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Autore: Vago    29/09/2017    3 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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Non è possibile, sono finito su una nave di inetti.
Ora devo riuscire a cazzare questo tirante e questa vela non dovrebbe rovinarsi troppo…
Dannazione! Quel babbeo rischia di far perdere l’albero di prua a questa nave!

L’uomo dai ricci capelli biondi si cercò un appiglio migliore con la mano sinistra alla traversa in legno che gli stava davanti, già viscida per colpa della pioggia. Strinse quindi tra i denti il capo libero della corda che aveva davanti, tirando con forza con la mano libera il resto della sartia che si trovava dalla parte opposta del nodo che aveva creato per assicurare la tela di cui era composta la vela al più saldo legno, bloccandolo.
Si voltò quindi verso il marinaio che aveva notato con la coda dell’occhio, aggrappato malamente alla scaletta a pioli diretta verso la coffa, che ora restava vuota in cima all’albero.
Il mozzo era completamente proteso in avanti, con la mano sinistra e le punte dei piedi disperatamente aggrappate alla scala e le dita della mano destra che, senza successo, cercavano di far girare la corda pendente che aveva di fronte attorno alla traverso sulla quale era riuscito ad appoggiare la vela issata.
La pioggia cominciò a cadere sempre più violentemente, mentre la roboante voce dei tuoni si faceva sempre più vicina, facendo tremare il cielo scuro.

Non c’è tempo per fare il fine.
L’altro marinaio, che fine ha fatto?
Eccolo, sull’albero di poppa. Ottimo, sembra che se la stia cavando… e mi da pure le spalle.
Non potevo chiedere di meglio.

Le dita della mano dell’uomo tatuato lasciarono la presa di colpo, permettendo a quel corpo di cadere verso il ponte principale.
La camicia e i pantaloni scuri scomparvero in un turbinio di piume chiare, mentre un gabbianello ne prendeva il posto levandosi in volo e combattendo contro il vento che lo investiva, il suo capo, nero come la pece, così diverso dal resto del corpo da sembrare quasi un errore di assemblaggio, era puntato verso prua.

Un gabbianello? Davvero, Viandante?
Perché ho preso proprio questa forma?
Vabbè, sulle scelte del mio subconscio mi interrogherò un’altra volta.
Per fortuna in questo secolo dal cambiamento nessuno ha ancora avuto così tanto tempo di reinventarsi la psicoanalisi… certo, con me non avrebbe grandi risultati, non ho nemmeno una madre con cui avere questioni in sospeso.
Non ti distrarre! C’è un mozzo che, oltre a volersi ammazzare, vuole trascinarsi dietro tutti i membri dell’equipaggio.

Il gabbianello si posò sulla traversa alle spalle del marinaio in difficoltà. Lì, le zampe che artigliavano il legno divennero dita, mentre un corpo umano veniva generato rapidamente a partire da quella mano.
- Fatti da parte un attimo. – disse l’ispettore biondo, in elegante equilibrio tra le funi e la traversa che gli stavano attorno.
Il marinaio si voltò di scatto verso l’origine di quella voce, perdendo l’incerta presa che lo teneva dritto, cominciando così a cadere.

Oh, avanti. Dovevi proprio farlo?
Va bene, prima lui, poi la vela.

L’uomo biondo mosse il braccio libero verso il basso, permettendo alla sua presa di stringersi attorno alla camicia dell’uomo, interrompendone la caduta.
La mano destra, le cui dita erano strette intorno alla traversa, scivolò un poco verso il basso, strattonata dal nuovo peso che era costretta a dover sopportare.

Uhm.
Questo non va bene.
Il tipo pesa troppo, queste dita non sono sufficientemente forti per tenerci entrambi appesi e io, comunque, non ho abbastanza arti per assicurare anche la maledetta vela.
Ti butterei in acqua, fossi di umore peggiore.
Per ora considerati fortunato che qui intorno non ci sia nessuno in grado di vedermi.

Le dita della mano destra divennero dinoccolate come serpenti e, come teli, si avvolsero intorno alla traversa in legno, stringendosi su di essa come tentacoli.

L’ho sempre detto che le ossa sono inutili.
Ora devo pensare a lui.

All’altezza del gomito sinistro dell’ispettore nacque un nuovo avambracci, più lungo, che si portò davanti al volto del marinaio. Qui, la terza mano, si appoggiò con forza sul naso e la bocca dell’uomo, privandolo della capacità di respirare.
Dopo un paio di disperati scrolloni, l’uomo muscoloso rimase immobile, penzolante con i piedi rivolti verso il ponte della nave.

Se tutti i mortali passassero la loro vita privi di sensi, la ma esistenza sarebbe incredibilmente più facile.
Ora… devo essere rapido.
E un braccio lungo una dozzina di metri sarebbe troppo vistoso.

Le dita della mano sinistra si allungarono, fino a cingere completamente il torso del marinaio. Non appena le due punte opposte si furono toccate, queste si fusero, per poi mutare in una lunga corda intrecciata che nasceva dall’unico avambraccio sinistro rimasto all’uomo dal volto tatuato.
Come se un argano si fosse messo in funzione, la corda cominciò a calare senza mai fermarsi, se non quando il corpo privo di sensi non fu completamente adagiato al suolo.

Ottimo, ora, senza quell’imbecille tra i piedi, posso sistemare questa maledetta vela.
Dopo, con calma, potrò studiare tutti i membri dell’equipaggio.
Nemmeno la fine del mondo potrebbe fermarmi dal trovare quel dannato assassino.


La porta si richiuse alle spalle del capitano dell’Ala di Albatros.
La stanza era illuminata dalla luce rossastra di un paio di lampade ad olio, mentre, all’esterno, il vento e la pioggia facevano da sottofondo ai passi del capitano Rencliff durante il tragitto che lo avrebbe condotto al fianco del suo secondo.
- Come mi aveva chiesto, ispettore, ha davanti a sé tutto l’equipaggio della mia nave. Ha pieni poteri di comando su di loro. –
L’ispettore si prese qualche secondo per scrutare i volti degli uomini che aveva di fronte. Sporchi, sudici, arrossati dal poco sole che avevano incontrato durante quei primi giorni di traversata.
Le narici dell’uomo biondo si allargarono, mentre i polmoni aspiravano l’aria che gli circondava il volto con forza.

C’è odore di magia, qui.
Nulla di grosso. Non penso siano stati fatti incantesimi o ci sia qualche oggetto incantato. C’è però una nota di mana che aleggia qui intorno.
È vero che la magia è diventata praticamente inesistente in questo mondo, cento anni di utilizzo spropositato del mana lasciato dal Cambiamento hanno prosciugato questo mondo di quasi tutta la sua energia, però qualche persona che nasce con un po’ di magia innata c’è ancora.
Nulla di che, normalmente questi individui non sanno nemmeno di possederla o, al massimo, riescono a sfruttarla per far comparire fiammelle o tenere alla larga le gocce di pioggia, nulla in confronto a quello che ho visto far fare agli incantesimi della Prima Era di questo mondo.

- Devo parlare con ognuno di voi, ma separatamente. Ora, voglio un volontario che mi segua da solo nella mensa. Pretendo che la verità su quello che è successo al drago venga a galla. – disse poi l’ispettore, voltandosi per incamminarsi verso la porta accostata alle sue spalle.
Oltrepassato l’ingresso che lo avrebbe condotto alla mensa, l’uomo biondo si sedette a una delle prime sedie che gli si presentò, con il volto nella direzione da cui era arrivato, in attesa del primo volontario.

Non mi interessano davvero loro, l’unico motivo per cui voglio vederli singolarmente è per poter vedere i loro destini in un luogo dove la Trama del Reale non sia troppo spessa.
Dopotutto, se uno di loro ha ucciso quel drago, avrà ancora delle tracce di sangue addosso, per quanto possa essersi pulito.
Se uno di quei sei è l’assassino, non ha possibilità di scappare.
Scacco matto.

La porta si aprì una prima volta.
L’ispettore raddrizzò la schiena nel vedere il corpo spesso che oltrepassò la soglia.
Era il marinaio che aveva salvato da morte certa mezzora prima.
L’uomo rimase sull’attenti, in piedi di fronte alla sedia occupata.
La muscolatura marcata premeva contro la camicia e i pantaloni ancora bagnati dalla pioggia. I suoi capelli neri scuri erano talmente corti da apparire già asciutti.

Non mi serve a niente, lui. Nato da genitori contadini, donnaiolo, incapace, aspirante suicida, ma, soprattutto, non ha mai visto Gerala in vita sua. Ha girato talmente poche città che il suo destino è incredibilmente poco intrecciato con quello di altre persone.
Non è lui.

- Puoi andare, mandami un altro dei tuoi compari. –
- Signore, non vuole farmi qualche domanda? – chiese il marinaio, quasi risentito.
- No. Puoi andare. –
L’uomo si voltò verso la porta, uscendo dalla messa con passi pesanti.


Il secondo marinaio ad entrare era magro, alto sopra la media, con il volto smunto e gli occhi incredibilmente chiari.
I suoi abiti erano appena inumiditi sopra le spalle e all’altezza delle ginocchia, segno del poco tempo che aveva trascorso sopra coperta.

Questo è già più rognoso. Ha viaggiato parecchio e il suo fato è maledettamente coperto da quelli che ha incrociato.
Vediamo cosa riesco a scoprire di lui…
È nato a Derout, e i suoi primi anni sono stati poco movimentati… per colpa di una malattia.
Ho un ipotesi, su di lui.

- Lei è malato, non è vero? –
Il marinaio spalancò gli occhi, stupito.
- Si… come fa a saperlo? – rispose poi con voce incerta.
- Sono stato mandato qui dal giudice maggiore, so molte cose. Tra queste cose, però, non figura perché… - l’ispettore fece una pausa, inumidendosi le labbra.

Forza, trova qualcosa a cui attaccarti. Tipo… questo.

- Non figura perché sei andato a Gerala, un mese fa, prima di raggiungere Derout. –
- Beh, ecco… io ho viaggiato molto. Da medico a medico, intendo. Ho una malattia del sangue e, ogni volta che trovo uno specialista, questo mi manda da un suo collega… non sono mai stato in cura per molto tempo dalla stessa persona… -
- Va bene, ho un’ultima richiesta per te. Mostrami l’avambraccio. –

Questa cosa farà sicuramente più schifo a me che male a te, te lo assicuro.
Ma ho bisogno di uno spillo.

Non appena l’uomo mostrò la pelle candida del suo avambraccio, l’ispettore mostrò l’ago che teneva tra le dita, piantandolo nella carne del marinaio che gli stava davanti. Sfilato poi il pezzo di ferro, l’uomo dal volto tatuato raccolse una goccia di sangue fuoriuscita dal buco sul polpastrello dell’indice, portandosela alle labbra.

Non facevo una cosa del genere da quando i vampiri erano di moda.
Comunque, ora, ho la certezza che lui non possa essere l’assassino. Con la quantità di globuli rossi sani che si ritrova mi chiedo come faccia a rimanere in piedi.
Fossi il suo prossimo medico, non gli darei più di un paio d’anni di vita.

- Può andare e mi mandi il prossimo. –
Lo smilzo uscì dall’uscio, trascinando quei piedi sproporzionatamente grandi, rispetto alle gambe secche.


Per la terza volta, qualcuno entrò nella mensa.
Il corpo di quel marinaio era poco massiccio, pur essendo muscoloso, ma ciò che colpì l’ispettore furono gli occhi, simili a pietre nere incastonate su quel viso, e la pelle ustionata sul suo polpaccio.

Un altro viaggiatore. Ottimo.
Questo è nato sui Muraglia, si è mosso poco fino a… oh. Mi spiace per lui.
Deve aver abbandonato la vita da montanaro quando Loro hanno ordinato ai draghi di radere al suolo tutto quello che ci fosse lungo le pareti dei Muraglia.
Da quel punto in poi… ha viaggiato parecchio. Forse troppo.
Non riesco a leggere nulla di lui, almeno degli ultimi anni.
Dovrò scoprire qualcosa alla vecchia maniera.
Ma, prima, le sue mani…
Non ha segni di sangue, addosso.
Lui un po’ odora di magia, ma non sembra esserne al corrente.

- Bene, dovrei farle un paio di domande. –
- Certo, se questo potrà aiutarla a ritrovare Michael, faccia pure. – rispose il marinaio, con il viso rilassato.
- Quell’ustione, come te la sei procurata? –
- Questa? – chiese in risposta l’uomo dagli occhi scuri, alzando il tessuto che gli copriva la gamba per mostrare la porzione di pelle rovinata – Ci convivo da una vita, oramai non ci faccio più caso. Mi è crollata la casa addosso da bambino, era in fiamme. Tutto sommato me la sono cavata ancora con poco. –
- Sa il motivo di quell’incendio? –
Gli occhi penetranti dell’uomo si adombrarono. – No. È successo durante l’immenso incendio di qualche anno fa, sa, la nostra era una casa sui Muraglia e per buona parte era fatta in legno. –

Per ora non ha provato a coprire le sue origini. Posso supporre che sia abbastanza sincero in quello che dice.

- È stato a Gerala, ultimamente? –
Il marinaio parve stupito dalla domanda. – No, cioè, non proprio. Ho passato una notte in uno dei piani più bassi della città, mentre ero in viaggio per Derout, però non ho avuto il tempo per visitarla. –
- Basta così, piò andare. Mandi un altro al suo posto. –


Il quarto marinaio a presentarsi era un elfo dalla fronte alta e i capelli estremamente radi. La pelle del viso non era ustionata, anzi, pareva non avesse dovuto sottostare né ai raggi del sole, né alla pioggia sferzante di quel viaggio.
Non sembrava essere particolarmente fisicamente prestante, nonostante questo, però avanzava sicuro di sé in quella stanza.
Sorrise sornione all’ispettore, mostrando un incisivo spaccato sotto le labbra sottili.
Gli abiti che portava addosso sembravano poco adatti al lavoro da marinaio, erano di ottima fattura, prodotti con materiali di qualità, abiti da ricchi.

Un altro facile da gestire, per fortuna.
Questo ha vissuto a Gerala per… tutta la sua vita?
Praticamente non si è mai mosso di là.
Non sembra un elfo particolarmente pericoloso… proprio per questo potrebbe essere l’assassino.

- Lei cosa ne pensa dei draghicidi di Gerala? –
- Saranno dovuti a una guerra tra draghi. Lo studiano i marmocchi a scuola che quelli sono belve, anche se fanno finta di essere degli umani. –
- Lei sta dicendo che è stato un bene per la città l’assassinio di quel drago alla base dei tronchi e l’incendio del ristorante? –
- Io sto dicendo che quelle bestie dovrebbero starsene nel loro vulcano. – il marinaio si sporse verso l’uomo dal volto tatuato, con uno sguardo altezzoso che gli illuminava le iridi marroni – Non capisco perché quegli animali possano vivere con esseri civilizzati come noi. –
- Di Michael, cosa ne pensa? –
- Sarebbe stato un servitore incredibile, se solo il capitano l’avesse tenuto al guinzaglio. –

Rencliff mi ha dato pieni poteri sui suoi uomini.
Ora voglio tirare una moneta.

- Mi mostri le mani. Immediatamente. –
L’elfo le alzò svogliatamente le mani con i palmi verso l’alto, forse orgoglioso dell’assenza di calli che poteva vantare.

Peccato, non ci sono segni di sangue o lotta.
Dovrò trattenermi.

L’ispettore si alzò dalla sua sedia, facendo un passo in direzione dell’elfo.
- Sai, credo che tu abbia sbagliato razza. Di nascita, intendo. Quelli come te dovrebbero nascere mosche, in modo da poter sguazzare a piacimento nel letame, come gli compete. –
- Lei mi sta minacciando? – chiese ancora il marinaio, sorridendo divertito.
- No, assolutamente. Non è nel mio stile fare minacce. Adesso, le chiederei di uscire… ma non lo farò. –
Un pugno colpì con violenza inaudita la bocca dell’elfo, al punto da rompere anche l’incisivo intatto e far cadere d schiena il marinaio sulle assi del pavimento.
- Ringrazia la tua buona stella, perché non posso perdere tempo con te. Vedi però di non farti più rivedere lungo la mia strada, perché, la prossima volta, non sarò così gentile. – continuò a dire l’ispettore, avanzando.
Una suola rigida impattò sulla fronte dell’elfo, facendogli perdere i sensi.

La porta si aprì con forza per lasciar passare l’ispettore e il corpo dal volto coperto di sangue che si stava trascinando dietro.
Il marinaio svenuto venne malamente scaraventato per terra, davanti ai suoi compagni.
L’uomo biondo alzò lo sguardo verso la platea ammutolita che lo fissava, sorridendo in risposta.
- Forza, entri uno degli ultimi due. –


Dovettero passare un paio di minuti, prima che uno degli ultimi due marinai rimasti si facesse abbastanza forza per entrare nella mensa.
Era un elfo dal corpo ben proporzionato, i lineamenti sottili del viso erano incorniciati dai capelli castani, che in parte coprivano le orecchie appuntite.
Le sue iridi, vagamente, rilucevano di un riflesso violaceo, probabilmente dovuto alla presenza di un umano o un mezzelfo nella sua discendenza.
L’elfo sorrise incerto, porgendo la mano tesa all’ispettore che aveva di fronte.
- Scusi se l’ho fatta attendere. Jiray Kavvan, piacere. – la sua voce tremava lievemente.
L’uomo biondo lo squadro per qualche secondo, sistemandosi la ciocca scura nella sua chioma riccia, senza mai smettere di sorridere.

Questo puzza di magia in maniera terrificante.
Sa di possedere un potere innato e lo utilizza fin troppo spesso.
Proverò a farvi capire cosa le mie narici sentono.
La magia consuma mana per funzionare, so di non dirvi nulla di nuovo, ma aspettate ancora un attimo.
Fate finta che un mago sia una pistola, l’incantesimo la pallottola e il mana la polvere da sparo, bene, lanciato l’incantesimo, innato o meno, il mana consumato rimane ad aleggiare intorno al corpo dell’utilizzatore.
E ha un odore orribile.
Dopo un po’, ovviamente, scema, però un minimo si riuscirà sempre ad avvertire.
Il tipo di prima, quello con l’ustione, è possibile che abbia usato il suo potere mentre dormiva, o una volta per caso, ma non lo può usare troppo di frequente e, sicuramente, non lo ha utilizzato da questa mattina, lo avrei avvertito più nitido, altrimenti.
Questo qui sembra essere dipendente dal suo utilizzo, davvero.

L’ispettore strinse la mano dell’elfo.
- Come posso aiutarla? – continuò il marinaio, ritirando il braccio.

Chi sei?
Puoi essere il mio uomo, ma non voglio sbagliarmi.

- È stato a Gerala, ultimamente? –
- Le interessa davvero saperlo? –

Ancora un’altra zaffata di mana utilizzato.
E, comunque, si, mi interessa saperlo.

- Si, certo che mi interessa. Non glielo avrei chiesto, altrimenti. –
L’elfo parve stupito della risposta, ma mantenne il suo contegno.
- Si, sono stato a Gerala, la settimana scorsa. –
L’ispettore squadrò ancora meglio l’individuo che gli stava davanti. I suoi occhi, intanto, si strinsero, andando a somigliare a quelli di un rettile.

Non mi piace come risponde.
Per niente.
È troppo sicuro di potermi aggirare e non so come mai.
Lui non sa chi sono, cosa so fare e cosa posso vedere.
Certo, su di lui il cosa posso vedere vale poco, ha viaggiato troppo e ha incrociato troppi destini perché adesso, nelle mie condizioni, io riesca a leggere bene le sue mosse degli ultimi anni.
Che sia convinto di potermi uccidere, se le cose si mettessero male per lui?
Ci provasse solo, così mi toglierebbe ogni dubbio.
Bene.
Da qui comincia la mia sfida.
Devo braccarlo, in modo da vedere perché è così spavaldo.

- Cosa faceva a Gerala? –
- Niente di importante… non si preoccupi. –

Ancora quell’odore di mana…
Non capisco cosa stia cercando di fare.
Anche se…
Ho un dubbio e la risposta potrebbe non piacermi.

- Vuoi cominciare a rispondere alle mie domande? Ricordati che sono qui a nome del Giudice Maggiore e, anche se non rientra della mia missione principale, posso comunque arrestarti e farti passare i prossimi trent’anni in prigione. –
La fronte dell’elfo si imperlò di sudore, mentre lui cominciava a perdere la sua compostezza e il suo autocontrollo.
- Preferirei davvero non dover rispondere a questa domanda. –

L’odore di mana sta diventando insopportabile.
Sta provando a fare qualcosa, ma, evidentemente non gli riesce…

Sono un cretino.
Mi meriterei un’altra impalata per un errore così stupido.
Certo che non gli riesce.
Su di me non hanno effetto incantesimi di modificazione sensoriale, ovvio, i miei sensi vanno oltre quelli dei mortali.
Deve avere un potere che influisce sulla mia percezione, o, almeno, tenta di farlo.

- Ascolta, - sussurrò sibilante l’ispettore, sporgendosi verso l’elfo sudato – so cosa stai facendo e ti consiglio di smettere di provarci. Non ha effetto su di me. Se non vuoi uscire di qui come quello che ti ha preceduto, per favore, rispondi bene alle mie domande. –
L’elfo sospirò, abbassando lo sguardo in segno di resa.
- Va bene, spero di non aver incrinato il nostro rapporto… -
- Rispondimi, cosa ci facevi a Gerala? E, già che cominci a parlare, perché ti sei imbarcato su questa nave? –
- Vede, ho degli affari a Gerala, diciamo che grazie alla mia… capacità sono un ottimo intermediario per spostare l’ago della bilancia. Ero nella metropoli sugli alberi per chiudere un grosso affare riguardo un gruppo di Demo, certo, il mio mandante non sarebbe molto felice di sapere che io sto parlando dei suoi affari a uno sconosciuto. Mi sono imbarcato semplicemente perché il mio prossimo cliente è del Continente e perché dovrei pagare un biglietto, se il capitano si è rivelato così entusiasta di pagarmi per farmi fare il tragitto? –
- Mostrami le tue mani. – disse imperioso l’uomo biondo.

Nulla, nemmeno una macchiolina di sangue.

- Facciamo un patto. Io ho un potere, tu hai un potere. Facciamo uno scambio, tu mi spieghi cosa cercavi di farmi e io ti mostro quel è il mio potere. – L’ispettore sorrise, allargando il taglio che era diventata la sua bocca fin quasi in maniera eccessiva.
Per la seconda volta, l’elfo sospirò, per poi tornare ad alzare lo sguardo verso il suo interlocutore.
- Io posso… rendere più amichevoli le persone. Posso spingere gli altri a volermi rendere felice. Semplice, no? –

Un potere di charme, praticamente.
Ecco il perché della sua sicurezza.
Questo non lo elimina dalla mia lista di sospettati, però.
Il tempismo con cui era a Gerala e a Derout è coincidente ai draghicidi.
Lo devo tenere d’occhio.
Ora, però, ho un problema più grosso. Devo pagare il prezzo della mi curiosità.
Andiamoci piano.

- Bene, ora ti mostrerò di quale potere sono in possesso io. –
Il volto dell’ispettore mutò, divenendo più fine, minuto, carino, gli occhi si scurirono, passando dal verde primaverile al marrone, i capelli sul suo capo si allungarono, tingendosi di rosso.
L’elfo, ora, si trovava di fronte a un uomo sul cui collo era stata come attaccata a forza la testa di una giovane fanciulla dalle orecchie a punta.
- Puoi andare. – disse ancora la fanciulla, prima di scomparire per far tornare le fattezze dell’uomo tatuato.


L’ultimo ad entrare nella sala fu il marinaio più corpulento. Si muoveva pesante sotto il peso della pancia da alcolizzato che doveva trasportare.
Il colorito della sua pelle, giallognolo, risaltava alla luce delle poche lampade accese, le cui lame rossastre gettavano ombre scure tra le pieghe di grasso che erano nate sotto il mento e sulle braccia dell’uomo.

Per questo non ho nemmeno bisogno di provare a leggere la Trama.
Ubriacone in cerca di soldi facili, senza famiglia né di un lavoro stabile.
La puzza di alcol e sudore che emana è forse persino peggiore di quella di mana che mi ha assillato fino a un attimo fa.

Come immaginavo.
Originario di Derout, cresciuto e vissuto tra le taverne e le birrerie.
Nelle sue condizioni non potrebbe nemmeno sperare di uccidere un bambino, figurarsi un drago.
Non mi interessa.

- Puoi uscire. Non mi servi più. – l’ispettore accentuò il suo comando con un gesto rapido della mano.
Il marinaio, che ancora non aveva raggiunto la meta che si era prefissato, si voltò brontolando, per tornare nella stanza precedente.

C’è ancora una cosa che devo controllare.
Ho dato uno sguardo ai passeggeri, prima di atterrare, e nessuno di loro è stato a Gerala nell’ultimo mese.
Esistono però i clandestini.
Devo scendere sottocoperta per stanare qualche topo.


L’ispettore si fece largo tra i pali che supportavano il ponte principale, le reti e i cannoni incatenati alle pareti, avanzando con cautela mentre i suoi occhi spaziavano tutto intorno.
La pioggia aveva diminuito la sua intensità e, con il suo permesso, il capitano aveva potuto far servire il pranzo.
L’uomo biondo si mosse ancora verso la scaletta che lo avrebbe portato al livello inferiore.

Non riesco a vedere nessun destino qui presente.
Se solo Michael non fosse stato così a lungo impiegato su questa nave avrei potuto cercare di capire se la sua vita sia finita qui o meno…
Ma è passato per questi locali troppe volte, è come cercare di trovare il punto in cui è stata staccata la matita dal foglio nello scarabocchio di un bambino.
Devo scendere ancora, ma non credo troverò qualcosa.

I passi dell’uomo fecero scricchiolare la scaletta.
Nella stiva tutto taceva e nulla sembrava intenzionato a muoversi.
L’ispettore strizzò gli occhi, guardandosi attorno, mentre il suo naso annusava l’aria come quello di un segugio.

Qui c’è odore di sangue.
Potrei aver trovato la mia scena del delitto.

L’uomo biondo fece ancora qualche passò avanti, per poi bloccarsi di colpo.
Automaticamente i suoi avambracci si strinsero sul ventre, mentre lui cadeva in ginocchio agonizzante.
Sulle assi del pavimento, di pari passo con l’aumentare dei sussulti di quel corpo, si allargava una pozza di un viscoso liquido nero.

Di nuovo…
No, questa volta è diversa dalla crisi al tempio. È peggiore.
C’è qualcosa che non va nella mia ferita.
Non stavo così male…

L’ispettore provò ad alzarsi sulle gambe mal salde, ma non riuscì a fare più di tre passi verso la scaletta, prima di ricadere a terra violentemente.

Non stavo così male da quando gli Araldi non provarono ad uccidermi sull’Isola dei Draghi.
Che la maledizione che mi ha lanciato Follia abbia cominciato solo ora ad avere effetto?
Devo tornare a fargli visita con…

L’uomo si trascinò disperatamente verso la scaletta, issandosi poco a poco verso il livello superiore, scivolando di scalino in scalino e lasciandosi alle spalle una scia scura e opaca.

Devo tornare a fargli visita con un grosso martello.
Sempre se riuscirò a uscire di qui sulle mie gambe, o zampe… o qualunque cosa abbia in quel momento.




Angolo dell'autore:

Vi devo chiedere scusa, forse, per questo capitolo interminabile. Avrei dovuto mozzarlo, ma non sapevo nè come, nè dove.
Non voglio trattenervi oltre, adesso.
Innanzi tutto ho dei ringraziamenti particolari con cui iniziare oggi, diretti a quei meravigliosi folli che leggono i nuovi capitoli appena li pubblico, praticamente. Mi complimento con voi per avere ancora la forza e la lucidità mentale per leggere il nuovo proseguo della storia nell'arco di tempo che separa la mezzanotte dalle sette di mattina. Chapeu, davvero.
Ovviamente grazie alle meravigliose OldKey, la ragazza imperfetta e whitesky per le loro recensioni e la compagnia che mi tengono in questo viaggio.
E, infine, grazie a tutti quei lettori che non rientrano nelle sopracitate liste, per il semplice motivo di esistere.
Vi saluto.
Alla prossima.
Vago
   
 
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