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Autore: ornellagiau    08/10/2017    2 recensioni
Raccolta di One-Shots principalmente Snape-centric e in Canon.
Esplora diversi momenti non raccontati della vita del professore di pozioni, partendo dai primi anni di insegnamento ad Hogwarts fino alla seconda guerra magica, seguendo a grandi linee la trama originale.
Personaggi principali sono per ora Severus, Lily, Dumbledore, i Malfoy e la mia OC Arline Donovan.
*** ATTENZIONE: i primi 4 capitoli erano stati pubblicati come storie a se stanti, li ho riuniti in una storia a capitoli per renderla più semplice da trovare***
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Narcissa Malfoy, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Durante l'infanzia di Harry
Capitoli:
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Durante la pace tra le due guerre Snape si dedica a un progetto di pozioni assieme a una sua ex alunna. Anche se sono passati anni dalla scomparsa di Voldemort, gli effetti della guerra influiscono ancora sui protagonisti.

FUOCO
 
Albus Dumbledore aveva insegnato per 40 anni ad Hogwarts prima di essere nominato preside. Da quell’anno ne erano trascorsi altri 27 e molte cose erano accadute nel mondo della magia.
 
Il vecchio mago si sentiva stanco, asciutto, raggrinzito. Il suo potere, che tanti temevano ed invidiavano, gli appariva inutile e sprecato. Un dolore sordo lo accompagna da molti mesi.
 
All’inizio aveva preso molto sul serio il suo nuovo ruolo. Aveva lasciato perdere gli studi sull’alchimia e si era rifiutato più volte di intervenire nella politica ministeriale. Il suo compito, ora, era accogliere e crescere nuovi maghi. In un attimo di follia aveva creduto di essersi definitivamente lasciato alle spalle le battaglie, il dolore e l’odio, di aver imprigionato per sempre il proprio lato oscuro a Nurmengard, assieme a Gellert. Invece no. Già pochi mesi dopo aver accettato la carica di preside, Tom Riddle si era presentato alla sua porta, reclamando ciò che credeva essere suo. In quegli occhi sottili, rossi di rabbia, Dumbledore aveva visto il dolore e la morte che questi avrebbero causato, aveva visto se stesso invocare nuovamente quel potere denso che gli avrebbe fatto perdere la testa e che temeva, dal giorno in cui Ariana era morta.
 
Ariana, la sua prima vittima innocente. Era anche per lei che aveva scelto l’insegnamento. Si era detto: per ogni studente che riesco a guidare, per ogni mago salvato all’oscurità e al dolore, sarà come un pezzo di vita ridato ad Ariana.
 
Ma non aveva saputo salvare Tom Riddle. Lo aveva assecondato da bambino, sperando che Hogwarts lo cambiasse; lo aveva allontanato da adulto, ben sapendo che i loro cammini si sarebbero presto intrecciati come serpi. Lo aveva ignorato, fino alla fine, sino a quando la sua ombra non si era allungata fino ad Hogwarts. Aveva visto Lucius Malfoy venire a fare incetta di ragazzini innocenti sulla strada per Hogsmeade e solo allora si era deciso ad agire. E aveva un grosso svantaggio da colmare.
Sapeva di non poter sconfiggere Tom in un duello. Nonostante la Bacchetta di Sambuco gli fosse ancora fedele, la gabbia di protezioni che Riddle si era costruito attorno doveva essere demolita pezzo per pezzo. Ci sarebbe voluto del tempo, ci sarebbero volute tante vite. Gli Auror, l’Ordine della Fenice, le sue spie tra i Mangiamorte, erano tutti pezzi di una strategia incerta. Anche Sibilla e Severus, in quella notte alla Testa di Porco. La profezia del prescelto sarebbe potuta essere l’unica arma efficace contro Riddle, l’unica che l’avrebbe mai spaventato. Se solo avesse giocato bene le sue carte, se solo avesse potuto tenere bambino e genitori nascosti abbastanza a lungo, allora, forse ci sarebbe stato uno spiraglio… Ma niente, Riddle era scomparso e nel suo silenzio si era portato dietro le vite innocenti di quelli che avevano creduto in Albus Dumbledore. James e Lily Potter, uccisi a sangue freddo. Sirius Black, il Custode del Segreto, finito ad Azkaban. Alice e Frank Longbottom tra le corsie di St. Mungo.
 
Come aveva potuto essere così sconsiderato?
 
Già un’altra volta Dumbledore aveva esitato a lungo prima di affrontare il proprio nemico.
Mentre Gellert Grindelwald radunava il suo esercito e seminava terrore oltreoceano, l’allora insegnante di Trasfigurazione si nascondeva dietro pesanti libri, parlava tutto il giorno con maghi minorenni di incantesimi e creature magiche della foresta, e gli sembrava di non aver mai conosciuto il mago biondo che ogni tanto lo guardava storto dalle pagine della Gazzetta. Dopo tutto, era così lontano. Gli Americani avrebbero certo trovato un modo per tenerlo a bada. E poi, non poteva mica essere sempre lui il Deus Ex Machina della situazione. Che si facesse avanti qualcun altro stavolta.
 
Ma una mattina d’estate del 1945, Dumbledore trovò una lettera nera sulla cattedra della sua classe. Non era inchiostro quello che formava le parole sulla carta, ma fuoco incantato.
 
Sembra tu abbia troppi cagnolini a cui badare.
Lascia che ti alleggerisca il lavoro.
 
Un’ora dopo, tutti gli studenti venivano rimandati a casa per ordine ministeriale. La guerra del Bene Superiore era sbarcata a Londra.
 
Fu un duello senza pari, a tratti euforico per entrambi.
Gellert aveva affinato il suo potere fino a vette che pochissimi maghi avevano osato varcare. Si era appropriato della Bacchetta di Sambuco e aveva messo in ginocchio il Ministero della Magia Americano. Tutto questo lo aveva fatto per il Bene Superiore, perché il mondo magico potesse tornare allo splendore dei primi tempi. Sapeva però, che tutto questo non gli sarebbe bastato contro Albus. Lo scontro con il suo vecchio amico e compagno era inevitabile e nessuno dei due sapeva chi ne sarebbe uscito vincitore. Ugualmente però, Gellert lo aveva aspettato ai piedi del Tower Bridge, gli occhi contenti di rivederlo. Una parte di lui sperava che reincontrandolo, Albus avrebbe abbandonato quelle idiozie scolastiche e sarebbe tornato al suo fianco. Ma il cadavere di Ariana, quella bambina disturbata che aveva distrutto la loro amicizia, era ancora lì a separarli. Alla fine, Grindelwald fu sul punto di rivelare la verità: era stato Albus a pronunciare l’incantesimo che l’aveva uccisa, era stata la sua stessa magia che era uscita così violenta che la bacchetta non era bastata a contenerla. Poi però si distrasse un attimo, e la Bacchetta di Sambuco lo abbandonò definitivamente, e fu la fine.
 
Dumbledore non seppe mai chi di loro aveva ucciso Ariana. Dopo il duello a Londra non volle più incontrare Grindelwald. Aveva lasciato che il Ministero lo rinchiudesse nella sua stessa prigione in mezzo al mare, svuotato della sua magia, e aveva deciso di non pensare più al loro passato né a quel duello ad armi pari. La Bacchetta di Sambuco era rimasta a lungo chiusa in un cassetto ad Hogwarts, finché una studentessa di umili origini non aveva rotto la sua bacchetta durante una lezione di volo e il novello preside aveva deciso di regalargli la propria.
 
SS
 
Era notte fonda e il preside stava seduto in poltrona.
Guardava la ragazzina minuta rialzarsi e uscire dalle fiamme verdi del camino. Era diversa dall'ultima volta che l’aveva vista in quella stanza, più alta e sicura di se stessa, ma il vecchio mago ne riconosceva i gesti veloci e bruschi mentre si rassettava addosso il mantello e vagava con lo sguardo sull’ambiente circostante.
 
Per il preside era sempre stato difficile considerare adulti i propri ex studenti. Anche quando crescevano e si appropriavano della loro vita, per lui rimanevano sempre i bambini spaventati di un tempo. Era così con Miss Donovan, che lo guardava incredula dal fondo dello studio, e con Severus, a cui tentava di insegnare come guarire senza grande successo. Lo era stato anche con James e Lily, che aveva creduto di poter proteggere per molti anni ancora.
 
“Buonasera Arline, pensavo non saresti più arrivata stanotte. Gradisci del tè?”
 
Era divertente guardarla ragionare. Poteva vedere i suoi pensieri collegarsi e correre verso l'unica conclusione possibile per quella situazione: il vecchio mago la stava aspettando. Aveva lasciato aperto l'unico camino collegato alla Metropolvere perché sapeva che sarebbe arrivata poco dopo il sorgere della luna piena. Dovevano discutere di lavoro, aveva detto Severus prima di cena. Ovviamente, aveva risposto lui.
 
“Non vorrei davvero far tardi preside. E’ già notte fonda…” disse Arline con un sorriso amaro sulle labbra. Era una ragazza intelligente.
 
“Ma certo mia cara. Per il ritorno non farti premure, io non dormo granché la notte, sarò qui a controllare il camino.”
 
SS
 
Arline attraversava i corridoi vuoti quanto più lentamente possibile e al buio. Conosceva la strada per il sotterraneo, non le serviva la luce della bacchetta per riconoscere i gradini mancanti delle scale. Era come se non se ne fosse mai andata, anche se in realtà era cambiato tutto. Poteva sentire il potere del castello avvolgerla, sussurrarle il benvenuto all’orecchio, ma questa non era più casa sua.
 
Mentre scendeva l’ultima rampa verso il sotterraneo riconobbe la sua voce.
 
“…e non pensi di cavarsela così Miss Everloid. La voglio puntuale domani mattina alle 8 e 30 nel mio ufficio per un rapporto ufficiale e sarà in punizione per i prossimi tre fine settimana! Vedremo se avrà ancora voglia di andare in giro la notte! Ora via, fili alla sua Sala comune.”
 
Dal corridoio buio sbucò una ragazzina di sedici o diciassette anni, gli occhi bassi, pieni di lacrime di vergogna. Non degnò Arline neanche di uno sguardo e continuò a camminare veloce verso le cucine.
 
Quando svoltò l’angolo, Snape stava ancora sulla soglia del suo ufficio. Aveva in viso la frustrazione e il ribrezzo per quella Tassorosso irriverente, ma incrociando gli occhi sorridenti della sua ex studentessa le sue labbra si piegarono presto in un ghigno soddisfatto.
 
Arline camminava lenta lungo il corridoio di pietra, i suoi stivali babbani battevano il tempo sulla roccia levigata. Voleva guardarlo bene, come se fosse la prima volta, come se dovesse trovare il tempo di ricordare tutti i motivi per cui lo aveva odiato. Quando fu arrivata quasi a toccare la porta di legno e il suo collo si dovette piegare leggermente per continuare a guardarlo negli occhi, il professore di pozioni si appoggiò allo stipite della soglia, le mani dietro la schiena, lasciandole lo spazio per entrare.
 
“Terrorizza ancora le ragazzine innamorate quindi?” disse lei osservando la stanza vuota. Il fuoco del camino illuminava tutto di luce dorata, un calderone di rame ribolliva sulla fiamma, pergamene e calamai stavano sparsi sulla scrivania.
 
“Solo quelle che ne hanno bisogno.” le rispose lui alle spalle “Una Tassorosso e un Serpeverde non dovrebbero trovarsi a vagabondare assieme a notte fonda, secondo la mia modesta opinione” andò a sedersi alla sua scrivania “A cosa devo l’onore Miss Donovan? Non credo siate venuta fin qui a quest’ora per criticare i miei metodi educativi…”
 
“In realtà credevo di essere attesa… Professor Snape.”
 
Lui sorrise sarcastico e non disse nulla. Per un tempo lunghissimo si limitarono a fissarsi, lei in piedi, lui in cattedra, come era successo tante volte ai tempi degli studi di lei. Ma non erano più professore e studentessa, non c’era da dubitarne ormai. Erano due giovani adulti, ognuno con i propri pensieri e i propri rancori. Snape la guardava con gli occhi stretti e profondi, come un assetato, e le mani tese si stringevano come ragni al bordo della scrivania. Arline si ritrovò improvvisamente a pensare alla sua paziente, a quello che era successo poco prima a St. Mungo. Ricordi sfocati della sua voce e del suo viso le affioravano nelle mente, come se qualcuno li stesse tirando su con la lenza. Sapeva cosa stava facendo, e sapeva che era dannatamente bravo a farlo. In fretta distolse lo sguardo.
 
“Ha funzionato vero?”
 
“Non ha funzionato un bel niente!” abbaiò lei tornando a guardarlo “E la smetta di entrarmi nella testa. Per favore.” Le ultime parole le pronunciò lentamente, canzonandolo, e subito sentì la morsa allentarsi e la sua mente tornare al presente.
 
“Grazie.” disse piena di cinismo, e andò a sedersi sulla sedia davanti a lui. “La sua pozione mi ha fatto perdere un intero ciclo di sperimentazione lo sa? La mia paziente avrà bisogno di almeno tre mesi di cure standard per riprendersi.”
 
“Se continua a preoccuparsi così tanto dei ‘pazienti’ non andrà da nessuna parte con la sua ricerca Miss Donovan”
 
“Ah! Per quanto le possa sembrare strano è ancora illegale provocare la morte di un essere umano, anche in ambito accademico. Non posso mica fare di testa mia! Ci sono delle regole da rispettare e i pazienti sono persone che purtroppo non hanno alternative e poi…” inspiegabilmente le si era formato un nodo in gola che le asciugava la voce “e poi… la mia ricerca cerca di diminuire il dolore che provano i soggetti, non di usarli come cavie fino allo sfinimento.” Ma che stava succedendo? Non si sarebbe messa a piangere come una bambina davanti al professore più vendicativo di Hogwarts vero?
 
SS
 
Le ferite sulle braccia e sul ventre bruciavano, il morso avvelenato sul viso le impediva di aprire gli occhi o parlare, e il pianto di sua madre dilaniava quel che rimaneva della sua coscienza. Non riusciva a sentire cosa dicevano i guaritori e le risposte monosillabiche di suo padre le sembravano stupide e senza senso. C’era una forte luce che le bruciava gli occhi sotto le palpebre, e il sapore di sangue e bile che aveva in bocca la nauseava.
 
Eppure in tutto quel disastro, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era il silenzio urlato di sua sorella Arline, che sapeva essere seduta immobile accanto al suo letto, a guardarla soffrire.
Si sarebbe voluta alzare, fissarla in quegli occhi blu che tanto avevo invidiato da bambina, e gridarle che non era stata colpa sua, che poteva andarsene tranquilla, perché sua sorella era una deficiente che non era stata capace di opporsi alla magia oscura.
 
Giusto qualche ora prima era stata inginocchiata davanti a Lui, il suo Padrone, e aveva ascoltato annuendo i suoi ordini.
 
“Portami il cuore babbano di tua madre Margaret, lo darò alle mie serpi per cena”
 
Non si era opposta, non aveva capito che era una trappola. Era andata a casa e aveva duellato contro suo padre, purosangue, fino a lasciarlo privo di sensi sul tavolo della cucina. Sua madre, che non capiva granché di magia, non aveva opposto alcuna resistenza. Una madre si lascia sempre uccidere per amore dei propri figli. Ma quando Arline si era intromessa nella battaglia, quando la sua magia di bambina era esplosa per proteggere la sua famiglia, anche la Signora Donovan aveva fatto la sua scelta. Aveva scelto la figlia più piccola, abbandonato la grande, ed era fuggita, mentre gli altri Mangiamorte circondavano la casa, alla loro guida Fenrir Greyback.
 
Ora, nel letto di ospedale, Margaret cercava di muoversi, faceva scattare mani e collo, e più lo faceva, più i guaritori la legavano stretta al letto. Cieca e muta, assordata da quel silenzio e dal dolore, cercava la mente di Arline per parlarle.
 
SS
 
“Senta Miss Donovan, la sua pozione è buona, il ragionamento è giusto, ma io odio vedere del talento sprecato, mi sembra di averglielo già detto no? La vera innovazione arriverà quando smetterà di attenersi alle regole e comincerà a oltrepassare il limite del banale. Una piccola variazione ha portato per la prima volta ad un vero isolamento della maledizione nel corpo. La mente è la prima a potersi scollare dalla trasformazione ma se mette al lavoro quel cervello intelligente che si ritrova, capirà bene che è possibile confinare anche la trasformazione, gestirla veramente, non quella roba tipo sonnifero che sta perseguendo lei.”
 
Arline si accorse di star respirando affannosamente. Maledetto Snape, non era cambiato davvero. Continuava a sputarle in faccia la verità come insulti affilati.
 
“Non mi interessa cosa pensa dei miei principi.” disse quando la sua voce si fu calmata “Sono venuta qui per sapere come sia riuscito tecnicamente a provocare quella reazione. Se me lo vuole spiegare bene, altrimenti tolgo il disturbo…”
 
Snape alzò gli occhi. Sorrideva da entrambi i lati delle labbra. Un sorriso divertito, ma buono.
 
SS
 
Nei mesi successivi, Arline Donovan entrò e uscì più volte dallo studio del professore di pozioni. Il preside le aveva accordato libero accesso al terreno scolastico, e tra gli studenti già cominciavano a circolare le classiche voci romantiche. Che faranno chiusi nel laboratorio tutto il giorno? Chi, Snape e quella mezza infermiera? Ma che scherzi? Madò come la invidio…
 
“Da quando la metà delle ragazzine di Hogwarts ti viene dietro con gli occhi sognanti?”
 
“E’ il fascino del professore, vuoi dirmi che tu non doodolavi sul diario il nome di Slughorn quando avevi tredici anni?”
 
“Bleah! Che schifo.” Arline rise, e Severus con lei.
 
Dietro le porta del laboratorio le cose erano molto diverse da come se la immaginavano gli studenti. I due pozionisti passavano molto tempo assieme, è vero, si davano del tu e a volte ridevano spensierati per cose stupide. La maggior parte dei loro incontri però erano fatti di provette rotte, calderoni bruciati e tanta, tanta frustrazione. Avevano lavorato instancabilmente alla Sedalupo, riuscendo a trovare una ricetta che affievolisse sia il dolore della mutazione che il coinvolgimento cerebrale, ma non erano riusciti a renderla così stabile da poterla testare su pazienti umani. Arline vi si era opposta categoricamente e il litigio che ne era conseguito dovette essere calmato dal preside in persona una mattina d’estate. Alla fine si erano accordati per la sperimentazione su dei cani mannari che Hagrid gli procurava nella foresta.
Nelle notti di luna piena, Severus Snape attraversava il cunicolo sotto il platano picchiatore, levitando uno degli animali fino alle stanze spoglie della Stamberga Strillante. Li trovava Arline che aveva preparato tutto il necessario per l’esperimento. Usavano incantesimi potenti per tenere a bada l’animale ed iniettargli il filtro, poi sigillavano le porte della catapecchia con la magia e si allontanavano. L’indomani estraevano i ricordi dal corpo in fin di vita dell’animale, e li studiavano nel pensatoio. Era difficile farsi strada tra le sensazioni di un animale, anche per Snape, che era abituato a guardare nella mente degli uomini. Ma allo stesso tempo era dannatamente eccitante. Era lavoro e studio, fuoco e calderone.
 
A volte battibeccavano per cose stupide.
 
“Vuoi metterci un pò più di attenzione nel tagliare quelle radici? Te l’ho ripetuto per un anno ma ancora non ti entra in testa Donovan…”
 
“Non ho collezionato grandi successi a darti ascolto finora, forse dovresti cambiare il tuo metodo educativo… Snape”
 
Il preside si limitava ad osservarli, li guardava crescere e maturare. E pregava. Pregava che quella ragazza intraprendente potesse sciogliere il dolore, il suo e quello di Severus.
In quei tre anni dalla morte dei Potter aveva visto il giovane professore passare dallo sconforto alla rabbia alla depressione, proprio come era successo a lui molto tempo fa. Sapeva di non poter far nulla per la sua tristezza, sapeva che era qualcosa che lui solo avrebbe dovuto gestire. Per questo era stato duro con lui. Per questo gli ricordava sempre che presto il figlio di Lily Potter sarebbe arrivato a Hogwarts e avrebbe avuto bisogno del suo aiuto, anche se forse non era del tutto vero. Sperava che la prospettiva di un futuro in cui si sarebbe potuto riscattare lo avrebbe aiutato a dimenticare il vuoto lasciato da lei. Dopo tutto, la morte è una cosa troppo definitiva per essere compresa appieno dall’animo umano, ci si può solo fare l’abitudine.
 
SS
 
Una sera di novembre, Snape si materializzo a Londra particolarmente di cattivo umore.
 
Era andato da lei per consegnarle degli ingredienti direttamente in ospedale. L’odore di quel posto gli dava la nausea. Un misto fra elisir di edera e vomito che gli ricordava la sua infanzia a Spinner’s End, quando sua madre si curava da sola i lividi sugli occhi dopo le esplosioni di rabbia di suo padre. Arline sembrava viverci dentro invece, tra le corsie dei licantropi ricoverati, i suoi famosi “pazienti”, che non potevano parlare né muoversi eppure erano vivi. Che crudeltà, aveva pensato. Tenere in vita persone che sarebbero dovute morire anni fa con la misera speranza di poter un giorno trovare una cura. Che spreco. Le aveva consegnato gli ingredienti usando il numero minimo di parole necessario ed era andato via più in fretta che poteva.
 
Uscendo una donna dai capelli radi completamente immobile aveva attirato la sua attenzione. Margaret Donovan, c’era scritto sulla cartella, contagiata il 31 marzo 1980, portatore del virus: Fenrir Greyback.
Snape era passato oltre, chiudendo la mente e costringendosi a non voltarsi.
 
Ora si trovavano invece in un bar babbano, territorio neutrale per entrambi. Lui aveva ordinato un Rooibos bianco, lei un’aranciata.
 
“Fudge se lo può proprio scordare che parteciperò.”
 
“Si ma io devo andarci ok?! Il mio laboratorio è finanziato dal Ministero, quindi devo farmi un pò di pubblicità.”
 
“E cosa vuoi esattamente da me?”
 
“Niente, solo il permesso di poter dire che il progetto è supportato anche da Hogwarts e nello specifico dalla persona di Severus Snape, insegnante di pozioni eccetera eccetera”
 
“Di quello che vuoi, basta che gli proibisci di venire a cercarmi. Ne ho avuto abbastanza del Ministero”
 
Bevvero in silenzio, poi le parole le scivolarono fuori dalla bocca.
 
“Come hai fatto a convincerli a scagionarti?” lui continuò a guardare dentro la sua tazza da the.
 
“Non li leggi i giornali signorina?” disse cercando dell’ironia.
 
“Li leggo, è questo il punto. Li ho letti tutti. Non hai cercato né di difenderti, ne hai affermato di essere stato sotto Maledizione Imperius… Quindi come hai provato che non eri un Mangiamorte?”
 
Snape rimase in silenzio molto a lungo, senza pensare a niente. Poi posò la tazza e si sollevò la manica sinistra della camicia.
 
“Non l’ho provato.”
 
Il marchio era una macchia nera sul suo braccio, ma ancora si poteva vedere il teschio e la testa del serpente. A guardarlo prudeva.
 
Arline diventò bianca e poi rossa di fuoco. Non sapeva se essere imbarazzata o sconvolta per quella confessione, quì, in un bar babbano senza nome. Ma subito quel pensiero fu sostituito da un altro, più pungente e spaventoso: Severus Snape era stato veramente un Mangiamorte.
 
“Conoscevi mia sorella?” chiese, con una voce disperata e calma.
 
Snape annuì, era la verità.
 
“Sapevi quello che le avrebbero fatto?”
 
Eccoli li, due persone sole con un dolore silenzioso sulle spalle. Entrambi avevano cercato di dimenticare, di guardare avanti, al proprio lavoro, alla propria passione, ma quando tutto il resto rimaneva fuori, il divario che li separava restava incolmabile.
 
“No” disse lentamente. Era l’unica risposta che poteva darle.
   
 
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