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Autore: Chemical Lady    25/09/2017    0 recensioni
[[ Spoiler su tutto Tokyo Ghoul :re - Presenza di personaggi OC nella storia ]]
La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.
Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati il solo superstite della squadra Hidaishi.
Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del CCG. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul dalla maschera rossa, incapace di distoglierli.
Sto morendo , si diceva in una lenta litania. Sto morendo.
Aiko Masa, vent'anni sprecati a compiere scelte inutili, stava morendo.
[[ Quinx Squad center ]]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Sasaki Haise, Sorpresa, Un po' tutti, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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僕は孤独さ  No Signal

Quinto intermezzo: Distacco

Parte prima.

 

 

 

«Così non funziona.»

Aiko aveva appena colto quella frase. Non ne aveva a pieno assimilato il significato, fino a che non si era ritrovata a specchiarsi negli occhi di Iruka.

E non ci aveva trovato assolutamente niente di interessante.

«No, non funziona. Mi dispiace, Kei. Credo che la colpa sia mia.»

La mano del ragazzo si strinse attorno al cartone del bicchiere, rischiando di sporcarsi il completo di caffè a causa di un tremito del polso. «Non sembra nemmeno importarti. Da quanto tempo stiamo insieme, Aiko?»

Lei dovette pensarci, altro dettaglio che a lui non sfuggì. Poi sospirò e scrollò le spalle. «Non lo so, tre anni? In quale mese siamo ora?»

«Quattro anni e due mesi, Aiko.»

Masa schioccò la lingua contro il palato. «Ops», fu il suo solo commento, prima di prendere un altro sorso di cappuccino, camminando piano avvolta da una sciarpa ampia color crema che le nascondeva il collo dal freddo pungente di quella mattinata invernale. Kei la seguì con gli occhi. Guardò come tutto il corpo sembrasse oscillare, come fronde di salice al vento, eccetto il braccio destro che teneva la valigetta della quinque.

«Sei cambiata», disse, facendole arrestare il moto. «Da quanto sei entrata nella squadra Hirako e io mi sono ritirato dal servizio sul campo, tu sei cambiata. Cos’è? Non mi giudichi più alla tua altezza?»

Gli occhi brillanti della ragazza non rilucevano, quando si voltarono verso i suoi. Sembravano stanchi, cerchiati dalle pesanti occhiaie. «Sono cambiata?», ripeté con tono basso, prima di alzare il viso verso il cielo. Quasi cercasse una risposta nel leggero rischiarare dell’alba. «Sì, penso di esserlo», valutò con consapevolezza, «Non mi ricordo nemmeno com’ero prima, quando eravamo felici. Perché ora non lo siamo, no? è questo che stai cercando di dirmi in questo momento così opportuno, vero?»

«Quando avrei dovuto dirtelo?»

«Non alle sette del mattino, quando sto per iniziare un turno dopo aver smontato il precedente tre ore e mezzo fa.»

Il ragazzo parve indispettirsi ulteriormente a quella precisazione. «So che ore sono, anche io sto montando il turno.»

«Al caldo, dietro a una scrivania, con la tazza del caffè sempre piena e il cesso a due passi per pisciare quando vuoi? Scommetto che deve essere sfiancante per te arrivare all’ora di pranzo garantito, così come alle cinque del pomeriggio, per poi tornare a casa.»

«Se sei frustrata per il lavoro, dovevi pensarci bene. Ti avevo detto di ritirarti dal servizio e fare lavoro da agente interno. Proprio come me.»

«Tu non sei un agente.» La voce di Masa vibrò per l’aria, trafiggendolo per la crudeltà che ci mise. Si voltò del tutto per fronteggiarlo, avanzando un paio di passi nella sua direzione. «Un agente è colui che mette la sua vita in pericolo per il bene della città e dei suoi abitanti. Qualcuno che versa il suo sangue ogni giorno, sui casi e sulla strada. Tu fai fotocopie, Kei. E cosa farai in futuro? Fotocopie. Forse, se avrai fortuna, ti assegneranno ad uno dei tanti archivi che abbiamo sparsi per Tokyo. Questo è ciò che farai mentre io guiderò una squadra in qualità di agente di classe speciale.»

«O sarai morta.»

Aiko scrollò le spalle con non curanza, come se quella eventualità non la smuovesse minimamente. «Può essere. La mia vita avrà comunque avuto un senso. Non sarò la delusione di nessuno. Non sarò mai la prima della classe che è scappata come una codarda perché è morto un mio amico. Sai quanti amici ho perso all’assalto dell’undicesima, insieme a Kenzo? E quanti all’Anteiku? Sai quanti agenti di supporto conosco, invito a cena dopo aver pianificato un assalto e poi mi ritrovo a scansarne i pezzi sparsi per una stanza? Tu non hai le palle nemmeno di lasciarmi, ma la faccia di bronzo per proclamarti agente non ti manca. Tu sei un segretario, Kei.»

«E tu sei una stronza.» Le gambe di Iruka ripresero a funzionare in quel frangente, smosso dalla voglia di andarsene e lasciarla ad annegare nel brodo di rancore nel quale era caduta. «E le palle per lasciarti ce le ho eccome. Non ti sopporto più, Aiko. Buona fortuna per la tua sfavillante carriera come classe speciale

La urtò, passando.

Lei non versò il cappuccino, che aveva provveduto ad allontanare dal busto. Non emise un solo suono, fino a che non si rese conto di essere sola e sicuramente in ritardo. Si sedette su una delle panchine, rigirandosi in mano la bevanda che andava raffreddandosi e realizzò che andava bene così.

Con un sorriso amaro pensò che Aogiri non poteva fare male al suo fidanzato, se non ne aveva uno. Ancora non sapeva cosa volevano da lei, ma ridurre al minimo i punti deboli era essenziale.

Se non poteva vivere lei, potevano farlo le persone che amava.

E andava bene così.

 

La fotocopiatrice che buttava fuori decine e decine di circolari da portare di porta in porta, di ufficio in ufficio, lo infastidiva. Le parole di Aiko gli rimbombavano ancora nelle orecchie e il solo pensare che quello era stato il primo incarico che gli avevano assegnato quella mattina, lo faceva ribollire interiormente.

«Problemi in paradiso?», gli domandò Kobayashi, il suo supervisore.

Kei sbuffò, prima di scuotere il capo. Gli venne offerto sostegno con un semplice sguardo e lui non resistette alla tentazione di sfogarsi un po’. «Sai che la mia ragazza è Masa Aiko, no?»

«La sola ragazza della squadra Hirako, certo. Take ci litiga spesso, sono divertenti. Avete litigato?»

«Ci siamo lasciati.»

«Mi dispiace, Iruka. Come mai?»

Kei si passò una mano dietro al collo, nervoso. Non era facile come discorso. Senza contare che, più ci pensava, più comprendeva che doveva essersi perso un passaggio importante del cambiamento della ragazza. Aiko era passata dall’essere allegra, positiva e vitale a una macchina da lavoro instancabile. Quando prima erano gli orari di lui a non conciliarsi mai con quelli della ragazza, lo attendeva sveglia per ore. Poi c’era stata una frattura.

L’aver vissuto l’inferno della ventesima ed esserne uscita quasi indenne aveva spento una luce dentro di lei.

Ammettendo tutto questo, allora Iruka avrebbe dovuto anche accettare il fatto che, quindi, era stato lui a pretendere troppo da Aiko. Poteva farlo, ma le parole della ragazza gli rimbombavano ancora nelle orecchie. Sapeva dove colpire, lo sapeva sempre. Sapeva che l’aver deluso suo padre l’aveva segnato, soprattutto perché suo padre era stato gravemente ferito in una delle ultime operazioni e aveva dovuti chiedere la pensione anticipata. Non ci sarebbe più stato un agente Iruka, dopo generazioni e generazioni di sostenitori dei Washuu, a tenere al sicuro Tokyo.

Lei lo sapeva eppure aveva premuto quel tasto, tormentato quella ferita che non si era ancora rimarginata a dovere. E lui voleva solo fargliela pagare. Per questo prese scioccamente la decisione sbagliata.

«Perché va a letto con Itou Kuramoto», disse con candore, stupendo il supervisore, il quale lo guardò da prima preso in contropiede e poi con gli occhi bramosi di avere dettagli ulteriori. «E ti dirò di più, non mi stupirebbe se si fosse infilata nel letto dello stesso Hirako. Masa è sempre stato così dopotutto. È sempre stata sveglia, se mi capisci.»

«Lascia, faccio io.» Kobayashi prese le circolari dalle mani del giovane, battendogli una pacca sulla spalla. «Prenditi una pausa, ok? Poi trascrivi il verbale della riunione della sottocommissione di inchiesta di ieri. Rimani in ufficio, per oggi.»

Kei annuì e sparì nel corridoio.

Kobayashi non attese altro.

Scaricò le incombenze a un altro sottoposto, uscendo dalla zona degli uffici.

«Ichiho!» chiamò, facendo voltare verso di lui un uomo allampanato, dai folti capelli neri. Con lui, c’era anche Aizawa. «Non saprai mai cosa mi ha detto uno dei miei uomini.»

Il capo supervisore degli interi lo guardò senza interesse. «Ancora questi gossip?»

«A me interessa, invece.» Aizawa stava già pregustandosi la notiziona. «Chi  è andato a letto con chi, stavolta?»

«A quanto pare con chi non è andata a letto. Conosci Masa Aiko?»

 

Capitolo trenta

«Prima regola: gli orari di tutti sono scanditi, giorno dopo giorno, da quelli del caposquadra Suzuya. Noi ci alziamo, facciamo colazione, ronda, pranzo, riunioni, giardinaggio e cena a seconda di come il caposquadra decide di organizzarsi. O Abara, dipende da che tipo di giorno si tratti. Seconda regola: Questo posto non è un ostello dal quale entrare e uscire a tua discrezione; se vuoi avere un permesso per uscire basta che conferisci verbalmente con me o con Abara. Non chiedere al caposquadra, direbbe sempre di sì e non sarebbe equo verso chi non riesce mai ad arrivare per primo a lui. Terza regola: il dresscode è importante, deciso sempre da Suzuya: cappotto neri, fascia con il tredici in numeri romani rossi sul braccio destro. Quarta regola: ti è permesso usare più di una quinque contemporaneamente e, nel tuo caso specifico, il kagune. Abbiamo già lavorato con Mutsuki Tooru e ci siamo trovati bene con i colleghi quinx. Ti verranno insegnate le formazioni, che riadatterò sul modello del tuo specifico kagune che se non sbaglio è di tipo rinkakou. Quinta regola-»

«Il cesso del piano terra è sempre intasato. Non usarlo.»

L’interruzione non piacque a Nakarai. Non gli piacque per niente. Rifilò un sonoro cazzotto in testa a Tamaki, che prese a sfregare velocemente il punto dolente, prima di riprendere la parola. «Quinta regola: se parlo io, tu taci.»

Masa annuì rapidamente. Gli occhi su Tamaki, piegati in una virgola divertita. «Tutto chiaro, signore.»

«La tua stanza è la terza sulla sinistra. Ora questo somaro da passeggio ti porterà la valigia di sopra», sempre adocchiando male il povero Mizuro, Kejin assottigliò gli occhi. Tornò ad appoggiare le iridi grandi, di un castano scuro vibrante, su quelle dorate di Aiko, proseguendo col discorso. «Io sarò il tuo partner. Non hai bisogno di un senpai che ti insegni il mestiere, quindi mi aspetto che tu abbia le abilità tattiche e investigative che il tuo precedente caposquadra ha segnato sul tuo fascicolo. Se così è, lavoreremo da pari. Per quanto sei stata il vice dei Quinx?»

«Sei mesi, signore.»

Aiko era entrata in un loop marziale. Si sentiva come il soldato Palla di Lardo di fronte al sergente Hartman, ma cavolo, Nakarai metteva soggezione. Un piccolo shouta dagli occhi vagamente psicopatici, autoritario e inflessibile. La sola persona davvero seria della squadra Suzuya.

«Allora sai il fatto tuo. Mi aspetto di vederlo già dalla ronda di domani. Mizuro, la valigia.»

Aiko attese il saluto del biondino e la sua relativa sparizione in cucina, prima di accostarsi all’ex compagno di corso, battendogli la mano sulla schiena. «Ho tre volte la tua forza, ora. Però lascerò che sia tua a portare la valigia.»

«Sempre la solita simpatica», le fece eco lui, tentando di tirare il grande e pesante trolley per le scale. Aiko, con  in mano la borsa del computer e la sua valigetta quinque, lo precedette. Qualcuno aveva già attaccato una targa sulla porta della stanza, con sopra il suo nome fatto a tempere colorate e sgargianti pois, in una cascata arcobaleno. «Il caposquadra non vedeva l’ora arrivassi», le fece sapere Mizuro, mentre lei entrava e iniziava a guardarsi attorno, scaricando il pesante bagaglio accanto alla porta. Sospirò per riempire di aria i polmoni. «Credo voglia usare le tue capacità da quinx per farsi lanciare. Sai no? come una catapulta.» Tamaki andò al letto, aprendosi a stella marina e lasciandosi cadere sul materasso ancora nudo. Quei dieci gradini sembrava l’avessero distrutto. «Come ti sembra?»

Aiko gli sorrise, appoggiando valigetta e borsa sulla scrivania laccata. «Carina», ammise quindi, passando gli occhi dalla piccola ma capiente cabina armadio, divisa dal resto della stanza da una tendina di iuta lasciata aperta, fino al materasso a una piazza su cui l’amico si era svaccato. Si sedette accanto a lui, guardando la scrivania piccola, incastrata accanto a una modesta libreria.

La classica stanza da caserma, piccola e funzionale.

«Quanti bagni abbiamo in comune?»

«Due. Però davvero, non usare quello al piano di sotto. Se hai voglia di fare come faceva Tooru, vai a usare quello all’esterno, accanto alla palestra e al vivaio.»

Aiko corrugò la fronte. «Mutsuki usava il bagno fuori?»

«Sì, penso lo facesse perché non voleva che vedessimo che anche lui è una…» Senza tatto alcuno, Tamaki si indicò il petto, come a tratteggiare un seno immaginario. Per risposta, ricevette uno schiaffo in pancia che lo fece sussultare. «Non discrimino mica! Anzi, ci vuole coraggio a volere essere uomini quando è così facile essere una ragazza.»

«Ora sei anche misogino, oltre che omofobo?»

«Nakarai ha predisposto le riparazioni del bagno, così che tu possa usarlo senza doverlo per forza dividere con quattro uomini virgulti. E il caposquadra… Non che Keijin sia particolarmente virile, dopotutto.»

«La porta è aperta.»

Lui alzò la testa lentamente, raccapricciato all’idea che il vice caposquadra avrebbe potuto sentirlo. Ma niente gli arrivò in testa, quindi tornò a rilassarsi. «Vivere insieme sarà fico», le disse di punto in bianco, puntando i furbetti occhi castani nei suoi. «Sarà come tornare in accademia, in un certo senso.»

«Ci eravamo detti che non saremmo dovuti mai stare in squadra insieme», gli ricordò Masa, prima di sospirare con una punta di amarezza. «Non è finita bene a Kenzo e Iruka.»

Tamaki puntellò i gomiti al materasso, sollevandosi di poco. «Eravamo giovani e stupidi. I nostri discorsi lo erano. Questa è una delle migliori squadre di tutta la ccg. Ce la caveremo alla grande e potremo fare un sacco di cose insieme, la sera, come i pensionati.»

«Come guardare gli anime?»

«E arrostire i marshmallow con gli accendini. Tanto tu fumi ancora, no?»

Masa sbuffò, trovando quell’affermazione ridicola. «Da quando le mie cellule si rigenerano più velocemente di quanto io possa anche solo immaginarlo, fumo il doppio.»

«Nakarai te lo farà pesare, sappilo.» Ci fu un momento di silenzio, che ovviamente non durò molto. Mizuro non taceva mai per troppo tempo consecutivamente, a meno che non ci fosse sotto qualcosa di grosso. «Parli più con Iruka?»

«Da quanto mi ha insultata di fronte all’intero bureau, dopo avermi lasciata? No, non è capitata la possibilità di prenderci un caffè.»

Mizuro annuì, serio. «Lo hanno spostato nella decima. È vice supervisore degli archivi di non so nemmeno che sezione del dipartimento.»

«Spero quella di notazioni delle morti.» Aiko assottigliò gli occhi, fissi in un punto sul muro. «Non si trova lì, per caso?»

«No, quella è nella quattordicesima.»

«Peccato. Sarebbe stato un privilegio per lui servire almeno una volta dei valorosi agenti che hanno dato la vita per ccg.»

Tamaki non aggiunse altro. Si mise seduto diritto, appoggiando il capo alla spalla di Aiko e chiudendo gli occhi, dopo un lungo sbadiglio. «La regola più importante, Nakarai non te l’ha detta.» Lasciò scorrere un significativo numero di secondi per aggiungere pathos, con tanto di occhio socchiuso e volto saccente. Si sentiva misterioso. Sembrava solo più coglione di quanto fosse in realtà. «Non mangiare dolci a meno che non siano stati comprati da te e successivamente nascosti. Suzuya potrebbe alterarsi se intacchi le sue scorte. Ah, grazie per avermi liberato di Keijin. Ora lavorerò solo con Mikage e magari riuscirò a non prendermi un calcio in culo al giorno.»

Con una mezza risata, Aiko appoggiò il capo a quello castano e spettinato dell’amico.

Poi chiuse a sua volta gli occhi.

Come benvenuto, non era stato niente male.

 

 

Dopo soli tre giorni di servizio attivo, scanditi per lo più da ronde per l’aspra tredicesima circoscrizione e giardinaggio per evitare che i primi freddi potessero portare alla morte dell’albero di limoni, a Masa fu concessa la serata libera fuori sede. Fu Nakarai stesso a comunicarglielo senza preavviso, stupendola per tutta quella gentilezza. A quanto pare non importava se non aveva ancora portato a termine la prima settimana, se non per emergenze gravi, avrebbe potuto avere ben due sere libere e un giorno di riposo alla settimana.

Non tornò nella prima circoscrizione, però.

Con Urie concordò un incontro a metà strada, così da permettere ad entrambi di tornare puntuali al lavoro la mattina successiva.

«Com’è vivere a Shibuya?», era stata la prima domanda che le aveva fatto il ragazzo appena sceso dall’auto, parcheggiata di fronte a un albergo scelto da Urie e le sue manie igieniche. Un motel per amanti sarebbe costato loro la metà, ma lui non ci sarebbe entrato nemmeno dentro a una tuta anticontaminazione.

«Burrascoso. Tu che mi dici, invece? Com’è vivere senza di me?»

«Sorprendentemente tranquillo. Fastidiosamente noioso.»

Non si erano detti molto altro. Avevano preso una stanza e lì i discorsi erano passati a tutt’altro piano. Nessuno dei due si azzardò a dire quando l’altro gli mancasse, ma lo espressero molto bene tramite i loro gesti, mentre facevano l’amore con una pacata calma, molto diversa dalle loro consuetudini. Come per non voler sprecare quel momento. Avevano di fronte una serata e una notte intera, dopotutto.

Fu solo quando, dopo un bagno caldo, Masa prese i depliant dei ristoranti associati all’albergo per scegliere la cena, che riaprì bocca. E lo fece per lamentarsi. Non era normale per loro passare più di venti minuti insieme senza litigare, dopotutto. «Non ti sarai portato dietro il lavoro, vero? Abbiamo una notte sola per noi!», gli chiese allibita, mentre lo guardava infilarsi un paio di boxer scuri. Urie non rispose subito, preferendo prendere uno degli asciugamani per frizionarsi i capelli violetti. «Cookie, sei odioso.»

«Volevo chiederti un parere su una operazione in corso, in realtà. Non sono molto sicuro di quello che succederà e tu hai un occhio critico migliore del mio, per quanto mi costi ammetterlo.»

Aiko mutò lo sguardo in uno di pura soddisfazione, tanto che lui si aspettò di sentirla iniziare a fare le fusa. «E come si chiama questa iniziativa per la quale hai bisogno del mio prezioso aiuto, primo livello Urie Kuki?»

«Operazione per la liberazione della sede della diciannovesima circoscrizione.»

Il sorriso si congelò sul volto della giovane, che però si voltò verso il fascicolo per nascondere il pallore che le aveva sbiancato le guance. Gli diede le spalle, mentre apriva con calma la cartellina. «La diciannovesima», soppesò, fingendosi pensierosa. In realtà voleva urlare. Perché la circoscrizione che Tatara aveva dato a lei? Perché proprio in quel momento e perché proprio ai Quinx? «Non ci sono stati tafferugli ultimamente, a quanto ne so. Perché mobilitarsi contro un gruppo di Aogiri di cui si sa poco o nulla?»

«Abbiamo avuto una soffiata anonima», continuò Urie, mentre cercava il phon nella borsa da palestra che si era portato. «Dammi un attimo e ti faccio sentire la registrazione della chiamata. Intanto leggiti il fascicolo. È così magro da farmi pena, ma le poche informazioni che abbiamo sono maledettamente precise.»

Aiko non lesse nulla.

Non ci riuscì, troppo concentrata a contenere il tremore agli arti, dato dalla rabbia e dall’impotenza. Non sapeva nemmeno se sarebbe riuscita a giostrarsi in quell’intreccio. Per iniziare, doveva prendere tempo perché non poteva perdere la credibilità, ma nemmeno la sua circoscrizione. Non dopo averne già perse così tante.

«Per ora ho solo una sera libera la settimana», si voltò a dirgli, mentre lui si asciugava i capelli. Spense l’apparecchio per poterla sentire, mentre lo ripeteva. «Una sera libera e un giorno di riposo. Nelle prossime settimane però dovrei averne uno in più.»

«Va bene, vedremo come organizzarci. Quando sai il giorno di riposo comunicamelo, così cercherò di prenderlo anche per me. Lavoro permettendo.»

Aiko gli sorrise, prima di tornare a concentrarsi sul come far fronte a quella situazione. La sola cosa che lesse, fu che erano implicate quattro squadra nell’operazione: la squadra coordinatrice sarebbe stata quella del classe speciale Aura, appoggiata nelle indagini dalla squadra Itou e da quella della circoscrizione caduta, ovvero la squadra Jaina. I Quinx avevano un ruolo prettamente tattico e di appoggio, invece. Dovevano dare man forte nelle operazioni.

Aver deciso già chi coinvolgere e come indicava che avevano elementi sufficienti per poter attaccare. Come potevano disporre delle informazioni necessarie?

A risponderle fu lo stesso Urie, quando, dopo aver asciugato anche la matassa mora che la ragazza aveva in capo, prese il computer e si sedette sul letto. Lei lo imitò, tenendo addosso l’asciugamano morbido e decidendosi di mettersi un po’ dietro di lui, con il viso appoggiato alla sua pelle per sentirne il profumo.

Così facendo non si sarebbe nemmeno tradita con qualche strana espressione.

«Ciò che ti sto dicendo e che sto per farti sentire è strettamente confidenziale, Aiko. Solo io, il prima classe Itou, l’associato Jaina e il classe speciale Aura e…. Higemaru siamo a conoscenza del continuato di questa chiamata. Oltre ovviamente al direttore Washuu,  che ha dato il suo via libera.»

«Io non so niente, non sento niente, non vedo niente. Ma adesso fammi sentire, sono curiosa.»

Urie annuì lentamente. «Questa è la registrazione di una chiamata anonima. La voce è sicuramente femminile, anche se la persona in questione è stata furba e ha modificato elettronicamente il timbro. Secondo Komoto, ha usato un oggetto per distorcerla. Non riusciamo a pulirla più di così, in ogni caso. Senti e dimmi che ne pensi.»

Aiko non rispose, passando le braccia attorno al busto solido e caldo del ragazzo. Rimase immobile e in silenzio, valutando ogni singola parola detta da quella voce sì distorta, ma sicuramente di donna. Una voce che non avrebbero potuto ricondurre a nessuno, purtroppo.

Per la fortuna della sua posseditrice.

-Non dirò il mio nome, né perché sto chiamando. Dirò però che oggi sono dalla vostra parte. La diciannovesima circoscrizione è un ottimo punto di inizio per un possibile piano di recupero delle zone perse dalla ccg. Dentro alla sede occupata ci sono poco più di quindici ghoul, una ventina quando sono davvero tutti riuniti. È un bersaglio semplice da attaccare, perché non è il luogo centrale da cui partono le operazioni di Aogiri. Il quartier generale è in un altro palazzo, sempre nella medesima circoscrizione, dove vivono i capi e qualche orfanello. Non è nel mio interesse che voi sappiate anche la locazione precisa di questo palazzo, ma è più in vista di quanto possiate immaginare. Se attaccherete, sappiate che i ghoul di raiting alto che incontrerete sono solamente quattro: Soldato, il cui vero nome è Yuuhei Kenta, diciassette anni, bikakou, livello S+; Cesoie, chiamata Mi-Him Choi, ventisei anni, bikakou, livello S+; Firestone, chiamato Gatsumi Nijishima, ventinove anni, ukakou e il Ripper, trentasei anni, nome sconosciuto, koukakou. Questi ultimi due non hanno il raiting aggiornato, ma stimiamo attorno al S- o addirittura A+.- ci fu una pausa, nella registrazione, poi la voce riprese. –Difficilmente il boss della circoscrizione apparirà per dare supporto ai suoi uomini che, eccetto i venti prima citati, saliranno al massimo a una cinquantina, sempre che arrivi supporto dal quartier generale. Se apparirà, di lei non c’è molto da sapere. Si fa chiamare Labbra Cucite e il suo nome è…- Masa schiuse le labbra, espirando piano non appena il discorso venne concluso. -…ancora sconosciuto. Sappiate però che ha un rinkakou molto forte, forse livello SS-. Ed è molto brava a trattare con gli agenti del ccg. Così brava che non escluderei che con lei potrebbe arrivare una vostra vecchia conoscenza. Takizawa Seidou, T-Owl. Livello SS+. Spero per voi di no. Buona fortuna.-

«Finisce così?», si informò Masa, staccandosi dal compagno per allungare una mano verso il computer. Non era un’esperta di analisi audio-video, però controllò lo stesso i picchi. Alla fine gli sfilò il portatile dalle mani e fece un paio di tentativi.

La voce non migliorò molto, mentre lasciava scorrere nuovamente l’intero discorso, da capo, ampliando alcuni picchi e abbassandone altri. Aveva usato un buon distorsore e se ci aveva già lavorato Komoto, lei non poteva migliorare proprio nulla.

«Sì, non c’è altro. Non ha dato il tempo all’agente che ha risposto di poterle rispondere», le disse il primo livello, tenendo controllato ogni singolo gesto della mora, così da imparare qualcosa. Il divario fra loro due in fatto di pratica criminologica era enorme, ma non incolmabile. «Cosa ne pensi?»

«Qualcuno di Aogiri che si è stufato di lavorare per loro, forse», fu la risposta della mora, mentre continuava a lavorare sulla traccia. Voleva sentire la voce di quella laida. La voleva riconoscere, perché per avere tutti quei dettagli, doveva per forza conoscerla. Conoscere Aogiri. Una donna che poteva denunciarla….

Non poteva essere Mi-Him, le mancava l’accento. Nemmeno Miza delle Lame, era troppo ignorante per articolare un così buon discorso. Eto era da escludersi a prescindere, perché per quando amasse i giochetti mentali, non avrebbe mai rischiato un tale autogoal alla sua stessa organizzazione. Quindi, chi rimaneva a parte lei? Qualche protetto che covava del risentimento? Magari Itori aveva avuto ordini? Oppure….

La gola le si seccò un attimo. «Kuki», chiamò con voce piccola. «La chiamata  è stata fatta da una cabina telefonica così da non poter essere tracciata, dico bene?»

«Dici bene.»

«Ed è arrivata al quartier generale dopo il mio trasferimento qui o prima?»

Urie corrugò le sopracciglia. «Ha importanza?»

«Voglio farmi una idea temporale. Non posso entrare nella mente di un potenziale sospettato se non conosco le tempistiche.»

Il primo livello le parve confuso, ma rispose in ogni caso. «La chiamata è arrivata ieri pomeriggio, ma non al quartier generale. È arrivata allo chateau. Per questo Hige sa tutto: ha risposto lui.»

Aiko ascoltò di nuovo ogni singola parola, prima voltarsi verso di lui, sorridendogli, tesa. «Queste informazione sono preziose. Incredibilmente preziose,  ma come facciamo a sapere che non è una trappola?»

«Non lo sappiamo, possiamo solo ipotizzare che esse siamo vere e agire però con la consapevolezza che potremmo trovarci di fronte, invece che cinquanta ghoul di basso raiting, almeno al triplo di questo numero.»

Mentre Urie parlava, Masa riuscì a connettere il portatile al wifi dell’albergo. Poi, facendo attenzione a non fare mosse stupide, cercò sul motore di ricerca l’indirizzo della sede della ccg della diciannovesima. Indirizzo che sapeva già, ma che doveva fingere di non avere mai visto in vita sua. Aprì maps e inserì l’indirizzo, selezionando la visuale satellitare, la zona.

«Abbiamo pensato di avanzare attraverso la pineta che costeggia il lato nord ovest della foresta», le spiegò Kuki, appoggiando il dito sullo schermo del portatile e spiattellando, senza sapere, l’intero piano a Labbra Cucite. «Li aggireremo così, sperando di non farci vedere fino a che non saremo alle loro porte. Se anche dovessero vederci, andrebbe bene lo stesso, il classe speciale Aura ne ha tenuto conto.»

«Perché fra gli alberi avreste un vantaggio», annuì Masa, facendogli capire che aveva intuito il piano di Riyoko. «Fra gli alberi i ghoul avranno meno spazio dove aprire i loro kagune.»

«Sì, esatto. Dopo di che avanzeremo di piano in piano come sempre, per liberare ogni singolo livello, come da protocollo. Riconquistata la sede cercheremo di fare prigionieri.»

«Baratterete una vita intera chiusi nella Cochlea in cambio della posizione precisa del quartier generale, vero?»

«Esattamente. Una volta smantellato anche quello, avremo di nuovo la diciannovesima. Un ottimo ponte fra la diciottesima di Miza delle Lame e la ventunesima, conquistata da noi dopo il crollo della famiglia Tsukiyama.»

Aiko chiuse piano il portatile, allungando il busto per appoggiarlo sul comodino, prima di tornare a sedersi, rivolta verso l’altro. «Quando avrà luogo l’operazione?»

«Venerdì prossimo. Ci siamo presi una settimana di preavviso perché, in caso in cui le cose dovessero mettersi male, arriverà anche un supporto della S3 e della S0. Arima ha detto che non poteva intervenire prima di una settimana, quindi ci siamo adattati.»

«Speriamo che fino ad allora, questo reo confesso di Aogiri non venga scoperto.» Masa alzò la mano, spostando i capelli di Urie indietro, per guardarlo negli occhi. E continuare a mentirgli in faccia. «Ammetto che sono un po’ preoccupata. Questa operazione ha fondamenta friabili come crackers.»

«Poetico.»

«Smettila, sono preoccupata davvero. Se non ci sono io a salvarti il culo, chi lo farà.»

Kuki sbuffò, «Mi hai salvato una volta sola e-»

«Due.»

«…Mi hai salvato un paio di volte e pensi che non sappia badare a me stesso? Io sono preoccupato ogni giorno, sapendo che sei nella tredicesima.»

Investigatrice chiuse gli occhi, sospirando con un sorriso malinconico a storcerle le labbra. Aveva già un’idea precisa di chi le avesse lanciato quel tiro mancino, ma parlarne con Urie era fuori discussione. Il solo fatto di essere al corrente di ogni singola mossa della ccg però la destabilizzava.

Per un attimo, dubitò di Urie. Che fosse un test? Qualcuno aveva fatto la spia su di lei e ora volevano verificare che fosse davvero Labbra Cucite? Oppure quello era solo un gioco malato orchestrato da un burattinaio folle e Urie si fidava di lei così tanto da tradire la parola data e parlarle del piano?

Quale  fosse la verità, lei non poteva saperlo.

Poteva solo assecondare gli eventi.

«Secondo me, dovreste controllare l’avanzata, ma lasciare l’avanguardia a chi conosce la zona.» Aprì di nuovo gli occhi, guardando il compagno che, ancora in attesa di un responso, prese nota mentale. «Se vi anticipano e vi attaccano? Non abbiamo ancora preso la spia, quindi siate cauti e aspettatevi una mossa in contropiede, sempre e comunque.»

«Sappiamo di questo piano in sei. A meno che la spia non sia Itou o Jaina, non credo che il direttore Washuu si diverta a diffondere informazioni diffamanti sulle operazioni in corso.»

Aiko scosse piano il capo. «Cosa hai appena fatto, tu?», gli domandò. «Anche gli altri potrebbero avere qualcuno con cui confidarsi per un consiglio.»

Kuki parve non capire. Corrugò la fronte, appoggiandole la mano sul ginocchio. «Che significa? Tu sei tu. È naturale che io non abbia riserve sul dirti ciò che faccio, anche se non dovrei.»

Una piccola parte di Masa, quella ancora intoccata dalle mani corrotte di Eto, tremò di fronte a quella spiazzante sincerità. No, non era un test. Urie non era così bravo a mentire. Quella stessa parte di lei si contorse, tanto da farle salire le lacrime agli occhi, che trattenne a stento. Era la parte che, per un istante, la spinse quasi a mostrare a Urie i polsi per essere arrestata come traditrice.

Non sapeva come, ma riuscì a resistere.

«Questo è un colpo basso. Sai che non so resistere alle romanticherie.»

«Non è una romanticheria, stupida. È un dato di fatto. Se non posso fidarmi di te, di chi allora?»

Masa appoggiò le labbra sulle sue, respirando in quel contatto che alla fine era solo uno sfiorarsi leggero. Come se volesse in qualche modo fargli capire che era lì per lui, mentre dentro di sé voleva solo farlo tacere, perché quelle parole la stavano uccidendo. Non poteva tacere di fronte a una tale dichiarazione, però.

«Se c’è una persona che io non tradirò mai, sei tu.»

Cercò di essere il più specifica possibile, per non venire meno alla parola data. Non giurò fedeltà al ccg. Non lo fece con i Quinx.

La giurò a lui e forse, giocando bene le sue carte, ci sarebbe anche riuscita.

Nel caso in cui non avesse potuto, avrebbe comunque perso tutto.

 

 

«Come hai ottenuto tutte queste informazioni?»

Gli occhi di Masa saettarono in quelli di Tatara, mentre portava la tazza alle labbra. Fra loro due, con una parrucca biondo platino a comprimerle le ciocche indomabili e il naso affondato in un libro di Mishima, c’era Eto. Non sembrava molto interessata alla conversazione, ma nemmeno scocciata dall’idea di essersi dovuta spostare fino alla tredicesima circoscrizione, al contrario di Tatara che sembrava furente. L’idea di doversi piegare alle nuove incombenze della sua allieva lo faceva imbestialire.

Aiko non se ne curò solo perché sapeva di avere i minuti contati. Nakarai sarebbe arrivato nel giro di pochi minuti e lei si sarebbe dovuta alzare dal tavolo, buttando fuori una scusa veloce, nell’esatto momento in cui il suo partner si fosse palesato nel piccolo caffè.

«Il tuo lavoro è servire il re, Laoshi», gli rispose, discretamente. «Il mio è servire te spiando la ccg. Ho molti amici nella sede centrale.»

«Il come non è importante. Non ci è mai interessato come Ai-Ai si procura le informazioni.», buttò fuori Eto, con disinteresse, voltando pagina. «Mi chiedo solo come pensa di agire ora Labbra Cucite...»

Aiko strinse i pugni sulle cosce, abbassando lo sguardo. «Vorrei occuparmene di persona.»

Finalmente, Eto la guardò. E sorrise, «Certo che te ne occuperai tu. Quella è la tua circoscrizione. Ti è stata data come premio per la tua fedeltà all’Albero di Aogiri ed è tuo dovere preservarla. Spero per te che tu abbia un buon piano.»

«Ce l’ho. Ho solo bisogno di molto nitroglicerina, un laboratorio e delle tue bende.»

«Le mie bende?»

«Usate.»

Eto sbatté gli occhioni più di una volta, prima di sospirare piano. «Va bene, avrai quello che ti serve. Scrivimi una lista precisa e farò in modo di farti avere i materiali. Il buon Nishijima ti aiuterà?»

«Certo, anche lui è in ballo ora. Se cade la diciannovesima, cade casa sua.» Aiko prese un respiro, prima di parlare nuovamente. «Farò saltare in aria la sede del ccg, evitando lo scontro aperto per evitare che qualcuno dei nostri venga fatto prigioniero. Il mio obiettivo è quello di proteggere il quartier generale.»

«No. Il tuo obiettivo è quello di proteggere i tuoi amici, Ai-Ai.» Eto si appoggiò col mento al polso, osservandola da vicino. «Fammi indovinare, ci saranno anche i Quinx? Magari la squadra di Itou Kuramoto?» Masa inclinò maggiormanente il capo, colpevole. Eto trillò una risatina. «Sei ancora troppo prevedibile, Ai-Ai. Ma ti concedo di salvarli tutti, se ci riesci.»

«Eto.»

Il Gufo ignorò il richiamo dell’albino, proseguendo. «Se riuscirai ad evitare che muoia anche un solo agente, prenderai il posto di Tatara nell’organizzazione.»

Cadde il gelo sul tavolino. Aiko tenne gli occhi sgranati sulla figura imparruccata di Eto, stravolta. Prendere il posto di Tatara significava diventare la seconda persona più potente in comando. La terza, se contato il Re con il Sekigan. Avrebbe conosciuto il suddetto sovrano, comunicato con lui e sarebbe diventata la sua consigliera. E l’uomo che chiamava maestro sarebbe diventato un suo subalterno.

Quella mole di potere le fece girare la testa, così tanto che non pensò che se avesse fallito, avrebbe subito le ripercussioni delle sue parole. «Farò del mio meglio.»

«Come sei boriosa e saccente. Non ti ho insegnato niente in questi anni.» Tatara la guardò, gli occhi coperti dalle lenti colorate che bruciavano come il suo kagune. «Fai come vuoi, méi-méi, ma se fallirai darò il tuo posto ad Hakatori. Così imparerai a sfidarmi. E porta con te Takizawa.»

«Non sto sfidando te, Eto ha detto-»

«E Shikorae.»

Aiko deglutì, realizzando che non sarebbe mai riuscita a contenere quei due insieme. Far ragionare Seidou era un conto, ma quando si trovava in compagnia di Rio perdeva il senso della misura. Sembravano fatti a posta creare un cimitero da un parco giochi.

«Come ordini, Laoshi.»

«Prima di andare, toglimi una curiosità.» Eto richiamò l’attenzione su di sé, chiudendo il libro a tenendolo al petto. «Credi che sia stato il tuo nuovo amico Yamoto a farti questo scherzetto?»

«Ne sono quasi del tutto certa. Mi aveva detto che avrei pagato per il dolore che abbiamo inferto alla signorina Wataba. Ha detto anche che chi fa del male agli innocenti deve aspettarsi le ritorsioni del karma.»

Eto rise, scuotendo il capo. «Lo sto aspettando da tanti anni, Ai-Ai. Non farti intimidire da lui. Non come ho fatto io.» Aiko tenne il capo basso, mentre sentiva l’amaro nelle parole che il Gufo snocciolò, prima di allungarle il libro sotto al naso. «Leggilo», le disse, mentre lei e Tatara si alzavano, pronti a togliere il disturbo prima dell’arrivo del prima classe Nakarai. «Potresti trovarlo interessante.»

Masa lesse ad alta voce il titolo. «Una virtù vacillante, di Yukio Mishima. L’ho studiato a scuola. È lo scrittore che si è tolto la vita dopo aver occupato il ministero giapponese, vero?»

«Un uomo il cui onore l’ha portato alla morte. Tu non leggi abbastanza, Ai-Ai. I libri possono aprirti la mente molto di più di qualsiasi insegnamento o disciplina», le riferì Eto, sistemandosi la borsa a tracolla, mentre l’albino la precedeva, andandosene senza salutare. «Questo in particolare è il mio preferito. È la storia di una donna che, stanca di vivere una vita impostale dalla madre con un matrimonio combinato, decide di avere una relazione adultera con un uomo molto più giovane di lei. Si abbandona quindi a una passione cieca e sfrenata, ricercando nell’erotismo quella libertà che non ha mai avuto. Alla fine, però, il giovane si rivela molto più simile al marito di quanto avesse pensato, così lascia il focoso amante per tornare a casa, alla sua monotonia, che riduce la sua anima in una sterile entità, che lei stessa riconduce a quella delle statue di pietra che possiede nel giardino di casa.»

«Mi hai spoilerato la fine», disse Aiko, infilando il libro nella borsa con un sorriso mesto. «Posso sapere anche la morale?»

«Con questo libro, Mishima denuncia il conflitto fra amore e ragione.» Ci fu una breve pausa, nella quale Aiko sentì il cuore iniziare a batterle così in fretta nel petto da farle dolere le costole. «La doppia vita, le scelte sbagliate…. Tutto questo per un uomo che credeva di amare. Credo che ti aiuterà molto a riflettere sulla tua situazione attuale, perché io non voglio perderti, ma non posso nemmeno continuare a trattenerti per i capelli.»

«Non vuoi… Perdermi?»

«Ci ho messo tanto a piegarti, Aiko. Mi servi ancora. Non posso permettermi il lusso di concedere al Re di avere più accesso alla ccg di me.» Prendendo un respiro profondo, Eto, avvistò con la coda dell’occhio il partner dell’altra entrare insieme a un uomo alto dai capelli neri. «Non abbiamo più tempo. Leggi e poi dimmi le tue impressioni.»

«Da quanto tempo lo hai capito?»

Eto sorrise, chiudendo gli occhi in una virgola quasi intenerita. «Da prima di te. Ti conosco meglio delle mie tasche, ormai. Questo trasferimento? Andiamo, sappiamo entrambe la verità. Però non preoccuparti, non lo dirò a Tatara. Divertiti a far bombe, Ai-Ai.»

Eto le diede le spalle, salutando con un sorriso i due membri della squadra Suzuya, mentre Masa cercava di darsi un contegno. Non doveva mostrarsi spaventata a morte di fronte a Mikage e Nakarai, anche se lo era.

«Quella chi era?», domandò proprio il suo partner, prendendo posto dove prima sedeva Tatara.

«Una cliente abituale», rispose vaga Aiko, «Mi ha visto da sola ed è venuta a fare conversazione.»

«Una della molte persone riconoscenti di questa circoscrizione. Da quando ci siamo noi le cose vanno molto meglio», sottolineò il biondino, facendo un cenno alla cameriera. Notò il turbamento sul viso di Masa, così la spiò attraverso i grandi occhi neri. «Cosa succede? Tamaki mi aveva detto che sei sempre così frizzante e chiassosa, come lui. Mi aspettavo una persona diversa da quella che ho di fronte.»

«Di che segno zodiacale sei, Aiko?», proruppe Mikage, permettendo così alla mora di non rispondere a Keijin.

«Scorpione.»

«Oh, si spiega tutto. Gli scorpioni sono di umore ballerino. Scommetto che è solo nervosa per il test di stasera. Di solito gli scorpioni prendono molto a cuore le situazioni, per risaltare e far bella figura. Uno nato sotto il segno dello Scorpione è sempre al centro dell’attenzione, con un fascino che attira le persone come la Luna attira le maree. Riesce con arguzia e intelligenza a mantenere vivo l’interesse nei suoi confronti, anche se ogni tanto sa ferire con la sua lingua tagliente e-»

«Mika piantala, o ti taglio la lingua con il coltello del burro. Ci vorrà parecchio per farlo e non ti divertirai.»

«Tu invece sei del segno della Vergine, ma devi avere un ascendente molto forte per essere così antipatico.»

Keijin gli rivolse uno sguardo annoiato, prima di aprire il menù della caffetteria.

«Non azzardarti a perdere l’entusiasmo per questo mestiere, o ti ucciderai da sola, primo livello», disse semplicemente Nakarai, non alzando gli occhi dai vari infusi che il locale aveva da offrire. «Questo è un ordine.»

Aiko sorrise, un po’ sghemba, sentendole pesare quel libro sulla spalla come un macigno.

«Agli ordini, prima classe.»

 

Un rivolo di sudore le scese sulla tempia mentre, con mani abili, rigirava il contenitore di plastica molto, molto lentamente.

Lo lasciò andare, sciogliendo le spalle, mentre i grandi occhi amaranto di Suzuya la guardavano con serietà. «Non avere fretta Aiko-chan.»

«Se fai così rischi che esploda», suggerì Tamaki, alternando sguardi dall’amica d’accademia al caposquadra, mentre accanto a lui Nakarai lo guardava scettico.

«Taci», lo arguì, prima di zittirsi a sua volta.

Aiko aveva sollevato il contenitore con un gesto così repentino da far scattare tutti sull’attenti e trasalire Abara. Lì, di fronte a tutti loro, in un piattino di ceramica giallo becco d’oca, un budino si ergeva verso l’alto, tronfio.

«Peccato, un pezzetto del bordino è rimasto dentro», disse Masa, amareggiata.

Keijin sbuffò, interiormente contento di tornare a leggere quel libro che cercava di concludere inutilmente da mesi, ma che puntualmente doveva accantonare a causa di interruzioni stupide. Come quella. «Hai fatto comunque meglio del cinquantesimo tentativo di Tamaki.»

«Un giorno capirò perché mi odi così tanto, prima classe.»

Nakarai non si prese nemmeno il disturbo di guardarlo, mentre si acquattava sulla poltrona. «Perché sei stupido.»

Aiko li guardò divertita, voltandosi verso Juuzou e allungandogli piattino e cucchiaio. «Sono passata?», chiese, prendendo posto sullo sgabello accanto al suo.

Il coetaneo sgambettò felice, ficcandosi in bocca una grossa porzione di gelatinosa sostanza rosata, prima di dare il suo verdetto. «Dobbiamo lavorare molto sulla tecnica», ammise, con un certo senso critico che non sembrava possedere. «Però le potenzialità ci sono. Tooru ci è riuscito al primo colpo.»

Masa si appoggiò col mento alle mani unite, guardandolo mangiare. «Tooru riesce a fare molte cose al primo colpo», sussurrò fra sé e sé, prima di voltarsi verso Hanbee. «Domani che programmi abbiamo?»

Pronto, l’alto ragazzone dai capelli neri prese in mano un blocco note.  «Tamaki e Mikage devono pattugliare l’angolo fra Homayashi e il supermercato. Tu e Nakarai invece avete orario d’ufficio. Ci sono un po’ di scartoffie.»

La mora annuì, lentamente. «Allora credo che andrò in camera mia. Posso concedermi un’oretta al telefono prima di dormire.»

Juuzou la guardò con la coda dell’occhio, aprendo la bocca, ma zittendosi immediatamente. Per un istante, Aiko pensò che l’avesse scoperta. Che si era accorto che sarebbe sgattaiolata via dalla finestra. Però non fece niente del genere. «Penso che anche io andrò a dormire», disse tutto felice per aver concluso il dolce.

«Prima si ricordi di lavarsi i denti, classe speciale», gli fece eco dalla cucina Hanbee, che era andato via col piatto vuoto, per poterlo mettere nella lavastoviglie.

Quando Suzuya si alzò, tutti gli diedero la buonanotte, guardandolo sgambettare apparentemente spensierato su per le scale. Aiko si chiese quando dovesse sentirsi solo quel giovane, seppur circondato da persone che lo adoravano a tal punto. Anche lei sentiva già di volergli un gran bene, seppure lo avesse visto solo a cena e durante la cura dell’orto, che doveva ammettere era un’idea geniale. Trovava incredibilmente rilassante tenere pulite le verze mentre Nakarai si occupava della voliera con dentro i suoi pappagalli.

Erano una famiglia, molto più dei Quinx sotto diversi aspetti.

Eppure, come Masa ben sapeva, nessuno poteva prendere il posto di qualcuno che davvero si ama. Questo pensiero le fece tirare un sospiro lungo, che si spezzò a metà quando Abara le mise sotto al naso una tisana che odorava di melissa e fiori di arancio.

«Per aiutarti a dormire», le disse, gioviale, sedendosi accanto a lei e prendendo un sorso dalla sua tazza. «I trasferimenti sono sempre stressanti.»

«Grazie, Hanbee, sei la nostra mamma.»

Lui rise piano a quelle parole, fissando con le iridi bianche un punto al centro del tavolo. «Faccio il possibile per rendermi utile.»

«Non essere umile», lo rimbeccò divertito Tamaki, raggiungendo il tavolo e superarlo. «Io vado a togliere Mikage dal telescopio, piuttosto. Pioggia di meteoriti o meno, domani lavora con me e ho bisogno che sia reattivo. Poi penso proprio che spenderò metà del mio stipendio in qualcosa di utile.»

«Un cervello?», chiese in lontananza Nakarai, girando pagina.

«No, un giacchetto di jeans. Torneranno di moda, ve lo dico io.» Mizurou le fece l’occhiolino, prima di voltarsi verso il biondo. «Se vuoi posso comprare qualcosa di utile anche per te. Non lo so, un amico, magari?»

E poi si guardò bene di infilarsi su per le scale prima ancora di sentire lo sguardo profondo e assassino del vice caposquadra sulla schiena.

Hanbee si ricordò improvvisamente di qualcosa che lo fece scattare. «Devo sostituire le ciabatte prima che si addormenti.»

Aiko non capì. Lo fissò in tralice finire la tisana, ma non riuscì a chiedergli nulla, perché questi rischiò di strozzarsi, pur di fare in fretta, sparendo a sua volta alla volta del piano di sopra.

«Tutte le sere mette un paio nuovo di ciabatte rosse di fianco al letto del caposquadra, mentre questi si prepara per la notte», la mise al corrente Nakarai, continuando imperterrito a cercare di leggere. «Abara pensa che Suzuya creda che sia sempre lo stesso paio, ma tutti sappiamo che si fa in quattro per girare tutti i negozi di calzature della capitale per trovare sempre la stessa marca e lo stesso rosso scuro. Anche Suzuya lo sa.»

«…. Abara è davvero la mamma, prima classe.»

Aiko si prese il suo tempo per godersi quella tisana casalinga, prima di andare a lavare entrambe le tazze, per non lasciare dell’altro lavoro al collega-babysitter. Tornò verso il grande salone, appoggiandosi allo stipite della porta con la spalla, incrociando le braccia sotto al seno. «Una lettura interessante?»

«No, questo libro è terribile», le rispose Nakarai, appoggiando l’oggetto sulle gambe e tenendo fra le pagine l’indice, così da non perdere il segno. «Però detesto non portare a termine le cose che inizio.»

«Allora ti lascio alla lettura, boss.» Masa gli sorrise, staccandosi dal muro. «Buonanotte.»

«Dormi bene, primo livello. Quanto meno provaci, le tue occhiaie sono così grandi ormai che mi parlano.»

La mora scosse il capo, divertita, salendo i primi gradini con una mano sulla ringhiera. «Non si dicono queste cose a una signorina.»

«Immagino sia dura dormire da soli, quando si è abituati a dividere il letto.»

Quell’affermazione di Nakarai non venne interpretata dalla ragazza. Non sembrava esserci tono d’accusa dietro o una voglia di indagare la sua vita sentimentale. Però l’aveva detta, proprio mentre riapriva il libro, lanciandola così, senza un motivo apparente.

Nakarai era davvero difficile da decifrare anche per Masa, che credeva di avere imparato quell’arte da Eto molto bene. Eppure di fronte le pareva di trovarsi un muro di mattoni grezzi e stucco. Dietro era impossibile capire cosa ci fosse.

Però sapeva come rispondere. «In realtà è molto più triste accettare che è meglio un letto vuoto.»

Si lanciarono un ultimo sguardo e lei capì di avere esagerato. «Prima classe-»

«Buonanotte, Masa. Ricordati che ci vogliono dieci minuti per arrivare alla sede, da qui. Quindi devi scendere alle sette meno dieci se vuoi fare colazione.»

Aiko non aggiunse altro, pensando che infondo con Keijin era così. Rispondere o sottomettersi. Lei era già sottomessa a troppe persone e preferiva avere un rapporto cristallino con Nakarai, che infondo le piaceva come partner. Ed era molto diverso da Urie, quindi non poteva permettersi le confidenze che si era permessa con lui nei primi tempi. Keijin era schietto e chiaro. Le diceva cosa fare e lei eseguiva. Nonostante in quella squadra la sua attività investigativa si fosse quasi azzerata, Aiko era lo stesso contenta. Stava imparando il vero significato di unità di squadra.

Nessuna era come la squadra Suzuya.

Per questo non riusciva ad essere frizzante come lo era stata al suo ingresso nei quinx.

Le dispiaceva sinceramente ingannarli.

Erano una squadra molto più unita di quanto lo fossero mai stati i Quinx.

 

 

«Non sei riuscito a trovare di meglio?»

«Purtroppo non ho agganci nella tredicesima. Da quanto è stata ripulita dal ragazzino con la falce è diventato molto difficile portare avanti gli affari qui. Quindi, Labbra Cucite, prendere o lasciare?»

Una mazzetta di banconote finì sul palmo di Tsubasa, ma non bastò a mandarlo via. Ci volle una buona dose di pazienza per liberarsi dello scarafaggio, che aveva osservato molto attentamente un paio di sgherri delle Facce di Cuoio, il gruppo della diciannovesima che Aiko gestiva, portare con attenzione delle grosse casse nel magazzino che lui stesso aveva procurato ad Aogiri.

Alla fine sotto un invito poco gentile di Enoki, detto il Ripper, Aiko era riuscita a liberarsi di quella piaga sociale. «Mettiamoci subito al lavoro. Nishijima, osserva bene, io farò solo le prime due, poi tu dovrai replicare in modo identico le altre. Ti preparerò i detonatori prima di andare via, in ogni caso. Quelli sono la mia firma.»

Lavorare direttamente nella tredicesima e poi trasferire cinque bombe contenenti ciascuna almeno venti kg di nitroglicerina era molto rischioso, soprattutto per il trasporto e le condizioni pessime in cui lavoravano. Tenere stabile la temperatura dei candelotti sarebbe stato difficile e anche impedire che avvenissero incidenti per strada. Però Aiko non poteva allontanarsi troppo. Si trovava letteralmente a cinque minuti a piedi dalla casa in cui si era trasferita.

La squadra Suzuya non era come i Quinx. Loro facevano domande, anche senza fondamento di accusa, ma Aiko si sentiva controllata. Sentiva gli occhi amaranto di Juuzou sulla schiena costantemente e ogni secondo poteva vederlo calarsi da una delle finestrelle del seminterrato. Allora nessuno dei suoi uomini sarebbe uscito di lì vivo, né lei libera.

Per questo non aveva chiesto a Kenta di raggiungerla, lasciandolo al loro quartier generale a comandare al posto suo. Aveva chiesto solo a Enoki di fare da palo e tenere controllata la zona e a Nishijima, che in quanto chimico, avrebbe saputo gestire molto meglio gli esplosivi di chiunque altro. Sarebbe stato meglio un fisico, ma non ne aveva uno disponibile in famiglia.

«Un po’ mi ricordi mia sorella», le aveva detto quasi sognante l’uomo, sistemandosi gli occhiali sul naso da porcello, mentre il sudore che gli imperlava la fronte e rendeva i suoi capelli appiccicosi colava per il nervosismo. «Una mossa falsa e saltiamo in aria. Però tu non sembri turbata.»

«La mia prima bomba l’ho fatta quando avevo dodici anni», gli rivelò Aiko, continuando a tranciare pezzi di metallo con le cesoie e ripiegandoli su loro stessi in modo molto specifico, creando delle piccole spirali. Si zittiva solo nel momento in cui doveva collegare fra loro i candelotti di dinamite ai percussori a tamburo degli inneschi a distanza. «Una molotov. Mi insegnò mio fratello Shin a farle. A lui piaceva dar fuoco ai cassonetti e io volevo solamente passare del tempo con lui. Poi ho realizzato che far saltare in aria è meglio che incendiarle.»

«Allora perché sei entrata nella ccg? Non erano meglio gli artificieri?»

«Perché se fossi entrata negli artificieri non avrei potuto far saltare in aria la sede dove lavoro, come invece è successo mesi fa. Dovevi vedere la faccia di uno dei miei superiori, Ui.»

Nishijima ridacchiò. «Pensa se sapesse che ci sei dietro tu.»

«Spero non lo venga mai a sapere.»

«Hai paura di lui?»

«No, gli voglio bene.» Il walkie talkie che le pendeva dalla vita si accese in quell’istante, cancellando tutta la voglia che aveva di scherzare. La voce di Enoki la chiamò, seria come sempre. «Arriva qualcuno?», domandò subito, per nulla pronta alla fuga. Aveva appena finito la prima bomba e stava lavorando alla seconda e alla terza insieme al chimico. Stavano imbevendo la segatura di nitroglicerina, quindi erano nel momento peggiore di tutti.

-Sì e non posso fermarlo.-

La porta si aprì sul terminare della frase. Con la giacca bianca e la maschera rossa, Tatara entrò nella stanza. Guardò Nishijima, che si chinò ripetutamente, prima di lasciare la stanza, lasciando la mora al bancone da lavoro improvvisato. «Non ti aspettavo», ammise Aiko, sistemandosi i guanti spessi di gomma nera, prima di prendere altra segatura e la pipetta con il liquido esplosivo. «Non è sicuro rimanere qui, Laoshi. Se Suzuya dovesse-»

«Deciderò io cosa è saggio e cosa no. Tu non ne hai la facoltà visto cosa stai preparando, méi méi

La mora sospirò, contrita. Lo spiò discretamente da dietro le lenti spesse degli occhiali protettivi, prima di parlare nuovamente, con la voce che usciva ovattata dalla mascherina da lavoro che teneva sulla bocca per non aspirare fumi chimici. «Ti ho deluso, vero?»

Tatara non le rispose subito. Era chino sul tavolo, sul primo impianto esplosivo concluso. Lo guardava con occhi curiosi, che mutarono però quando si spostarono su di lei, tornando apatici. «In realtà no», la stupì, avvicinandosi per mostrarle cosa aveva portato.

«Queste le manda Eto, immagino», disse Aiko, guardando tutte le bende che annodate sembravano essere state buttate dentro a quella borsa alla rinfusa. «Ho ancora quattro giorni per portare a termine ogni preparativo, inizio a sentire la pressione. Spero che l’idea che ho avuto e che implica l’utilizzo delle bende funzioni, o sono spacciata.»

«Spiegami di nuovo cosa hai intenzione di fare», la esortò l’albino, accomodandosi su uno sgabello un po’ distante.

Masa appoggiò il candelotto concluso, prendendo l’innesco e attendendo per inserirlo nella bocca dell’involucro. «Il piano della ccg è prendere la sede della diciannovesima passando per la pineta che sta sul lato nord ovest del palazzo. Pensano di incastrare possibili vedette fra gli alberi, ma in realtà noi arriveremo dal fianco destro, lasciato scoperto dalla retroguardia. Conosco abbastanza la squadra Aura per sapere che dopo dieci minuti di silenzio tranquillo, avanzeranno per dare supporto ai Quinx, creando una certa distanza fra loro e la squadra Itou. Il mio piano è attaccare fra i tre gruppi di colombe e tenerli impegnati abbastanza mentre Nishijima fa detonare il palazzo. Se non hanno una sede da prendere, non possono proseguire l’operazione, quindi dovranno ripiegare. Io ordinerò la ritirata strategica mentre gli agenti si staranno ancora chiedendo cosa è stato quel botto.»

Tatara la ascoltò in silenzio. Poi sollevò la mozione più logica. «Se la squadra che deve distaccarsi non lo farà, come agirai?»

«Attaccheremo la retroguardia guidata da Jaina. A quel punto dovranno tornare indietro per dare supporto. Conto molto sulle doti di Kenta di dirigere i nostri uomini in modo coerente, mentre io, Enoki e Mi-Him ci occupiamo dei pezzi grossi e li teniamo occupati.»

«Takizawa e Shikorae che ruolo hanno?»

«Rimanere in attesa di istruzioni. La ccg chiamerà Arima in caso di attacco, così anche io ho deciso di tenermi un asso nella manica. Il mio asso saranno quei due. Non devono fare nulla se non richiesto.»

L’albino non emise nemmeno un sospiro. «Non deve morire nessuno se vuoi il mio posto.»

«Non lo voglio.»

«Sembravi bramarlo molto, l’altra sera.»

Aiko si sfilò uno dei guanti, alzando gli occhiali fra le ciocche nere, per poterlo guardare senza filtri. «Eto è sempre troppo allettante, quando fa proposte.»

Il ghoul bianco non sentì il bisogno di controbattere a questa affermazione. «Sai cosa è il dharma?», le chiese invece, a tradimento.

Lei si preparò psicologicamente. Sapeva che ora le sarebbe arrivata una pillola di saggezza non richiesta, ma imposta. In qualche modo malato e contorto, temeva Tatara tanto quanto teneva a lui. Però quello non era il momento. Stava lavorando in fretta per tornare nel suo letto prima che qualcuno potesse rendersi conto della sua assenza.

Doveva assecondarlo, così da concludere prima. «Sì, Laoshi, mi hai parlato spesso del dharma d’onore e del dharma famigliare che ti lega alla tua famiglia e che ti porta a volere vendetta per loro.»

L’albino annuì impercettibilmente. «Nella Bhagavadgītā, uno  scritto antico collocato nel VI parvan del grande poema epico Mahābhārata, viene raccontata la storia di Arjuna, un valoroso principe che viene messo di fronte alla più grande delle sfide per un uomo: porsi contro la sua stessa famiglia.» Tatara fece una piccola pausa e Aiko iniziò a capire cosa voleva dirle. «I suoi cugini, usurpatori del trono che gli spetta di diritto, devono essere uccisi così come i suoi mentori e coloro che si sono apertamente schierati contro di lui, e tutto ciò deve avvenire in una battaglia che avrà la durata di diciotto giorni. Colto dallo sconforto, Arjuna decide di non combattere. Non vuole vedere morire o essere lui stesso a far strage dei suoi parenti. Così il suo auriga, Krsna, che in realtà è una incarnazione del dio Visnù, gli rivela che ciò che conta è che lui porti a termini il suo dharma; lui non è un cugino, non è un fratello e non è un allievo. Lui è un re e il suo dharma è quello di riprendersi il trono e provvedere al benessere del suo popolo. Solo realizzando il proprio dharma, l’uomo può ambire alla purificazione e all’innalzamento supremo, il nibbana.»

«Credevo si dicesse nirvana.»

«Come sempre, credi male.»

Masa prese un respiro profondo e poi guardò il suo maestro. «Laoshi, il mio dharma è verso Aogiri o verso il ccg?», gli domandò, apertamente. Se l’avesse fatto un anno prima, lui le avrebbe staccato di netto il capo dal corpo con un singolo colpo. In quel momento, però, sapeva che Tatara era venuto con intenzioni pacifiche.

L’avrebbe uccisa già da tempo se non avesse voluto impartirle una lezione.

«Nessuno dei due», le rispose, sorprendendola. «Il tuo dharma è ciò che tu credi sia giusto. Quale è la via migliore per la tua realizzazione? Cosa ti fa andare avanti ogni giorno?»

Aiko non doveva nemmeno pensarci. «Un mondo diverso. Forse non migliore, né più giusto. Ma diverso.»

«Allora il tuo dharma è il mio dharma. Dovrai fare dei sacrifici perché si possa realizzare.»

Masa sbuffò una risata priva di colore, mentre il suo volto si adombrava di amarezza. «Orihara, Osaki, mio fratello, Shirazu…. Quanti altri sacrifici vorranno le divinità vediche per far sì che io, piccola Stannis spaurita e nel dubbio, possa riprendermi il mio trono senza paura?»

«Tutte quelle necessarie.»

L’albino si alzò e lei si rimise il guanto, imponendosi di non tremare. Non poteva. Doveva lavorare con dei composti troppo pericolosi che però l’avrebbero distratta dai brutti pensieri.

«Ci saranno dei morti, méi méi. Non lo dico perché temo che tu possa sostituirmi, perché non accadrà mai. Lo dico perché sai benissimo che sarà così. Moriranno dei tuoi uomini, da entrambe le parti. Però, se Eto si deciderà, presto potrai prendere definitivamente una parte.»

A quelle parole, gli occhi dorati di Masa saettarono su Tatara. «Cosa significa?»

«Lo scoprirai. Ora rimettiti al lavoro. Se necessiti di altri strumenti, chiama Ayato.»

Prendere una parte.

Sembrava semplice quella frase, lanciata dopo una serie di filosofici insegnamenti. Non lo era, però. Voleva dire tutto o niente.

Il mondo di Masa era spaccato in due come una mela, come poteva scegliere da che parte stare?

Senza contare che poteva avere male interpretato, ma dalle parole di Tatara, sembrava quasi che in quella scelta, lei avrebbe avuto voce in capitolo.

Ne dubitava.

E lo sperava.

Perché da sola non avrebbe scelto proprio un bel niente.

 

 

  
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