Serie TV > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: Roscoe24    30/09/2017    4 recensioni
“Ahi,” si lamentò, toccandosi la fronte. Ci sarebbe spuntato un bel bernoccolo, se lo sentiva.
“Oh santi numi!” sentì esclamare e poi di nuovo il botto metallico dello sportello che veniva chiuso. Alec aveva ancora le mani sulla fronte, quindi non poteva vedere chi fosse il suo interlocutore. La verità era che si stava vergognando così tanto di essersi comportato come un tale imbranato che non aveva il coraggio di togliersi le mani dal viso.
“Ehi, là sotto. Tutto bene?” lo sconosciuto appoggiò le mani sui polsi di Alec, il quale percepì il tocco caldo contro la sua pelle. Curioso, si liberò la faccia.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Alec conosceva delle cose di Magnus, grazie a quella mattina passata insieme. Primo: gli piaceva il cappuccino con tanta schiuma, tanto zucchero e una spolverata di cannella.
Secondo: adorava partecipare alle feste, ma solo a quelle organizzate da se stesso perché, riteneva, non aveva ancora incontrato qualcuno in grado di eguagliare la capacità organizzativa di Magnus Bane. E in questo modo Alec aveva anche scoperto come facesse di cognome. Non che volesse usare questa nuova informazione per cominciare a sbirciare i suoi social… o forse sì. Magari solo un’occhiatina qua e là…
Terzo: gli piaceva la moda, ma adorava creare uno stile tutto suo, evitando di seguire le regole perché, diceva, se le avesse seguite sarebbe stato una specie di manichino vivente uguale a tutti i ragazzi che si vedevano in giro e lui, invece, voleva distinguersi. Per come la vedeva Alec, Magnus si sarebbe distinto anche se avesse indossato un sacco della spazzatura usato. Quarto: gli piaceva la fotografia. Aveva persino lavorato come aiutante fotografo un’estate, finendo per avere un flirt con la figlia del suo mentore. Da qui, Alec aveva scoperto che a Magnus piacevano anche le ragazze.
‘Mi considero un bisessuale disinvolto.’
‘Ti prego, non usare mai questa definizione davanti ai miei genitori.’

Ma Alec si era pentito immediatamente di avergli risposto in quel modo, perché ebbe l’impressione di dare a quell’incontro un aspetto troppo serio, temendo in questo modo che Magnus avrebbe potuto sentirsi soffocare. Avevano parlato di pazienza, di non correre troppo e lui se ne usciva con una frase del genere. Poteva essere più idiota?
Ma Magnus aveva sorriso, calmo, mescolando lo zucchero nel suo cappuccino con un elegante movimento del cucchiaino.
‘Hai intenzione di presentarmi i tuoi, pasticcino?’
Alec aveva sentito le guance diventare rosse, ‘No, certo che no… non subito,’  e poi si era reso conto che stava solo peggiorando la situazione, dando per scontato che tra di loro sarebbe nato sicuramente qualcosa, quando in realtà non stavano avendo nemmeno un vero appuntamento, ‘Non che io intenda che devi conoscerli per forza, dobbiamo vedere come va e tutto il rest-’
‘Alexander, per l’amor del cielo, rilassati.’
Magnus aveva allungato una mano sul tavolo e l’aveva appoggiata alla sua. Il primo istinto di Alec fu quello di ritirarla per paura di essere visto, ma quando il calore della pelle di Magnus raggiunse la propria, il moro si trovò a non opporre resistenza. Gli piaceva quella sensazione di benessere addosso, gli piaceva vedere il contrasto delle loro pelli: scuro e chiaro che si mischiavano andando a formare un equilibrio perfetto, rassicurante. Perché avrebbe dovuto ritirare la mano, quando intrecciare le dita a quelle anellate di Magnus era l’unica cosa che voleva fare in quel momento? E lo fece. La sua mano scivolò delicatamente all’indietro solo per poter fare in modo che le proprie dita toccassero quelle di Magnus e poi le aprì sovrastando quelle del ragazzo di fronte a lui per andare a riempire i vuoti tra le sue dita. Magnus ricambiò con una stretta ferrea, dando ad Alec l’impressione di non volerlo lasciare andare per nessun motivo al mondo. ‘Ho capito benissimo cosa intendevi. Stavo solo scherzando, d’accordo?’
Alec aveva annuito e avevano continuato a parlare tenendo le mani intrecciate in quel modo, incuranti delle persone intorno a loro, di cosa potessero o non potessero pensare.
Alec in quella mattinata, che a detta sua era passata fin troppo in fretta, aveva costruito un legame con qualcuno e si era stupito di quanto gli fosse venuto facile farlo. Con Magnus sembrava tutto più bello, tutto meno spaventoso.
“Terra chiama Alec. Ci sei, fratellone?”
“Cosa?”
Isabelle alzò gli occhi al cielo, “Si può sapere dove hai la testa?”
In caffetteria.
“Da nessuna parte.”
“Certo, e io sono la fata turchina.” Isabelle gli lanciò un’occhiata laterale, cercando di incatenare i suoi occhi antracite a quelli verdi del fratello. Li aveva sempre trovati confortanti, gli occhi di Alec. Un porto sicuro, un luogo in cui rifugiarsi quando il mondo sembrava intenzionato a farle troppo del male. Ci traeva una forza infinita, Isabelle, dalle iridi di suo fratello, che le aveva sempre dato l’impressione di essere un gigante dall’indistruttibile armatura, pronto a difendere chiunque amasse da qualsiasi pericolo.
Era da lui che correva da bambina quando faceva i brutti sogni, mai dai suoi genitori. La piccola Isabelle di cinque anni era solita sognare un mostro dai denti aguzzi e occhi rossi che voleva mangiarla e di corsa si precipitava fuori dalla sua stanza per andare a rannicchiarsi sotto le lenzuola di Alec, che mai una volta si era lamentato di essere svegliato nel cuore della notte, e la stringeva a sé, dicendole che non doveva avere nulla di cui avere paura perché erano insieme e in due erano più forti di uno solo. Moltissime volte era capitato che anche Jace si aggiungesse a loro, finendo per addormentarsi tutti e tre nel solito letto, che era troppo piccolo per ospitarli tutti, ma a nessuno importava: erano insieme, più forti di qualsiasi cosa. Indistruttibili. Loro tre contro il mondo.
“Potresti smettere di fissarmi in quel modo, Iz?”
Isabelle si estraniò dai suoi pensieri, sorridendo. “Solo se mi dici a cosa stavi pensando.”
Alec sbuffò dal naso, “Alla mattinata con Magnus,” sussurrò, continuando a camminare per il centro commerciale in cui Isabelle l’aveva trascinato per fare shopping. Tutto d’un tratto invidiava Jace rimasto a casa a badare a Max per via dell’assenza dei genitori, ancora a lavorare.
“Oh, Alec!” Isabelle gli sorrise radiosa. Era così bello per lei sapere che suo fratello avesse finalmente provato ad aprirsi con qualcuno, a concedersi uno spicchio di felicità. Secondo Izzy, Alec si meritava un intero sistema solare di felicità e forse con Magnus l’avrebbe trovata. “È così bello!”
“Lo so. I miei occhi funzionano benissimo.” Alec lanciò uno sguardo alla vetrina di scarpe da donna che stavano costeggiando, convinto al cento per cento che Isabelle avrebbe voluto entrare nel negozio e infatti… lo acchiappò per un gomito, stringendo la presa come se ne andasse della sua vita e lo costrinse a incrociare i loro sguardi. Sua sorella aveva un’espressione strana stampata sul viso, diversa dalla solita folle euforia che le dava lo shopping compulsivo di scarpe con un tacco così alto da essere reputato un’arma impropria. Isabelle sembrava… stupita.
Alec aggrottò le sopracciglia e piegò la testa di lato, “Cosa c’è, Iz?”
“L’hai apprezzato ad alta voce.”
“Ho sempre apprezzato chiunque davanti a te, Izzy. Se non te ne fossi accorta, prima di coinvolgere Jace qualche sera fa, eri l’unica con cui parlavo.”
“Lo so,” Iz scosse la testa e i capelli ondularono, “Solo che l’hai fatto con naturalezza, senza paura.”
Alec rifletté su quelle parole realizzando che sua sorella aveva ragione: gli era uscito senza pensarci, senza riflettere troppo, senza preoccuparsi di nulla se non di dire ciò che sentiva nel cuore.
“Hai ragione…”
Isabelle lo abbracciò stretto, stretto. “Comunque, mi riferivo al fatto che fosse bello che pensi a lui.”
“Oh,” Alec fece scivolare le braccia dalla schiena della sorella per portarle lungo i propri fianchi. Isabelle si staccò per guardarlo in viso, un sorriso astuto sul volto. “Ho capito male, e allora?” continuò il maggiore, “Magnus rimane bello, che tu ce l’avessi con lui o meno!”
Isabelle gli pizzicò un fianco e poi lo affiancò di nuovo, prendendolo sotto braccio. Si incamminò, oltrepassando il negozio di scarpe e quando Alec fece per chiedere spiegazioni lei lo zittì in partenza: “Penseremo a te, oggi, mio caro. Stasera hai un mezzo appuntamento e voglio vedere Magnus rimanere senza parole.”
“Non credo sia possibile.”
“Non dubitare delle mie capacità, potrei offendermi.”

*

Magnus camminava avanti e indietro per il salone di casa sua, lanciando occhiate nervose all’orologio che teneva al polso. Sarebbero arrivati a minuti. Sarebbe arrivato a minuti e sentiva le mani sudate, accompagnate da un principio di ansia che gli attanagliava lo stomaco. Perché tanta insicurezza, poi? Si erano già visti quella mattina e avevano passato delle ore splendide insieme. Alexander era speciale, gli accendeva un fuoco dentro, alimentato dalla voglia di scoprire giorno dopo giorno come fosse quel ragazzo i cui occhi l’avevano stregato non appena aveva tolto le mani dal viso, quella volta in cui aveva seriamente temuto di aver rovinato una tale opera d’arte. Erano luminosi, due fanali verdi in grado di illuminare l’oscurità che viveva nel cuore di Magnus Bane, decisamente troppo giovane per aver vissuto tutte le cose che aveva passato. Diciott’anni e così tanti demoni dentro di sé, demoni che avevano imparato a nuotare, nonostante lui avesse provato plurime volte a farli annegare, la maggior parte di esse nell’alcol.
Sospirò, passandosi una mano sul viso. Lanciò ancora un’occhiata all’orologio: il quadrante segnava le 20.53. Ancora qualche minuto e l’avrebbe rivisto. Avrebbe potuto di nuovo sentire il suo profumo che gli riempiva le narici, il suono della sua risata sommessa che andava a solleticargli le orecchie, facendogli venire voglia di non fare altro nella vita, se non cercare di far ridere Alexander per sentire come sarebbe stata, quella risata, se non fosse stata controllata. Ripensò al modo in cui incurvava la testa di lato quando ascoltava con attenzione, al fatto che avesse cominciato a giochicchiare con uno dei suoi anelli quando tenevano le mani incrociate, come se fosse un’abitudine che perdurava nel tempo e non qualcosa di nuovo. C’era sintonia tra di loro e Magnus si rese conto che, anche se avesse dovuto aspettare trecento anni, l’avrebbe fatto con gioia se questo significava avere Alexander tutto per sé.
‘Dimmi qualcosa che non so…’
Alec si era sistemato meglio sulla sedia, gli occhi fissi sulle loro dita intrecciate. Si era umettato le labbra prima di parlare e Magnus si era chiesto che sapore avessero, se fossero tanto buone quanto belle.
‘Ad esempio?’
‘La prima cosa che ti viene in mente.’

Alec aveva usato l’indice della mano libera per picchiettarsi il mento, ‘Vediamo…’  Magnus si era concesso un lungo attimo di contemplazione, mentre lo osservava pensare e arricciava il labbro superiore sotto al naso. Era così bello che dubitava fosse reale. ‘Oh, sì!’ aveva continuato il moro, ‘Tiro con l’arco da quando avevo sette anni.’
‘Pensavo lo facessi con la scuola…’
Magnus aveva cominciato ad accarezzare il dorso della mano di Alec che teneva stretta alla sua con il pollice, disegnando cerchi concentrici.
‘No… è stata un’idea di mia madre. Poi mi sono appassionato anche io. È un momento tutto mio, siamo io e il mio arco e l’ignoto.’
‘L’ignoto?’

Alec aveva annuito, la sua voce carica di entusiasmo che andava a gonfiare il cuore di Magnus, ‘Sì. Non sai mai come andrà a finire. Centrerò il bersaglio? Non lo centrerò? E quando colpisco nel segno sento un’onda di soddisfazione, dentro.’  
Magnus ne voleva di più. Voleva ancora vedere l’euforia attraversare i tratti di Alec, voleva ancora sentire la sua voce, toccare le sue mani, posare i propri occhi sui suoi lineamenti, studiare ogni parte del suo corpo. Voleva conoscere quel ragazzo meglio di chiunque altro, voleva che si appartenessero. Lo sentiva dentro che avrebbero potuto appartenersi. Addirittura amarsi.
‘La prima volta che ho vinto un torneo mi hanno anche fatto un regalo. Forse per spronarmi a continuare, non lo so… i miei non sono tipi da regali senza motivo…’ Magnus l’aveva visto infilarsi la mano dentro allo scollo del maglione – e Dio solo sa quanto l’aveva invidiata, quella mano – ed estrarre una lunga catenella d’argento, appesa alla quale stava una piccola freccia dello stesso materiale. Era bella, semplice, proprio come Alexander.
‘Non l’ho più tolta da quando avevo nove anni.’
Magnus aveva sorriso perdendosi nel verde delle iridi del ragazzo che gli stava di fronte, così genuino da far sembrare il mondo indegno della sua presenza. Parlava con semplicità, mostrandosi per ciò che era, non costruiva facciate per farsi accettare, semplicemente offriva se stesso.
‘È bellissima, Alexander.’
L’aveva visto sorridere e poi sporgersi sul tavolo, una mano ancora intrecciata alla propria e l’altra a sorreggere il mento.
‘Tocca a te, adesso. Dimmi qualcosa che non so.’
Il campanello lo destò dai suoi pensieri. Guardò l’ora: le 21.00 precise. Sorrise preparandosi a rivederlo di nuovo. Si sistemò la camicia di seta porpora che indossava, lisciandola nonostante non ce ne fosse bisogno, si assicurò che i suoi pantaloni dorati fossero  impeccabili – e, ovviamente, lo erano – e si incamminò verso la porta.
Quando l’aprì, percepì il suo cuore battere così forte che ebbe l’impressione di sentirlo uscire dalla cassa toracica. Ecco lì, Alexander Lightwood, la cosa più simile ad una divinità che avessero in Terra.
Non si era reso conto di trattenere il respiro fino a quando non realizzò che non l’aveva ancora salutato, troppo concentrato a studiare il modo in cui i capelli gli si arricciavano sulle punte.
“Ciao,” lo salutò il moro, alzando un singolo angolo della bocca, regalandogli quel mezzo sorriso che lo faceva andare fuori di testa.
“Ciao a te, splendore.” Si concesse tutto il tempo che reputava necessario per studiarlo bene: il modo in cui la camicia a quadri neri e verde scuro che indossava gli aderiva perfettamente sulle spalle, scendendo a fasciare i muscoli delle braccia così definiti da sembrare scolpiti da Michelangelo in persona. Osservò con attenzione il modo in cui il tessuto aderiva alla vita, evidenziando i fianchi stretti e, che Dio lo aiuti, quei pantaloni erano indecenti. Sembrava gridassero: strappaci, Magnus! Strappaci e lanciaci da qualche parte!
Il tessuto dei jeans neri aderiva alle cosce toniche di Alec come una seconda pelle, lasciando poco all’immaginazione. Ah, Madre Natura era stata molto, molto generosa.
“Prego, pasticcino, accomodati.”
E quando Alec entrò, Magnus lo seguì con lo sguardo, lanciando un’occhiata anche alla sua schiena, scendendo fino ad osservare un sedere così sodo che se avesse deciso di lanciarci una monetina sarebbe rimbalzata senza problemi.
Che ogni divinità gli vada in aiuto e gli dia la forza di contenersi perché i suoi ormoni avevano cominciato a perdere il controllo. Ogni parte del suo cervello gli urlava di chiudere fuori il resto del gruppo, saltare addosso a quel semidio che adesso si trovava nel suo salotto e di denudarlo di ogni cosa superflua, tipo i suoi vestiti. E le mutande.
“Vuoi un fazzoletto per la bava?”
Era stato Jace e rompere il suo idillio. Maledetto.
“Quanta sagacia. Per nulla banale, il tuo sarcasmo.”
Jace entrò senza che nessuno gli desse il permesso di farlo, “Ti rode solo che abbia ragione.”
Magnus lo liquidò sventolando stizzito una mano, prima di rivolgersi al resto del gruppo rimasto ancora sulla soglia.
“Avanti, entrate!”
Simon, Clary e Isabelle entrarono. Quest’ultima lanciò un’occhiata soddisfatta al maggiore dei suoi fratelli mimando un te l’avevo detto con le labbra e Alec si trovò a pensare che Isabelle Lightwood era riuscita a compiere l’impossibile: lasciare Magnus Bane senza parole.

*

La sala di Magnus era veramente enorme, realizzò Alec. I mobili erano disposti in modo che lo spazio venisse occupato intelligentemente, permettendo di stare comodamente seduti sul pavimento coperto di cuscini così grossi da assomigliare a dei veri e propri pouf. Il gruppetto, infatti, era sistemato tra il divano e un tavolino da caffè in marmo. Ognuno di loro aveva occupato uno dei cuscini sistemati da Magnus, rivolti verso una televisione spenta, in attesa che il film venisse scelto. Il problema era che, nonostante Magnus avesse una scelta di DVD così ampia da far invidia ad una videoteca, non si trovavano d’accordo su niente.
“Die Hard!” esclamò Jace, “Guardiamo questo!”
“No. Mi hai costretta a vederlo così tante volte che ho il vomito!” protestò Isabelle.
“Transformers, allora!” intervenne Simon, ma Clary roterò gli occhi, nauseata.
“Mi oppongo. Per lo stesso motivo per cui Iz si oppone a Die Hard!”
“Se proponete un film inguardabile tipo Le pagine della nostra vita giuro che mi ammazzo!” brontolò Jace, indicando con gli indici sua sorella e la sua ragazza.
Entrambe alzarono gli occhi al cielo come se Jace avesse detto un’assurdità. “Solo perché siamo femmine non vuol dire che dobbiamo guardare film simili, Jace.” Lo rimbeccò Clary.
“Scusate!” disse lui sarcastico, sventolando le mani, “Non pensavo foste così permalose!”
“Vuoi davvero che ci uccidano, amico?” intervenne Simon, che sembrava aver capito quanto potesse essere inconveniente mettersi contro due come Iz e Clary, dolci e carine finché un qualche stolto non le provocava.
“Volete scegliere qualcosa, per favore?” li supplicò Alec, fino a quel momento rimasto in silenzio, seduto sul suo pouf.
“Scegli tu, Alexander.” propose Magnus, al suo fianco.
“NO!” esclamarono allarmati Jace e Isabelle in coro, così Alec li guardò, aggrottando le sopracciglia in attesa di spiegazioni.
“Non fare quella faccia!” cominciò Jace.
“Infatti… io ti adoro, Alec, ma scegli sempre film lunghissimi.” Concluse Iz.
“Ma sono belli!” si giustificò il maggiore, “Scorsese non ne sbaglia una!”
“Ne sono certa, fratello, ma è così difficile arrivare alla fine!”
Alec incrociò le braccia al petto, affondando maggiormente nel suo pouf: “Allora guardati Die Hard per la tremillesima volta!”
“Sì!” gioì Jace, ma il suo entusiasmo fu smorzato sul nascere dalla proposta di Clary, che dal mucchio di DVD sparsi sul pavimento, estrasse Wolverine.
“Che ne dite di questo?”
“Oh si!” esclamò Simon.
“Ovvio che ti piacesse. Potresti essere meno nerd, Lewis?”
“E tu potresti essere meno irritante, Lightwood?”
Jace gli fece una boccaccia a cui Simon rispose alzando il dito medio. Isabelle, intanto, aveva cominciato a studiare la copertina del DVD per leggere la trama sul retro. Da quando usciva con Simon era diventata quasi un’esperta di fumetti e adattamenti cinematografici.
“A me va bene,” concluse con un’alzata di spalle.
“Anche a me,” aggiunse Alec.
“Permettetemi di dire che è stato peggio di un parto trigemellare podalico!” Magnus si alzò dal suo pouf per andare a mettere il DVD nel lettore. Alec lo osservò premere il pulsante per far uscire lo sportellino, come se l’oggetto volesse fare una metallica linguaccia al suo proprietario, e inserire il disco. Si stava perdendo nella contemplazione della sua schiena e del modo in cui la camicia scivolava perfettamente sui suoi dorsali, evidenziandoli quel tanto che bastava per fargli intuire che fossero piuttosto definiti, quando Isabelle parlò.
“Ho un annuncio da fare!”
Controvoglia, quindi, Alec portò l’attenzione su sua sorella, che si stava sistemando il suo aderentissimo vestito blu elettrico. Il ragazzo, mentre la osservava tirare l’orlo quel tanto che bastava per non farlo alzare troppo mentre accavallava le gambe, si chiese come riuscisse a respirare correttamente strizzata in un abitino così stretto da far invidia ai corsetti ottocenteschi. Simon, invece, sembrava assai felice della scelta di Iz, dal momento che stava indugiando sulle gambe nude della ragazza, facendo risalire lo sguardo fino a che i loro occhi non si incrociarono. Evidentemente, Isabelle apprezzò parecchio quello studio approfondito del suo corpo perché Alec la vide sorridere a Simon, attorcigliandosi una ciocca corvina intorno all’indice.
“Ti sei resa conto che Simon è un idiota e vuoi mollarlo?”
Isabelle, che era intenta a scambiarsi occhiate intenerite con Simon, si voltò verso suo fratello cambiando totalmente espressione. Iz era capace di passare dalla dolcezza alla furia omicida in 0.2 secondi.
“L’unico idiota qui se tu, Jace.”
Il biondo gonfiò le guance e si accasciò sul suo pouf, “Sei cattiva, Izzy.”
“Non è vero. Sono meravigliosa, e lo sai.” Concluse lei, spostandosi i capelli di lato. “Comunque, ciò che volevo dire era… rullo di tamburi…” e Simon lo mimò sulle proprie ginocchia, “…io e Clary abbiamo deciso di entrare nella squadra femminile di lotta!”
“La nostra scuola ha una squadra femminile di lotta?”
“Sì, da quest’anno!”
“Ti prego, promettetemi che mi farete assistere ai vostri allenamenti!”
“Ehi!” rinsavì Alec, colto all’improvviso dal significato di quel commento, “È di mia sorella che stai parlando!”
“Già. E della mia ragazza!” si aggiunse Jace, guardando di traverso il povero Simon, che nel mentre aveva incassato la testa tra le spalle. “Però,” continuò il biondo, questa volta rivolto a Clary, “Se ti alleni con un’altra ragazza – perché Iz è mia sorella e sarebbe parecchio strano – ti prego chiamami. Meglio ancora: se cominciate a rotolarvi per terra, avvinghiate una all’altra, potrei aggiungermi.”
“Certo, Jace. Solo se prima vi rotolate tu e Alec e io posso fare lo stesso! Sai, Alec non è mio fratello, quindi non avrei nessun tipo di problema.” La rossa gli rivolse un sorriso scaltro, gli angoli della bocca che arrivavano a toccare le tempie. Jace la guardò strabuzzando gli occhi, non aspettandosi una risposta del genere, mentre Alec arrossì fino all’attaccatura dei capelli.
“Non fare quella faccia, mica sei l’unico che può fantasticare su cose del genere!” gli fece l’occhiolino e la mascella di Jace, per poco, non cadde sul pavimento.
“Sono confuso…”
Clary alzò gli occhi al cielo, “No, hai capito benissimo. Sei solo scioccato dal fatto che una ragazza abbia parlato come un ragazzo, pensando che a noi certe cose non siano permesse. Quando invece abbiamo tutto il diritto di pensare le stesse cose che pensate voi ragazzi!”
Jace rimase a fissarla in silenzio per qualche istante, la bocca aperta e le sopracciglia schizzate in alto, poi si buttò su di lei, afferrandole il viso tra le mani, per baciarla.
“Dove sei stata fino ad ora, donna?” le disse, prima di baciarla di nuovo, mentre Clary rideva, divertita da quella reazione. “Sono serio. Sei tipo la mia anima gemella, Fairchild.”
“Non fare il ruffiano, adesso.”
Ma Jace aveva abbandonato l’ilarità del momento e la stava guardando con la solita intensità che le riservava ogni volta che erano da soli, facendole sentire le ginocchia molli e la bocca dello stomaco attorcigliarsi su se stessa. Il tocco caldo delle sue mani sul proprio viso, la sua bocca così vicina alla sua tanto da sentire il suo respiro sulle guance, gli occhi del colore del mare, macchiati da una striscia di sabbia calda. Le faceva mancare il respiro semplicemente guardandola in quel modo.
“La mia anima gemella.” Le ripeté, la voce roca e tremendamente seria. E solo in quel momento Clary si ricordò che non erano soli, ma che, come spesso le succedeva quando era con Jace, erano finiti nella loro bolla speciale, dove esistevano solo loro due e i loro sentimenti, così si allontanò da lui un poco – gesto che le risultò più difficile del previsto, dal momento che Jace la faceva sentire come una calamita lasciata in balia di una superficie metallica, che per natura si sente attratta da essa non riuscendo a sfuggire in alcun modo al suo destino – lasciandogli un bacio leggero e fuggitivo sulle labbra.
“Bene,” Magnus ruppe il silenzio con un battito secco di mani, “È giunto il momento dei popcorn. Alexander, mi accompagneresti in cucina?”
Alec si alzò, “Certo.”

*

Alec seguì Magnus in cucina, uscendo dal salone per imboccarsi in un ampio corridoio a cui lati erano appesi delle fotografie che ritraevano paesaggi, probabilmente scattate da Magnus. Il parquet sotto i piedi di Alec faceva risuonare la suola delle sue scarpe come se stesse calpestando delle rane gracidanti. Magnus prese la prima porta a destra e Alec lo imitò. La cucina era ampia e spaziosa. Un’isola d’acciaio regnava in quella stanza come una regina smorfiosa, mentre dietro di essa stavano il frigo e il piano cottura, sopra al quale si trovava una dispensa a sei ante. Magnus ne aprì una per estrarre dei sacchettini di mais.
“Posso fare qualcosa?” gli domandò dunque Alec, desideroso di rendersi utile.
“Per cominciare, potresti smetterla di starmi così lontano,” Magnus si voltò verso Alec, che era rimasto vicino all’entrata, e gli sorrise, arricciando un indice su se stesso in un chiaro invito ad avvicinarsi. Alec non se lo fece ripetere e in due falcate lo raggiunse. Erano di nuovo vicini, in quella maniera pericolosa che aveva portato Magnus a baciarlo sulla guancia, la mattina prima. Da quella distanza, Alec riusciva a studiare i dettagli di quel viso bellissimo senza doversi sforzare troppo: la pelle color cannella di Magnus, le sue ciglia folte e lunghe – prive di mascara, quella sera – il colore ambrato delle sue iridi, costellate da pagliuzze giallognole, simili al grano, o all’oro; la linea dritta del naso e la curva sinuosa della bocca, il labbro superiore più fine di quello inferiore, che aveva tutta l’aria di essere terribilmente morbido. Chissà che sapore aveva, la bocca di Magnus…
“Continua a fissarmi in quel modo, pasticcino, e potrei non avere più il controllo sulle mie azioni.”
Alec si schiarì la gola, un principio di rossore a colorargli le guance, ma non si spostò. Cosa sarebbe successo se fosse arrivato fino alla fine? Se avesse spinto Magnus a perdere il controllo, come aveva detto? Cosa sarebbe successo se per caso le proprie mani si fossero appoggiate sul suo petto, risalendo lentamente fino ad allacciarsi dietro la nuca di Magnus? Poteva provare, no? Le sue mani si mossero, inizialmente mal ferme, ma man mano che salivano acquistavano sempre più sicurezza.
“Alexander…” disse il più grande, la voce ridotta ad un ringhio gutturale. Quando deglutì, Alec seguì il movimento del pomo d’Adamo, provando l’impulso di posarci sopra le labbra. Ma questa volta, resistette, reputandolo un gesto fin troppo audace.
“Sei stato tu a dire di volermi più vicino…” soffiò, i loro nasi così vicini che le punte si sfioravano, i loro respiri accelerati scandivano il ritmo di due cuori che stavano scalpitando furiosi.  Alec si avvicinò ancora di più come se volesse marcare ulteriormente il concetto, facendo aderire il proprio corpo a quello di Magnus. Era terrorizzato a morte: non sapeva se quello era il modo giusto di approcciarsi, di comportarsi, ma non aveva tempo di ascoltare la sua ragione, non aveva voglia di prestare attenzione a quella parte di sé che gli aveva sempre impedito di lasciarsi andare per paura di essere respinto o di non essere all’altezza della situazione, perché in qualche modo ci si sentiva: si sentiva padrone della situazione, capace di gestirla senza enormi difficoltà, se non quelle dettate dalla sua mancanza di esperienza, ma che, si stava rendendo conto, venivano attutite dall’istinto. Quell’istinto primordiale che gli faceva desiderare la vicinanza di Magnus, nello stesso identico modo in cui un uomo che rischia di affogare tenta di cercare ossigeno, e guidava le sue mani, il suo corpo.
“Direi che adesso non mi posso più lamentare.”
Alec si lasciò andare ad una risata, liberando anche un po’ della tensione che gli scorreva dentro.
“Toccami,” gli disse e Magnus si lasciò andare ad un respiro strozzato, la sua pelle cominciò a bruciare, complici, oltre all’inesistente distanza tra lui ed Alec, tutte le immagini che quella frase aveva fatto balenare nel suo cervello.
“Può risultare una richiesta piuttosto ambigua, pasticcino.”
Alec roteò gli occhi al cielo, anche se le sue guance si colorarono un poco, “Intendevo,” gli allacciò una delle mani ai capelli alla base della nuca, “Che voglio sentire le tue mani su di me.”
Magnus appoggiò la propria fronte alla sua, “Ancora, può essere interpretata in vari modi.”
“Non pensi ad altro?”
“Hai idea di cosa sei, Alexander? Hai praticamente spalmato il tuo corpo da adone greco su di me, è ovvio che io non riesca a pensare ad altro!”
“Ma,” continuò Alec, con una sicurezza che non credeva di possedere, “nonostante questo, le tue mani sono ancora lungo i tuoi fianchi. Devo pensare che le tue parole siano destinate al vento, Magnus?”
Questo era giocare con il fuoco. Anzi, era come gettare benzina su un incendio nel bel mezzo della foresta amazzonica. Quanta impertinenza sfacciata nascondeva quell’innocente faccino angelico? E quanto stava perdendo la testa, Magnus, per questo ragazzo? Ma, soprattutto, perché i suoi pantaloni cominciavano a diventare scomodi? Pff, questa era una domanda a cui sapeva rispondere con chiarezza e senza alcuna difficoltà, a differenza delle precedenti due. Che nessuno dica che Magnus Bane non sia in grado di cogliere le occasioni!
Infatti, il maggiore appoggiò le proprie mani sui fianchi di Alec, risalendo piano per tutto il suo costato, spostandosi poi sulla schiena dove salì con una lentezza controllata. E più Magnus saliva, più il respiro di Alec accelerava e i suoi occhi saettavano impazienti. Fu solo quando Alec, con lo sguardo fisso sulla sua bocca, si umettò le proprie labbra, che Magnus reagì: lo tirò a se con urgenza, perché sentirlo addosso era una delle cose che gli piaceva di più – cosa che aveva appurato nel giro degli ultimi dieci minuti – e fece incontrare le loro labbra. Sentì il sospiro sorpreso di Alec e sorrise sulla sua bocca, prima di schiudere la propria e guidare il moro affinché facesse lo stesso, inserendo la lingua tra i denti di quest’ultimo. Alec reagì immediatamente, con la curiosità e l’inesperienza di chi non ha mai baciato nessuno, lasciandosi guidare dai movimenti più esperti di Magnus, che stava esplorando la bocca del più piccolo con un’urgenza controllata, come se accelerando quel semplice gesto avesse rischiato di prendere fuoco. Non voleva bruciare subito, voleva farlo lentamente e, possibilmente, sulla bocca di Alec, che sapeva di menta e limone. E sì, a quanto pareva le sue labbra erano tanto buone quanto belle, realizzò Magnus, quando si staccò per riprendere fiato, lo stesso che gli veniva a mancare sempre di più ogni volta che Alec, semplicemente, lo guardava. Figuriamoci quando lo baciava.
“Pensi ancora che le mie parole siano destinate al vento, fiorellino?”
Alec, che dovette impegnarsi per regolarizzare il respiro e non rischiare l’iperventilazione, deglutì, sentendo ancora la testa girare dall’emozione.
“No.” ansimò, appoggiando una seconda volta la fronte a quella di Magnus, un po’ perché aveva voglia di farlo, un po’ perché a quanto pareva la sua testa non aveva alcuna intenzione di smettere di girare. “No. Per niente…”
“Bene,” Magnus cominciò ad accarezzargli le guance accaldate con entrambi i pollici, tenendo il suo viso chiuso tra le proprie mani, “Posso ritenermi soddisfatto.”
Alec annuì con convinzione, il cuore che gli rimbombava ovunque: cassa toracica, orecchie, polpastrelli. Il respiro che non voleva saperne di regolarizzarsi, il suo sistema nervoso che continuava a mandargli scosse elettriche in ogni parte del corpo. Quel bacio era stato vita pura, una botta di adrenalina, una dose di fuoco liquido versato nelle sue vene e che lo incendiava ovunque.
“E tu?” gli domandò Magnus, una delle mani, adesso, intenta a giocare con i capelli che si arricciavano sulla nuca di Alec.
“Io cosa?” chiese perplesso.
“Puoi ritenerti soddisfatto?”
“Certo, Magnus, che domande…”
“Oh, tartufino, so di essere un fenomenale baciatore, volevo solo assicurarmi che il tuo primo bacio avesse soddisfatto le tue aspettative.”
“Tu sei solo un fenomenale smorfioso, Magnus,” scherzò Alec, pizzicandogli un fianco. In realtà quel lato così aperto di Magnus, la sua sicurezza in se stesso, gli piaceva tantissimo. “Le ha superate, comunque.”
“Ah sì?”
Alec annuì, un sorriso ad attraversare il suo viso. Non aveva mai speso molto tempo ad immaginare il suo primo bacio, anche perché, riteneva, quella era una cosa che facevano le ragazze. Si era chiesto, invece, plurime volte, se sarebbe stato capace di baciare, o ancora, se avesse mai trovato qualcuno disposto a baciarlo e, a quanto pareva, qualcuno esisteva. Qualcuno tremendamente bravo che l’aveva colto di sorpresa e l’aveva acceso in ogni parte del corpo. Una in particolare, ma questo era un dettaglio a cui non voleva prestare troppa attenzione, temendo che pensandoci troppo, non sarebbe riuscito a nascondere l’evidenza. Continuava a sorridere, mentre Magnus lo fissava, studiandolo pensieroso. Improvvisamente, una consapevolezza la colse e gli fece venire la voglia di sotterrarsi.
“So di non essere stato bravo quanto te…”
Magnus aggrottò la fronte, come se quell’affermazione lo confondesse. Era vero che si percepiva dal modo impacciato e confusionario in cui Alec aveva risposto al bacio che era la prima volta che lo faceva, ma questo non significava che non fosse stato bravo. O che Magnus l’avesse ritenuto meno piacevole, anzi.
“Perché dici ciò, caramellina gommosa?” Magnus gli accarezzò dolce una guancia e Alec, d’istinto, piegò la testa di lato per facilitargli il movimento.
“Perché – e ti prego, caramellina gommosa non si può sentire – hai una strana espressione sul viso.”
“Oh, dolce orsetto di zucchero, la mia espressione non era in alcun modo legata alle tue capacità di baciatore – che, permettimi, sono piuttosto buone considerando che non l’hai mai fatto prima.”
“E allora cosa c’è, Magnus?” chiese Alec, sinceramente curioso, arrendendosi al fatto che, per quanto gli avesse chiesto di non farlo, Magnus avrebbe comunque continuato ad affibbiargli nomignoli imbarazzanti.
“Stavo solo riflettendo su quanto sia egoista il nocciola delle tue iridi.”
Alec sbatté le palpebre qualche volta prima di parlare: “Che cosa?”
“Vedi,” Magnus abbassò la mano dal suo viso per avvicinarsi meglio con il proprio, i loro nasi che tornarono a sfiorarsi, “Hai degli occhi meravigliosi, Alexander. Particolari e, credimi, indimenticabili. E la parte castana delle tue iridi tende spesso a spaziare sul verde, coprendolo ad occhi esterni e tenendolo tutto per sé.”
Alec sentiva la gola secca e il cervello scollegato dalla lingua. Ogni volta che si trovava vicino a Magnus non riusciva a pensare razionalmente e non era sicuro che la cosa non gli piacesse. Anzi, era sicuro che gli piacesse da morire, facendolo sentire più vivo e sicuro di quanto non si fosse mai sentito in vita sua.
“Ed è un male?”
“Cosa, che i tuoi occhi cambino colore?”
Alec annuì.
“Assolutamente no. Mi piacciono entrambe le varianti.”
Alec deglutì e toccò a Magnus, questa volta, focalizzarsi sul suo pomo d’Adamo e fare richiamo a tutto il suo autocontrollo per non saltargli alla gola e iniziare a succhiarlo senza nessuna delicatezza. Ci voleva calma e pazienza. Alexander era un fiore che andava coltivato con cura, facendolo crescere rigoglioso e forte. Se si fosse avventato su di lui, aveva paura che l’avrebbe perso. E Magnus non lo voleva di certo.
“Vuoi aiutarmi?” domandò il maggiore, ancora perso dentro agli occhi del moro. Alec annuì, silenzioso. Ma nessuno dei due si allontanò. Nessuno dei due voleva distruggere quel momento tutto loro, dove i loro corpi erano incastrati tanto quanto i loro cuori, adattandosi l’uno all’altro come si adatta un puzzle al proprio pezzo mancante, sentendosi entrambi completi. Una sensazione che entrambi stavano aspettando da troppo tempo e alla quale non avrebbero rinunciato tanto facilmente.
“Possiamo provare a cuocere i popcorn rimanendo in questa posizione.”
“O potremmo rimanere in questa posizione e infischiarcene dei popcorn.” Suggerì Alec, facendo ridere Magnus.
“La tua idea mi piace di più.” L’orientale sfregò la punta del suo naso contro quella di Alec, nell’imitazione di un bacio all’eschimese.
“Quindi Scorsese, eh?” iniziò, un principio di sorriso sulle sue labbra. Alec alzò gli occhi al cielo.
“Esagerano, come sempre. Una volta ho affittato Gangs of New York e Izzy si è addormentata, mentre Jace ha continuato a fare domande per tutta la durata del film perché si alzava ogni tre secondi e perdeva pezzi fondamentali della trama.”
“Dev’essere uno strazio guardare film con loro.”
Alec rise: “Devi solo evitare Scorsese.”
“Evitare Scorsese è come evitare metà della filmografia di DiCaprio. Il che è un peccato mortale.”
“Esatto!” esclamò Alec, nella voce l’enfasi carica di complicità di due che si trovavano d’accordo.
“Vorrà dire che userò questo pretesto per averti tutto per me. Ti corromperò con i film di Scorsese.”
“Non ti serve corrompermi per avermi tutto per te.”
Magnus fu colto da un brivido lungo tutta la schiena non appena quelle parole, pronunciate con una sincerità disarmante, gli arrivarono dritte alle orecchie come un’affettuosa carezza. Strinse Alec ancora di più a sé e catturò nuovamente le sue labbra, che si schiusero con più velocità questa volta e gli lasciarono più spazio di azione, dal momento che ogni centimetro di Alec, adesso, sembrava più rilassato. Lo baciò con più cura, questa volta, lentamente e assaggiando ogni parte della sua bocca, esplorandola con devozione, come se volesse carpirne ogni segreto e, allo stesso tempo, volesse rendere l’esperienza il più piacevole possibile per Alec.
Ed era sorprendente il modo in cui Alec assecondava i movimenti della sua lingua, come se entrambi altro non aspettassero altro che entrare in contatto con qualcosa che i loro cuori già conoscevano, ma i loro corpi toccavano per la prima volta. Baciare Alec era come baciare la felicità, era come baciare quella tenerezza che Magnus non provava da tanto tempo, nonostante la sua giovane età.
“Sei buono,” gli disse quando si staccarono, “Avevo il sospetto che lo fossi, ma non pensavo lo fossi così tanto.” Confessò e Alec arrossì, sorridendo timido. La sua bellezza, si trovò a pensare Magnus, rapito da quel viso radioso che si illuminava in tutta la sua interezza quando Alec sorrideva, era eterea. Era qualcosa che esulava dall’umano, qualcosa che era sicuramente la testimonianza del passaggio in terra del divino. La creazione di un Dio così soddisfatto del proprio operato da sentire la necessità di lasciare uno stampo, un marchio, imprimendo nel sorriso di Alexander Lightwood tutta la bellezza delle sfere celesti, delle albe e dei tramonti. Non riusciva a spiegarsi tale meraviglia, se non ricorrendo a una spiegazione che ne aveva dell’angelico. E dire che non si reputava un credente sfegatato.
“Mi fissi, Magnus.”
“Be’, di questo devi solo incolpare la tua straordinaria bellezza, piccola meringa caramellata.”
Alec scoppiò a ridere. Una risata entusiasta, priva di qualsiasi controllo che smorzasse il suo volume. Era una risata genuina, spontanea, bella da morire. E Magnus sentì il cuore esplodergli di gioia, quando quel suono paradisiaco raggiunse le sue orecchie.  
“Perché?”
“Chiedilo al tuo DNA perché, mica è colpa mia se sei bello!”
“Non intendevo quello. Intendevo: perché meringa caramellata?” Alec ancora rideva, una lacrima faceva capolino all’angolo dell’occhio. Magnus gliela accarezzò via con il pollice.
“Perché mi piace!”
“È il peggiore di tutti quelli che hai trovato fino ad ora, lasciatelo dire.”
Una smorfia attraversò i tratti del maggiore, qualcosa che ricordò ad Alec lo sguardo predatorio dei felini.
“Ah sì?” domandò Magnus, un sopracciglio alzato.
“Sì.” Confermò il moro e Magnus allora partì alla carica: le sue braccia scesero verso il costato di Alec dove le proprie dita cominciarono a punzecchiare le costole, facendo saltare Alec come se fosse stato colpito da una miriade di scariche elettriche. Magnus fu soddisfatto nel costatare che soffriva tremendamente il solletico.
“Basta!” disse, non riuscendo a trattenere le risate e provando a scacciare via le mani di Magnus che nel mentre sembrava essersi trasformato in una specie di polpo. Le sue mani, infatti, sembravano riuscissero a toccare Alec ovunque.
“Solo se mi permetterai di chiamarti come voglio.”
“A patto che tu non lo faccia in pubblico!”
Magnus arrestò improvvisamente la sua lotta a base di solletico: “Mi sta bene.”
“Sei cattivo,” gli disse Alec, un adorabile broncio che gli incurvava il labbro inferiore. Magnus glielo afferrò con i denti, non riuscendo a trattenersi, e lo succhiò leggermente.
“Tu non sai quanto,” gli sussurrò e Alec si sentì letteralmente morire. Sapeva che il tono gutturale con cui Magnus aveva pronunciato quella frase andava inserito in un contesto che esulava dal solletico e comprendeva ben altre attività fisiche che Alec ancora non aveva sperimentato. E una parte di lui lo mandò nel panico, facendo insinuare nel suo cervello l’idea che non fosse abbastanza, che fossero incompatibili, che niente di ciò che aveva Alec da offrire era sufficiente per Magnus. Ma quei pensieri che gli stavano facendo formicolare nelle gambe la voglia di scappare, vennero sopraffatti da un’altra emozione, che lo colpì e gli fece saltare il cuore come un balzo nel vuoto: eccitazione. L’eccitazione di una cosa nuova, di tutti i sentimenti che si mischiavano nel suo cuore in questo esatto momento: felicità, appagamento, curiosità, serenità. Alec stava bene, come non gli capitava da moltissimo tempo, ormai. E non voleva rinunciare a tutto questo solo perché aveva paura di essere bloccato dalla sua inesperienza. Avrebbe imparato, ne era sicuro. Era tutto nuovo, ma non per questo doveva necessariamente essere spaventoso. Quell’impressione derivava soprattutto dalle sensazioni che il tono usato da Magnus gli avevano fatto provare. Una strana stretta allo stomaco che si era propagata calda per tutto il suo corpo fino a raggiungere il basso ventre, che aveva sentito vibrare in una maniera vergognosa.
“Magari lo scoprirò, un giorno.”
Una scintilla attraversò le iridi di Magnus, rendendole – se possibile – ancora più lucenti.
“Solo quando – e se – vorrai, pasticcino. Non abbiamo fretta, giusto?”
“Giusto.”
Magnus appoggiò di nuovo la fronte contro la sua, in un gesto che nel giro di pochissimo tempo era diventato il loro modo di avvicinarsi l’uno all’altro, qualcosa che dava conforto ad entrambi e andava a sfamare, almeno in parte, quel bisogno che avevano di sentirsi vicini. Era un modo di toccarsi piano, leggermente, entrando nello spazio vitale dell’altro quasi chiedendone il permesso – sebbene nessuno dei due avesse bisogno di farlo, dal momento che la presenza dell’uno era più gradita dall’altro – per poi far collidere i loro corpi con altre parti di loro stessi: fronte contro fronte, occhi negli occhi e bocca contro bocca, in quel contatto caldo e bagnato che sapeva di loro, dei loro sentimenti nascenti, delle parole ancora non dette, ma che non vedevano l’ora di dirsi, di quelle che invece non avrebbero mai preso forma perché in alcuni casi non c’è bisogno di parlare. E, ancora, erano baci, quelli, che avevano il sapore di quello che sarebbero diventati: una parte fondamentale l’uno della vita dell’altro, una presenza che avrebbero chiesto come l’aria, e che avrebbe impedito ad entrambi di farsi sopraffare dai propri demoni.




-----------------------
Ciao a tutti e ben ritrovati!
Allora... devo confessarvi che ho un po' d'ansia perché temo di non aver soddisfatto le vostre aspettative riguardo a questo famoso appuntamento, di cui si parla ormai da tre capitoli e quindi non vorrei avervi deluso! Nel caso, accetto il lancio di uova in testa! :'D 
In questo capitolo, inoltre, ho inserito qualcosina riguardante il passato di Magnus che, sebbene non potrà essere come quello della serie, perché ovviamente non è uno stregone (xD), farò adattare ad una storia più mondana, diciamo così! 
Arriveranno anche momenti tristi, ma non tragici... diciamo quei momenti necessari affinché due persone si conoscano a fondo e imparino ad amare anche la parte oscura della persona che hanno al loro fianco "And if I show you my dark side, will you still hold me tonight? / And if I open my heart to you and show you my weak side, what would you do?" dicono i Pink Floyd ed è una cosa che mi piacerebbe tanto applicare anche a Magnus che Alec, che indipendentemente dall'universo in cui si trovano, dalle cose che si raccontano, troveranno sempre il modo di stare insieme (momento smieloso). 
In questo capitolo, è presente anche una citazione dei libri (Mi considero un bisessuale disinvolto) che ho voluto inserire perché mi piace tantissimo! 
Come sempre, vorrei ringraziare chiunque abbia messo la storia tra i preferiti/seguiti e chi trova sempre il tempo per recensire perché sapere che ci siete mi fa davvero molto, molto, molto piacere! Inoltre i vostri commenti sono sempre tanto gentili <3 
Spero che questo capitolo sia stato almeno un po' di vostro gradimento, fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va! 
Alla prossima <3 

P.S. Chiedo scusa per le innumerevoli volte in cui nomino gli occhi di Alec, ma il fatto è che adoro gli occhi di Matthew e volevo che fossero un po' protagonisti, insieme al loro bellissimo colore! 
Inoltre, ho letto le vostre idee riguardo possibili incontri su Alec e Magnus e troverò il modo di inserirle perché sono tanto carine :3 (la proposta è sempre aperta, quindi sentitevi liberi di suggerire qualche idea!)  


 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: Roscoe24