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Autore: Yuki Delleran    25/09/2017    3 recensioni
« D'accordo, sì, si può fare. Voglio dire, non c'è davvero nessun problema, ce la caveremo alla grande. Se a Keith sta bene, ovviamente. » si ritrovò a rispondere annaspando un po' con le parole.
Non aveva la più pallida idea di dove sbattere la testa, non sapeva assolutamente come gestire eventuali situazioni d'emergenza, ma quella era già una situazione d'emergenza e il minimo che poteva fare era soccorrere un amico in difficoltà. Un amico, già.
« Mi basterà fare una telefonata per avvertire mia madre di aggiungere un posto letto. Scommetto che sarà felicissima di averti a Varadero! »
Quello che non sembrava particolarmente entusiasta era Keith stesso, e un po' poteva capirlo: finire a Cuba con lui non doveva sembrargli la soluzione più efficace al suo problema.
[post-canon, Klance]
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Safe and Sound'
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Note: Post-canon. 
La canzone citata è Despacito di Luis Fonsi.
No, non tradurrò quello che dice Keith, googlatelo! XD
Beta: Myst & Leryu
Word count:
3468 (fdp)



Il locale era gremito di persone e le luci psichedeliche rimandavano istantanee della folla che riempiva la pista. La musica era talmente alta da rimbombare nel cervello e rendere difficile non solo parlare, ma anche semplicemente pensare. Appena messo piede all'interno, Keith si rese conto quanto i suoi timori fossero fondati: se i suoi geni galra si fossero manifestati, con attorno tutte quelle persone sarebbe stato un disastro.
Lance, invece, sembrava perfettamente a proprio agio e, scherzando con lui e rivolgendogli le consuete battute e frecciatine, stava probabilmente tentando di farlo sentire allo stesso modo.
Subito dopo l'ingresso, si era diretto verso il bancone, come se fosse di casa, e Keith lo aveva afferrato istintivamente per la manica della camicia.
« Non pensare nemmeno di andartene in giro! »
Lance aveva alzato un sopracciglio, perplesso, ma poi gli aveva battuto una mano sulla spalla.
« Keith, amico, rilassati. Non sei circondato da un esercito nemico. Qui si viene per divertirsi e a nessuno importa se sei bianco, nero o viola, va tutto bene. Vado solo a prendere da bere, torno subito. »
Certo, era facile parlare, non era quello viola, lui!
Keith era rimasto fermo in un angolo, guardandosi attorno nervosamente finché non lo aveva visto tornare con due bicchieri pieni fino all'orlo di una bevanda scura.
« Che cos'è? » chiese quindi, dubbioso.
« Cuba Libre! »
« Cosa?! Io non bevo, lo sai. »
Lance gli rifilò una smorfia di sufficienza.
« Senti. É illegale trovarsi a Cuba e non bere un Cuba Libre, è proprio contro la legge, se ti beccano ti cacciano. Non è mai morto nessuno per un po' di rum e cola. Andiamo, l'ha fatto Michelle apposta per te. »
Di fronte a quella sfilza di tentativi di farlo capitolare, Keith non poté far altro che prendere un bicchiere.
« L'ha fatto davvero Michelle? » chiese, alzando la voce per farsi sentire sopra il volume della musica.
Lance gli indicò il bancone dove la sorella era indaffarata a servire i clienti.
« Certo! Ha detto di aver dosato apposta le quantità in modo che non ti dia noia. »
Quella era una delle cose che preoccupava Keith maggiormente, mentre seguiva con lo sguardo il cenno del compagno.
Michelle si trovava davvero dietro al banco e, sotto quelle luci multicolori, sembrava ancora più scintillante del solito. Indossava un abito rosso, fasciante, che metteva in risalto la sua pelle scura e i capelli perfettamente arricciati. Tutti gli uomini in attesa della propria ordinazione non avevano occhi che per lei.
« Non imbambolarti troppo a guardarla! » esclamò Lance, trascinandolo via. « Andiamo! Siamo qui per ballare! »
Quello era un altro particolare della serata che Keith non aveva messo in conto. Ballare? Non aveva mai messo piede in una discoteca in vita sua, figuriamoci!
Seguì Lance con lo sguardo e lo vide svuotare il proprio bicchiere mentre si avviava verso la pista. Non potendo fare altro, prese a sua volta a sorseggiare il proprio cocktail riconoscendo che, se non altro, il ghiaccio che conteneva era un sollievo per la calura.
Quando rialzò lo sguardo, Lance aveva in mano un nuovo bicchiere. Keith mosse un passo avanti: non era il caso di bere ancora. Se l'aveva fatto in passato, ora che aveva perso l'abitudine avrebbe potuto creargli dei problemi. L'improvviso cambio della musica, però, spazzò via tutti quei pensieri razionali.
Le luci si abbassarono, smettendo di lampeggiare e creando un'atmosfera più soffusa. Il tono predominante ora era il rosso.
La folla si aprì, abbandonando in parte la pista e spostandosi verso il lungo bancone che occupava un intero lato del locale. Sopra di esso, alcune ragazze, tra cui anche Michelle, avevano iniziato a muoversi a ritmo.

Sí, sabes que ya llevo rato mirándote
Tengo que bailar contigo hoy
Vi que tu mirada ya estaba llamándome
Muéstrame el camino que yo voy

Tú, tú eres el imán y yo soy el metal
Me voy acercando y voy armando el plan
Solo con pensarlo se acelera el pulso


Il ritmo latino della musica si faceva sempre più coinvolgente e Keith faticava a distogliere lo sguardo dai movimenti sinuosi delle ballerine su quel palcoscenico improvvisato. La maggior parte degli avventori era nelle stesse condizioni e Lance si era addirittura avvicinato prima che riuscisse a fermarlo. Nelle sue mani, anche il secondo bicchiere era ormai vuoto. Sembrava che si stesse divertendo molto davanti a quello spettacolo e, come conseguenza quasi diretta, anche Keith diede fondo fino all'ultima goccia del proprio cocktail.

Ya, ya me está gustando más de lo normal
Todos mis sentidos van pidiendo más
Esto hay que tomarlo sin ningún apuro


Poi accadde qualcosa che nessuno, probabilmente neanche Lance stesso, si era aspettato: Michelle tese una mano al fratello e lo invitò a salire sul bancone insieme a lei. Il ragazzo tentennò solo un istante, poi posò il bicchiere sulla prima superficie disponibile e accettò l'invito.
Keith non poteva credere ai propri occhi.

Despacito
Quiero respirar tu cuello despacito
Deja que te diga cosas al oido
Para que te acuerdes si no estás conmigo

Despacito
Quiero desnudarte a besos despacito
Firmo en las paredes de tu laberinto
Y hacer de tu cuerpo todo un manuscrito


Non aveva mai visto dal vivo qualcuno ballare in quel modo. Michelle si muoveva come se fosse stata un tutt'uno con la musica, facendo aderire il proprio corpo a quello del fratello senza il minimo pudore. Le mani di Lance erano sui suoi fianchi, tra i suoi capelli, in carezze che, in altri ambiti, avrebbero lasciato presupporre ben altro che un semplice ballo tra fratelli. Michelle non si fece scrupoli a slacciargli la camicia e a lasciar scivolare le dita sotto la stoffa leggera, ricambiando i gesti allusivi di Lance.

Quiero ver bailar tu pelo
Quiero ser tu ritmo
Que le enseñes a mi boca
Tus lugares favoritos

Déjame sobrepasar tus zonas de peligro
Hasta provocar tus gritos
Y que olvides tu apellido


Il ritmo si fece più incalzante, le luci mutarono a loro volta, facendosi più intermittenti, eppure Keith non riusciva a staccare gli occhi dalle mani di Lance addosso a Michelle, dalle mani di Michelle addosso a Lance.
Da quando il ragazzo con cui aveva combattuto innumerevoli battaglie, sapeva muovere i fianchi in quel modo?
Keith sentiva caldo, avrebbe voluto qualcosa d'altro da bere, ma non riusciva letteralmente a muoversi, del tutto insensibile alle esclamazioni che gli esplodevano attorno.
« Miiiiich! Lanceyyyy! Wooohhhh! »
Non si chiese minimamente come quelle persone potessero conoscere i fratelli McClain, tutto quello su cui il suo sguardo e la sua attenzione riuscivano a concentrarsi erano la pelle lucida di sudore di Lance, il suo fisico snello e i capelli scuri che si incollavano alla fronte. Gli occhi chiusi,  quell'espressione quasi estatica, erano qualcosa che non sarebbe mai più riuscito a togliersi dalla testa.
Era talmente ipnotizzato da fare caso troppo tardi al fatto che i due erano scesi dal bancone e si stavano dirigendo proprio verso di lui. Realizzò la cosa quando ormai entrambi gli si stavano strusciando addosso, con suo immenso orrore.
« Vieni a ballare. » gli soffiò Michelle direttamente all'orecchio, facendolo rabbrividire.
Poteva sentire il suo seno premuto contro il braccio a cui si era attaccata, eppure, quello che gli toglieva ogni capacità di parola, era la consapevolezza di avere Lance dal lato opposto che lo teneva stretto, circondandogli la vita con un braccio. L’altra mano era posata sul suo fianco, mentre cantava a pochi centimetri dal suo volto: « Quiero desnudarte a besos despacito, Firmo en las paredes de tu laberinto, Y hacer de tu cuerpo todo un manuscrito... »
E Keith non sapeva lo spagnolo, ma ci voleva davvero poco ad intuire il significato di quelle parole. Ce ne volle ancora meno quando sentì le labbra di Lance posarsi sul suo collo e la situazione precipitò.
Una vampata di calore gli salì al volto e, in un gesto istintivo, si scostò bruscamente da entrambi. Mosse un paio di passi indietro, sotto i loro sguardi stupiti, poi si arrese ad un assai poco dignitosa fuga verso il lato opposto della pista.
Quando fu certo di aver messo abbastanza spazio e folla tra sé stesso e quello che stava accadendo un attimo prima, si appoggiò al muro e tentò di regolarizzare il respiro impazzito.
Aveva la gola secca, ma non sarebbe tornato al banco nemmeno sotto tortura: non voleva vedere più nemmeno mezzo cocktail, se gli effetti erano quelli.
Perché ne era certo, Lance doveva essere ubriaco. Probabilmente anche Michelle non era del tutto sobria. Per essere precisi, lui per primo era poco lucido e le sue reazioni inconsulte erano di certo dovute a quello.
Del resto, in tutto il tempo che avevano passato insieme nello spazio, non gli era mai capitato di pensare a Lance in quel modo, di notare certi particolari. Era un amico, un compagno fidato, e gli era grato per tutto quello che stava facendo per lui in quella spinosa situazione, ma...
« Amico, stai bene? »
Quell'esclamazione lo fece sussultare e Keith alzò la testa di scatto. Lance era di fronte a lui, con un'espressione preoccupata sul volto.
Aveva ancora la camicia aperta, notò indugiandovi un attimo di troppo, e i capelli bagnati tirati indietro sulla fronte: probabilmente era andato a rinfrescarsi prima di raggiungerlo.
« É tutto a posto? » chiese ancora. « Qualche... problema? »
Keith impiegò un istante a capire a cosa si riferisse, poi scosse la testa. Ci mancava solo quello.
Però doveva ammettere che Lance era stato gentile a preoccuparsene. Già, anche se pochi minuti prima gli si stava strusciando addosso e lo stava... baciando...
Keith si passò una mano sulla faccia, sperando di dissimulare il rossore e il disagio con un sospiro.
« Ho solo bisogno di un po' d'aria. » rispose alzando la voce per farsi sentire. « Qui dentro si muore di caldo. »
Lance gli rivolse un sorrisetto allusivo.
« Posso capirlo, ho visto come la guardavi. È bella mia sorella, eh? »
Colto alla sprovvista dalla domanda inaspettata, Keith assunse un’espressione stupita.
« Tua sorella…? Beh, sì, è bella… »
Non era esattamente il tipo di discorso che si era aspettato. Alla sua risposta, Lance si accigliò.
« Ehi! Non guardarla troppo, è pur sempre mia sorella! » esclamò.
« Veramente non è che la stessi proprio guardando… »
« Ah, no? Allora cos’è quell’espressione? »
Keith non ci capiva più niente, non riusciva a distinguere se fosse Lance a sprofondare nel baratro dell’incoerenza o lui stesso. Quel discorso era totalmente privo di senso, non era da Michelle che si era voluto allontanare.
« Senti, ho davvero bisogno d’aria. » insisté Keith, sperando che questa volta il messaggio giungesse a destinazione. Fortunatamente, Lance non proseguì lo spinoso discorso: annuì, indicando una porta laterale.
« C'è una pista all'aperto con dei divanetti un po' più appartati, andiamo a sederci là. Tra poco ci raggiungerà anche Michelle, in pausa. »

Lance scrutò Keith, seduto nell'angolo più esterno del divanetto e sospirò.
Probabilmente non se ne rendeva neanche conto, ma era chiaro che stesse cercando di stare il più lontano possibile da lui.
Aveva fatto una stupidaggine, non avrebbe dovuto lasciarsi trascinare dalla musica, dall'atmosfera e... da tutto il dannatissimo rum che c'era in quel Cuba Libre.
Perché, parliamoci chiaro: in barba a quello che aveva detto Michelle, lui aveva capito al primo sorso che quella roba era all'80% alcool. E andava bene, davvero, ma forse non era stato correttissimo non dire nulla a Keith.
Gli lanciò un'occhiata di sottecchi e si rese conto che aveva ancora le guance leggermente arrossate.
Teneva una mano appoggiata sul collo, come se niente fosse, proprio nel punto in cui lo aveva baciato. A ripensarci sentiva caldo.
C'era davvero troppo rum in quei cocktail. Avrebbe dovuto chiedergli scusa. Avrebbe dovuto dirgli anche qualcos'altro.
« Boooys~ »
L'esclamazione di Michelle, che si avvicinava con due bicchieri in mano, lo strappò da quelle considerazioni.
« Oh, non fate quelle facce! » continuò la ragazza. « É tè freddo, semplicemente tè freddo, per rinfrescarvi un po'. Offre la casa. »
Lance la guardò di traverso, poi accettò il bicchiere e fece per passare l'altro a Keith.
Il compagno gli lanciò un'occhiata che avrebbe incenerito un sasso, degna della sua fama di Paladino Rosso, e Lance capì che prima ci metteva una pezza e meglio sarebbe stato.
« Mi stai davvero tenendo il muso? » provò a chiedere e, non ottenendo risposta, si sentì quasi in dovere di stuzzicarlo. « Keeeeeiiith~ Kitty-boy~ »
A quel punto Keith si voltò di scatto, con aria tempestosa, e lo fissò dritto negli occhi.
« Smettila, Lance! Estoy embarazado de ti! »
A quelle parole, Lance sbiancò, gelandosi sul posto.
I suoi processi mentali, ancora rallentati dall'alcool, impiegarono qualche secondo di troppo a capire e a realizzare che Michelle, seduta di fronte a loro, era crollata con la testa sul tavolo e stava ridendo in modo incontrollabile.
Dai tavolini a fianco provenivano altrettante risatine e alcuni degli avventori li indicarono parlottando tra di loro.
« Sei stata tu, lo sapevo! Sei... sei orribile! Keith, sai almeno cos'hai appena detto? » esclamò, non credendo alle proprie orecchie.
L'amico gli rivolse uno sguardo confuso.
« Certo, ho detto che sono... »
« No! Non lo sai! » lo interruppe Lance, strillando. « Altrimenti, fidati che non l'avresti detto. Non ripeterlo mai più a nessuno. E tu smettila di ridere, sorella degenere! Se l'avesse detto a chiunque altro... »
« Gli ho spiegato che doveva dirlo solo a te. » rispose Michelle, prendendo fiato a stento tra una risata e l'altra, e Lance desiderò affogarsi in quel bicchiere di tè freddo quando Keith iniziò a insistere per avere l'esatta traduzione di quelle parole.

Il giorno dopo, Lance aveva fatto di tutto per comportarsi come se niente fosse: alla fine era stato solo un ballo e, anche se la situazione gli era sfuggita di mano, non era successo nulla di irreparabile.
Keith sembrava meno sulla difensiva e aveva ricominciato a comportarsi come al solito; per Lance fu ancora più evidente che tutti i suoi rossori della sera prima fossero dovuti all'alcool. Non era un pensiero particolarmente confortante, ma c'era poco da fare.
Dopo pranzo, si era presentato a casa McClain Miguel, un cugino che non vedeva da un po', ma con cui, assieme a Michelle, avevano fatto gruppo fin da piccoli.
Era un ragazzo simpatico, con una zazzera di capelli biondi, gli occhi chiari e la battuta sempre pronta. In più, possedeva qualcosa che Lance aveva sempre desiderato e su cui non era mai riuscito a mettere le mani per tutta la sua adolescenza: una motoretta verde acqua che aveva popolato per anni i sogni dei ragazzini del circondario.
Il fido mezzo di trasporto, però, aveva avuto un guasto al motore – l'ennesimo, data la sua età – quindi Miguel aveva pensato bene di chiedere aiuto a Lance con le riparazioni.
Questo era il motivo per cui, in quel momento, erano entrambi seduti nel prato davanti a casa, circondati da pezzi meccanici, senza più sapere come venirne a capo.
« Pensavo che alla Garrison ti avessero insegnato a riparare le cose. » si lamentò Miguel.
Lance si lasciò cadere all'indietro, nell'erba, con le braccia dietro la testa.
« Sono un pilota da combattimento, non un meccanico. » brontolò. « Sono abituato ad avere a che fare con grossi leoni automatici che si aggiustano da soli. »
« Oh, scusi, signor paladino spaziale! » lo rimbeccò il cugino in tono ironico, per poi sdraiarsi al suo fianco. « Senti, parlando di cose serie. Ieri sera ero all'“Isla”... »
L'“Isla” era il locale dove lavorava Michelle e, a sentirlo nominare, Lance rizzò le orecchie.
« Ho visto cose interessanti, molto interessanti, nella persona del qui presente paladino spaziale, di sua sorella e del suo ospite. »
« Miguel... »
« Oh, andiamo, Lance, chi volete prendere in giro? Se n'è accorta tutta Varadero! Ve lo state contendendo? Eh? Chi la spunterà? »
Il cugino lo pungolò con un dito e Lance fu molto tentato a darsi delle arie da gran seduttore e dire che Keith sarebbe caduto ai suoi piedi di lì a poco. Poi, però, ricordò le guance arrossate della sera prima e lo sguardo perso che aveva quando si parlava del suo problema, quando affermava che non c'era posto per lui da nessuna parte.
Non lo aveva invitato lì per creargli situazioni di disagio.
« No, niente del genere. » rispose, quindi, tentando di mantenere un tono distaccato. « É un caro amico che ha bisogno di distrarsi da un periodaccio, cercavamo solo di farlo divertire. »
Miguel tornò a sedersi e recuperò la ventola del motore, fingendo di esaminarla.
« Un amico, certo. Un brutto periodo, capisco. Come sei caritatevole, sì sì... E immagino che se prendesse una sbandata per Michelle, tu gli stringeresti la mano e gli diresti “auguri e figli maschi”.»   
A quelle parole, Lance avvertì chiaramente una stretta dolorosa all'altezza del petto, una sensazione che chiariva in tutto e per tutto come stavano le cose. Tuttavia si limitò a scuotere la testa e a ignorare il sarcasmo insito nella battuta.
« Se si prenderà una sbandata per Michelle, gli chiederò scusa per avergliela presentata. Muoio di caldo, vado a prendere da bere. Vuoi qualcosa? »
Miguel alzò il pollice.
« Una birra ghiacciata, McClain! »
In quel momento in casa non c'era nessuno, suo padre, Francisco e Lisa erano al lavoro, Estella era uscita per andare a prendere i bambini a scuola, Luis alle lezioni pomeridiane e Michelle in città per una commissione. Era rimasto solo Keith, al quale la signora McClain aveva gentilmente chiesto di finire di riordinare la cucina mentre lei era fuori.
Dalla stanza proveniva la musica allegra della radio accesa e Lance si affacciò alla porta della cucina gesticolando a ritmo, con il semplice intento di recuperare qualcosa di fresco.
Quello che vide, però, gli fece spalancare gli occhi per la sorpresa: Keith stava ballando. O meglio, stava  seguendo il ritmo, un po' goffamente, muovendo i fianchi e agitando uno straccio. Aveva gli occhi chiusi, quindi era certo che non l'avesse visto, e questo gli permise di godersi la scena per alcuni secondi. Lì per lì Keith non doveva essersi reso conto del cambio della canzone, che Lance riconobbe all'istante come quella della sera prima, e continuò a canticchiare a bocca chiusa.
Quando lo realizzò, però, s'irrigidì di colpo, agitandosi e cercando maldestramente di raggiungere la radio con le mani bagnate per spegnerla. Nel farlo, il piatto che  stava asciugando gli sfuggì, cadendo nel lavandino e rischiando di finire in mille pezzi.
In altre circostanze Lance non avrebbe esitato a piombare nella stanza e a schernirlo fino alla morte, ma in quel momento non avrebbe mai potuto farlo: non con le immagini della sera prima stampate in mente, non se vederlo sfiorarsi il collo in quel punto faceva fare una capriola al suo stomaco. Non c'era niente da fare, Keith così teneramente imbarazzato era davvero carino. Continuare a negarlo a sé stesso non avrebbe avuto senso.
Aspettò la fine della canzone appoggiato al muro del corridoio, in silenzio, poi mosse un paio di passi indietro e si schiarì la voce.
« Ehi, Keith! Abbiamo delle birre? » esclamò.
Nel momento in cui entrò in cucina, l'amico stava sistemando alcune stoviglie nella credenza, con lo straccio semplicemente appoggiato sulla spalla.

Quando Keith uscì in giardino con Lance, portando un tè freddo per sé e una birra per l'ospite, i pezzi del motore erano ancora sparsi sull'erba.
« Lui è mio cugino Miguel. Miguel, lui è Keith. » li presentò Lance.
Il nuovo arrivato gli strinse la mano vigorosamente.
« E così tu sei Keith! É un piacere, ho sentito un sacco parlare di te! » esclamò con un sorriso a trentadue denti.
L'occhiata confusa verso Lance scattò quasi automatica, ma quello scosse la testa, chiaro segno che non fosse il caso di fare domande. Miguel, però, non aveva ancora finito.
« Dimmi, t'intendi di motori? O sei anche tu un super pilota di roba bestiale che si aggiusta da sola?»
« Sono un pilota di roba che si aggiusta da sola, ma ho un'hoverbike e quella aveva bisogno di una manutenzione normale. »
Gli occhi di Miguel scintillarono letteralmente e Keith si sentì afferrare le mani in una stretta da cui non riuscì a sfuggire abbastanza velocemente.
« Un'hoverbike? Una di quelle... »
Ne seguì solamente un gesticolio confuso ed entusiasta, accompagnato da alcune esclamazioni in spagnolo di cui non afferrò il significato. Il giovane sembrava davvero infervorato oltremisura; per contro, Lance gli riservò una smorfietta di sufficienza.
« Sì, e la guida malissimo. Una volta ci ha quasi fatti ammazzare. »
« Eravamo in cinque su un biposto. » puntualizzò Keith, piccato. « E ci stavano inseguendo. »
Quelle parole non fecero altro che entusiasmare ancora di più Miguel che, afferrata la parte di motore che riteneva riportare il guasto incriminato, gliela piazzò sotto il naso senza tanti complimenti.
« Quindi sotto sotto sei un cattivo ragazzo, eh? Mi piace! Che mi dici di questo? Secondo me il problema sta proprio lì, in quella cinghia. »
Sconcertato dalla definizione che gli era stata appioppata così su due piedi, Keith si risolse ad esaminare il pezzo in questione.
Sì, in effetti la cinghia era usurata, ma non a sufficienza da precluderne il funzionamento. Il problema era anche altrove; di propria iniziativa, prese ad esaminare gli altri pezzi.
« Se riesci ad aggiustarla, giuro che te la presto per andare dove vuoi! » esclamò Miguel, al settimo cielo.
L'occhiata che lo raggiunse alle spalle a quelle parole fu più gelida del raggio congelante del Leone Blu.

 

 

Yuki - Fairy Circles

 

   
 
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