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Autore: arangirl    27/09/2017    3 recensioni
24 Dicembre 1940, Parigi
Clarke Griffin è in missione per recuperare una delle più importanti opere d'arte custodite al Louvre prima che i soldati tedeschi arrivino a Parigi; in una disperata lotta contro il tempo e con i nemici sempre più vicino, Clarke si renderà conto di non essere l'unica interessata al quadro, e si ritroverà costretta a stringere la più improbabile delle alleanze...
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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24 Dicembre 1940, Parigi

 
La neve scendeva fitta come non mai quella notte, ricomprendo qualsiasi cosa di candore assoluto. Le strade sparivano sotto la coltre bianca, che sembrava riuscire a cancellare qualsiasi cosa, persino i segni della guerra. O quasi, pensò Clarke mentre passava davanti ad un edificio in rovina, l’edera selvaggia che cresceva indomita lungo i mattoni scoloriti che un tempo erano stati la dimora di qualcuno.
 

La ragazza si strinse nel cappotto, maledicendo ancora una volta il clima europeo che sembrava non voler dar pace alla popolazione già decimata dalla guerra, pregando silenziosamente un Dio in cui non era più sicura di credere che almeno il freddo servisse a bloccare l’avanzata dell’Asse. Doveva essere la paranoia, doveva esserlo di certo, eppure le sembrava di vedere spettri in ogni dove, fucili che spuntavano da dietro ogni angolo, echi di passi che la seguivano nella notte. Strinse il calcio della pistola nella tasca del giubbotto, ricordando amaramente come una volta adorava lavorare da sola, come vedeva qualsiasi partner come d’intralcio alle sue missioni.
 

Ma ora che il capitano Wells Jaha era sepolto nel ghiacciato suolo europeo, così lontano da casa, con una pallottola tedesca che gli squarciava il ventre, sentiva la mancanza del suo compagno di missione, del suo amico. Ma lei aveva un compito da portare a termine e non poteva permettersi di fallire; per Wells e per se stessa.
 

La Tour Eiffel si stagliava davanti a lei, uno scheletro scomposto del maestoso monumento che era una volta, le luci completamente spente per paura dei bombardamenti. Clarke sorrise con amarezza al pensiero che non ce ne sarebbe stato bisogno ancora a lungo, l’esercito tedesco sarebbe calato sulla capitale a momenti, se non quella stessa notte.  L’aveva vista prima che iniziasse la guerra, quando era ancora una civile in vacanza, e l’aveva trovata splendida, eterea. Ora era solo il simbolo di un paese morente, l’emblema della distruzione che quella guerra aveva portato all’uomo, alla civiltà, a tutto ciò che una volta era giusto.
 
 

I suoi anfibi lasciavano impronte pesanti e precise sulla neve, ma non poteva farci niente; i fiocchi continuavano a cadere incessanti appoggiandosi leggiadri ai suoi capelli, lasciandoli bagnati di cristalli di luce come le succedeva da piccola, quando giocava nel giardino di casa con Wells. Non riusciva a capire da dove venisse quella profonda malinconia, forse era perché in fondo era Natale, un periodo che doveva essere di gioia e amore, o forse perché era da tanto, troppo tempo ormai lontana da casa. Avanzò ancora a passo veloce, decisa a tornare al rifugio prima che scoccasse la mezzanotte, con il suo premio in mano possibilmente, ma soprattutto a lasciarsi lo spettro di quei pensieri alle spalle. Il museo era deserto, proprio come si aspettava; chi mai poteva interessarsi all’arte quando in gioco c’era la vita? Solo lei probabilmente.
 
 

Forzò la serratura del portone principale senza problemi, entrando nel grande salone d’ingresso che una volta era stato saturo di turisti, di artisti che da tutto il mondo venivano per ammirare le opere più maestose che l’ingegno umano aveva saputo creare. Camminò silenziosamente per i corridoi vuoti, guardando i muri spogli e le vetrine infrante; molto di ciò che c’era era già stato preso, ma non quello che interessava a lei. Era sicura che si trovasse ancora lì, doveva essere lì, Wells era morto per quell’informazione. Ovunque c’era oscurità, le grosse nuvole grigie in cielo coprivano quasi del tutto la luce degli astri ma Clarke non si azzardò ad accendere la torcia, troppo rischioso, non aveva alcuna intenzione di farsi uccidere a pochi metri dal suo obiettivo.
 
 

Arrivò alla porta che dava al magazzino con il cuore in gola, il respiro più silenzioso che poteva, ma quando arrivò, vide che la porta era aperta. Non avrebbe dovuto essere aperta. Sigillata, aveva detto a Wells il vecchio custode prima che i tedeschi irrompessero nella sua casa, ferendo il suo amico e costringendolo a una fuga disperata; quando lei l’aveva trovato, non c’era più niente da fare, se non usare le informazioni per portare a termine la missione.
 
 

Prese in mano la Colt e armò il cane, preparandosi a sparare per qualsiasi evenienza; aveva provato sulla sua pelle cosa voleva dire esitare anche solo un attimo. Sentì un rumore davanti a lei e fece attenzione a rimanere sempre più al coperto possibile, nascondendosi dietro le casse impilate nel magazzino, e poi vide una luce. Una torcia brillava nell’oscurità, chiaro segno che non era sola in quel luogo; il suo battito cardiaco aumentò sensibilmente mentre una serie di ingiurie prendevano il sopravvento nelle sua mente; le mancava solo uno scontro a fuoco.
 

Era arrivata, le sarebbe bastato voltare l’angolo e avrebbe visto la fonte della luce e, sperava, anche ciò che era venuta a prendere. Era quasi certa che chiunque ci fosse lì dietro non si era ancora accorto della sua presenza, aveva dalla sua almeno l’effetto sorpresa. Si sporse quel tanto che bastava per vedere aldilà delle casse e quello che vide la lasciò senza fiato: aveva trovato il dipinto. Illuminati dalla luce della torcia, i dodici girasoli che Van Gogh aveva dipinto tanti anni prima tra gli stenti e la fame risplendevano come fiori reali mentre seguivano il carro alato del sole nel suo cammino.
 


Clarke si ritrovò a pensare di non aver mai visto nulla di più bello, di più vivido in vita sua; peccato che non erano le sue mani a stringere la tela, ma quelle di uno sconosciuto.
 


Il suo governo l’aveva incaricata insieme con una squadra speciale di trovare e proteggere le opere d’arte che si trovavano in Europa dalla distruzione della guerra, e a lei e Wells era stato affidato quello, o per meglio dire, lei l’aveva scelto, l’unico quadro del perseguitato artista a non essere ancora caduto nelle mani del Führer, ed era suo compito portarlo in salvo negli Stati Uniti.
 


L’uomo, chiunque fosse, era perso nella contemplazione del dipinto tanto quanto lei, e Clarke non si lasciò sfuggire l’occasione; si avvicinò lentamente e puntò la pistola esattamente in mezzo alle scapole dell’uomo “Non muoverti.” Disse cercando di mantenere il tono più calmo possibile, come se quella per lei fosse solo ordinaria amministrazione. La figura davanti a lei sobbalzò leggermente, ma non fece movimenti bruschi “Lascia il quadro e getta a terra la pistola. Lentamente.” La figura fece come le era stato chiesto, depositando il dipinto sulla casa con estrema riverenza e togliendosi l’arma dalla cintola, prendendola solo con due dita per evitare impressioni sbagliate, poi alzò le mani e rimase in attesa.
 


“Ora girati. Un movimento in più e sparo.” Clarke separò leggermente la canna dell’arma dalla schiena dell’altro e questo iniziò a girarsi senza proferire una parola. Quando finalmente la luce illuminò il volto dell’uomo, Clarke rimase tanto sconvolta che per poco non lasciò cadere l’arma, perché non si trattava affatto di un uomo come si era aspettata, ma di una ragazza; la grossa sciarpa e il cappello le coprivano la maggior parte del volto, ma Clarke poteva chiaramente vedere i tratti gentili del volto che tanto stonavano con l’idea che si era fatta del suo concorrente.
 
 

La ragazza sorprendentemente le sorrise “Pensavo che di questi tempi un americano a Parigi fosse più difficile da trovare del caffè. Ma un’americana..” Clarke tirò un minimo respiro di sollievo: la ragazza era inglese. Se fosse stata tedesca, non avrebbe avuto molta scelta, e l’ultima cosa che desiderava era uccidere qualcuno la notte di Natale. “Chi sei?” chiese senza troppi preamboli alla sconosciuta “Lexa Woods, Intelligence britannica.” Clarke inarcò un sopracciglio “Una spia.”
 


La ragazza, Lexa, arricciò leggermente le labbra “Un agente in missione. La tua stessa missione, mi sembra di capire. A meno che non ti abbiano mandato fin qui per sorvegliare il Louvre.” Clarke restò impassibile “Non pensavo che gli inglesi avessero abbastanza risorse da permettersi di spendere forze nell’arte, avete subito una bella sconfitta qui in Francia.” Lexa alzò le spalle “A Churchill piace dire che faremo un sacco di soldi con questi quadri una volta finita la guerra. A me piace pensare di farlo per mantenere il patrimonio dell’umanità.” Clarke non riuscì a capire se la donna fosse seria o meno, ma non le importava “Mi dispiace, ma quel quadro serve a me.” “Fammi indovinare, sei una di quelle professoresse che vanno in giro per l’Europa a salvare le opere d’arte.. com’è che vi chiamano? Monuments men? O women, nel tuo caso.” In effetti, la ragazza ci aveva quasi preso “Non ti riguarda.” “Certo che mi riguarda, io ho trovato il quadro, ed io lo porterò in Inghilterra.” Clarke sorrise “Non mi sembri nella posizione di negoziare.” Lexa le sorrise in modo quasi malizioso “Professoressa contro spia, vogliamo vedere chi vince?”
 


La donna si mosse così velocemente che Clarke nemmeno la vide finché non sentì un colpo alla mano che le fece cadere la pistola con uno schianto che rimbombò nel magazzino silenzioso. Spalancò gli occhi mentre la donna le si gettava addosso, buttandola a terra e togliendole completamente il respiro; cercò a tentoni di prendere l’altra pistola che teneva alla cintola, ma Lexa la colpì in pieno viso con il gomito e per un momento Clarke vide le stelle. Il peso dell’altra sul suo corpo svanì tutto d’un tratto ed la sua mente offuscata ci mise più di un attimo per capire il perché.
 


La ragazza era arrivata quasi a metà corridoio quando la detonazione della Colt squarciò l’aria, e s’immobilizzò all’istante, la tela del quadro arrotolato tra le mani. Clarke aveva sparato il colpo in aria, ma ora puntava l’arma dritta al cuore di Lexa “Torna qui. Subito.” Lexa si girò e cominciò a camminare verso di lei, il volto livido di rabbia “Stupida idiota, potevi colpire il dipinto.” Clarke sentì il sapore del sangue tra le labbra “Nemmeno se fossi cieca.  Adesso dammi la tela.”
 


Lexa arrivò a pochi metri da lei “No.” Clarke stava per ribattere quando una forte esplosione le fece sobbalzare dalla paura, e quando si guardarono negli occhi capirono entrambe che il loro litigio non era niente in confronto a quello che stava per arrivare. “I tedeschi. Stanno entrando in città.” Si guardarono negli occhi e solo in quel momento Clarke comprese che Lexa doveva essere estremamente giovane, quasi come lei, ed entrambe capirono di avere uno scopo comune: proteggere il quadro. “Hai un posto in cui nasconderti?” Lexa scosse la testa “Allora vieni con me. Ma prima” tese la mano “Il quadro.” Lexa strinse le dita sulla tela “Così che tu possa abbandonarmi alla prima svolta?” Clarke alzò gli occhi al cielo “Non lo farò, hai la mia parola.”
 


Lexa sembrò incerta, ma una seconda detonazione parve farle cambiare idea, perché lasciò cadere la tela tra le mani di Clarke, che la strinse un attimo fra le dita “Sembra che dovremmo collaborare, seguimi e fai quello che ti dico.”
 


Clarke s’incamminò lungo il corridoio deserto e dopo qualche secondo sentì i passi di Lexa dietro di lei “Piuttosto autoritaria per una professoressa.” Clarke sorrise leggermente mentre rientravano nel museo deserto “Archeologa.” “Cosa?” “Sono un’archeologa, non una professoressa.” Clarke iniziò a correre verso l’uscita “E cosa ci fa un’archeologa alla ricerca di un Van Gogh?” Clarke le guardò negli occhi mentre l’aria si riempiva di spari e grida “Potrei anche dirtelo... se sopravviviamo.”
 


Corsero più in fretta che potevano per le strade innevate, lasciandosi lentamente alle spalle il museo, dirigendosi verso l’unico posto che Clarke conosceva che poteva davvero tenerle al sicuro. Non sapeva per quanto, ma di certo sarebbe bastato per quella notte. Stava per imboccare la strada principale quando vide gli uomini arrivare. “Sono i francesi, si stanno ritirando.” Clarke prese Lexa per un braccio e la trascinò dietro a quello che restava di un muretto “Se fossi stata in loro l’avrei fatto ben prima. De Gaulle sta organizzando la resistenza nel sud del paese, devono andare là se vogliono sopravvivere.” Lexa guardò di sfuggita gli uomini che correvano intorno a loro “Non potevano lasciare la città incustodita, i civili…” Clarke controllò mentalmente quante munizioni le rimanevano, imprecando fra sé “I civili se ne sono andati da un pezzo. Parigi è una città fantasma.”
 


 Un’esplosione le raggiunse dal fondo della via e Clarke riuscì a sentire l’acre odore dell’esplosivo invaderle le narici “Dobbiamo andarcene prima che arrivino; se ci prendono, siamo morte.” Clarke si alzò e cominciò a correre verso l’edificio più vicino, decisa a nascondersi nei palazzi finché non fossero state abbastanza vicine alla sua soffitta. Sentiva Lexa dietro di lei, e il respiro stesso dell’altra donna per quanto poco le dava sicurezza e ringraziò il cielo di averla trovata quella notte.
 


Poi per un attimo non ci fu più alcun suono, e Clarke si accorse con leggero stupore che i suoi piedi non erano più piantati al suolo, e che il suo stesso corpo non rispondeva ai suoi comandi. Una granata, non troppo vicina, ma nemmeno abbastanza lontana. Fu scaraventata in avanti, sbattuta a terra da una forza inarrestabile e per un attimo vide tutto nero e fu certa di svenire, finché non sentì un urlo. Aprì gli occhi e lottando contro il suo stesso corpo si rimise in piedi, le orecchie che fischiavano in modo doloroso, la percezione del mondo completamente fuori fase e si accorse di non avere più il Van Gogh in mano.
 


Dietro di lei Lexa era a terra, la mano che circondava la caviglia sinistra, probabilmente slogata, davanti a lei la fragile tela che aveva cercato per mesi mettendo a rischio la propria vita si agitava nel vento, riempiendosi di piccoli cristalli di neve ogni volta che toccava il terreno; solo in quel momento Clarke si rese conto che non nevicava più.
 


Poteva prendere la tela e andarsene, era veloce e conosceva il territorio. Una voce dietro di lei le disse di scappare, che Lexa e la sua gamba malandata sarebbero state solo un peso, per lei e la sua missione. Ma la sua mente le riproponeva l’immagine del volto della ragazza quando erano scoppiati i combattimenti,i  grandi occhi verdi che per un attimo si erano riempiti della stessa paura che lei sentiva nel suo cuore. Non ci mise più di qualche attimo a decidere, eppure fu la decisione più difficile della sua vita.
 


Tornò sui suoi passi e circondò con il braccio la vita di Lexa, facendola alzare “Che cosa stai facendo?” il chiaro stupore negli occhi dell’altra le fecero dubitare che il gesto sarebbe stato reciproco in caso contrario, ma ormai la decisione era presa “Non manca molto. Tieniti stretta.” Lexa si strinse a lei e insieme avanzarono verso la tela, che Clarke raccolse con la mano libera che prima teneva la sua Colt, che l’era scivolata dopo l’esplosione, lasciandola completamente disarmata. Poteva sentire i fischi dei proiettili nell’aria attorno a lei, il calore dei fuochi che si faceva più vicino ogni attimo che passava. Con il cuore in gola diede un colpo secco alla porta di un edificio e si catapultò all’interno, portando Lexa con sé. La ragazza barcollò per un attimo ma Clarke riuscì a tenerla in piedi “La caviglia, penso si sia slogata.” Nessuna delle due aveva tempo per una diagnosi, così Clarke si limitò a stringere più forte la presa sul corpo dell’altra e la portò avanti, uscendo dalla porta sul retro dell’edificio abbandonato per poi infilarsi nel dedalo dei vicoli di Parigi.
 

 
Clarke aprì la porta di quella che era stata la sua casa negli ultimi giorni con estremo sforzo e dopo aver lasciato Lexa su uno dei materassi malandati che aveva trovato nella stanza, la chiuse a chiave. “Credi davvero che servirà?” chiese l’altra tra un respiro profondo e un altro, ma Clarke non riuscì a rispondere. Si lasciò scivolare sulla porta, il fiato corto e la schiena madida di sudore; non si era mai sentita così stanca in tutta la sua vita. La mano destra era ancora spasmodicamente stretta attorno alla tela e per un momento le sembrò quasi di non riuscire più a staccarla da essa.
 


Alla fine il dipinto arrotolato cadde sul pavimento con un tonfo sordo. Con il passare dei minuti Clarke sentì l’adrenalina scendere, il corpo che cedeva sempre di più contro la parete “Perché l’hai fatto?” anche la voce di Lexa sembrava aver ripreso il suo tono normale e Clarke la guardò per un attimo mentre si toglieva la sciarpa che aveva arrotolata sulla testa, rivelando una lunga treccia di capelli castani. Clarke li trovò così belli da fare sembrare la loro presenza in quel posto orribile una bestemmia “Perché ho fatto cosa?” Lexa la guardò negli occhi “Perché sei tornata indietro a salvarmi? Hai rischiato di perdere il quadro per proteggere me.”
Clarke sostenne il suo sguardo, ponderando per un attimo la sua risposta “Non c’è quadro che valga una vita umana.” Lexa la fissò incredula per un secondo, per poi sorriderle “Non so nemmeno come ti chiami.” Clarke sorrise, sentendo quasi fisicamente che la situazione fra loro era cambiata; poteva vederlo negli occhi di Lexa e lo sentiva dentro di sé. Non si poteva parlare di fiducia, ma di certo aveva perso il sospetto che prima provava nei suoi confronti. Si alzò con fatica per prendere una delle borracce piene d’acqua che teneva di scorta “Clarke Griffin, al vostro servizio.” disse porgendola a Lexa, che prese un sorso con avidità “Non hai niente di più forte?”
 


 Clarke si limitò a scrollare le spalle, prendendo la fiaschetta che teneva nella borsa e lanciandola a Lexa che la ringraziò con un cenno.  “Quindi… mi avevi promesso a storia.” Clarke la guardò per un attimo, cercando di capire se davvero la ragazza era interessata a quello che aveva da dire “Non voglio indagare sulla tua vita, ma non è che abbiamo molto altro da fare.”
 


In effetti sarebbe stata una lunga notte, pensò Clarke prendendo la tela dal pavimento e sistemandola sulla scrivania prima di sedersi davanti alla piccola finestra circolare che illuminava la stanza “Sono un’egittologa, esperta in mummie e altre cose polverose… Questo quadro non sarebbe esattamente di mia competenza, ma ho espressamente chiesto che mi venisse affidato. Mio padre… lui amava Van Gogh, passava ore a parlarmi dei suoi quadri, a leggere le sue lettere; era un restauratore, molto rinomato nel suo campo.” “Era?” Clarke sorrise tristemente “E’ morto due anni fa.” “Mi dispiace”
 


Suonava stranamente sincera “E’ stato un incidente, nessuno se lo aspettava; un attimo prima era lì e poi... non c’era più. E’ stato un brutto colpo per tutti. Quando Wells mi disse che cercavano esperti in restauro per questa delicata missione, non potevo non propormi.” Lexa si alzò e andò a sedersi accanto a lei, vicino alla finestra “Così ti sei buttata nel bel mezzo della guerra per cosa? Onorare il ricordo di tuo padre?” “E’ più di questo. La guerra, la distruzione che porta, ci fa dimenticare chi siamo, chi siamo stati e chi potremmo essere. Penso valga la pena cercare di salvare qualcosa di bello, di meraviglioso come questo” Clarke indicò la tela che giaceva sulla scrivania “Anche rischiando la mia vita. So che mio padre avrebbe fatto lo stesso. E poi ero con Wells, non pensavo che potesse accadermi qualcosa di male.”
 


 “Wells è il tuo fidanzato?” Clarke inarcò le sopracciglia, sorpresa dalla domanda “No, noi... noi siamo cresciuti insieme, era il figlio del migliore amico di mio padre, era mio amico, quasi un fratello. Si era arruolato molto giovane, e non appena aveva saputo della missione di recupero me ne ha parlato e si è proposto. E’ morto due settimane fa, mentre cercavamo informazioni sul quadro in Olanda.” Lexa rimase in silenzio per un attimo, poi sorprendentemente allungò la mano e le strinse il braccio “Sembra che tu non abbia avuto un gran bel periodo.” Clarke cercò di trattenere le lacrime che sentiva bruciare nei suoi occhi mentre pensava all’assurdità di tutta quella situazione.
 


Rimasero in silenzio per alcuni minuti, e Clarke si sorprese di quanto riusciva a sentirsi a suo agio in presenza di quella donna. A un certo punto Lexa si strinse le ginocchia al petto, circondandole con le braccia come avrebbe fatto una bambina triste e guardò fuori dalla finestra con sguardo così sconsolato che Clarke per un attimo pensò di abbracciarla “Una volta adoravo Parigi. Era una città così piena di vita, di poesia.  Ho studiato qui per parecchi anni prima della morte del mio tutore. Adoravo passare davanti all’Arco di Trionfo illuminato, vedere la gente che ballava ai suoi piedi, e tutti ridevano. Vedere i riflessi delle luci sulla Senna mentre andavo mano nella mano con la mia sorellastra Anya sui ponti di pietra per attraversare i giardini e andare a vedere la Tour Eiffel il giorno di natale. Mi domando come si possa essere arrivati a questo.”
 


 Scosse la testa “Ora restano solo le stelle.” Clarke guardò in alto e notò con stupore che in effetti le nubi si erano diradate e ora in cielo splendevano migliaia di stelle. “Di questi tempi gli uomini hanno così paura di guardare il cielo per non vedere aerei o esplosioni che si sono dimenticati quanto può essere bella la luce delle stelle.”
 


Clarke sorrise guardando i piccoli puntini luminosi che brillavano in cielo, distanti ed eterei, cercando qualcosa da dire “E dire che gli essere umani le hanno sempre ammirate, seguendo il loro corso come i girasoli di Van Gogh seguivano il sole.” Quando guardò di nuovo Lexa, si accorse arrossendo leggermente che l’altra la fissava pensierosa, e non riuscì a fare a meno di notare come la luce stessa delle stelle illuminasse il volto della donna, rendendolo simile a una di quelle sculture antiche che aveva osservato piena di ammirazione in Grecia, sottolineando le linee morbide delle sue labbra e le ciglia lunghe che contornavano gli occhi dai riflessi smeraldini.
 


“Dicono che la luce che le stelle emanano ci metta milioni di anni a raggiungere la terra... che in questo momento mentre fissiamo un puntino luminoso nel cielo quello possa già essersi spento.” Era vagamente cosciente del fatto che Lexa teneva ancora la mano sul suo braccio, ma la cosa non le dava per niente fastidio. La ragazza le sorrise “Questo fa sembrare tutto ancora più effimero. Cos’è la vita umana rispetto a quella di una stella?” Clarke scosse la testa “Questi sono discorsi decisamente troppo filosofici per una spia e un’archeologa.”
 


Fuori in lontananza un campanile batté la mezzanotte e i rintocchi sembrarono infrangere l’aria stessa della notte. Clarke sorrise a Lexa che la guardò confusa “Che cosa succede?” “Immagino sia normale dimenticarsene in certe circostanze.. Buon natale,  Lexa.” Il viso della ragazza si accese di stupore “Tu sei qualcosa di speciale, Clarke Griffin.” Le sorrise, e Clarke pensò di non aver mai visto un sorriso così bello “Buon Natale.” Poi si sporse verso di lei e per un attimo Clarke pensò che volesse aggredirla come aveva fatto poco prima nel museo, ma poi Lexa avvicinò il volto al suo e le diede un leggero bacio sulla guancia.
 


Clarke la guardò stupita, sentendosi stranamente più vulnerabile in quel momento rispetto a poche ore prima sotto il fuoco tedesco. Lexa rimase vicino a lei mentre il suo sguardo cadeva sulle sue labbra, e Clarke sentì un brivido correrle lungo la schiena. Era una pessima idea, davvero una pessima idea, eppure in quel momento non riuscì a trovare un buon motivo per non baciarla. Lexa si strinse a lei mentre ricambiava il bacio, e Clarke smise di pensare all’assurdità della situazione, al pericolo che le circondava, smise di pensare e basta. Si lasciò trasportare da quell’improvvisa ondata di sentimenti bizzarri che l’aveva travolta e per la prima volta in mesi, forse anni, si permise di lasciar andare ogni cosa, ogni singola cosa che non fosse il calore delle mani di Lexa sul suo corpo, il suo respiro caldo sulle labbra, e per pochi attimi le sembrò che la luce delle stelle non fosse poi così lontana.
 
 


La luce del sole era così splendente che per poco non la accecò. Clarke si coprì il volto con la mano mentre cercava di riordinare i pensieri. Si era addormentata, questo era abbastanza ovvio. Ma il vivido ricordo di essersi addormentata tra le braccia di una spia inglese appena conosciuta non lo era per niente. Si girò di scatto, perlustrando con gli occhi la piccola camera, ma di Lexa nemmeno l’ombra. “Il quadro.” Imprecò a bassa voce, pensando a quanto era stata maledettamente stupida a fidarsi anche solo per un attimo di quella donna.
 

Poi lo vide. Il dipinto era davanti alla finestra, esposto completamente alla luce, quasi come se i girasoli stessero prendendo nutrimento dal sole in persona dopo tanto tempo passato in un lugubre magazzino. Clarke lì contò tutti e dodici con timore reverenziale, quasi con la paura di averne perso qualcuno nella rocambolesca fuga della notte precedente; si permise per un momento di osservare le pennellate dense, le righe precise di colore che formavano la fibra di ogni petalo, l’armonioso ricamo di sfumature che rendeva i fiori vividi come nient’altro avesse mai visto. Solo dopo qualche minuto notò il biglietto che spuntava da sotto il dipinto, scritto con il grumoso inchiostro che Lexa doveva averle preso dalla borsa.
 

“Adesso siamo pari, archeologa.”
 

Clarke sorrise stringendo il biglietto fra le mani, comprendendo quasi con commozione il gesto che Lexa aveva fatto per lei. Fuori, gli spari erano cessati e regnava una calma di ghiaccio: poteva tornare a casa.
 
 
 
 



25 dicembre 1945, Parigi
 


Lexa Woods guardò la luminosa torre per la prima volta dopo quella che le era sembrata un’eternità. Avrebbe voluto aspettare ancora per muoversi dal proprio paese, le acque erano ancora agitate in Europa, anche se ormai la Germania si era arresa da parecchi mesi, ma aveva bisogno di vedere tutto questo. Nonostante la guerra avesse lasciato ferite profonde nel cuore di ognuno, negli animi delle persone c’era il desiderio di ricominciare, di ricostruire ciò che era andato perduto, ed era come risvegliarsi dopo un lungo letargo, ritrovare l’amore per la vita dopo aver vissuto per così tanto tempo a contatto con la morte.
 


La piazza illuminata dalle lucine di Natale, il sorriso sui volti dei passanti, i lampi di luce colorata che scivolavano nell’aria riflettendosi sui piccoli fiocchi di neve che cadevano da cielo, davano ad ogni cosa un apparenza magica. Nell’aria si diffondeva l’armonia di qualche orchestra natalizia e tutto intorno a lei sapeva di speranza, rinascita, di gioia pura e semplice. Cercò di convincersi che era quello il motivo, l’unico vero motivo che l’aveva riportata lì quel giorno, per riportarle nel cuore emozioni passate che faticava a riportare alla mente e non il ricordo della notte più strana e indimenticabile della sua vita, che da anni ormai cercava invano di scordare.
 Era così persa nella contemplazione dei suoi pensieri che non si accorse minimamente della figura che si avvicinava lentamente alle sue spalle finché questa non le afferrò entrambi i polsi. Per poco non scoppiò a urlare, ma poi sentì una voce fin troppo famigliare sussurrarle divertita all’orecchio “Non muoverti.”

 

Lexa chiuse gli occhi inspirando profondamente l’aria gelata di dicembre, ringraziando silenziosamente stelle, girasoli e Parigi per quel momento che credeva non sarebbe arrivato mai; non aveva davvero intenzione di andare da nessun’altra parte.









Note: Ciao a tutti! Prima di tutto vorrei fare un paio di precisazioni "storiche", i tedeschi sono arrivati a Parigi nel giugno del '40, ma visto che tempo fa quando ho scritto questa storia doveva essere una storia natalizia mi sono presa delle libertà... Altra cosa, non ho idea se il quadro di Van Gogh sia mai stato tenuto nel Louvre, ora si trova a Philadelphia, l'ho inserito nel racconto per motivi personali, quindi scusatemi per queste imprecisioni. Come ho detto prima ho scritto questa piccola one shot tempo fa, ma per un motivo o per l'altro non l'ho mai pubblicata e ripensandoci in questi giorni mi sembrava un peccato, quindi eccola qui... Spero che vi sia piaciuta, fatemi sapere cosa ne pensate! Alla prossima!
  
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