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Autore: Aru_chan98    29/09/2017    0 recensioni
Il buio e poi una voce, che implora il perdono. Alfred si sveglia e davanti ai suoi occhi, un ragazzo cade nel vuoto, dall'altra parte della finestra. Cosa sarà successo? Sarà la risposta a questa domanda che porterà Alfred a fare una scelta, ma sarà quella giusta per salvare tutti?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era tutto buio. All’inizio era tutto pieno di colori, suoni e sensazioni, ma tutto divenne nero e spento, tranne un particolare, una voce che diceva “Forgive me. Apri gli occhi”. “Ehy, vuoi ascoltarmi, piccolo teppista?!” disse il professore prima di svegliare Alfred, che stava dormendo saporitamente sul banco. Era molto irritato per il comportamento del giovane ragazzo, al punto da prenderlo pure in giro per quell’azione. “Sono sveglio, sono sveglio!” si affrettò ad esclamare il ragazzo, tra le risate della classe e l’espressione di rassegnazione di alcuni altri membri di quella scolaresca. “Bene, visto che la lezione ti sembra di conoscerla così bene al punto da annoiarti, che ne dici se ce la spieghi meglio tu? Ti metterò pure un voto per l’impresa, promesso” disse il professore, per poi tornare a sedersi alla cattedra. Alfred si alzò in piedi e cominciò a tentare di spiegare quello che stava dicendo il professore, aiutato dai suggerimenti bisbigliati dalla sua compagna di banco. “Molto bene. Molto bene davvero. Però un bel 5 non te lo toglie nessuno. E la prossima volta segui” lo rimproverò il professore, ignorando completamente le lamentele del ragazzo appena interrogato. “School really sucks” sbottò, tornando a sedersi. Nonostante il richiamo, la lezione lo annoiava seriamente tanto, così decise di guardare un po’ fuori dalla finestra, in cerca di una qualche ispirazione per un suo eventuale disegno per passare il tempo: nell’esatto attimo in cui Alfred posò lo sguardo fuori, i suoi occhi incrociarono quelli verdi di un altro ragazzo che stava cadendo giù dal terrazzo. Aveva un’aria triste, dimostrata dalle poche lacrime che uscivano dai suoi occhi, era pieno di lividi e un paio di graffi. Il ragazzo dagli occhi verdi mosse le labbra, come a cercare di dire qualcosa ad Alfred, ma il ragazzo non riuscì a sentire quali parole gli erano state rivolte. Tutto quello che riuscì a fare fu alzarsi, con un’aria sconvolta che lo sorprese. Non capiva cosa stesse succedendo, era come se il suo corpo si muovesse di propria volontà. Sembrava anche che nessuno si fosse reso conto di quanto stesse accadendo, perché Alfred non aveva sentito alcuna reazione dai propri compagni. Tese un braccio fuori dalla finestra, cercando di afferrare quel ragazzo che cadeva, il cuore che gli martellava nel petto e una paura mostruosa nello stomaco, ma l’unica cosa che ottenne fu un sorriso forzato e triste da quel ragazzo. “Wait, Arthur!” fu l’unica cosa che si sentì urlare, anche se non capiva perché gli fossero uscite quelle parole, prima che tutto si facesse completamente nero.





Alfred si svegliò di soprassalto, coperto da un velo di sudore e con il cuore che gli martellava nel petto. Impiegò qualche minuto prima di rendersi conto che quello era stato tutto un incubo e che si trovava nella sua camera. “Arthur…” disse, ripetendo l’ultima cosa che ricordava di quell’incubo assurdo, ma man mano che i secondi passavano, sia quel nome che i dettagli di quel sogno cominciarono a svanire e a diventare sempre più offuscati. Si passò una mano fra i capelli, mormorando “Man, what a nightmare”, per poi scostare le coperte e sbloccare il cellulare. Solo che appena lo fece, i suoi occhi caddero sull’orario che il dispositivo mostrava. “Shit, sono in ritardo per la scuola!” esclamò, agitato: se fosse arrivato in ritardo anche quella volta, il professor Braginsky gliel’avrebbe fatta pagare cara. Fece per svegliare il suo gemello, con cui divideva la stanza, ma si accorse che il letto era vuoto, segno che probabilmente era già uscito. Imprecò a mezza voce, cercando disperatamente di vestirsi e fare lo zaino nel meno tempo possibile, per poi inciampare nelle scale e ruzzolare in terra mentre raggiungeva la cucina. Era talmente in ritardo che ignorò la preoccupazione della madre e, afferrando un paio di biscotti dalla tavola, uscì di casa in tutta fretta. Si mise a correre fino alla fermata dell’autobus e per sua fortuna arrivò un paio di minuti in anticipo rispetto al mezzo, così ebbe il tempo di tirare fuori le cuffie e mettersi ad ascoltare la sua musica preferita, per cercare di liberare la mente da quel brutto sogno di cui ora ricordava solo spezzoni sfocati. Almeno finché non sentì alcune ragazze parlare del loro prossimo compito di filosofia, che sarebbe stato su Arthur Schopenhauer. “Arthur… Dove ho già sentito questo nome?” si chiese: quel nome gli era tremendamente famigliare ma non conosceva nessuno con quel nome. Almeno, nessuno che non fosse qualche personaggio storico. “Forse il mio cervello sta cercando di ricordare tutti i nomi della famiglia Weasley” si disse, cercando di convincersi che fosse la giusta risposta a quella sensazione, ma nel frattempo non si accorse che l’autobus non solo era arrivato, ma aveva anche già richiuso le porte e stava ripartendo. Alfred se ne rese conto solo quando il pullman se ne stava andando, facendolo impallidire e cominciare a rincorrerlo, urlandogli di fermarsi. Corse a perdifiato ma, una volta che il pullman prese velocità, si fermò per riprendere fiato. A quel punto, il ragazzo si armò di tutta la determinazione che riuscì a richiamare in sé e cominciò a correre il più veloce che poteva, per tentare di arrivare a scuola col minor ritardo possibile. Si fermò diverse volte lungo il tragitto per riprendere fiato, ma le pause non duravano mai molto, che Alfred riprendeva a muoversi. Inutile dire che arrivò comunque tardi e fu accolto dal saluto freddo del professore, che lo sgridò per il ritardo. Alfred cercò di non far notare al professore la sua aria seccata e andò a sedersi non appena la ramanzina fu conclusa. “Ehy, è successo qualcosa?” gli chiese la sua compagna di banco, scrivendoglielo su un lato del tavolo. “No, Sakura, va tutto bene” scrisse velocemente il ragazzo, che non aveva molta voglia di parlare del suo sogno. La ragazza non ne era molto convinta, così provò ad insistere, ottenendo solo di farlo innervosire di più, al punto da fargli dire “C’mon, lasciami in pace” a voce abbastanza alta da essere sentito pure dal professore, che lo fulminò con lo sguardo. Alfred si scusò con il docente, per poi tornare a seguire, ignorando ogni tentativo di Sakura di parlare, smettendo di prestare attenzione anche alla lezione e cominciando a disegnare sul quaderno. Aveva l’impressione che qualcosa non andasse quel giorno: si chiese se non fosse per il nervosismo di quella mattinata cominciata male, eppure c’era qualcosa che lo faceva dubitare di quella teoria. A fine ora, il professore lo prese da parte e gli assegnò dei compiti extra per aver disturbato la lezione. La cosa non fece che peggiorare l’umore del ragazzo, che decise di saltare la lezione successiva a favore del proprio pranzo e della sua PSP. Senza farsi vedere, salì le scale che conducevano alla terrazza, sperando in un qualche colpo di fortuna in quel giorno nero, ma a quanto pare la sua buona stella aveva deciso di dormire, perché non appena si avvicinò alla porta sentì delle voci concitate dall’altra parte. Aprì la porta, pronto a intervenire da bravo eroe qual era ma si bloccò di colpo: davanti ai suoi occhi c’erano due ragazzi, uno più grande di lui, il capitano nella squadra di tennis, che stava litigando piuttosto violentemente con un altro ragazzo, sempre più grande di Alfred, ma che non aveva mai visto, anche se gli sembrava così maledettamente familiare. Era più basso del suo aggressore e si notava che erano già passati alle mani in precedenza, anche se Alfred si chiese come avesse fatto un ragazzo dall’aria delicata come quello a tenere testa al tennista dai capelli scuri. Il litigio si fece più acceso e Alfred decise che era il momento di intervenire, con o senza dubbi. Nell’esatto momento in cui si mosse, diretto verso i due che litigavano, il ragazzo più basso disse una parola di troppo e il moro gli tirò un pugno, facendogli perdere l’equilibrio. Il tempo sembrò rallentare per Alfred, che si precipitò usando tutte le sue forze, dal ragazzo che stava per cadere giù dal terrazzo. Spinse con tale forza il bullo che lo fece barcollare e afferrò all’ultimo la mano del ragazzo che ora si trovava con i piedi che penzolavano nel vuoto, come tutto il resto del suo corpo. Fu allora che gli occhi di Alfred incrociarono lo sguardo di quelli di quel ragazzo dall’aria dolorosamente familiare: quegli occhi verdi come gioielli e incorniciati da capelli biondi come il grano, erano pieni di paura. “Ti tengo io, non preoccuparti! Ma tu non guardare giù” gli disse Alfred, stringendo di più la presa e cominciando a tirare con tutta la forza che aveva. Il ragazzo biondo sembrò ubbidire, perché non staccò mai i suoi occhi da quelli blu del suo soccorritore, tentando di aggrapparsi a qualcosa per tirarsi su e aiutarlo. Furono minuti intensi per entrambi, ma alla fine Alfred riuscì a portare l’altro ragazzo in salvo. I due ragazzi rimasero a terra qualche attimo per riprendere fiato, poi Alfred si girò, in cerca del responsabile di quella situazione, ma era già scappato, lasciandolo solo con la sua vittima. “Thank you” disse il ragazzo biondo, attirando l’attenzione di Alfred, che gli sorrise e gli rispose “Non ringraziare: il compito di un eroe è di salvare tutti quanti”. “Eroe?” chiese perplesso il ragazzo “Non è una cosa da bambini?”. A quelle parole Alfred fece un’espressione imbronciata e ribatté dicendo “Per niente! È una cosa serissima. Se non fossi un eroe, saresti già finito di sotto!” ma smise non appena vide che l’altro era impallidito. “Ah! No, scusa” si scusò il ragazzo, in difficoltà per quell’osservazione poco felice. “Comunque io sono Alfred” si presentò, tentando di alleggerire almeno un po’ la tensione che si era creata, cambiando argomento. “Io sono Arthur” rispose il ragazzo dagli occhi verdi e una sensazione di dejà vu colpì Alfred. “Arthur…?” mormorò e ricevette uno sguardo strano dagli occhi verdi dell’altro, “Qualcosa non va?” chiese, confuso da quella reazione e Alfred si affrettò a rispondere “No no, e che… Noi… ci siamo già visti da qualche parte per caso?”. Alfred pose quella domanda sovrappensiero, la sensazione di dejà vu che si faceva fastidiosa per quanto stava durando e al ragazzo vennero in mente alcuni stralci dell’incubo di quella mattina. Purtroppo erano troppo confusi per fornire una risposta, ma il nome che aveva sentito in quel sogno gli sembrava simile a quello di quel ragazzo, che ora lo stava guardando con una certa incertezza, come a chiedersi con che tipo di persona aveva a che fare. “Non credo, ma anch’io ho l’impressione di averti già visto. Forse per i corridoi o a qualche partita della scuola magari?” chiese Arthur e la sua ipotesi venne accolta da un “Forse si” poco convinto. Alfred si alzò in piedi, si tolse la polvere dalla divisa e, tendendo una mano verso Arthur, disse “Ti accompagno in infermeria, dai. Che eroe sarei se ti lasciassi andare tutto solo e insanguinato?”. “Uno meno infantile e un po’ più realista” gli rispose, con un sorrisetto sarcastico, pulendosi un rivoletto di sangue che gli usciva dal labbro e afferrando la mano tesa dell’altro ragazzo. “Smettila dai, non è infantile” si difese nuovamente Alfred e i due andarono avanti a stuzzicarsi per tutto il tragitto fino all’infermeria. L’infermiere non fu molto sorpreso di vedere Arthur, cosa che non sfuggì ad Alfred, che cominciò a preoccuparsi un po’ per quella situazione. “Allora, che è successo questa volta?” chiese l’infermiere ad Arthur, mentre cominciava a curare le sue ferite, “Nothing much, Kenny ha fatto lo stronzo come sempre” tagliò corto il ragazzo, spostando lo sguardo per terra. “Non dovresti continuare a fare a botte con lui. Prima o poi finirai nei guai sai” lo avvertì l’uomo e Arthur e Alfred si scambiarono uno sguardo piuttosto eloquente: nei guai ci era finito nemmeno cinque minuti prima e avrebbe potuto non cavarsela. “Se dovessi spiegarti quante cose ho in sospeso con lui non finiremmo più, trust me” disse Arthur, deciso a chiudere quel discorso ma appena l’infermiere si allontanò per mettere via il materiale che aveva usato, Alfred non perse tempo a chiedere “Quindi tu e quel bulletto siete soliti a litigare?”. “Sai com’è: il capitano tutto-muscoli-e-senza-cervello di un qualunque sport se la prenderà sempre con il primo della classe” gli rispose Arthur alzando leggermente le spalle, con una certa noncuranza, “Ehy, io ho passato le selezioni della squadra di rugby, eppure non ho problemi con i secchioni della mia classe” replicò Alfred, “Diventa capitano e poi ne riparleremo” lo canzonò il più grande. L’infermiere tornò subito dopo, chiedendo ad Arthur se voleva restare in infermeria ma il ragazzo disse che avrebbe preferito tornare a casa. Mentre camminavano per il corridoio che portava alle scale, Arthur si fermò di colpo, dicendo “Potresti non raccontare in giro cos’è successo oggi?”. Alfred non poté non chiedergli “Ma perché? Quel tipo ti ha quasi fatto cadere dal terrazzo” “Con Kenny me la vedo io. Per favore non parliamo più di quel… quel volo mancato, ok?” gli rispose Arthur, sembrando un po’ a disagio nel pronunciare le ultime parole. A quel punto, il ragazzo più giovane alzò una mano e tese il mignolo, dicendo con aria seria “Allora è una promessa?”. All’inizio Arthur non seppe se ridere o meno di quel gesto, “Anche questo è da bambini sai” per poi lasciarsi andare ad un’espressione di falsa rassegnazione e stringere col suo mignolo quello del ragazzo in piedi davanti a sé. Dopodiché lo salutò e scese le scale, diretto verso l’uscita dell’istituto. Alfred si portò il mignolo al petto, sentendosi come se un peso gli si fosse tolto dal cuore e uno dei suoi soliti sorrisi spuntò dalle sue labbra. Si voltò e tornò in classe, deciso a fare pace con Sakura e un po’ più fiducioso in quella giornata che era partita tanto male.
 

“E allora devi sapere che Tyler ha fatto questo passaggio così schifoso che Dan è caduto per afferrarlo e poi-“ stava raccontando Alfred a Sakura, quando si interruppe. Il ragazzo le stava raccontando gli ultimi avvenimenti successi durante gli allenamenti della squadra di rugby, mentre entravano in mensa e fu lì che il ragazzo scorse una figura che difficilmente sarebbe riuscito a dimenticare. Alfred riempì in fretta il suo vassoio e, salutata la ragazza, si avvicinò a quel ragazzo dai capelli biondi perennemente spettinati. “Ehilà! Come stai?” chiese il ragazzo ad Arthur: aveva notato che era seduto al tavolo da solo, così l’aveva trovata l’occasione perfetta per parlargli e stuzzicarlo un po’. “No ma prego, siediti pure dove vuoi senza chiedere” gli rispose Arthur, un po’ più acidamente di quanto avrebbe voluto. “Perché, di solito si siede qualcuno vicino a te?” gli chiese innocentemente il ragazzo, non notando l’espressione di estrema irritazione che passò sul volto del più grande. “Che cavolo sei venuto a fare qui, allora?” gli chiese Arthur, “Nothing in particular ma è una settimana che non ti ho visto in giro, così avevo pensato che stessi male o qualcosa di simile. Non pensare male, gli eroi si preoccupano per tutti” rispose Alfred, anche se si era sinceramente preoccupato per lui in quei giorni in cui era stato assente. “Non avrei pensato male nemmeno volendo, scemo” ribatté Arthur, “Sono stato assente per un po’ di casini in casa. Non mi va di parlarne, sia chiaro”. I due chiacchierarono per il resto della pausa pranzo e per il tragitto che condividevano per andare nelle rispettive classi. Alfred si era appena seduto al suo banco che Sakura cominciò a tempestarlo di domande, con un’espressione frivola che il ragazzo non le aveva mai visto fare. “Allora, com’è che vi conoscete? È carino questa volta, siete davvero una bella coppietta, pensa che vi shippo già. Allora, chi ha fatto il primo passo? Come si chiama?” furono le domande che Alfred si sentì rivolgere e a cui rispose negando quello che c’era da negare e rispondendo a tutto il resto. “Shippare? Oh, andiamo Sakura, un hero come me merita una bella ragazza al suo fianco. Non che Arthur non sia carino, però…” si difese il ragazzo, “Però?” lo incalzò Sakura, “Però non saprei che dirti. Ho una strana sensazione a riguardo” le rispose. Non lo avesse mai fatto, perché la ragazza interpretò quella frase come l’inizio di una cotta e così continuò ad assillarlo ogni momento che poteva, anche se quelle parole non avevano quel significato. Persino Alfred non capiva bene cosa volesse dire, ma era vero che aveva una strana sensazione quando ripensava a quanto accaduto quel giorno.


Passarono alcune settimane da quel giorno e nel frattempo il legame che univa i due ragazzi si faceva più forte. Alfred era solito pranzare con Arthur, che in genere passava il suo tempo da solo se il ragazzo non c’era. Non c’era voluto molto perché Alfred si rendesse conto che Arthur non aveva amici, ma in compenso non correva buon sangue tra lui e la maggior parte dei suoi compagni di classe. Diventare suo amico era diventata la sua personale missione da supereroe dopo quella consapevolezza e si era lasciato prendere la mano da quell’obiettivo al punto da cominciare a comportarsi in maniera “bizzarra”, o almeno detto dai suoi amici. In particolar modo Sakura aveva notato che l’amico passava tanto tempo al telefono a mandare messaggi ad Arthur, vedeva che lo cercava tra la folla e non le era scappata nemmeno una reazione che il suo amico aveva in presenza di quel ragazzo. Sembrava sempre così allegro quando ne parlava… E insieme a quei cambiamenti, ne avvennero altri. A volte Alfred sognava alcuni sprazzi di vita quotidiana in cui c’era anche Arthur. La prima volta che era accaduto aveva fatto fatica a guardare negli occhi l’amico, ed era anche arrossito fino alle orecchie, benché non si ricordasse bene cosa avesse sognato. Non capitava troppo spesso, ma gli sembravano così reali da dargli l’impressione di viverli realmente. Il loro contenuto mutava col passare del tempo e una notte, quasi due mesi dopo, sognò addirittura di dichiararsi al ragazzo dagli occhi verdi. Quella mattina si era svegliato con il cuore che batteva a mille e un nodo nello stomaco: qualcosa non andava, lo sentiva ma non capiva cosa fosse. Sapeva solo che voleva sentire Arthur, così gli scrisse e, dopo essersi beccato una bella secchiata d’insulti per averlo svegliato nel cuore della notte, rimasero a scriversi finché Alfred non si riaddormentò. Qualcosa stava decisamente cambiando.

Il mese seguente fece un altro sogno: erano sempre lui e Arthur, solo che quella volta non erano a scuola. Erano nel giardino del parco di quella città, in un angolo alquanto riparato, nel mezzo di quello che sembrava un pic-nic. Come sempre si stavano punzecchiando, finché Arthur non rispose ad una delle sue provocazioni esclamando “Non è che non ho una ragazza perché faccio schifo a baciare e se vuoi te lo dimostro anche!”. Quelle parole non finirono di sparire nell’aria che entrambi arrossirono e Arthur si ritrovò a balbettare, tutto imbarazzato “No… cioè.. quello che intendevo… insomma…” ma fu interrotto da Alfred, che gli rispose “Io sono un eroe, ricordi? Non ho paura di nessuna sfida” e lo baciò. Si trattò solo di un bacio a stampo, della durata di un attimo, ma fu sufficiente per farne nascere un altro, stavolta più lungo e più maturo. Alfred si svegliò nell’attimo in cui il se stesso del sogno riapriva gli occhi. Ci mancò poco che cacciasse pure un urlo, ma si trattenne per non svegliare il fratello: si sentiva il volto in fiamme e aveva la sensazione di aver davvero baciato l’amico. Cercò di convincersi che era un’idea stupida, ma più ci ripensava, più si accorgeva che quella sensazione non solo non gli era dispiaciuta, si ritrovava addirittura a sentirsi triste perché era finita. Ne voleva ancora, ma non capiva fino in fondo la ragione di quel capriccio: fosse stato amore sarebbe stato un vero pasticcio. Sapeva che la famiglia di Arthur lo avrebbe cacciato da casa se fosse saltato fuori che usciva con un ragazzo o peggio. Si alzò dal letto, diretto in cucina per versarsi un bicchiere d’acqua. Decise che mai e poi mai avrebbe raccontato quel sogno all’amico, sia perché ne andava della sua dignità, sia perché non voleva che Sakura lo assillasse ancora con quella stupida storia della ship. Dove si trovavano in fondo, in un fumetto? Dopo aver bevuto, tornò a letto, anche se difficilmente riprese sonno, con il risultato che il giorno dopo era praticamente uno zombie. Bevve addirittura quattro tazze di caffè prima di riprendersi del tutto. Arrivato a scuola, non riuscì a parlare normalmente con Arthur: finiva sempre per arrossire e non riusciva a parlare correttamente, cosa per cui venne ampiamente preso in giro dall’amico. Ma il sogno più significativo lo ebbe una notte di un paio di settimane dopo. Era una continuazione del sogno in cui si erano baciati, ma molto più avanti nel tempo. I due ragazzi si ritrovavano nella stanza del dormitorio della scuola, nella camera di Arthur, ed erano stesi abbracciati sul letto, le gambe intrecciate. Chiacchieravano in modo particolare, che dava all’atmosfera un che di molto dolce. Tra una frase e l’altra, si scambiavano carezze e baci e Alfred ebbe la sensazione che il suo posto fosse lì, con Arthur tra le sue braccia. “Ti amo, lo sai?” disse Alfred, e l’altro ragazzo divenne rosso e gli disse “Non dirlo, scemo. È imbarazzante” ma il più giovane gli sorrise, rispondendogli “Ma se ti rende felice quando te lo dico” e da lì partì una piccola discussione, che non era minimamente seria. “Well, stiamo insieme da un anno, che posso farci se anche dopo tutto questo tempo sei la cosa migliore della mia vita?” gli disse Alfred, “Persino più degli hamburger?” chiese Arthur, fingendo di essere sconvolto dalla notizia. “Certo che si! Mi vanterei con tutta la gente che conosco, con la scuola intera di avere il ragazzo più fantastico del mondo” si difese il ragazzo ma a quelle parole l’espressione di Arthur cambiò. “A proposito di questo…” cominciò il ragazzo, evitando gli occhi azzurri di Alfred, “I… i miei genitori ci hanno scoperto. O meglio, un mio compagno di classe ha mandato strani messaggi a mio fratello. Loro giocano nella squadra di tennis insieme. Mio fratello ha confessato tutti i suoi dubbi ai miei genitori e sembra che questo mio compagno di classe ci abbia visto insieme. I’m so, so sorry, ma hanno deciso di farmi andare a vivere da mia zia. Lei è in un’altra città e le hanno chiesto di sequestrarmi il telefono finché sarò da lei. Non volevo dirtelo perché ci tenevo da morire a passare in pace i nostri ultimi momenti insieme, così mi sono sforzato di non fartelo capire, per quanto ho potuto”. Mentre ne parlava, gli occhi di Arthur si fecero lucidi e quella notizia fu come una secchiata d’acqua fredda per Alfred. Quella notizia lo aveva spiazzato, al punto da non sapere bene come reagire, ma sapeva bene cosa implicava. Non lo avrebbe più rivisto. Arthur gli aveva parlato molto della sua famiglia e gli aveva spiegato che erano estremamente severi e dalla mentalità arretrata: gli aveva raccontato che il maggiore dei suoi fratelli era stato punito molto severamente per essere stato scoperto ad avere rapporti con la sua fidanzata prima del matrimonio. “Scappiamo via allora” fu la proposta di Alfred per risolvere quella situazione ed effettivamente era anche l’unica cosa a cui riusciva a pensare. Avrebbe voluto alzarsi, prendere la mano di Arthur e correre via, lontano. Poco importava se era un ragazzino di 18 anni, qualsiasi altra opzione era meglio di non fare nulla. “Lo sai che non possiamo. Ci cercherebbero ovunque e se mai dovessero trovarci… Non- non voglio che papà ti faccia qualcosa…” “Ma una soluzione deve pur esistere!”, ma Arthur non rispose. Alfred lo strinse più forte a sé, “I’ll never let you go. Continuo a dichiararmi un eroe, ma voglio mettere in pratica tutto questo. Voglio mettere in pratica questo sentimento che provo per te. Non m’importa quello che dirà tuo padre. Potrebbe crollare il mondo intero, ma non esiterei a mettere a rischio la mia vita per proteggerti”. “E se… un modo esistesse?” disse a voce bassa Arthur. “Che intendi?” gli chiese il ragazzo più giovane, “Mio nonno mi lasciò un vecchio libro polveroso quando morì. Al suo interno ci sono ogni sorta possibile d’incantesimi e maledizioni. Il nonno mi aveva raccontato che da giovane aveva fatto un incantesimo per poter rivedere la nonna, prima di partire per la seconda guerra mondiale” disse Arthur, cercando di ricordare meglio che poteva ogni dettaglio di quella storia. Se fosse stato possibile fare una cosa simile, perché non tentare? “E tu vuoi rischiare sopra una superstizione?” chiese Alfred, che si sentiva un po’ preso in giro da quell’idea, perché gli sembrava poco logica e poco affidabile. “Non è una superstizione! Ti prego, se non ti fidi di questa soluzione, almeno fidati di me. Sono sicuro che funzionerà” si difese Arthur, “I do trust you. Ma ho paura di non rivederti più” ammise infine il più giovane, nascondendo la faccia nei capelli del suo ragazzo. Come aveva già detto, qualsiasi scelta era migliore di non fare niente. “Fidati di me, funzionerà”. Alfred si svegliò di colpo in quel momento. Si sentiva il cuore pesante e cominciò a piangere, senza capire bene perché, ma le lacrime non si fermavano. Sentiva il cuore spezzarsi e lo faceva stare peggio. Fece persino spaventare il fratello, che si svegliò e lo trovò in lacrime. “Ehi Al, va tutto bene?” gli chiese, preoccupato. “Non lo so più, Matt. Non lo so più” ed era vero: nella sua testa e nel suo cuore c’era la confusione più assoluta. Quel sogno era così reale e la sensazione di dejà vu con la quale si era svegliato, gli causava un malditesta molto forte. Nella mattina che segui quel sogno, Alfred ebbe un’aria assente che lo seguì per il resto della giornata ma che lo aiutò a raggiungere una sola risposta: quei sentimenti che sperimentava in quei sogni che sbiadivano nel corso del giorno, erano veri. Provava un sentimento di natura romantica per il suo amico, ma aveva il presentimento che il tempo stesse scadendo. Cosa gli avesse dato quell’impressione non sapeva dirlo, ma più i giorni passavano e più quella sensazione si faceva forte. Certe notti doveva addirittura spegnere il telefono perché leggere l’orario che scorreva gli metteva ansia. Era come se qualcosa in lui fosse in attesa di qualcosa, al punto che si convinse che quell’ansia era data dal fatto che aveva intenzione di dichiararsi, ma non sapeva come fare. Alla fine decise di parlarne con Sakura, anche se cambiando un po’ la storia e tralasciando completamente i sogni, per chiederle un consiglio. Inutile dire che la ragazza passò dalla sua solita aria calma e posata ad avere un interesse un po’ troppo vivace per quella confessione. Alla fine, dopo che si calmò, disse ad Alfred che il modo migliore per dichiararsi era essere diretto e dirlo davanti alla persona che gli interessava, che se era un eroe era ora di metterlo in pratica. Alfred la ringraziò per quel consiglio e decise che avrebbe detto tutto ad Arthur il giorno dopo. Appena arrivò a casa, non perse tempo a scrivergli un messaggio, chiedendogli di incontrarlo sul tetto della scuola la mattina seguente, perché aveva qualcosa di molto importante da dirgli. Rimase nervoso per il resto della serata e il nervosismo non lo lasciò in pace nemmeno quando decise di spegnere il telefono e andare a dormire. Lo stomaco gli faceva malissimo, ma si convinse che sarebbe passato tutto il giorno dopo. Niente avrebbe potuto prepararlo al sogno che ebbe quella notte. Si trovava sul tetto della scuola e stava continuando a rileggere il messaggio che Arthur gli aveva mandato quel giorno. Aveva detto che era tutto pronto e che doveva raggiungerlo sul terrazzo. “Allora, di cosa volevi parlarmi?” chiese il ragazzo non appena vide Arthur, che tracciava alcuni segni sul terreno con un gesso bianco. “Don’t step on the lines!” fu la risposta del ragazzo, che non appena ebbe finito mise via il gessetto, si scrollò la polvere dalle mani e disse “Come ti ho scritto, li ho finiti. I due pezzi necessari per il rituale”. Si mise una mano in tasca e ne tirò fuori un braccialetto fatto con fili d’erba, perline e filamenti biondi che sembravano capelli. “Wait. Hai voluto una ciocca dei miei capelli per questo?” domandò incredulo Alfred, che non capiva come un ninnolo come quello potesse avere il potere di farli rincontrare sicuramente in futuro. Arthur annuì e gli consegnò quel singolare braccialetto. “Questo è fatto con i miei capelli. Quello con dentro i tuoi ce l’ho io” disse il ragazzo, arrossendo un po’. “Ora non dobbiamo far altro che pregare, con quell’oggetto in mano. Devi pregare di rivederci, non importa cosa, e devi farlo con tutta la fede che hai” gli disse il ragazzo, prima di inginocchiarsi dentro i segni, tenendo tra le mani il bracciale. Dopo aver ricevuto un’occhiataccia da Arthur, anche Alfred finì per imitarlo, ma non fece in tempo a concentrarsi che la porta del terrazzo si spalancò e un ragazzo, pressappoco coetaneo di Arthur, fece la sua comparsa. “Non te l’ha detto nessuno che i riti satanici sono sbagliati, piccolo frocio?” esclamò quel ragazzo, chiaramente rivolto ad Arthur. “Come mi hai chiamato?” disse Arthur, alzandosi in piedi e infilandosi il bracciale al polso. “Frocio, che è quello che sei, no? Sono felice di aver raccontato tutto a Dylan, almeno la mia classe non sarà infettata da te” lo schernì il bulletto. Alfred si alzò in piedi a sua volta, pronto a fare a botte con quel tipo, ma Arthur fu più veloce di lui: “Va a farti fottere Kenny!” gli urlò in faccia e il bullo cominciò a spingerlo. A quel punto intervenne Alfred, che non avrebbe mai permesso a nessuno di toccare il suo ragazzo nemmeno con un dito, incassando un pugno da Kenny. Arthur cercò di intervenire, ma ricevette un manrovescio da Kenny, così forte da fargli perdere l’equilibrio e cadere giù dal terrazzo. Alfred si tuffò sul cemento, riuscendo a prendere Arthur per un braccio. La paura era chiara negli occhi verdi del ragazzo, anche se l’altro cercava di fargli coraggio con parole come “Ti tengo io! Andrà tutto bene, ma non guardare giù”, ma Arthur stava pian piano scivolando dalla sua presa. “I will love you forever” disse Arthur, prima che Alfred perdesse del tutto la presa e, in quel momento, il bracciale che aveva fatto usando i capelli di Alfred, che era scivolato fino ad essere l’unico filo di salvezza per loro, si spezzò. Al ragazzo il tempo sembrò rallentare, mentre vedeva l’amore della sua vita cadere sempre più giù, fino a sentire un suono, uno solo che era molto debole ma che gli s’impresse nelle orecchie: stud.

Alfred si svegliò urlando. Era ricoperto di sudore e aveva la nausea. Sentiva di aver vissuto quella scena in prima persona e aveva paura. Quel sogno lo aveva lasciato terrorizzato, anche se cominciava a svanire lentamente. Aveva un brutto presentimento quel giorno e per una volta non cercò di ignorarlo. Cercò di apparire normale alla sua famiglia e ai suoi compagni di classe, ma appena la campanella suonò, invece che andare in classe si diresse sul terrazzo. C’era un pensiero che gli frullava in testa da quella mattina, più una frase che una semplice idea, e aveva l’impressione che se avesse seguito quel pensiero, avrebbe fatto la cosa giusta. Aprì la porta e Arthur era lì. Gli dava le spalle, intento a guardare l’orizzonte e a quella vista, ad Alfred venne in mente l’ultima frase che aveva sentito in quel sogno e che aveva l'impressione fosse la cosa giusta da fare. Quella voce strana che forse aveva già sentito diceva “Se vuoi salvarlo, salta”. Fece un respiro profondo e mise piede sul cemento del terrazzo. Senza farsi sentire, abbracciò Arthur da dietro, rimanendo in silenzio mentre l’altro protestava contro quel gesto. Quando si calmò, gli chiese “Al, qualcosa non va?” e Alfred gli rispose dicendogli “No, è che penso di aver capito. Ho ricordato una cosa molto importante, così non volevo avere rimpianti prima di affrontarla”. Arthur riuscì a girarsi ed era pronto a fare altre domande, quando Alfred lo baciò. Durò poco, ma Alfred non avrebbe voluto che finisse. “I love you. Take care of yourself” gli disse, per poi lasciarlo andare. “Wha-“ stava per esclamare Arthur, ma si bloccò quando vide Alfred salire sul cornicione e lasciarsi cadere di sotto. In quel breve attimo gli tornò in mente tutto il sogno che aveva avuto il giorno in cui aveva salvato Arthur. “I love you too, stupid. Wait for me” erano state le parole che gli aveva rivolto. Saltare gli era sembrato folle, ma aveva l’impressione che così facendo avrebbe salvato la vita di Arthur. E questo gli bastava per sentirsi in pace, così chiuse gli occhi, preparandosi a sentire stud.
 
 



Era tutto buio. Forse all’inizio c’erano colori, ma ora era tutto buio. Ad un tratto, una voce disse “Forgive me for this pain. Svegliati”. “Allora Kirkland, è comodo il banco? Vuoi anche un orsacchiotto magari?” disse il professore, svegliando Arthur, che si era appisolato, senza rendersene conto, sul banco. Il docente era molto irritato per quel comportamento, così lo sgridò. “Visto che ti annoio tanto, tanto vale che sia tu a fare lezione, no? E perché no, diamo anche un voto alla tua splendida performance” concluse il professore, per poi tornare a sedersi alla cattedra. Arthur si alzò in piedi e cominciò a spiegare quello che era scritto sul libro, mentre un suo compagno cercava di distrarlo facendo commenti poco casti su tutto quello che diceva. “Molto bene. Molto bene davvero, però ti metterò solo un misero 6. E la prossima volta segui” lo rimproverò il professore, appuntando il voto sul registro della classe. Arthur sospirò prima di tonare a sedersi. Nonostante il richiamo, non riusciva a concentrarsi su quello che il professore stava dicendo, così decise di guardare un po’ fuori dalla finestra, in cerca di qualche idea per un racconto fantasy che stava scrivendo: nell’esatto attimo in cui Arthur posò lo sguardo fuori, i suoi occhi incrociarono quelli azzurri di un altro ragazzo che stava cadendo giù dal terrazzo. Aveva un’aria stranamente serena, anche se veniva tradita da qualche lacrima che usciva dai suoi occhi. Il ragazzo dagli occhi azzurri mosse le labbra, come per cercare di dire qualcosa ad Arthur, ma il ragazzo non capì bene cosa gli stesse dicendo. “Don’t forget about me, my love” gli sembrò di sentire. Tutto quello che riuscì a fare fu alzarsi, con un’aria sconvolta che lo sorprese. Non capiva cosa stesse succedendo, benché meno il motivo per cui piangesse, come se il suo corpo si muovesse di propria volontà. Sembrava che nessuno si fosse reso conto di cosa stesse succedendo, perché Arthur non aveva sentito nessuna reazione provenire dai compagni. Tese le braccia fuori dalla finestra, cercando di afferrare quel ragazzo che cadeva, il cuore che gli martellava nel petto e una paura mostruosa nello stomaco, ma l’unica cosa che ottenne fu un sorriso da quel ragazzo. “Wait, Alfred!” si sentì urlare, anche se non capiva perché gli fossero uscite quelle parole, prima che tutto si facesse completamente nero.
 



Arthur si svegliò di soprassalto, coperto da un velo di sudore e con il cuore che gli martellava nel petto. Impiegò qualche minuto prima di rendersi conto che quello era stato tutto un incubo e che era nella sua camera. “Alfred…” disse, ripetendo l’ultima cosa che ricordava di quell’incubo assurdo, ma man mano che i minuti passavano, sia quel nome che i dettagli di quel sogno cominciarono a svanire e a diventare sempre più offuscati. Si passò una mano fra i capelli, mormorando “What a nightmare…”, per poi scostare le coperte, facendo attenzione a non dare fastidio alla sua gatta, che dormiva ancora e sbloccare il cellulare. Non appena lo fece, i suoi occhi caddero sull’orario che il dispositivo mostrava. “Fuck, sono in ritardo per la scuola!” esclamò, così si vestì al volo, prese la sua cartella e uscì di casa, precipitandosi a scuola







Piccolo Angolo dell'Autrice
Ebbene si, eccomi tornata dal regno dei funghi depressi ^3^ Non c'è molto da dire su questo racconto, se non che è nato da un'immagine, uno screen che conservavo nei meandri del mio telefono e mostravano un England piuttosto malconcio che, lacrimando, volava giù dal terrazzo mentre un Alfred sorpreso lo guardava. è stata ispirazione a prima vista e no, non ascoltavo Kagerou Daze mentre lo scrivevo
La storia l'avevo in stock da un sacco, ma solo ora (dopo averla corretta un centinaio di volte) eccola qua. Spero possa piacervi e alla prossima ^w^

 
   
 
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