che aveva visto.

Fermò il suo monologo solo per chiedere, “Tsukishima-kun, sai perché sono così tanti?”

Tsukishima aprì la bocca per risponderle, ma una voce squillante catturò l’attenzione in costante movimento di Tooru.

“Woah,” disse Hinata. “Noya-san, che figata!”

Poi fu tutta confusione nella testa di Tooru.

La sua anima si trasformò in una versione appassita di se stessa, e prese a vagare lungo il perimetro della propria gabbia in attesa di essere notata e liberata.

Iwaizumi calciò una gamba del tavolo nel tentativo di catturare l’attenzione di qualcuno.

La confusione non cessò.

“Mi chiedo,” disse Sawamura, un sorriso glaciale stampato sul volto. “Perché presentarsi all’incontro e dire di voler partecipare quando non è vero?”
La confusione cessò.

Tooru si meravigliò (soltanto un po’) dell’autorità che esercitava su quei ragazzi, anche a distanza di tempo.

Un capitano era un capitano.

Poi, Sawamura gli lanciò uno sguardo che diceva, prego.

Tooru sorrise (soltanto un po’). Parlò dei Lil Tykes, del calo di iscrizioni e del loro disperato bisogno di pubblicità, tralasciando quanto fosse importante per lui che la raccolta fondi avesse successo. “Ci servono i soldi per delle attrezzature nuove, e poi potremmo organizzare un evento per pubblicizzarli, non sono ancora sicuro—”

“Ehm,” disse Ennoshita. “Mi sono perso. Come facciamo a raccogliere i soldi?”

Iwaizumi ridacchiò e Tooru gli rispose, “D’accordo, saputello, hai qualche idea?”

Ennoshita sembrava pronto a ribattere, ma Bokuto fu più veloce di lui. “Io lo so,” disse. “Organizziamo un mercatino dell’usato, o una lotteria. Potremmo fare una grigliata, ma allora ci servirebbero le griglie. E la carne.”

“Oppure ci mettiamo a vendere limonata,” aggiunse Kuroo, con tono annoiato.

“E biscotti,” concluse Akaashi.

Bokuto si illuminò. “Sì!”

“E se mettessimo su un autolavaggio?” Sugawara sorrise. “Spugne, secchi e sapone costano poco e a tutti fa piacere avere un’auto pulita.”

Ricominciarono a parlare tutti insieme, ma stavolta Tooru ne fu quasi soddisfatto. Perfino dopo che i piatti che avevano ordinato furono arrivati al tavolo, il chiacchiericcio dei ragazzi che discutevano animatamente permase, le parole distorte dal cibo che stavano masticando.

Nishinoya disse, a voce troppo alta, “Facciamo i dogsitter insieme, Asahi-san!”

“Non lo so,” rispose Azumane, stringendosi nelle spalle. “I cani mi terrorizzano.”

“Sopravviverai.”

“Non è vero Yachi-san,” fece Yamaguchi, in risposta a qualcosa che Tooru non aveva sentito. “Sai fare un sacco di cose.”

Shimizu annuì. “Sai disegnare.”

“Allora potremmo fare quello, no?” chiese Yachi raggiante.

Tooru si voltò verso Iwaizumi. “E tu?”

“So come si lava una macchina, credo,” rispose. “Tu, invece?”

“Non ho ancora deciso,” sospirò Tooru, il mento appoggiato su una mano.

Fu allora che Tanaka si alzò in piedi, le mani distese in avanti e un’espressione seria in volto, come se quello che stava per dire fosse molto importante.

“Un chiosco dei baci!”
   
 
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