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Autore: Therru    24/09/2017    1 recensioni
Breve Klance (2300 parole) scritta per la Kiss Prompt Challenge. Oltre al prompt (Kiss at dusk) ho ricevuto anche una richiesta per l'ambientazione, ossia Keith e Lance persi nel bosco, sulla Terra.
(Nota: per Lance ho usato il cognome "Sanchez", non per presa di posizione, ma perché sono sempre indecisa tra Sanchez e McClain e Sanchez mi sembra semplicemente più coerente con la sua nazionalità uwu)
L'ho scritta rapidamente, ma spero sia apprezzabile e quanto più IC possibile... non sapevo che titolo scegliere e ho scelto una sola parola, che mi sembrava si addicesse alle emozioni di entrambi i personaggi.
Detto questo, grazie per l'attenzione, enjoy ~
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-È tutta colpa tua.
-Come, scusa?! L’ho fatto per te, idiota!
-Senti, mister “senso dell’orientamento innato”, se avessi lasciato fare a me fin dall’inizio, a quest’ora non staremmo girando in tondo!
***
Era stata un’idea di Keith, sì. A Lance costava ammetterlo, ma era probabilmente la migliore che avesse mai avuto. Se non altro bastava a compensare la sua reazione da “adolescente snob al di sopra del mondo” quando Allura, solo poche ore prima, aveva annunciato che una breve gitarella sulla Terra potevano permettersela.
“Non ci serve, al momento” aveva affermato Keith a denti stretti.
Lance, invece, era colmo di gioia. Terra significava casa. Casa significava famiglia. Ma dopo il discorso della principessa su come “il destino dell’Universo è nelle vostre mani, non potete permettervi distrazioni, anche a me manca la mia famiglia ma bla bla bla” – insomma, a quel punto non era più riuscito ad ascoltarla, tanto assordanti erano diventate la delusione e la rabbia. Che senso aveva tornare sul proprio pianeta, se non gli era permesso stare con la sua famiglia? Riabbracciare sua madre? Giocare con i suoi fratelli? E chissà chi si stava prendendo cura di Terminator, mentre lui era via.
Keith non gli aveva certo reso la vita più facile. Quello che all’inizio poteva sembrare un tentativo di consolazione era finito per diventare la più monotona, frustrante e pedante ramanzina che si fosse mai sorbito. “Responsabilità, bla bla bla, concentrazione, bla bla bla, e poi non c’è niente sulla Terra”- OH, Keith, questa me la pagherai. Oh, sì, vedrai come sarà il tuo bel faccino quando...
...non ci era riuscito. Il pugno si era bloccato a mezz’aria, incastrato tra il viso arrossato di Lance e lo sguardo impassibile di quel... quella specie di teppistello uscito da un film degli anni ’80. Quanto lo odiava. Almeno avrebbe voluto non essere attratto da lui. Se quel “bel faccino” fosse stato solo un “faccino” sarebbe stato molto meno detestabile. E allo stesso tempo, odiava il fatto di odiarlo. “Sei incastrato, Lance. Ed è tutta colpa sua. Ok, forse ci vanno di mezzo anche i tuoi stupidi sentimenti. Stupido, stupido Lance”.
Se non altro, aveva vinto il mini torneo di carta-sasso-forbici, che aveva stabilito la destinazione: Cuba.
Ad ogni modo era rimasto sorpreso quando, appena arrivati, Keith aveva palesemente ignorato il severo “non separiamoci” di Shiro per trascinare Lance verso una delle navicelle più piccole e lanciarsi “discretamente” in mezzo alla macchia.
-Dov’è casa tua?
Oh, beh. Ogni tanto anche Keith aveva qualche idea sensata.
Lance aveva sbuffato divertito al pensiero.
***
Lo aveva capito da solo che vedere la sua famiglia sarebbe stato controproducente. Non sarebbe mai stato in grado di ripartire, se si fosse lasciato affondare nell’affetto dei suoi. Così, a denti stretti e con le lacrime agli occhi, li aveva osservati dalla macchia, binocolo alla mano.
Sua sorella aveva partorito; suo fratello minore l’avrebbe presto raggiunto in altezza, probabilmente. Sua madre non era invecchiata di un giorno, e sorrideva come quando l’aveva salutato al momento di partire per la Garrison: in modo fiero ma dolcemente, con una punta di malinconia.
Non si era mai sentito così orgoglioso di sé come quando si era voltato, asciugandosi le lacrime, il cuore a pezzi ma riconoscente di aver avuto anche solo una piccola occasione.
-Grazie, Keith.
Il sorriso dell’amico aveva agito da cerotto. Almeno, per i... due minuti successivi.
Per qualche motivo, la navicella aveva deciso di smettere di funzionare: e così i due intrepidi Paladini si erano ritrovati a piedi nella macchia cubana, solitamente pacifica, ora decisamente turbata dagli insulti che i due ragazzi si lanciavano.
***
Si erano allontanati parecchio. Il castello era impossibile da scorgere, grazie alla barriera di invisibilità temporanea messa a punto da Pidge e Coran – accidenti a loro.
Lance alzò lo sguardo verso il cielo. A giudicare dal movimento del Sole erano passate almeno due ore. Nessuna traccia del castello, né di nessun altro.
-Senti- sospirò, esasperato -Fermiamoci qui. È la quarta volta che passiamo davanti alla stessa palma. Se ci sediamo da qualche parte e aspettiamo, qualcuno ci troverà.
-No- ribatté Keith, testardo. -Basta solo prendere un’altra direzione e proseguire diritto.
-È da due ore che cerchiamo di “proseguire diritto”, genio! Ormai conosco a memoria tutti i sassi di questa giungla!
-Ti sembrano tutti uguali perché sei stanco e hai caldo. E smettila di lamentarti, mi deconcentri.
-Io avrei caldo?! Guarda che questo posto è casa mia, e io sopporto benissimo il caldo. Da dove credi che venga questa abbronzatura perfetta?
-Lance.
-E poi, non sono stanco. Anzi, potrei continuare tutto il giorno. Continua pure a farci girare in tondo, Keith, è tutto nutrimento per i miei muscoli delle gambe.
-Lance!
Non fu tanto il suo tono a spaventarlo, quanto l’improvvisa vicinanza col suo viso. Keith si era voltato, ma Lance aveva continuato a camminare distrattamente, finché non si era ritrovato a due centimetri dal suo naso.
-Smettila di frignare e fidati di me. Ok?
Quei maledetti occhi.
Odiava come riuscivano a zittirlo, ogni singola volta. Anche quando Lance riusciva ad avere l’ultima parola, loro erano sempre lì, dietro l’angolo, a ricordargli che non era finita.
E questo proprio non gli andava giù. Cosa c’è di peggio del sentirsi costantemente al di sotto di qualcuno? Sentirsi costantemente al di sotto di qualcuno che ti piace. Che, tuo malgrado, ammiri. Che ti zittisce con un solo sguardo perché non riesci a resistere a quell’affascinante tono indaco.
Stupido Keith. Stupido lui e la sua voce, che in qualche modo era riuscita effettivamente a tranquillizzare Lance.
“Tanto, peggio di così non può andare” disse tra sé e sé, mentre apriva la mano verso l’esterno facendo segno a Keith di proseguire.
Fidati di me.
Riecheggiava nella sua testa come un mantra.
***
Il sole stava calando. Il cielo si era tinto di un arancio rosato, che ricordava a Lance le stelle marine che era solito catturare da piccolo. Per poi liberarle, ovvio.
Si beò dell’atmosfera per qualche minuto, prima di accorgersi che Keith sembrava non essersi nemmeno accorto del cambiamento della luce.
-Keith.
Il moro continuò a camminare, senza dare segno di aver sentito.
-Hey, Keith!
Stavolta si voltò, sul viso un’espressione visibilmente scocciata che Lance si prese la libertà di ignorare. Indicò il principio di tramonto con un cenno della testa.
-Almeno prova a rilassarti, no? Era da un po’ che non vedevamo tramonti. O... il nostro Sole, effettivamente. O le piante, o...
Oh, no. Eccola. Ecco tutta la rabbia che aveva accumulato negli ultimi... mesi? Era passato così tanto tempo da quando avevano lasciato la Terra? E dall’ultima volta che aveva pianto?
E Keith non faceva che peggiorare la situazione. L’aveva sempre fatto. Lui, con le sue arie da eroe solitario, da incazzato sociale, da eremita snob.
-... o qualsiasi cosa. Insomma, non ti è mancato niente di tutto questo? Qual è il tuo problema?!
Gli dava sui nervi. Il modo in cui Keith lo guardava, impassibile, mentre Lance cercava di spiegargli quanto fossero fortunati ad essere lì. Come se ci fosse stato bisogno di spiegarlo, poi!
Forse Keith non capiva perché non poteva capire, o non voleva capire. Ma poi, come poteva Lance sapere cosa c’era nella sua testa? Cosa pretendeva l’altro da lui? O forse Keith non voleva farsi capire da Lance, perché in fondo, a lui cosa importava di Lance...
...non si accorse che non era più lui a parlare, ma la sua rabbia. E forse, tra di loro, la contesa per la testa più calda non sarebbe mai finita.
-Forse non te ne frega niente perché tu non hai niente, qui. Per te esisti solo tu, vero? Keith Kogane, da solo contro il mondo! Come fai a non capir-
L’impatto contro la sua guancia non lo sorprese. Forse, inconsciamente, l’aveva fatto apposta per provocarlo. Per vederlo reagire, in qualsiasi modo. Keith reagiva sempre, e vederlo immobile e muto era... frustrante.
Si tastò le labbra con due dita: fu quasi deluso dall’assenza di sangue. Il suo sguardò saettò verso Keith, il pugno ancora stretto, i denti digrignati, gli occhi infuocati. Lance non riuscì a trattenere un ghigno, che si tramutò in una smorfia contrariata quando il moro gli si avvicinò per afferrargli il colletto della giacca.
-Sei tu che non capisci, Lance! Non capirai mai perché non sei in grado di stare zitto e accorgerti di quello che la gente fa per te!
...cosa?
-Io non ho niente qui, è vero. Non me ne frega niente di questa gita, perché sapevo benissimo che qui non ci sarebbe stato niente e nessuno ad accogliermi, al contrario di te. Sai quanto questo mi dia la nausea?!
-Eppure sono qui. Con te, idiota. Ti ho portato a vedere la tua famiglia, cazzo! E ti permetti di dirmi che dovrei apprezzare qualcosa che non mi appartiene, mentre tu non sei in grado di...
Le sue sopracciglia si rilassarono. Il grido di rabbia mutò in un’espressione indefinibile, i denti che mordevano forte il labbro inferiore, gli occhi che man mano si inumidivano.
Keith lasciò la presa e sospirò, massaggiandosi la radice del naso.
-...non sei in grado di dare importanza a quello che hai, Lance. Ti fai sempre prendere dalla nostalgia, e io... non posso capirti, ma ho provato in tutti i modi a offrirti una distrazione. Oggi ti ho dato quello che più volevi, e ancora devi rinfacciarmi come sono? Non posso farci niente, Lance! Non posso farci niente se...
...Lance non credeva che avrebbe mai visto Keith così. Non stava piangendo, ma la sua voce furiosa e spezzata era quanto di più doloroso si potesse udire.
-...se io non posso farti felice. Ci ho provato. Ma forse non sono io quello che vuoi.
Prima che Keith potesse girare i tacchi, Lance lo bloccò nel modo più istintivo, afferrandogli il polso: ma per contrastare gli strattoni da cane randagio dell’altro, dovette avvolgere un braccio intorno alle sue spalle.
...lo sentì rilassarsi. Sì... non era male. Era confortante. Bello. Strinse più forte quando avvertì le dita di Keith agganciarsi alla manica della sua giacca.
Qualche minuto di silenzio gli bastò per recuperare un ritmo respiratorio normale. E Lance disse una cosa che mai avrebbe creduto di dire a Keith.
-Mi dispiace. E... grazie.
Fece per sciogliere l’abbraccio quando Keith lo trattenne.
Di nuovo quegli occhi. Ma stavolta erano diversi, profondi, non piantati aggressivamente nei suoi, ma appesi davanti al suo viso come due specchi d’acqua scura. Il temibile Leone Rosso si era trasformato in un timido cerbiatto.
O forse non così timido, perché la loro insistenza stava facendo vacillare il Leone Blu.
Quello che successe dopo, nessuno avrebbe potuto prevederlo.
Lance sentì l’ultimo raggio di sole riscaldargli la guancia mentre qualcosa di tiepido e umido si posava sulla sua bocca. Le labbra di Keith si fermarono lì, decise ma immobili, senza altri gesti a corredare il bacio. Come se volesse dire “questo è quello che posso offrirti, se non lo vuoi sei libero di andare”.
Lance accolse a braccia aperte quel regalo.
Fu lui ad aprire le labbra, a intimare all’altro di non esitare. Fu lui ad avvolgere entrambe le braccia attorno al suo busto, rabbrividendo quando sentì le mani di Keith adagiarsi sui propri fianchi.
Stupido Keith. Aveva uno strano modo di far capire le proprie emozioni.
E stupido Lance. Forse Keith non era poi così strano, e se lui fosse stato un po’ più attento avrebbe capito da solo che quel... sentimento? Qualsiasi cosa fosse - era ricambiato.
Lui, il sedicente esperto di “conquiste”, “intrighi amorosi” e “problemi di cuore”, aveva appena riportato una sonora sconfitta contro l’”eremita impedito nei rapporti umani”. Kogane 1, Sanchez 0.
...chissenefrega. Tutto questo scivolava nell’insignificanza di fronte alla morbidezza delle labbra di Keith. Al suo sapore. Alla leggera tensione del suo collo, piegato all’insù per baciare Lance. Oh, se gli piaceva essere più alto di Keith, in quel momento.
Dal canto suo, Keith stringeva Lance come se fosse l’unica cosa che gli apparteneva. Il che un fondo di verità ce l’aveva.
***
Quando sciolsero il bacio, il tramonto era divenuto crepuscolo. Si osservarono straniti per un po’, come due animali che si esplorano per la prima volta, per capire che intenzioni ha l’altro. O forse era la pulsante confusione, che non faceva che ripetere “è successo davvero?”
Lance accennò una risatina per sdrammatizzare, o forse per nascondere l’imbarazzo.
Wow. Wow. La situazione era quasi comica, da quanto... assurda. Aveva baciato Keith? Anzi, no, Keith l’aveva baciato. Proprio Keith, che ora se ne stava tranquillo tra le sue braccia come un gatto affettuoso.
Ma i gatti graffiano.
-Stupido Lance- disse, facendo schioccare un dito contro la sua fronte.
-Hey. Sei tu che non sai esprimerti chiaramente. Rimani sempre un impedito sociale, Keith.
-Io mi sono espresso più che chiaramente, ma tu sei troppo ottuso per cogliere i segnali. E comunque, con questa siamo 1 a 0.
-Ah, sì?
Lance non riuscì a impedirsi di sorridere mentre spingeva Keith contro la palma più vicina, stringendogli le spalle, appoggiando la fronte alla sua.
Bastava così poco. Era bastato così poco per ottenere quello che voleva. Se l’avesse saputo, avrebbe innescato quella lite molto tempo prima. Ma il presente era il presente, ed erano persi nella macchia cubana, ed era notte, e in qualche modo questo rendeva le cose ancora più interessanti. Lance giocava in casa, e non poteva permettersi di perdere.
-Scommetto che ti batto anche stavolta, invece.

Keith alzò un sopracciglio, sogghignando sornione. Un gatto.
-“Anche”? Come se fosse mai successo.
-Beh, stavolta recupererò tutte le volte in cui hai vinto tu. Che non sono tante quanto pensi.
-E che succede se ci trovano adesso, genio? Ti ricordo che ci stanno cercando in cinque.
-Non ci hanno trovati per ore, cosa ti fa pensare che succederà proprio...
-Lance! Keith!
E Lance dovette chinare il capo, rassegnato, interrompendo la ricerca di contatto con le labbra del bel moro.
-Mierda.
Keith scivolò dalla sua presa, raggiungendo Shiro e ignorando il suo sguardo decisamente perplesso. La ramanzina subitanea non diede a Lance nemmeno il tempo di ricomporsi dall’accaduto, ma tutto sembrò molto più leggero quando Keith intrecciò le dita con le sue, sulla via del ritorno.
Lance avrebbe conservato quel giorno come il più bel ricordo della sua nuova vita.
 
 
 
  
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