僕は孤独さ – No Signal
❖
Quinto intermezzo: Distacco
Parte seconda.
Gli
spallacci della tuta anti sommossa gli parevano opprimenti, come se, sotto di
essi, il suo kakou stesse scalpitando dalla voglia di
entrare in azione. Non era una sensazione piacevole e adrenalinica, però.
Urie
era conscio di non sentirsi a suo agio in quella situazione. Aveva come una
brutta sensazione, un pensiero che non lo faceva concentrare. Si era svegliato
quella mattina stessa con la consapevolezza che quell’operazione, a tratti
semplice in modo quasi imbarazzante se comparata a molte altre che aveva
affrontato, sarebbe andata comunque in malora. Una sensazione di schiacciamento al petto lo opprimeva, mentre si sentiva quasi sovraccaricato dalla
mole di lavoro che aveva dovuto portare avanti nelle ultime sei ore. Aveva
avvertito la squadra che avrebbero lavorato in notturna, li aveva scortati come
criminali fino alla sede centrale, senza proferire parola, e lì il classe
speciale Aura aveva spiegato loro e a tutti i partecipanti ciò che sarebbe
successo.
Non
era poi stato permesso loro di parlare con nessuno al di fuori di quella
stanza. Si sentiva in colpa, Urie. Stavano trattando i suoi uomini come dei
sospettati, ma quello era un trampolino di lancio per capire quanto vantaggio
avesse l’Albero di Aogiri su di loro. Nessuno doveva sapere niente, eccetto i
quattro capisquadra e il direttore Yoshitoki Washuu.
Fu
proprio la voce di quest’ultimo a riportarlo con i piedi sulla terra ferma,
ridestandolo dai pensieri che lo assillavano da giorni insieme al senso di
colpa. Aveva richiesto la loro attenzione e quando Urie si era ritrovato
accanto Itou, aveva letto sul viso del prima classe
la stessa amarezza che decorava il suo.
«La
missione avrà inizio fra pochi minuti», stava nel frattempo dicendo il
direttore del bureau, in mezzo a loro. A occhio e croce dovevano essere meno di
una trentina di uomini, ma i quinx potevano essere
considerai più di una singola unità. «Secondo le vedette sui palazzi qui
attorno, non ci sono stati spostamenti nell’arco delle ultime tre ore. Solo un
paio di accessi all’interno della struttura, ma non hanno contato più di otto o
nove ostili in tutto. Non possiamo sapere quanti ghoul ci siamo effettivamente
dentro quel palazzo, però possiamo farli uscire allo scoperto per scoprirlo. Io
rimarrò nel furgone delle comunicazioni radio per coordinare le operazioni.
Primo livello Urie, come da accordi, guiderai l’avanguardia nella pineta,
seguito dalla squadra Itou che avrà il compito di
proteggervi alle spalle. Dei fianchi si occuperà la squadra Aura, mentre la
squadra Jaina rimarrà nella retroguardia, per
impedire una sortita nemica da dietro. A quanto sembra, non si aspettano niente
di ciò che sta per accadere. È tutto molto tranquillo, ma questa eccessiva di
tranquillità mi rende nervoso.» L’uomo fece una pausa, guardando in faccia i
suoi capisquadra, prima di proseguire. «Non vi negherò che le peggiori
operazioni mai condotte dal ccg sono iniziate esattamente così. Come la quiete
prima della tempesta. In ogni caso, sono in contatto con il classe speciale
Arima. La S3 e la S0 sono a nostra disposizione, con un tempo di arrivo di una
decina di minuti, in caso di bisogno. Non li abbiamo fatti avanzare per evitare
di mettere in allarme i ghoul. Non vogliamo che chiamino i rinforzi,
scoprendoci.»
«E
conoscendo Arima arriverebbe in elicottero», a parlare era stato un ragazzo
giovane, con i capelli blu elettrico che spuntavano sulla fronte da sotto il
casco.
«Ascolta
in silenzio, Ikari», lo aveva arguito un suo
superiore e questi l’aveva fatto, ma non prima di lanciare uno sguardo complice
a Urie. Complicità che non venne ricambiata con nulla, se non con serietà.
«Dividetevi
nelle vostre squadre. Appena le vedette segnaleranno il via, inizieremo. Urie,
a te il primo lancio. Segna un home run di apetura, ok?»
«Non
mi interesso di baseball, direttore», rispose il quinx,
serio. «Ma posso assicurarle che non ne lascerò scappare nessuno e che nel
minor tempo possibile sarò dentro quel palazzo.»
Yoshitoki
sorrise appena, prima di dargli le spalle. «Ne sono certo. Vediamo di fare in
fretta, non voglio dover chiamare nemmeno una vedova, stanotte.»
Urie
attese di vederlo entrare nel camioncino, parcheggiato tatticamente dietro una
cancellata, prima di girare sui tacchi e richiamare i suoi uomini. «Avanzeremo
in direzione nord ovest lentamente», iniziò a spiegare loro, mentre infilava il
cappotto nero sopra alla tuta, muovendo le spalle per allineare il taglio nella
stoffa che avrebbe permesso al suo kagune di uscire senza recidere nemmeno uno
degli strati che indossava. «Come avanguardia, è nostro dovere eliminare potenziali
ostacoli lungo strada. Li abbatteremo nel modo più silenzioso possibile e
quando arriveremo alla porta, aspetteremo la squadra Itou
per irrompere. Lavoreremo meglio con loro.»
Un
attimo veloce e il flash della battaglia contro Noro gli attraversò la mente,
gelandogli il sangue. Sembrava l’inizio di un brutto racconto, che non voleva
ascoltare di nuovo. «Tutto ok,
caposquadra?», chiese Higemaru nervoso, tenendosi una
mano sull’elmetto che gli andava un po’ largo.
«Sì»,
rispose velocemente Kuki, riprendendo il controllo della situazione. «Come
stavo dicendo, avanzeremo piano, silenziosi. Saiko, voglio che tu e Higemaru rimaniate almeno cinque metri dietro di me, con le
orecchie bene aperte. Non devono prenderci alle spalle. Aura, a te lascio la
parte centrare della formazione. Il tuo compito è quello di dare per primo
supporto a loro o a noi, in caso di attacco. Devi essere pronto a ogni
evenienza. Infine, io e Aiko guideremo il gruppo.» Ci fu un momento di
silenzio, uno stallo, mentre Urie realizzava e si schiariva la voce. «Hsiao»,
si corresse. «Io e Hsiao guideremo il gruppo. Domande?»
Higemaru alzò la mano, timidamente. «Se
dovessi andare in bagno?», domandò, con tono ironico.
«Spero
che tu ti sia messo un pannolone, giovane padawan»,
lo schernì bonariamente Yonebayashi, mentre Aura chinava il capo e andava ad
augurare buona fortuna alla zia.
Urie
rimase solo con la taiwanita, che lo continuava a
fissare con insistenza. «Non sei presente.»
«Sono
proprio qui», la ribeccò.
«Magari
col corpo, ma la tua mente è altrove.» Gli occhi sottili della ragazza
osservarono accuratamente il suo viso inespressivo. «Ti fa sentire a disagio il
fatto che il primo livello Masa non sia qui a darci appoggio, vero?»
«Ammetto
che un kagune come il suo ci sarebbe utile», le rispose Kuki, sistemandosi i
guanti neri, per poi appoggiare la mano destra su Ginsui.
«Sarebbe un appoggio molto prezioso, per non parlare del suo olfatto. Però non
sono turbato per la sua assenza, stavo solo pensando a una cosa che mi ha detto
un po’ di tempo fa.»
«Posso
sapere cosa, caposquadra?»
Lui
non esitò nel rispondere. «Butterfly effect», disse, semplicemente. «Una farfalla sbatte le
ali qui in Giappone e in Florida inizia a scatenersi
un uragano.»
«La
teoria del caos», confermò Ginny, incrociando le
braccia sotto al seno. Addosso aveva, come sempre, una sottile tuta di pelle.
Non sembrava avere freddo, né sentire il bisogno di una divisa che la
proteggesse maggiormente. «Ci credi?»
«Lei
ci crede», fu la risposta del caposquadra. «Almeno, questo è quello che mi ha
detto. Non ricordo quando me lo ha detto, forse prima dell’inizio
dell’operazione Kamata, ma ricordo che farneticò qualcosa
sul fatto che le modificazioni dei fattori iniziali all’interno di un sistema
fisico o un modello matematico portano a variazioni a lungo termine nell’intero
sistema.»
La
taiwanita sorrise leggermente, incurvando di
pochissimo le labbra. «Quindi sei preoccupato perché lei non è qui.»
«Sono
terrorizzato che questo cambiamento dalla condizione iniziale possa portare a
un disastro, lo ammetto. Non volevo diventare così dipendente da un’altra
persona. L’ultima me l’hanno portata via e io odio la sensazione di impotenza
che si prova nell’essere soli.» Ginny si stupì molto
per quella confessione. Però non avevano più tempo.
Yoshitoki
parlò nei loro auricolari e l’operazione per lo sgombro della diciannovesima
ebbe inizio.
❖
La
pineta era silenziosa e buia. La luna filtrava a malapena attraverso le fronde
fitte, rendendo molto complicato per loro continuare a mantenere un percorso
diritto. L’obbligo di non utilizzare torce o altre luci artificiali per non
segnalare la loro posizione stava diventando più uno svantaggio che un
vantaggio.
Urie
teneva le orecchie così tese da iniziare ad avvertire un mal di testa
fastidioso. Il passo più pesante lo stava tenendo Aura, ma per quanto lui
l’avesse intimato di fare attenzione, il giovane agente non poteva fare meglio
di così, forse anche a causa della sua stazza e non solo per la poca esperienza.
Ad
ogni modo, Urie iniziò a convincersi che non avrebbero incontrato nessuno fino
allo spazio sgombro dagli alberi che li divideva dalla porta di accesso allo
stabile.
Non
c’erano odori nell’aria, né rumori nel vento. I loro occhi non scorsero
movimenti.
Ormai
che l’estate si era conclusa, nemmeno le cicale erano disposte a far loro
compagnia.
Arrivarono
senza intoppi in uno spiazzo, un piccolo parco giochi seminato di attrazioni
per bambini e Urie diede l’ordine di aggirarlo, dopo aver comunicato la loro
posizione a Itou. Stava già puntando il sentierino che li avrebbe portati fuori dal labirinto
sempreverde, quando Hsiao lo bloccò, premendogli una mano sul braccio. Il caposquadra
seguì con lo sguardo quello fisso della taiwanita,
prima di alzare il pugno di scatto, per fermare Aura dall’uscire a sua volta
allo scoperto.
A
pochi metri da loro, seduta su una altalena, una figura ammantata di bianco se
ne stava immobile. Il capo incassato fra le spalle e le mani bendate strette
alle catene statiche furono le sole cose che Urie notò distintamente. Anche le
gambe sembravano avvolte dalle garze, ma il pastrano largo che la avvolgeva
rendeva difficile comprendere se si trattasse di un uomo o una donna.
L’odore
che aveva però era forte, penetrante. Urie capì da esso il sesso
dell’avversaria. Non aveva mai sentito niente del genere, ma il liquido secreto
dal kagune che doveva avere impregnato il tessuto della garza era indescrivibile.
Intenso.
Acre.
Senza
pensarci due volte, sfoderò la katana, che fendette l’aria in un sibilo. Il
ghoul alzò il capo a quel punto e si alzò lentamente.
«Non
fare una mossa!», la ammonì subito Kuki, mentre anche Hsiao si preparava, posizionandosi
al suo fianco con le lame sguainate lungo gli avambracci. Il ghoul parve non
sentirlo, mentre si voltava lentamente verso di lui, portando le mano al
cappuccio, che iniziò a calare. «Ho detto di non muoverti!»
Un
paio di occhi di un nero pece dalle iridi rosse incontrarono i suoi. Erano la
sola cosa a essere scoperta, in quel dedalo di candide bende, che rivestivano
il capo dal naso in su. A coprire la bocca c’era invece una maschera di cuoio,
con un grottesco sorriso cucito sopra.
«Labbra Cucite», sibilò il quinx, puntandole contro la punta della lama. «Come sapevi
che saremmo venuti?», chiese, senza ottenere risposta. La figura non si mosse
nemmeno. «Sto per ridurre il tuo corpo in pezzi, nutrendo la mia spada. Non c’è
proprio niente che tu voglia dire prima di morire, ghoul?»
Di
nuovo, nemmeno una parola uscì da dietro quella maschera. Semplicemente, Labbra
Cucite portò il dito indice di fronte ai punti sul cuoio, come a intimarlo di
tacere. Inasprito, Urie fece per attaccare, ma la partner lo fermò.
Il
misterioso alfiere di Aogiri stava ora indicando con brevi cenni del capo e con
occhiate palesi alle loro spalle. Poi tutto attorno a loro, in alto. Quando
Urie sollevò lo sguardo, si ritrovò ad incontrare quello di almeno un centinaio
di ghoul appostati fra le fronde alte dei pini.
Erano
caduti in una imboscata.
La
spia aveva colpito nuovamente.
«Quinx,
in formazione!», gridò, sperando di fare in tempo. Qualcosa di molto simile a
una catena di acciaio colpì forte il viso di Aura mentre li raggiungeva,
facendolo cadere a terra. Da sopra l’altalena, sulla quale era saltato con un
agile balzo, il Soldato iniziò a fare oscillare il suo lungo bikakou.
«Iniziamo, mia signora?»
Gli
occhi del ghoul saettarono di nuovo su Urie.
Poi
con un cenno del mento, venne scatenato l’inferno.
Kuramoto
non era arrivato ancora nel punto nel quale avrebbero dovuto aspettare il via
libera dell’avanguardia, quando nell’auricolare la voce di Yonebayashi annunciò
l’attacco nemico.
-Sono
più di cento! Quello cos’è? Aspettate!-
Un
boato fece tremare la terra, mentre la notte iniziava a brillare di un colore
iridescente oltre le cime degli alberi.
«Sbrighiamoci,
hanno bisogno di noi!», ordinò Kuramoto, estraendo Senza dalla valigetta e
iniziando ad avanzare di corsa, evitando rami bassi e radici esposte. Ciò che
lui e Takeomi, i primi ad arrivare sul posto, si trovarono di fronte, fu
aberrante. Fra i quinx e i ghoul si era alzata una
colonna di fuoco, lunga come una serpentina stradale, che abbracciava la curva
morbida dello spiazzo arrivando a minacciare gli alberi.
«Primo
livello Urie!», urlò Kuramoto, avvicinandosi di corsa al ragazzo, chino a terra
con entrambe le mani sul viso. Quando le scostò per controllare la ferita del
collega, la carne delle guance e della fronte che aveva subito danni a causa
dell’incendio si stava già rimarginando da sola. Il biondo cercò di non
prestarci troppa attenzione, certo che la natura dell’altro lo avrebbe aiutato
a star meglio in fretta. «Il direttore vuole che combattiamo, cosa facciamo?»
Urie
non esitò. «Faremo ciò che ci è stato ordinato», sibilò iracondo, con gli occhi
serpentini fissi sulla figura del boss
della circoscrizione. Non aveva parlato, non si era mossa. Lo osservava dietro
quelle iridi totalmente prive di emozioni, dall’altra parte delle fiamme.
Fiamme che si aprirono in un secondo quando, con un colpo deciso, Noro le
tagliò sferzandole e spegnendole. Il capo dei quinx
approfittò del passaggio, lanciandosi con entrambe le mani sull’elsa.
«Obiettivo individuato! Livello SS+ Labbra Cucite, rinkakou!»
La
formazione prevedeva il suo attacco frontale.
Solitamente
il solo attacco di Urie bastava per fermare qualsiasi ghoul. Ginsui non aveva mai fallito.
«Urie
aspetta!», urlò Kuramoto. «Non sappiamo se queste informazioni sono vere!» Il
biondo non poté in ogni caso andare in supporto ai quinx.
Il kagune di Kenta avvolse le sue caviglie, facendolo
cadere in avanti. Takeomi colpì con forza quella catena di cellule rc con la sua quinque, ma non si spezzò. Quando una seconda
lenza avvolse anche lui, prese a divincolarsi.
«Signori,
andiamo! Non vi va di giocare un po’?», domandò retorico il Soldato da dietro
la maschera antigas, che lasciava però liberi gli occhi vibranti. Tirò verso di
sé i due investigatori, mentre attorno a loro il resto della squadra Itou iniziava a schermarsi dagli attacchi di almeno una
dozzina di ghoul, scesi dagli alberi.
I
rimanenti non si spostavano dalle loro posizioni.
Il
fuoco riprese ad ardere come dotato di sua coscienza, una volta che Firestone
lo alimentò. Labbra Cucite gli permise di chiudere i quinx
oltre la barriera incandescente, contro lei e solo lei. Si scambiarono uno
sguardo e poi Nishijima diede le spalle al
combattimento, andando verso il palazzo con l’incarico di far detonare tutto.
Urie
non lo avrebbe permesso. «Higemaru, fermalo!»
«Sì,
caposquadra!» Dandosi la spinta con il solo uso del suo kagune, il giovane quinx avanzò sulla destra. L’ukakuo
incandescente di Firestone brillò forte mentre questi si voltava a guardarlo
attraverso gli occhiali fatti di vetro scuro temperato. Non servì però che
usasse il suo fuoco contro Touma.
Labbra
Cucite fu più veloce, saltando sulla schiena del giovane e premendolo a terra
con entrambi i piedi. La gabbia toracica di Higemaru
venne premuta contro il pavimento erboso e a lui scappò un rantolo.
«Hige!», chiamarono in coro Urie e Yonebayashi, mentre
Labbra Cucite si chinava su di lui, tenendogli il viso premuto contro il
terreno.
«Nǐ qù nǎr?», sussurrò in un farsetto che
suonò finto anche alle sue orecchie. Avrebbe potuto evitarlo, perché quando
parlava in cinese il tono si ammorbidiva e si faceva piccolo e remissivo.
Perché le ricordava Tatara.
«Lascialo!»,
a lanciarsi contro di lei fu Aura, richiamato dal caposquadra, che però non
riuscì ad impedirgli di rompere la formazione. Aiko schivò il colpo di kagune
che il grosso quinx le sferrò contro, esibendosi in
una rondata all’indietro e salendo con un balzo agile
sullo schienale di una panchina.
Quando
Aura ci riprovò, ora più sicuro in quanto l’aveva allontanata da Higemaru, lei sfruttò la sua avventatezza. Saltò e gli sbattè forte il capo già provato dal colpo infertogli da Kenta contro il legno della seduta, spaccandone due assi.
Due fuori gioco,
ne mancavano tre.
Sapendo
che Saiko stava caricando un colpo, Masa
fece cenno a Kenta
e lui capì perfettamente che avrebbe dovuto distrarre abbastanza la ragazza.
Ciò che non si aspettava, però, fu Hsiao.
La
taiwanita si lanciò verso di lei con entrambe le lame
sguainate, riuscendo a tagliare la stoffa del pastrano bianco che indossava, ma
non riuscendo a prenderle il volto. In tutto questo, Aiko sapeva che Hsiao
stava solo cercando di farla posizionare in modo che Urie potesse usare Ginsui. Doveva quindi agire velocemente. Alzò il braccio
sinistro e fece un altro cenno al ghoul rosso, che stava tenendo per i codini
la povera Saiko.
«Mostro!»,
urlò Kenta, apparentemente verso il cielo. «Dove sei?
Mostro!»
Aiko
schivò un colpo molto preciso di Ginny, realizzando
che la donna non puntava a ucciderla. Ma a tagliare le bende del suo braccio
sinistro, laddove aveva tatuato un crisantemo delle tonalità del rosa. Un
brivido le attraversò schiena, temendo di venire scoperta.
Per
fortuna, proprio quando rischiò di essere messa all’angolo dalla superiorità
indiscutibile di Hsiao, dal cielo piombò la sua salvezza.
«Il
livello SS+, T-Owl!»,
uggiolò Higemaru, mentre cercava di aiutare Aura a
rimettersi in piedi.
«Puoi
chiamarmi Seidou se vuoi», sghignazzò senza pudore il Gufo Pazzo, frapponendosi
fra la taiwanita e Aiko. «E voi come dovrei
chiamarmi? Cavie da laboratorio? Sacchi
di merda?»
Aiko
appoggiò una mano sulla sua spalla, sussurrandogli qualcosa di impercettibile
all’orecchio, prima di indietreggiare di qualche passo. Il sorriso di Takizawa si smorzò appena, mentre assumeva un broncio quasi
tragicomico, poi sbuffò, alzando in pugni in come per sfottere la taiwanita. «Se non posso rompere questo bel ananas, tanto
vale che non sprechi nemmeno il mio kag-»
Un
poderoso calcio in viso lo fece rotolare per qualche metro, ma Ginny non aveva ancora abbassato la gamba quanto alla sua
schiena si attaccò Shikorae.
Labbra
Cucite stava intanto lasciando il campo di battaglia, stretta nella mantella.
«Vai!»,
urlò la Higemaru ad Urie, che tentava di tenere
lontano Kenta da Saiko, mentre questi si muoveva
quasi come se stesse ballando divertito delle loro disavventure.
«Ci
pensiamo noi qui!», le diede man forte Hsiao mentre si dimenava per liberarsi
di Rio e schivava due colpi di Seidou. Anche Aura sembrava aver riacquistato lucidità.
«Ora
ricordo!», Urie staccò a forza viva Shikorae dalla
partner scaraventando addosso a Takizawa e
bloccandoli entrambi per qualche momento, prima di guardare Hsiao negli occhi. «Ora
ricordo quando Aiko mi ha parlato del Butterfly Effect. Prima dell’inizio della battaglia al Lunar
Eclipse.»
«Non
finirà come allora. Vai, non fare andare via Labbra Cucite. Ci pensiamo noi
qui.»
Il
caposquadra guardò restio gli occhi sottili di Hsiao, ma questa interruppe il
contatto, schivando un nuovo attacco di Seidou e impedendo a Shokorae di seguire Urie quando questi prese a correre
verso il punto in cui la donna coperta di bende era sparita.
Non
poteva essersi allontanata troppo, pensava il ragazzo. Si stupì comunque quando
riuscì a raggiungerla. Non sembrava che avesse nemmeno provato a scappare. Stava
camminando lungo il sentiero che costeggiava il lato della laterale
all’edificio che stavano cercando disperatamente di raggiungere. Non si fermò
al suo richiamo. Non lo fece nemmeno quando la raggiunse. Allungò la mano per
afferrarla e sbatterla contro il suolo o la corteccia di un pino, ma questa
schivò in modo fluido ogni singolo tentativo. Non si sarebbe fatta prendere?
Era quello il messaggio.
Allora muori,
stupida stronza. Come osi sottovalutarmi in questo modo?
Con
la mano destra afferrò l’elsa di Ginsui, estraendola
dal fodero contenitivo, rivestito di acciaio quinque. Un vortice di cellule rc nere si generò, mentre lui spostava di poco il piede di
appoggio e si preparava a lanciarle contro tutta la forza dell’arma. E lo fece,
cieco di rabbia, con un ringhio che gli partiva dal centro del petto, quando
realizzò che quella creatura mostruosa aveva aperto le braccia, come ad
invitarlo ad attaccare.
«Muori!»
La
bocca di Noro si spalancò mentre
saettava nella direzione della preda. Poi accadde qualcosa di
imprevisto.
Labbra
Cucite lasciò cadere il pastrano, rivelando che anche sotto di esso era avvolta
da metri e metri di garza. Non aveva altro addosso, se non quella e una spada
dalla lama che andava allargandosi in punta, ricurva, a penderle sul fianco.
La
quinque non la attaccò. Ginsui non la morse.
Al
contrario ebbe una battuta di arresto e poi tornò indietro, violentemente. Urie
fu costretto a buttarsi di lato per schivare i denti della sua stessa arma che
si era rifiutata di attaccare Labbra Cucite. Come era possibile? Come aveva
rigirato la sua stessa quinque contro di lui? Non aveva il tempo di
chiederselo.
L’avversaria
aveva estratto la lama e, nel poco tempo che lui ci aveva messo a metabolizzare
l’accaduto, si era posizionata. Poi aveva allungato una mano e aveva fatto
cenno al giovane di farsi sotto.
Non provocarmi.
Non sottovalutarmi. Non sfidarmi!
Urie
conficcò la katana nel terriccio, alzandosi e abbandonando la sua quinque ora
inutilizzabile. Aveva già il kagune estratto quando prese a correre nella
direzione della donna, sulla quale si avventò senza pietà. Lei si protese all’indietro,
parando ogni colpo con la spada, che non si ruppe né si scheggiò ogni qualvolta
entrava in contatto con il kakukou del giovane
investigatore.
Deve essere di
acciaio quinque, non c’è dubbio. Perché non usa il suo kagune? Perché non mi
affronta con quello? È un rinkakou, no? Dovrebbe
sapere di avere un vantaggio su di me. Eppure schiva e non attacca…
Una
pessima sensazione si fece largo dentro al petto di Urie, come uno stagno nero
senza fondo pronto ad inghiottirlo. Non conosceva l’arte della spada che Labbra
Cucite pareva padroneggiare con eleganza, però sentiva di conoscere le dita
lunghe e sottili che stringevano con presa raffinata l’elsa. Non sapeva cosa ci
fosse sotto quella maschera, però notò che l’occhio destro era strano. Quando
le fu abbastanza vicino da fissarlo intensamente, gli parve che l’iride fosse
più rossa della sinistra. E la pupilla meno dilatata.
Ci
pensò su un secondo di troppo però.
Un
dolore acuto al viso gli fece capire che l’avversaria aveva sfruttato la sua
distrazione. L’aveva colpito con un pugno deciso alla guancia, per poi
trafiggerlo nella gamba destra. Urie cadde in
ginocchio, ma non sarebbe andato giù da solo. Riuscì ad aggrapparsi alle
bende sulla spalla della giovane, strappandone via una manciata. Lei lo colpì
sul naso con l’elsa, annebbiandogli la vista per il dolore e poi concluse con
un calcio sulla tempia che lo mandò steso in terra.
Era
veloce, nonostante non fosse particolarmente forte e lo aveva colpito al volto
per mandarlo al tappeto. Gli sembrava un allenamento vissuto e rivussuto ancora. Mosse che si erano ripetute nel tempo, in
momenti indefinibili.
Mentre
il sangue gli colava dal naso sul mento fino al terreno, Urie spostò gli occhi
dilatati dall’orrore sulla figura. I loro occhi si incontrarono e lui notò che
erano molto truccati. Laddove le bende non toccavano la pelle per permetterle
di vedere, c’era del colorante di un nero intenso. Era quindi molto difficile
comprenderne la forma. Notò anche che stava di lato ora, con la spada nella
mano sinistra e la destra, ora scoperta dalle bende, nascosta alla sua vista.
La
sensazione di oppressione sul petto si acuì quando notò che lei stava tremando
leggermente.
«A-Aiko?»
Si
annullò tutto. L’operazione, i suoi uomini in pericolo, l’incendio che li stava
facendo retrocedere verso il lato est della pineta, l’insistente modo in cui i
ghoul sembravano più intenti a giocare con loro che ad affrontarli davvero.
Tutto
venne spazzato via e Urie provò paura. Una paura diversa da qualsiasi altra
avesse mai provato fino a quel momento. Più acuta di quella che aveva sentito
durante la sua prima missione, quando aveva per la prima volta ucciso un ghoul.
Più forte di quella che aveva provato quando si era sottoposto agli interventi
per diventare un Quinx, rinunciando alla sua natura umana per sempre, al fine
di ottenere più forza.
Fu
come sentire la terra mancare sotto ai suoi piedi, come se ogni fondamenta che
avesse sorretto la sua vita fino a quell’istante fosse venuta a mancare
improvvisamente.
Non
successe nulla.
Il
ghoul rimase fermo a guardarlo e Urie a guardare lei.
Entrambi
immobili.
Poi
un’esplosione potentissima squarciò totalmente la notte, assordandolo. Kuki
portò le mani alle orecchie, sensibili sette volte di più di quelle di un
normale essere umano, mentre stringeva di rimando gli occhi, accecati dalla
luce che aveva illuminato a giorno l’aeree attorno a lui.
Quando
tornò in sé, frastornato dall’acufene e dal dolore al
volto e alla gamba, comprese che cosa era successo. Laddove prima si poteva
avvistare il tetto della sede della diciannovesima circoscrizione del ccg, in
quel momento c’era solamente una nube di polvere che si stagliava verso l’alto
e verso la zona in cui i suoi stavano ancora combattendo.
Il
palazzo intero era scomparso, esploso.
Demolito,
per essere precisi.
Non
gli importò.
Era
rimasto solo. Labbra Cucite era svanita.
In
quel momento non era lucido, non era in sé. Sfilò dall’orecchio la trasmittente
e se ne sbarazzò, lanciandola a terra mentre si portava in ginocchio. Tenne una
mano sulla gamba ferita, mentre con l’altra prendeva il cellulare, al sicuro
nella tasca interna della tuta da assalto, che venne aperta all’altezza della
spalla sinistra per permettere alle sue dita di raggiungere goffamente
l’oggetto. Lo afferrò e poi lo passò nella mancina, coperta del suo stesso
sangue, mentre con i denti si strappava il guanto nero di dosso, sputandolo a
terra. Con le dita tremolanti compose a memoria un numero, avviando poi una
video chiamata.
Non è possibile.
Non è possibile. Non è possibile.
Ogni
squillo a vuoto fu un colpo al cuore.
Ogni
istante nel quale Masa non accettava quella chiamata, un altro colpo al viso.
Poi
la chiamata venne accettata e il volto stranito della ragazza fece capolino
sullo schermo.
-Kuki? Cosa sta succedendo? Non sei
nel bel mezzo di una missione?-
Una
testa castana apparve sopra alla spalla della mora, mentre questa continuava a
fissarlo in attesa di risposta, tenendo a mezz’aria la mano piena di popcorn.
–Primo livello Urie, ti senti bene? La tua faccia sembra un sacchetto di carne
tritata-, gli fece notare Tamaki, mentre un terzo uomo alto fece capolino,
appoggiandosi con gli avambracci allo schiena del divano, alle spalle degli
altri due.
«Sei
nella tredicesima», sussurrò con un filo di voce Urie, allibito.
Ero così sicuro….
-Dove
dovrei essere scusa? Tu, piuttosto, dove sei? Ti vedo appena. Sei ferito?-
«No
io-Sì. Però non importa. Io. Aiko perdonami, sono uno
stupido.»
Portò
una mano al volto, sentendosi così tanto sollevato da rischiare di poter
svenire, per tanto conforto gli stava dando quella chiamata assolutamente
contraria al regolamento e apparentemente priva di senso per l’agente Masa. In
sottofondo alla chiamata sentì distintamente la radio della ccg e la voce di
Saiko che annunciava che i ghoul avevano iniziato a ritirarsi.
«Stavate
seguendo l’operazione?»
-Certo
che lo stavamo facendo-, fu la risposta ovvia della mora, che mise i popcorn in
bocca a Mizurou, sistemandosi sul divano per poterlo
guardare meglio. –Mi stai spaventando. Perché mi hai chiamata nel mezzo di una
operazione?-
Non
c’erano scuse che potevano essere campate in aria. Così Urie semplicemente
sospirò.
«Perché
credevo di averti vista qui.»
Aiko
alzò entrambe le sopracciglia. –Pensavi che sarei venuta a salvarti?-, chiese
poi, retoricamente.
«No,
pensavo che-No, non importa. Devo vederti. Domani. Cerca di prenderti il
giorno.»
-Non
credo che a Suzuya basterà questo, per darmi il
giorno.-
-Vai
ora-, la voce di Tamaki rimbombò alla destra di Aiko, ora che il collega era
uscito dal campo visivo di Urie. –Mi sembra abbastanza importante. Ci pensiamo
noi a pararti le chiappe con Nakarai, domani
mattina.-
Urie
assisti passivamente al patto di Aiko e Mizurou, con
la promessa che lei si sarebbe sdebitata. Poi si ricordò che lui, tecnicamente,
era in servizio. «Non mi libererò prima di tre ore.»
-Fa
lo stesso-, gli rispose la mora, mentre saliva le scale. L’immagine si fece più
mossa, mentre percorreva il corridoio delle stanze. –Ti aspetto al solito
posto, va bene? Puoi raggiungermi quando finirà l’operazione.-
«Sì.
Sì, facciamo così.»
Aiko
guardò per un ultima volta lo schermo, prima di annuire. –A dopo, allora.
Adesso comunica dove sei, ti stanno cercando tutti.-
Lui
non fece in tempo a rispondere che la videochiamata venne interrotta. Si lasciò
scivolare a terra, con il cuore che batteva forte contro la gabbia toracica
compressa dalla divisa. Avrebbe voluto liberarsi del pettorale in cuoio, degli
spallacci e di tutta la tuta, ma si limitò al cappotto nero.
Poi
rimase steso a terra, con gli occhi puntati sul cielo stellato per circa due
minuti. Due minuti nei quali razionalizzò la situazione. Aiko era nella
tredicesima, l’aveva appena vista. Aiko non era Labbra Cucite, la sua mente gli
aveva fatto un pessimo scherzo.
Va tutto bene, mi
sono solo lasciato prendere troppo. Dovrei fare qualcosa, ma non credevo di
essere schiavo dei miei sentimenti in questo modo. Non credevo nemmeno di provare
dei sentimenti così forti…
«Caposquadra!
Finalmente!» La voce di Hige gli fece alzare il capo
dal terreno. «Sei ferito! Chiamo l’unità medica!»
«Non
serve», rispose Urie, tirandosi su e zoppicando fino a Ginsui.
Estrasse la katana dal terreno, rimettendola nel suo fodero in fretta, come se
temesse di vederla di nuovo scatenarsi contro di lui.
«Cosa
è successo? Hai perso la trasmittente, caposquadra?»
«Credo
di sì», mentì Urie. «Il combattimento è stato movimentato. Mi sarà caduta.
Purtroppo Labbra Cucite mi è scappata, Hige. La
demolizione del palazzo non l’avevo presa in considerazione.»
«L’importante
è che sei vivo.»
«Gli
altri come stanno?»
«Tutti
bene», rispose velocemente il ragazzo dai capelli pervinca, mentre lo faceva
appoggiare alla sua spalla e tornavano indietro, lungo il sentiero. «Nessuna
vittima. L’agente Itou ha fronteggiato il Ripper e il classe speciale Aura ha avuto il suo da fare
con Cesoie, però è strano, caposquadra. Ci hanno fatti arretrare e loro hanno perso
una dozzina di unità, mentre noi nessuno. Perché? »
Urie
sentì di nuovo il peso sul petto, che però venne spazzato via dal pensiero che
Aiko stava probabilmente preparandosi per uscire senza permesso dalla sua base
per raggiungerlo. «Non ne ho idea», rispose alla fine, demotivato.
Almeno
non avevano riportato apparentemente nessuna vittima, però la sconfitta era
stata cocente. Non avevano più una base da riconquistare e quindi ripulire la
circoscrizione senza sapere dove fosse il quartier generale sarebbe stato inutile
e dispendioso.
L’operazione
venne di fatto annullata poco dopo il suo rientro nei ranghi dell’avanguardia.
Chiusa
con una sonora sconfitta e uno schiaffo in viso al bureau.
La
spia aveva colpito ancora e in quell’occasione nessuno l’avrebbe passata liscia.
❖
Aiko
era certa di avere avvistato il volto conosciuto di Amon, nascosto dietro a un
angolo nella penombra di un lampione. Non si era comunque fermata per
domandargli se il suo amico Spaventapasseri fosse anch’esso nei dintorni per
godersi la scena di ciò che aveva contribuito a creare.
Aveva
continuato a correre a perdifiato per le strade del quartiere di Arakawa, diretta verso il punto di ritrovo che avevano
accordato con i capi delle sue Facce di Cuoio poco prima dell’inizio delle
danze. Sarebbe stato stupido tornare al quartier generale e rischiare così di
compromettere il bellissimo roseto che Kenta stava
coltivando ormai da anni. Non potevano sapere se qualche agente sarebbe
riuscito a seguire uno di loro o se fossero riusciti ad attaccare una
trasmittente sui loro vestiti durante lo scontro.
L’incontro
con Yamoto-Nagachika l’aveva resa molto paranoica a
riguardo.
Corse
e corse per quelle che le sembrarono ore, da un capo all’altro della
circoscrizione, strisciando fra i vicoli e scavalcandone i muri per non
incappare nelle volanti della polizia che pattugliava la zona, animata
dall’agitazione. Ci mise più di mezz’ora ad arrivare a destinazione e quando lo
fece saltò letteralmente da un muretto basso fin dentro a una finestra,
aggrappandosi ad essa e facendo leva sui gomiti per sollevarsi sul davanzale.
Si lasciò cadere sul pavimento sudicio, ansante e con il cuore che batteva così
forte da farle dolere la gabbia toracica. Chiuse gli occhi, distrutta, prima di
tirarsi a sedere, per strapparsi via dal volto le bende e liberarsi di
quell’oppressione insopportabile.
Le
buttò a terra, iniziando a srotolare anche quelle che avvolgevano ancora il
braccio sinistro, quando la porta alle sue spalle cigolò. Ancora su di giri per
l’adrenalina, la giovane si voltò a guardare chi fosse arrivato.
Di
fronte si trovò Uta, avvolto da un pastrano nero lungo e con in mano una borsa
di carta.
«Sei
stato veloce», commentò con una punta di sospetto Aiko, continuando il lavoro
di svestizione, senza vergognarsi nel mostrarsi nuda
di fronte a Senza Faccia. «Tutto è andato come avevamo concordato?»
«Anche
meglio», le rispose lui, sedendosi su una sedia sgangherata, vicino alla
finestra. «Come avevi previsto, ha voluto verificare che tu fossi dove dovevi
essere.»
«Ha
chiamato Suzuya?»
«Ha
videochiamato te.»
Con
un lancio calibrato, Uta le fece arrivare il cellulare fra le mani. Aiko lo
prese al volo, sbloccando lo schermo che era per di già un pugno nello stomaco,
visto che come sfondo aveva una foto sua e di Urie, scattata durante la festa
di galà della ccg. E pensare che lui si era anche rifiutato di farle da
accompagnatore ufficiale e lei aveva ripiegato su Aizawa,
sconsolato e atterrito, ma soprattutto alcolizzato. Lasciò perdere la foto, i
ricordi e i rimorsi, controllando che nessun messaggio fosse arrivato. Urie
sarebbe stato impegnato ancora per parecchio, aveva tempo. «Cosa devo fare ora?»
«Vi
siete accordati per incontrarvi al solito posto. Lui ti raggiungerà appena può.
Tu sei arrivata e hai fatto il check in circa
venticinque minuti fa. Lo stai
aspettando in camera, come da accordi. Piano quarto, seconda finestra sulla
sinistra, dal retro. Ho lasciato la portafinestra socchiusa.»
Aiko
prese nota mentale di tutte le informazioni, prima di sospirare. Si alzò in
piedi, abbassandosi la maschera sul collo ora nudo. Poi portò una mano
all’occhio destro e senza grazia si sfilò la lente dalla sclera nera e l’iride
rossa.
«Come
ti sei trovata con quella?»
«Non
so come ho fatto a resistere. Odio le lenti a contatto e questa è demoniaca.»
«Senza
avrebbero fatto un po’ di domande. Troppi sekigan di questi tempi, non pensi?»
Uta si alzò nuovamente, appoggiandole il pastrano sulle spalle per non
lasciarla nuda ed esposta. Poi le mise nella mano il sacchetto di carta. Dentro
c’era un cambio di vestiti. «Sei molto preoccupata, perché lui era molto
sconvolto durante la videochiamata», proseguì la scenetta il clown, girando due
volte sui tacchi e muovendo piano le mani. «Per questo ti sei infilata le prime
cose che hai trovato. Poi il tuo collega fissato con le stelle, Mika e l’altro,
quello coi capelli brutti, Mizurou, ti hanno portata
in auto fino all’albergo. Tutto chiaro?»
«No,
non tutto.» Aiko si voltò a fronteggiarlo, con l’ombretto nero che aveva usato
per mascherare il contorno dei suoi grandi occhi gialli che aveva ormai formato
una chiazza indistinta che colava sulle guance a causa del sudore. «Quando ti
ho chiesto di prendere il mio posto, di fingere di essere me, tu hai accettato
subito. Mi hai procurato una lente a contatto, hai sistemato la mia maschera
così che coprisse meglio il naso e hai anche fatto in modo che io fossi in due
posti contemporaneamente.»
«Esattamente»,
confermò Senza Faccia. «Ti stai chiedendo cosa voglio in cambio di tutto
questo, vero?»
Masa
annuì lentamente. «Hai detto che me lo avresti fatto sapere solo a missione
conclusa.»
«E
tu hai accettato, disperata.»
Gli
occhi gialli di Aiko si spostarono a terra. «Disperata è un termine un po’
forte.»
«Ma
solo una disperata si sarebbe indebitata con me senza sapere cosa volevo in
cambio.» Il clown continuava a guardarla con non curanza, chinandosi per
raccogliere un brandello di bende. Se lo rigirò fra le dita, «Ingegnoso usare
il profumo di Eto per confondere la quinque creata da Noro. Poi le bombe,
l’incendio per tenere isolati gli agenti… Il tuo
alibi nella casa di Suzuya. Sei fortunata che sia
andato a letto prima che potessimo cambiarci di posto, lui penso l’avrebbe
capito. Non sei più spavalda come quella volta all’Helter
Skelter. Cosa è successo? Hai fatto un brutto
incontro?»
«No,
non è successo nulla. Stai tergiversando però. Cosa vuoi in cambio?»
Uta
si tamburellò il labbro, «Proprio non lo so. Non mi piace battere cassa, se mi
capisci.»
Senza
pensarci due volte, Aiko prese una sacca da sotto un vecchio tavolo mangiato
dai tarli. «Qui dentro ci sono circa sette milioni di yen che Aogiri ha-»
«Non
mi interessano i soldi. Per me non hanno valore, agente Masa.»
«Allora
cosa vuoi?»
Uta
allargò le braccia, con un’espressione indescrivibile in viso. «Ancora non lo
so. Diciamo che tu, Labbra Cucite, devi un favore a me, Senza Faccia.»
La
mora sbuffò una mezza risata. «Ti prego Uta. Non ho voglia di fare questi
giochetti. Dimmi cosa vuoi ora e facciamola finita. Non voglio rimanere in
debito con uno come te.»
«Invece
ci rimarrai. Sono certo che quando i tempi saranno maturi, sarai tu a darmi
qualcosa che voglio.»
Sconfitta,
Aiko abbassò le spalle e il capo. «Come vuoi, va bene», gli concesse, sfinita.
Doveva farsi una doccia, lavare via l’odore di Eto dalla sua pelle e dai
capelli, liberarsi dell’ombretto e correre all’albergo. «Senza Faccia, Urie
nella videochiamata ha per caso-»
Non
terminò mai la frase. Nella stanza c’era rimasta solo lei.
Prese
un respiro profondo, riempiendo la gabbia toracica e facendo il punto della
situazione. Uta la teneva in scacco. Lo Spaventapasseri la teneva in scacco.
Eto la teneva in scacco.
Non
c’erano grandi aspettative per il suo futuro, così si limitò ad appoggiarsi
alla parete, con il pastrano nero stretto addosso e l’espressione greve. Rimase
immobile per qualche minuto, chiedendosi per cosa stesse lottando. Aveva
salvato i suoi amici e la sua circoscrizione. Aiko Masa e Labbra Cucite avevano
vinto entrambe.
Eppure
quella non sembrava una vittoria. Si sentiva sconfitta sotto ogni fronte.
Ricordando
le parole di Yamoto proprio riguardo i clown, Masa
comprese che aveva fatto bene a non fare menzione a Uta di un’importante
informazione della quale era venuta a conoscenza. Forse aveva una piccola arma
contro di lui.
Infondo
non ci credeva nemmeno lei.
«Capo?»
Kenta entrò nella stanza, tenendo in mano la
maschera. «Abbiamo un problema.»
«Ti
prego, non dirmelo.»
«Takizawa e Shikorae hanno
attaccato la retroguardia.»
Gli
occhi di Aiko si chiusero di nuovo. La vittoria si stava trasformando in un
incubo tremendo. «Quanti morti nella squadra Jaina?»
«Tutti.
Cesoie li ha recuperati e li sta riportando a Rue. Non chiedermi come, ma
Tatara lo è già venuto a sapere.»
Con
un gesto della mano, Aiko lo zittì. Non importava. Non aveva la forza di
pensare che aveva fallito per colpa di Shikorae. O di
Seidou, non faceva differenza. C’erano stati dei morti, altri morti ed era
indebitata con Senza Faccia per un favore enorme.
«Fai
ritirare tutti al quartier generale solo quando le colombe avranno lasciato la
circoscrizione. E lasciamo che Tatara vinca», lo superò, lasciando la stanza,
pronta a farsi una doccia per lavare via quella serata dalla pelle. «Il suo
posto non l’avrei comunque voluto.»
❖
Aiko
si era lavata per bene, strofinando la pelle sulle spalle fino a farla
arrossare.
Aveva
usato un bagnoschiuma forte, che odorava di pino, e uno shampoo alla lavanda.
Poi si era vestita con i suoi indumenti, che Uta aveva anche saputo abbinare,
prima di lasciare la struttura fatiscente per arrivare all’albergo. Non prese
la metropolitana per evitare le telecamere. Preferì cambiare tre volte il tram,
arrivando a destinazione dopo un’ora e venti di viaggio.
Comunque,
Urie non era ancora arrivato e lei era riuscita a sgattaiolare nella stanza
entrando dalla porta finestra socchiusa. Si era rifugiata in bagno, dove aveva
trovato un altro sacchettino lasciato da Uta con dentro un collirio. In
effetti, l’occhio nel quale aveva portato la lente a sclera, era leggermente
arrossato.
Per
sicurezza, ammorbata dalla paura di essere scoperta, fece una seconda doccia,
usando i prodotti offerti dall’albergo, per poi andare a sedersi sul letto. Al
notiziario stavano dando la notizia in esclusiva dell’assalto della
diciannovesima, quando accese il piccolo televisore posto di fronte al letto.
Non se ne stupì, fra l’incendio e la detonazione, l’intero Giappone si stava
chiedendo cosa diavolo avessero combinato quelli del ccg.
Ascoltò
con attenzione le parole del direttore Washuu in merito al’accaduto. Parole
colme di rassicurazioni, perché non c’erano stati caduti fra i cittadini. Per forza, pensò Aiko, io ho impedito che accadesse.
-Come
è stato possibile per i ghoul organizzare tutto questo?- stava chiedendo la
zelante giornalista dalle labbra rifatte che Masa era certa di non avere mai
visto.
Un’ombra
oscurò per un istante gli occhi già neri di Yoshitoki, mentre si preparava a
rispondere, appoggiando una mano sull’uniforme bianca immacolata, all’altezza
del petto. – Oggi abbiamo avuto
l’ennesima conferma che, fra le nostre fila, c’è un traditore. Una spia,
un’ignobile spia che mette a rischio la vita degli abitanti della città e di
quelli che dovrebbero essere i suoi colleghi per passare informazioni
all’Albero di Aogiri. Io, Yoshitoki Washuu, prometto alla città che da oggi ci
saranno più accortezze mirate all’individuazione di questo soggetto, il quale
verrà severamente punito per questo atto vile, con la più alta delle pene.
Troppi uomini sono caduti per colpa di uno solo e io scoprirò chi è stato.
Questa operazione ha tenuto un profilo basso, non sarà complesso avviare
un’istruttoria interna in merito. Ogni persona che ha anche solo udito un
sussurro verrà messa alla gogna, ad iniziare dalle squadre che hanno lavorato
sul caso.-
Aiko
era consapevole di aver sempre tenuto ben nascosta la sua doppia vita, ma per
sicurezza, non avrebbe mosso un passo verso Eto per qualche giorno. Tutto ciò
che poteva portare a lei era solamente Urie. Anche nel caso in cui lui avesse
ammesso di averle riportato il piano per intero, non avevano nulla a suo carico
per avviare un’istruttoria contro di lei. Né per pedinarla o altri escamotage che richiedevano non sono
prove concrete, ma anche una certa dose di fondi che non potevano venire
sprecati per un sospetto. Gli yen che venivano spesi in quelle operazioni fallimentari
erano un grande spreco, per il quale avrebbero dovuto rinunciare forse alla
loro caccia alle streghe. Per non contare il fatti che l’agente Masa era di
istanza nella tredicesima, perennemente controllata da Suzuya
che, per quanto ne sapeva lei, non si era mai accorto delle sue fughe notturne.
Quella sera, per la prima volta, era uscita senza il permesso di Nakarai, ma sarebbe passata solo per una fidanzata
apprensiva, non di certo per una spia.
No.
Masa
era stata molto attenta a non perdere quella maschera di spontanea bontà che
aveva prima che Eto le portasse via l’innocenza. Aizawa,
Komoto, Itou, Hirako, forse
persino Arima. Aveva conoscenze nel dipartimento e la sola persona ad aver mai
dubitato di lei era Noriko.
Noriko,
che non sarebbe stata difficile da uccidere se avesse anche solo provato a
formulare ipotesi o teorie insieme al classe speciale Marude. Ormai che i crimini
erano andati accumulandosi e la pila di corpi sotto ai suoi piedi era cresciuta
fino a sollevarla troppo in alto per farle provare qualcosa di più di un senso
di dispiacere e sconforto momentaneo, non avrebbe avuto remore nemmeno nel fare
fuori lo stesso Marude, vessillo ultimo di una ccg che ormai non esisteva più.
Il
dipartimento era cambiato, aveva detto anche Yamoto.
E sarebbe cambiato ancora, sicuramente in peggio.
Il
direttore concluse con le rassicurazioni, ma il reportage andò avanti ancora
per oltre un’ora. Alcuni cittadini della zona avevano assistito a qualche
scena. Avevano visto dei ghoul scappare senza nessuno ad inseguirli. Parlavano
della paura provata e di come non avessero sentito il ccg vegliare sulle loro
vite. Masa pensò che forse aveva impartito una lezione troppo dura al
dipartimento. Aveva esagerato. Forse c’era un altro modo, che non comportasse
demolizioni controllate e incendi boschivi. Per non fare vittime – che c’erano
comunque state grazie alla sua incompetenza nel saper controllare davvero
Seidou e le sue voglie- aveva buttato benzina su un fuoco che era stato acceso
molti anni prima con l’assalto dell’Anteiku.
Il
ccg poteva ancora vegliare sulle vite dei cittadini? Gli agenti erano in grado
di garantire la pace? Dopo due brecce nella Cochlea, la bomba nella sede centrale e tutti i furti
dai magazzini e dai carichi di acciaio quinque, sembrava proprio di no.
Aiko
comprese che la cosa la disturbava più del previsto. Il suo dharma
qual era, quindi? Quello di agente della ccg o di adepta di Aogiri? Aveva
sempre puntato verso Aogiri, dopo aver ucciso Hiroshi. Aveva sempre investito
se stessa nella causa perché coloro che erano morti per farle da scudi umani
non avessero lasciato quel mondo invano.
Eppure
stava esagerando. Se ne rese conto in quel momento, seduta sul materasso, che
le parole di Yamoto erano state più che pertinenti
quando, la notte del suo rapimento, le aveva detto che raramente si era trovato
di fronte qualcuno di così stupido.
Aveva
ragione, Aiko era stupida. Se fosse stata intelligente, oltre che a scegliere
definitivamente bandiera, smettendo di illudersi che Labbra Cucite sarebbe
prima o poi uscita di scena senza far rumore, non avrebbe compiuto atti così
tanto teatrali. Eto poteva farlo.
Eto
poteva dare alle fiamme un appartamento, torturare una persona e fare esplodere
il mondo, se lo voleva.
Non
lei.
Tu non sei
niente, se non un burattino con i fili consumati. Ti tieni in piedi perché
ancora c’è qualcuno che fa nodi su nodi, ma presto o tardi la tua fortuna
finirà e allora morirai da sola, uccisa da qualcuno che ami. Perché il tuo
nemico e il tuo alleato combaciano da qualsiasi prospettiva tu guardi.
Queste
erano state le sue parole, così vere da lacerarle l’anima. Non aveva ribattuto,
ma le aveva impresse nitidamente nella sua mente, così come quelle che erano
seguite.
Se vuoi vivere o
anche solo provarci, capisci molto bene chi è il tuo nemico e chi il tuo amico.
Non si parla di Aogiri contro il ccg. Non si parla di umanità contro i ghoul.
Si parla di singole ma preziose vite umane. Perché ogni vita è preziosa e,
quando è possibile, va risparmiata.
Erano
passate le cinque del mattino quando Urie mise piede nella stanza, con in mano
una busta di plastica viola che teneva sempre nel baule dell’auto e che
conteneva un cambio di abiti.
Non
aveva avuto il tempo di passare allo chateau. Matsuri aveva preteso di vederlo
subito e lo aveva messo alla gogna, tenendolo per quasi due ore in piedi di
fronte alla sua scrivania, nonostante la gamba ferita e il viso che portava
ancora addosso i segni dell’esplosione e della stanchezza. Il motivo di tante
domande?
La
donna in quella stanza.
“Lo hai detto a
lei?”
“No.”
“Primo Livello
Urie, hai spifferato le modalità dell’operazione di questa notte al Primo
Livello Masa?”
“No, signore.”
Era
stata una tortura, in primo luogo perché Matsuri gli era parso paranoico oltre
ogni dire. Lui non era nemmeno conteggiato fra coloro che avevo messo in piedi
quella missione, eppure la stava vivendo come un fallimento personale. Era
avvilito, stanco e alterato. Più di quanto lo avesse mai visto in passato. Alla
fine era riuscito a rassicurarlo sul fatto che la sua devozione era al
dipartimento e allo stesso classe speciale Washuu e che quindi mai e poi mai si
sarebbe permesso di mettere in pericolo la sua carriera. Era disposto a prevalicare la sua vita privata per il suo onore e per la
loro causa.
Le
domande erano quindi cambiate. Che rapporto c’era fra lui e Masa, perché lei
aveva cambiato squadra così in fretta e se le voci fossero vere. E a quel punto
Urie aveva confermato ogni singola cosa, stanco di doversi giustificare e
soprattutto stanco di vedere quell’enorme faccia
da culo di Matsuri.
Arrabbiato
e amareggiato, il classe speciale l’aveva lasciato andare, ricordandogli però
che avrebbe dovuto incontrare il presidente e il direttore per difendere la sua
posizione. Lui, Itou e Aura erano ufficialmente sotto
indagine per fuga di notizie. Jaina era riuscito a scamparsela
solo morendo, ma avrebbero messo sotto torchio sua moglie.
Urie
era così tanto nella merda da
sentirla dentro alle orecchie. Aveva negato di avere parlato a Masa del piano
per puro istinto, perché c’era ancora quel tarlo ad arrovellare il suo
cervello, quel dubbio che non voleva proprio andarsene. Perché era così sicuro
di averla riconosciuta da rendere il sollievo per la videochiamata molto, molto
lieve. C’era qualcosa che non gli tornava. Gli era sembrata molto più Aiko
quella sul campo di battaglia avvolta dalle bende, rispetto alla persona con
cui aveva parlato.
Però
era lì, ad aspettarlo, stesa sul letto con il capo appoggiato alle braccia
incrociate e i piedi avvolti da calzini beige a gattini sul cuscino. Quando la
vide così, addormentata di fronte al televisore acceso, si sentì sollevato.
Solo
a quel punto capì che era stato davvero stupido.
Labbra
Cucite aveva fatto qualcosa al suo cervello, oltre che alla sua quinque. Forse
era tutto un piano del ghoul per confonderlo. Sicuramente doveva essere così.
In
quel momento, il suo cervello prese a lavorare molto velocemente. Poteva
guardarla meglio e notare che no, Labbra Cucite non era così alta. Poi gli era
parsa più magra di Aiko. E aveva gli occhi troppo piccoli per essere lei. Non
si era ancora dato una spiegazione razionale per quell’iride statica, però
forse aveva una malattia. Estivano diversi disturbi sia fisici che mentali
anche fra i ghoul, quindi poteva giustificare quell’occhio così strano.
L’arte
della spada che aveva utilizzato il boss della diciannovesima, poi, non aveva
niente a che fare con l’Aikido e Urie poteva giurare che Masa non avesse mai
messo mano a un’elsa prima di farlo per allenarsi con lui. Perché Aiko non era
brava a mentire, ai suoi occhi. Non era brava a simulare, a recitare, ma anzi
era eccessivamente sincera.
Appoggiò
la borsa sul comò, sfilandosi il cappotto. Il frusciare della stoffa destò la
ragazza che alzò di scatto il capo, tenendo un occhio aperto e uno chiuso.
Guardò un po’ confusa Urie, prima di realizzare che era lì.
In
un attimo si alzò in piedi e andò verso di lui, buttandogli le braccia al collo
e stringendolo forte.
Lui
la strinse di rimando, chiudendo gli occhi, mentre inspirava lentamente,
svuotando la gabbia toracica. Appoggiò il capo a quello della ragazza, puntando
le iridi serpentine sulla moquette grigio scuro della stanza, poi attorno a
lui. Quando Aiko si staccò, gli prese il viso tra le mani fresche, osservando
l’ustione che si era ormai quasi del tutto riassorbita. Poi le lasciò scivolare
e, deglutendo gli occhi arrossati, sbuffò una risata bassa. «Fai schifo», lo
prese in giro bonariamente, strappandogli un mezzo sorriso sghembo. Le dita
dell’investigatrice iniziarono a districare il dedalo di lacci e chiusure che
tenevano insieme i pettorali e gli spallaccia della tuta anti sommossa, mentre
continuava a parlare. «Odori di sangue e cenere. Praticamente, sai di
barbecue.»
«Se
fossi stato dieci metri più indietro, sarei diventato una bistecca», le
rispose, guardando con desiderio il letto e pensando che presto o tardi,
avrebbe potuto dormire almeno quattro ore.
«Quindi
è andata così male come dicono in televisione?»
«Peggio.
Sono sotto inchiesta.» Masa interruppe il lavoro, rimanendo con in mano
infilata contro il tessuto antiproiettile per sganciarlo dalla maglietta
sottostante. «Matsuri mi ha già fatto il terzo grado e domani me lo farà il
presidente.»
«Devo
esserci anche io?»
«Assolutamente
no. Ho detto a Matsuri di non averne parlato con nessuno, specificando che non
l’ho fatto nemmeno con te.»
Lei
abbassò il capo, riprendendo a spogliarlo in silenzio. Era meglio così,
certamente. Un investigatore che non sa tenere la bocca chiusa con le persone
che lo circondano non è un buon investigatore. Soprattutto in casi come quello.
Era un test, quello di Yoshitoki e lui lo aveva fallito.
Forse
però non era stato il solo.
«Tu
non ne hai parlato a nessuno, vero?»
Aiko
lo fece sedere sul letto, sfilandogli gli stivali pesanti prima di allargare lo
strappo sui pantaloni, mostrando la ferita che aveva sulla coscia. «Certo che
no», gli rispose, alzando gli occhi per fissarlo mentre mentiva spudoratamente.
«Non ne ho parlato con nessuno. Nemmeno con Kuramoto, se è quello che temi. Non
lo sento da qualche giorno, visto che anche lui è stato assorbito da questo
lavoro.» Con mani delicate, Masa tracciò il profilo slabbrato del taglio, «Questo
non è stato fatto da un kagune, vero?», chiese, anche se conosceva
perfettamente una risposta.
«No.
Non so dirti che spada fosse, ma non era decisamente una katana.»
«Contro
chi hai combattuto con una spada?»
Urie
storse il naso, quando Masa prese la cassetta del pronto soccorso da uno
stipetto del bagno e tornò da lui con del cotone e della garza in mano. Si
lasciò sfilare i pantaloni, stendendosi con la schiena sul materasso. «Labbra
Cucite», rispose, mentre il suo corpo assimilava la morbidezza del materasso,
ricordandogli quanto fosse stanco.
«Non
sappiamo ancora come è il suo kagune, allora?»
«Sospetto,
non trovi?»
Aiko
si inginocchiò meglio a terra, prima di sbuffare. «Quella donna aveva detto che
era un Rinkakou di livello SS, no? Forse è così forte
fisicamente da non avere la necessità di usare il kagune. Mi sembri conciato
male per esserti battuto contro un ghoul armato solo di spada.»
«Non
è forte», le rispose Urie, facendole alzare velocemente gli occhi. Non lo notò,
perché i suoi erano chiusi. «Però è veloce. Punta sulla rapidità dei movimenti,
anche nella scherma. Poi mi ha colpito al volto per buttarmi a terra. Gioca
sporco.»
«Da
Aogiri ti aspettavi un duello leale?»
«C’è
un’altra cosa, signora investigatrice…»
Aiko
sorrise appena, mentre premeva il cotone bagnato di betadine
sulla ferita. «Per un attimo ho temuto dicessi signora Urie e mi è venuto un
colpo.»
«Ha
deviato Noro», le spiattellò velocemente.
Aiko,
fingendo di non capire. «Nel senso che lo ha schivato?»
«No,
nel senso che me lo ha rispedito contro.»
«Cazzo»,
sussurrò a voce bassa Masa, proprio come se quell’ipotesi la stesse rendendo
incredula. Prese della garza e ci avvolse la coscia tonica del ragazzo,
lentamente, mentre fingeva di pensarci su. Lo stava medicando come se non si
stesse già auto rigenerando da solo. «Ho letto che avvolte le quinque
manifestano una volontà loro», gli disse alla fine. Sistemò la cassettina del
pronto soccorso, riponendo tutto ordinatamente e alzandosi per buttare il
cotone nel cestino. «Shinohara aveva scritto in un
suo vecchio rapporto che Arata, per esempio, aveva rifiutato di attaccare un
ghoul, una volta. Altri investigatori hanno riportato fatti simili. Forse in
qualche modo Noro è ancora vivo dentro alla tua katana e ha riconosciuto la
persona che aveva di fronte. Forse qualcuno a cui voleva bene, che amava, se
questo ha fatto scattare in lui l’istinto di proteggerla.»
Urie
la guardò, con gli occhi a mezz’asta. Poi si mise seduto, sfilandosi anche la
maglietta sudata e buttandola a terra. «Sembri bene informata.»
«Lo
sai che io sono sempre informata su tutto.»
«Touché.»
Aiko
si lasciò cadere accanto a lui, con una gamba a penzoloni oltre il bordo del
materasso e l’altra ripiegata sotto al sedere, così da poter rimanere
totalmente voltata verso di lui. Appoggiò le labbra fredde sulla sua spalla
nuda e rimase in silenzio per qualche istante.
«Sei
preoccupato per domani?»
«No.
Ti ho mostrato i piani e concesso di ascoltare la chiamata fisicamente. Non ci
sono tracce a livello telematico di una nostra conversazione in merito
all’operazione di ieri. Nemmeno nei messaggi che ci siamo scambiati nell’arco
della giornata.»
«Che
sono stati tre», gli ricordò con tono quasi offeso Masa, prima di rialzare il
capo. Passò una mano fra i suoi capelli, levando una fogliolina dalle ciocche
viola e appoggiandogliela sul palmo della mano. «Non preoccuparti. La tua
carriera non sarà compromessa. Io non dirò nulla e loro non troveranno nulla.»
«Non
è questo a turbarmi», ammise alla fine Kuki.
«Allora
cos’è che ti fa sentire così? Sembra che tu abbia subito la peggior sconfitta
mai vista dall’uomo.»
Urie
ci dovette pensare un po’, però in realtà sapeva perfettamente cosa lo faceva
sentire male. «Il non capire.»
Masa
non replicò. Si limitò a girargli piano il viso, appoggiando le labbra sulle
sue in un casto bacio a stampo. Poi si alzò. «Ti preparo un bagno veloce. Dopo aver grattato
via la puzza di fallimento dalle tue ascelle, potrai dormire un po’. Una volta
svegliato, sono certa che vedrai le cose meno negativamente. Non azzardarti ad
addormentarti mentre sono di là, ok?»
«Non
prometto proprio niente.»
Lei
gli tirò in testa il cuscino, prima di accendere la luce ed entrare
nell’ambiente accanto. Kuki scostò l’oggetto, guardandola sparire, mentre
sentiva che ogni dubbio poteva dirsi risolto.
Aiko
Masa non era Labbra Cucite.
Nessuno
avrebbe potuto recitare così bene.
Con
quel pensiero, sospirò.
Almeno
su quel fronte, sentì un peso in meno sullo stomaco.
Continua…