NOTA
DELL’AUTRICE: Cari
lettori, ho deciso di terminare a
breve questa ff. Mi sembra giusto avvertirvi che dal prossimo capitolo
ci sarà
un cambio di rating, da arancione a rosso. Mi dispiace se
offenderò la
sensibilità di qualcuno di voi, ma i capitoli mi sono venuti
così e non posso
farci nulla. Questa prova di scrittura è stata per me molto
interessante, ma mi
stà prendendo troppo tempo e troppo impegno. Mi piace
ricordare questa storia
con il seguito che ha avuto fino ad adesso, e ritirarmi in buon ordine.
Ringrazio
già da adesso tutti coloro che mi hanno sostenuto, siete
stati molto cari.
Il
capitolo che segue
non è betato, scusate, ma ho problemi con la lettura delle
mail.
Bacioni
endif
CAP.33
UNA
PROPOSTA INATTESA
EDWARD
L’osservai
attentamente
per carpire la sua reazione. Bella continuava a tenere la bocca
lievemente
aperta per lo stupore.
«
Il
Dartmouth College?» domandò sbalordita.
«Per
l’appunto, il
Dartmouth College» mi affrettai io a confermare con un
sorrisino.
Si
girò
verso di me con gli occhi spalancati,
pieni di muti interrogativi. Senza lasciarle il tempo di dar voce ai
suoi
pensieri, le afferrai una mano e cominciai a camminare
dall’area riservata al
parcheggio agli enormi giardini che circondavano l’intero
complesso. Senza
opporre resistenza, mi seguì docile.
Dartmouth
era uno dei
College che avevo frequentato con maggior soddisfazione e a cui erano
legati
tanti ricordi.
Membro
a pieno titolo
della Ivy
League,
rappresentava
una delle più prestigiose università della East
Coast. Era composto da diversi
edifici: il corpo principale era circondato a raggiera da una struttura
che
ospitava gli alloggi, una delle biblioteche più antiche e
fornite degli Usa, il
recente Hood Museum of Art disposto tra i precedenti Hopkins Center for the Performing Arts e
la Wilson Hall. La planimetria
ricordava un po’ la Chiesa di St. Matthew con un
caratteristico vestibolo
poligonale, progettato per essere il nodo principale di comunicazione
all’interno del campus.
Qui
si era infiammato il mio animo
seguendo i programmi della Dartmouth
Medical School. Qui avevo conseguito la mia prima laurea in
medicina.
Ricordavo come se fosse stato ieri la gioia di Carlisle quando ero
tornato a
casa dicendo che era mia intenzione seguire i corsi di medicina. Non
aveva
detto nulla di particolarmente entusiastico, ma avevo letto la
commozione e la
gioia nella sua mente al pensiero che qualcuno in famiglia avesse
deciso di
seguire le sue orme.
E
adesso, ripercorrendo i sentieri
alberati di quei giardini che ricordavano tanto i suggestivi College
inglesi,
sentii scorrere nelle mie vene un nuovo entusiasmo, quello che solo lo
stupore
e la curiosità di chi partecipa per la prima volta ad un
evento unico può
suscitare. Osservare ogni espressione di Bella, seguire la direzione
del suo
sguardo mentre si posava su un dettaglio, su un edificio, sui gruppi
variegati
di studenti che erano rimasti al campus nonostante fosse domenica,
suscitò in
me un rinnovato interesse, come se anche ai miei occhi apparisse tutto
nuovo.
Camminammo
tenendoci per mano ed io
le descrissi con dovizia di particolari la storia e la funzione di ogni
struttura. Ogni tanto mi sovveniva un ricordo o un aneddoto divertente
legato
ai miei anni di studente e lo raccontavo suscitando le sue risate. Come
quando,
all’ennesima sua bravata, avevo inseguito Alice
per tutto il campus, ma a velocità umana per
non dare nell’occhio.
Bella
si immobilizzò al centro di un
sentiero lasciando la mia mano e mi chiese stupita: «Anche
Alice ha frequentato
questo College?»
«Sì,
certo. Ed ha conseguito anche
la laurea. Anzi due.» risposi io calmo.
Sgranò
gli occhi dalla sorpresa «E
in cosa?»
«Dunque
… una laurea in economia
alla Tuck School of Business ed una in arte antica e
contemporanea.» dissi
riprendendole la mano nella mia e continuando a camminare.
Mi
accorsi che era diventata
silenziosa e che aveva abbassato gli occhi.
Nonostante
non ci fosse il sole,
l’aria era pesante, il caldo particolarmente soffocante. Gli
umani erano molto
sensibili agli sbalzi di temperatura e non volevo che lei ne
risentisse.
«Sei
stanca?» le chiesi premuroso.
«Un
po’» ammise lei.
«Vieni,
conosco il posto giusto dove
potrai riposarti e rinfrescarti.» e mi diressi verso il
parcheggio.
«E
ora dove andiamo?» chiese con
circospezione.
La
guardai con dolcezza e le risposi
deciso: «A casa.»
BELLA
Sulla
comoda Vanquish nera di Edward
scivolammo per strade che non avevo mai visto, io che non mi ero mai
spostata
più in là di Phoenix.
La
contea di Hanover era molto
suggestiva. Tutto era immerso nel verde e, come avevo avuto modo di
apprezzare
al campus, in perfetta sintonia con la natura, in uno stretto ed
indissolubile
connubio. Osservai il paesaggio sfilare velocemente sotto ai miei
occhi, fino a
quando non arrivammo davanti ad una deliziosa villa su due livelli, con
i
mattoni a vista, completamente circondata da alte e centenarie
querce.
Decisamente quella era una giornata piena di sorprese.
Una
volta fermata l’auto, Edward mi
aiutò a scendere prendendomi la mano.
«Benvenuta
a casa Cullen!» le sue
parole mi colsero alla sprovvista.
Mi
girai a guardarlo e l’osservai
con la fronte aggrottata «Avete una casa in
Virginia?» chiesi stupita.
«Certo, e non solo
qui. Quando si è costretti
a spostarsi con una certa frequenza … Ad Hanover abbiamo trascorso diversi
anni. Ma è successo
molto tempo fa. Ora nessuno ci riconoscerebbe. Vieni, ti mostro la
casa» e mi
scortò all’interno con un gran sorriso.
La
villa era arredata con gusto e
ricercatezza, ma era molto più country, rispetto a quella di
Forks. Un enorme
salone con il soffitto fatto di travi a vista era la stanza
più ampia del piano
terra. Un delizioso camino era disposto al centro della stanza e a
semicerchio
intorno ad esso uno splendido divano bianco di camoscio. Una parete era
completamente ricoperta di libri, un’altra ospitava uno
schermo televisivo
ultrapiatto. Su un tavolino di legno intarsiato una scacchiera di marmo
con dei
pezzi alti almeno dieci centimetri e dall’aria molto antica.
L’effetto
d’insieme era di grande
comfort e calore.
Il
piano terra era costituito anche
da una cucina moderna e funzionale, che aveva tutta l’aria di
essere rimasta
inviolata dal giorno della sua installazione, una spaziosa
veranda-terrazza che
ospitava un giardino d’inverno con delle sedute in vimini, lo
studio di
Carlisle, e un bagno in tinta crema. Dal salone si accedeva, poi ai
piani superiori,
dove Edward mi spiegò esserci quattro camere da letto con
rispettivi bagni,
oltre ad una camera degli ospiti.
Mi
spinse verso una di esse
dicendomi di fare con comodo.
Nonostante
non ci vivesse nessuno la
stanza non era per niente inospitale. Tutto era in perfetto ordine,
senza un
dito di polvere. L’aria era davvero afosa, quindi mi diressi
senza esitazione
verso il bagno. Dopo essermi rinfrescata, ritornai nella stanza e presi
ad analizzarne
ogni dettaglio. Ero curiosa di sapere a chi appartenesse. Era luminosa,
ampia e
avevo notato con stupore un letto matrimoniale. Forse era di Rosalie ed
Emmet.
No,
non era il loro stile, e neanche
quello di Alice e Jasper.
Quella
doveva essere la camera da
letto di Esme e di Carlisle. Lo sguardo ipnotizzato dal copriletto
color panna,
mi accorsi di avere gli occhi lucidi. Come avrei voluto che quella
fosse la
camera mia e di Edward!
A
disagio del fatto di trovarmi in
un luogo così intimo, mi girai e sgattaiolai fuori
ritrovandomi in corridoio.
Il mio senso dell’orientamento non mi suggerì la
direzione giusta, quindi, decisi
che era meglio chiedere aiuto.
«Edward?»
sussurrai appena, ma me lo
trovai alle spalle prima ancora di cercarlo con gli occhi.
«Sono
qui, amore» mi rispose lui
pronto.
«Io
…, non riuscivo ad orientarmi,
scusami» balbettai. Vederlo comparire come una visione di
punto in bianco mi
confondeva sempre. Ma un giorno mi sarei abituata alla sua presenza?
Il
suo sorriso era calmo e
rassicurante. Il mio cuore era in tumulto.
Sentivo
dentro di me una sorta di
tristezza.
Edward
mi aveva portato in uno dei
più esclusivi College d’America, uno di quelli che
non mi sarei mai potuta
permettere nemmeno tra un milione di anni. E se anche ne avessi avuto
la
possibilità economica, mi sarebbe stato precluso dal fatto
che presto, come
vampira neonata, non mi sarei potuta avvicinare a dei luoghi pubblici
per un
anno almeno. Ero nella sua meravigliosa villa, una casa lussuosa e
raffinata.
Ma
io non stonavo un po’ in tutta
questa ricercatezza?
A
contatto con una realtà nuova,
misteriosa, invitante, tentatrice …
Ripercorsi
rapidamente con la mente
la nostra visita al campus. Mi aveva descritto con cura ed entusiasmo i
dettagli, i particolari. La sua voce era stata suadente, melodiosa,
carezzevole.
C’erano
poche ragioni che potevano
aver spinto Edward a portarmi lì.
E
una di queste era che voleva che
mi iscrivessi al College.
A
quel College, come se fosse stato
possibile.
Tutto
divenne improvvisamente
chiaro. L’avergli rivelato che c’era qualcosa che
non volevo perdermi da umana,
gli aveva suggerito che poteva convincermi a non volere una
trasformazione
immediata, magari mostrandomi le bellezze di Dartmouth,
mostrandomi quello che mi sarei persa.
Sospirai
affranta. La
testa mi doleva per il troppo riflettere. Alzai indice e medio e presi
a massaggiarmi
le tempie.
Lo
vidi avvicinarsi a me con occhi
attenti.
Abbassai
lo sguardo
triste.
«Che
c’è?» la sua voce era un po’
preoccupata. Il suo tocco gelido lambì i dorsi delle mie
mani.
Con
gli occhi ridotti a due fessure
cercai la verità nella profondità dei suoi.
Vampiro.
Ammaliatore,
tentatore, bugiardo.
Mi
stava mentendo? Ne sarebbe stato
capace?
In
fondo l’aveva già fatto una
volta, credendo di farlo per il mio bene. E se anche adesso pensasse di
voler
agire per il mio bene? Meglio ancora, e se a scegliere la strada fossi
stata io
stessa, di mia spontanea volontà … Lui aveva
tutte le capacità per indirizzarmi
verso la direzione che voleva, e, in fondo, sapevamo entrambi che
poteva
convincermi con molto poco sforzo.
Feci
un passo indietro, incerta.
Si
bloccò.
Alzò
le mani lasciandole sospese a
mezz’aria, come in segno di resa.
«Bella,
cos’hai?» il tono teso, corrugò
la fronte e una ruga gli comparve tra gli occhi.
Cominciai a scuotere la
testa, e il mio
respiro divenne più affrettato.
«Edward
perché mi hai portato qui?»
mormorai guardandolo disorientata.
Un
attimo di silenzio.
«Se
non sei a tuo agio qui con me,
andiamo subito via. Non hai nulla da temere, Bella» rispose
lui tenendo lo
sguardo su di me.
Continuai
a scuotere la testa. Non
mi ero spiegata bene, cominciavo a faticare a mettere le parole una di
seguito
all’altra nella mia testa. Mi sforzai di formulare un
pensiero coerente.
«Perché siamo venuti ad Hanover? Cosa hai
…
hai in mente?» la vista mi si appannò
un attimo e persi i contorni del
suo viso.
Lo
vidi fare un passo avanti e
spinsi in fuori la mano facendogli segno di fermarsi. Deglutii. La
bocca si era
fatta improvvisamente secca.
«Bella
permettimi di avvicinarmi, ti
prego. Non stai bene, sei molto accaldata e non stai respirando
regolarmente.»
la sua voce mi sembrava lontana lontana.
«N
… o, no rispondimi.» insistetti
io. Cominciai a sudare freddo e ad avvertire uno strano senso di nausea.
Sentii
il suo sospiro :«Ho pensato
che potesse piacerti vedere il College. Se lo desideri, potresti
frequentare un
semestre o due di università. Potrebbe essere
interessante.» il suo tono era
calmo, ma la sua posa era rigida. Lo vedevo dalla tensione dei muscoli,
pronti
a scattare.
La
rabbia si impossessò della mia
ragione, le parole presero ad uscire come un fiume
«Così, magari posticipiamo
di un paio di annetti la mia trasformazione, vero? Tu … tu
non vuoi che diventi
come te. Cos’altro hai pensato ancora? Ogni tanto verresti a
trovarmi, o speri
che mi infatui di qualcun altro?» La testa aveva preso a
girarmi, cercai un
sostegno cui appoggiarmi con la mano.
Qualcosa
di freddo e duro mi
sostenne il braccio che si muoveva scoordinato nello spazio e mi
ritrovai con
le labbra di Edward premute sulla fronte.
«Bella,
la tua pelle scotta, vieni a
stenderti sul letto.» sussurrò e il suo fiato
freddo sugli occhi mi fece
rabbrividire.
Con
tutta la forza che avevo, e che
doveva essere davvero poca, puntai i palmi sul suo torace nel tentativo
di allontanarmi.
Mi permise di scostarmi da lui non più di qualche centimetro.
«Amore,
sono qui. Non potrei essere
in nessun posto se non accanto a te…» il suo tono
rassicurante nascondeva una
certa ansia.
Le
gambe diventarono improvvisamente
due macigni, tutto cominciò a girare vorticosamente intorno
a me e l’ultima
cosa che sentii fu la mia voce come in un sogno mormorare:
«Non mi lasciare, ti
prego …»