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Autore: endif    19/06/2009    4 recensioni
"Il buio si fece più buio. Una voragine si spalancò nel mio petto. All’improvviso sentii il dolore, immenso, pulsante, invadermi la testa. «Non c’è più…» mormorai. Chiusi gli occhi e con tutto il fiato che avevo in gola urlai tutta la mia disperazione."
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change'
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NOTA DELL’AUTRICE: Cari lettori, ho deciso di terminare a breve questa ff. Mi sembra giusto avvertirvi che dal prossimo capitolo ci sarà un cambio di rating, da arancione a rosso. Mi dispiace se offenderò la sensibilità di qualcuno di voi, ma i capitoli mi sono venuti così e non posso farci nulla. Questa prova di scrittura è stata per me molto interessante, ma mi stà prendendo troppo tempo e troppo impegno. Mi piace ricordare questa storia con il seguito che ha avuto fino ad adesso, e ritirarmi in buon ordine. Ringrazio già da adesso tutti coloro che mi hanno sostenuto, siete stati molto cari.

Il capitolo che segue non è betato, scusate, ma ho problemi con la lettura delle mail.

Bacioni endif

 

CAP.33

UNA PROPOSTA INATTESA

 

EDWARD

L’osservai attentamente per carpire la sua reazione. Bella continuava a tenere la bocca lievemente aperta per lo stupore.

« Il Dartmouth College?» domandò sbalordita.

«Per l’appunto, il Dartmouth College» mi affrettai io a confermare con un sorrisino.

Si  girò verso di me con gli occhi spalancati, pieni di muti interrogativi. Senza lasciarle il tempo di dar voce ai suoi pensieri, le afferrai una mano e cominciai a camminare dall’area riservata al parcheggio agli enormi giardini che circondavano l’intero complesso. Senza opporre resistenza, mi seguì docile.

Dartmouth era uno dei College che avevo frequentato con maggior soddisfazione e a cui erano legati tanti ricordi.

Membro a pieno titolo della Ivy League, rappresentava una delle più prestigiose università della East Coast. Era composto da diversi edifici: il corpo principale era circondato a raggiera da una struttura che ospitava gli alloggi, una delle biblioteche più antiche e fornite degli Usa, il recente Hood Museum of Art disposto tra i precedenti Hopkins Center for the Performing Arts e la Wilson Hall. La planimetria ricordava un po’ la Chiesa di St. Matthew con un caratteristico vestibolo poligonale, progettato per essere il nodo principale di comunicazione all’interno del campus.

Qui si era infiammato il mio animo seguendo i programmi della Dartmouth Medical School. Qui avevo conseguito la mia prima laurea in medicina. Ricordavo come se fosse stato ieri la gioia di Carlisle quando ero tornato a casa dicendo che era mia intenzione seguire i corsi di medicina. Non aveva detto nulla di particolarmente entusiastico, ma avevo letto la commozione e la gioia nella sua mente al pensiero che qualcuno in famiglia avesse deciso di seguire le sue orme.

E adesso, ripercorrendo i sentieri alberati di quei giardini che ricordavano tanto i suggestivi College inglesi, sentii scorrere nelle mie vene un nuovo entusiasmo, quello che solo lo stupore e la curiosità di chi partecipa per la prima volta ad un evento unico può suscitare. Osservare ogni espressione di Bella, seguire la direzione del suo sguardo mentre si posava su un dettaglio, su un edificio, sui gruppi variegati di studenti che erano rimasti al campus nonostante fosse domenica, suscitò in me un rinnovato interesse, come se anche ai miei occhi apparisse tutto nuovo.

Camminammo tenendoci per mano ed io le descrissi con dovizia di particolari la storia e la funzione di ogni struttura. Ogni tanto mi sovveniva un ricordo o un aneddoto divertente legato ai miei anni di studente e lo raccontavo suscitando le sue risate. Come quando, all’ennesima sua bravata, avevo inseguito Alice  per tutto il campus, ma a velocità umana per non dare nell’occhio.

Bella si immobilizzò al centro di un sentiero lasciando la mia mano e mi chiese stupita: «Anche Alice ha frequentato questo College?»

«Sì, certo. Ed ha conseguito anche la laurea. Anzi due.» risposi io calmo.

Sgranò gli occhi dalla sorpresa «E in cosa?»

«Dunque … una laurea in economia alla Tuck School of Business ed una in arte antica e contemporanea.» dissi riprendendole la mano nella mia e continuando a camminare.

Mi accorsi che era diventata silenziosa e che aveva abbassato gli occhi.

Nonostante non ci fosse il sole, l’aria era pesante, il caldo particolarmente soffocante. Gli umani erano molto sensibili agli sbalzi di temperatura e non volevo che lei ne risentisse.

«Sei stanca?» le chiesi premuroso.

«Un po’» ammise lei.

«Vieni, conosco il posto giusto dove potrai riposarti e rinfrescarti.» e mi diressi verso il parcheggio.

«E ora dove andiamo?» chiese con circospezione.

La guardai con dolcezza e le risposi deciso: «A casa.»

 

BELLA

Sulla comoda Vanquish nera di Edward scivolammo per strade che non avevo mai visto, io che non mi ero mai spostata più in là di Phoenix.

La contea di Hanover era molto suggestiva. Tutto era immerso nel verde e, come avevo avuto modo di apprezzare al campus, in perfetta sintonia con la natura, in uno stretto ed indissolubile connubio. Osservai il paesaggio sfilare velocemente sotto ai miei occhi, fino a quando non arrivammo davanti ad una deliziosa villa su due livelli, con i mattoni a vista, completamente circondata da alte e centenarie querce. Decisamente quella era una giornata piena di sorprese.

Una volta fermata l’auto, Edward mi aiutò a scendere prendendomi la mano.

«Benvenuta a casa Cullen!» le sue parole mi colsero alla sprovvista.

Mi girai a guardarlo e l’osservai con la fronte aggrottata «Avete una casa in Virginia?» chiesi stupita.

 «Certo, e non solo qui. Quando si è costretti a spostarsi con una certa frequenza … Ad Hanover  abbiamo trascorso diversi anni. Ma è successo molto tempo fa. Ora nessuno ci riconoscerebbe. Vieni, ti mostro la casa» e mi scortò all’interno con un gran sorriso.

La villa era arredata con gusto e ricercatezza, ma era molto più country, rispetto a quella di Forks. Un enorme salone con il soffitto fatto di travi a vista era la stanza più ampia del piano terra. Un delizioso camino era disposto al centro della stanza e a semicerchio intorno ad esso uno splendido divano bianco di camoscio. Una parete era completamente ricoperta di libri, un’altra ospitava uno schermo televisivo ultrapiatto. Su un tavolino di legno intarsiato una scacchiera di marmo con dei pezzi alti almeno dieci centimetri e dall’aria molto antica.

L’effetto d’insieme era di grande comfort e calore.

Il piano terra era costituito anche da una cucina moderna e funzionale, che aveva tutta l’aria di essere rimasta inviolata dal giorno della sua installazione, una spaziosa veranda-terrazza che ospitava un giardino d’inverno con delle sedute in vimini, lo studio di Carlisle, e un bagno in tinta crema. Dal salone si accedeva, poi ai piani superiori, dove Edward mi spiegò esserci quattro camere da letto con rispettivi bagni, oltre ad una camera degli ospiti.

Mi spinse verso una di esse dicendomi di fare con comodo.

Nonostante non ci vivesse nessuno la stanza non era per niente inospitale. Tutto era in perfetto ordine, senza un dito di polvere. L’aria era davvero afosa, quindi mi diressi senza esitazione verso il bagno. Dopo essermi rinfrescata, ritornai nella stanza e presi ad analizzarne ogni dettaglio. Ero curiosa di sapere a chi appartenesse. Era luminosa, ampia e avevo notato con stupore un letto matrimoniale. Forse era di Rosalie ed Emmet.

No, non era il loro stile, e neanche quello di Alice e Jasper.

Quella doveva essere la camera da letto di Esme e di Carlisle. Lo sguardo ipnotizzato dal copriletto color panna, mi accorsi di avere gli occhi lucidi. Come avrei voluto che quella fosse la camera mia e di Edward!

A disagio del fatto di trovarmi in un luogo così intimo, mi girai e sgattaiolai fuori ritrovandomi in corridoio. Il mio senso dell’orientamento non mi suggerì la direzione giusta, quindi, decisi che era meglio chiedere aiuto.

«Edward?» sussurrai appena, ma me lo trovai alle spalle prima ancora di cercarlo con gli occhi.

«Sono qui, amore» mi rispose lui pronto.

«Io …, non riuscivo ad orientarmi, scusami» balbettai. Vederlo comparire come una visione di punto in bianco mi confondeva sempre. Ma un giorno mi sarei abituata alla sua presenza?

Il suo sorriso era calmo e rassicurante. Il mio cuore era in tumulto.

Sentivo dentro di me una sorta di tristezza.

Edward mi aveva portato in uno dei più esclusivi College d’America, uno di quelli che non mi sarei mai potuta permettere nemmeno tra un milione di anni. E se anche ne avessi avuto la possibilità economica, mi sarebbe stato precluso dal fatto che presto, come vampira neonata, non mi sarei potuta avvicinare a dei luoghi pubblici per un anno almeno. Ero nella sua meravigliosa villa, una casa lussuosa e raffinata. 

Ma io non stonavo un po’ in tutta questa ricercatezza?

A contatto con una realtà nuova, misteriosa, invitante, tentatrice …

Ripercorsi rapidamente con la mente la nostra visita al campus. Mi aveva descritto con cura ed entusiasmo i dettagli, i particolari. La sua voce era stata suadente, melodiosa, carezzevole.

C’erano poche ragioni che potevano aver spinto Edward a portarmi lì.

E una di queste era che voleva che mi iscrivessi al College.

A quel College, come se fosse stato possibile.

Tutto divenne improvvisamente chiaro. L’avergli rivelato che c’era qualcosa che non volevo perdermi da umana, gli aveva suggerito che poteva convincermi a non volere una trasformazione immediata, magari mostrandomi le bellezze di Dartmouth, mostrandomi quello che mi sarei persa.

Sospirai affranta. La testa mi doleva per il troppo riflettere. Alzai indice e medio e presi a massaggiarmi le tempie.

Lo vidi avvicinarsi a me con occhi attenti.

Abbassai lo sguardo triste.

«Che c’è?» la sua voce era un po’ preoccupata. Il suo tocco gelido lambì i dorsi delle mie mani.

Con gli occhi ridotti a due fessure cercai la verità nella profondità dei suoi.

Vampiro.

Ammaliatore, tentatore, bugiardo.

Mi stava mentendo? Ne sarebbe stato capace?

In fondo l’aveva già fatto una volta, credendo di farlo per il mio bene. E se anche adesso pensasse di voler agire per il mio bene? Meglio ancora, e se a scegliere la strada fossi stata io stessa, di mia spontanea volontà … Lui aveva tutte le capacità per indirizzarmi verso la direzione che voleva, e, in fondo, sapevamo entrambi che poteva convincermi con molto poco sforzo.

Feci un passo indietro, incerta.

Si bloccò.

Alzò le mani lasciandole sospese a mezz’aria, come in segno di resa.

«Bella, cos’hai?» il tono teso, corrugò la fronte e una ruga gli comparve tra gli occhi.

 Cominciai a scuotere la testa, e il mio respiro divenne più affrettato.

«Edward perché mi hai portato qui?» mormorai guardandolo disorientata.

Un attimo di silenzio.

«Se non sei a tuo agio qui con me, andiamo subito via. Non hai nulla da temere, Bella» rispose lui tenendo lo sguardo su di me.

Continuai a scuotere la testa. Non mi ero spiegata bene, cominciavo a faticare a mettere le parole una di seguito all’altra nella mia testa. Mi sforzai di formulare un pensiero coerente. «Perché siamo venuti ad Hanover? Cosa hai …  hai in mente?» la vista mi si appannò un attimo e persi i contorni del suo viso.

Lo vidi fare un passo avanti e spinsi in fuori la mano facendogli segno di fermarsi. Deglutii. La bocca si era fatta improvvisamente secca.

«Bella permettimi di avvicinarmi, ti prego. Non stai bene, sei molto accaldata e non stai respirando regolarmente.» la sua voce mi sembrava lontana lontana.

«N … o, no rispondimi.» insistetti io. Cominciai a sudare freddo e ad avvertire uno strano senso di nausea.

Sentii il suo sospiro :«Ho pensato che potesse piacerti vedere il College. Se lo desideri, potresti frequentare un semestre o due di università. Potrebbe essere interessante.» il suo tono era calmo, ma la sua posa era rigida. Lo vedevo dalla tensione dei muscoli, pronti a scattare.

La rabbia si impossessò della mia ragione, le parole presero ad uscire come un fiume «Così, magari posticipiamo di un paio di annetti la mia trasformazione, vero? Tu … tu non vuoi che diventi come te. Cos’altro hai pensato ancora? Ogni tanto verresti a trovarmi, o speri che mi infatui di qualcun altro?» La testa aveva preso a girarmi, cercai un sostegno cui appoggiarmi con la mano.

Qualcosa di freddo e duro mi sostenne il braccio che si muoveva scoordinato nello spazio e mi ritrovai con le labbra di Edward premute sulla fronte.

«Bella, la tua pelle scotta, vieni a stenderti sul letto.» sussurrò e il suo fiato freddo sugli occhi mi fece rabbrividire.

Con tutta la forza che avevo, e che doveva essere davvero poca, puntai i palmi sul suo torace nel tentativo di allontanarmi. Mi permise di scostarmi da lui non più di qualche centimetro.

«Amore, sono qui. Non potrei essere in nessun posto se non accanto a te…» il suo tono rassicurante nascondeva una certa ansia.

Le gambe diventarono improvvisamente due macigni, tutto cominciò a girare vorticosamente intorno a me e l’ultima cosa che sentii fu la mia voce come in un sogno mormorare: «Non mi lasciare, ti prego …»

 

 

 

 

 

   
 
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