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Autore: Miky30    09/10/2017    3 recensioni
Elijah è dovuto partire per affari urgenti e ha lasciato da solo Tristan.
Questa storie è ispirata alle due storie di Aliseia "All this and heaven too" e "Ghost in the sheets", tutto si ricollega a queste storie, nasce e si sviluppa da esse.
Dediche: ad Aliseia. Per avermi regalato questi due, per avermi fatto sognare, per avermi incoraggiato, per avermi preso per mano e portato fino qui. Tutto questo non ci sarebbe stato se tu non me lo avessi fatto sognare. Grazie per l'ispirazione e anche per quel cameriere dal profilo greco.
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me ma a Lisa Jane Smith, Julie Plec, Michael Narducci, Diane Ademu-John, nonché agli altri autori della serie e a chi ne detiene i diritti.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elijah
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I don't wanna miss a thing

I could stay awake just to hear you breathing
Watch you smile while you are sleeping
While you’re far away and dreaming
I could spend my life in this sweet surrender
I could stay lost in this moment forever
Very moment spent with you is a moment I treasure


Don’t want to close my eyes
I don’t want to fall asleep
Because I’d miss you, baby
And I don’t wanna miss a thing
Aerosmith



Buio. Freddo. Acqua nera.
Non poteva respirare, era da solo, tremava. Non riusciva a muoversi. Nessuno sarebbe arrivato a salvarlo, non questa volta. Stava annegando e sarebbe annegato ancora e ancora, per sempre. “Almeno finchè io non morirò”. La voce di Elijah gli riecheggiava nella testa.
Elijah.
Gridò, ma non uscì alcun suono.
Gridò ancora e questa volta si svegliò, madido di sudore, solo.
Immediatamente ricordò che il suo compagno era partito poche ora prima. Come aveva fatto a non sentirlo andar via? Come aveva fatto a riaddormentarsi? Si dette dello stupido.
D’istinto allungò una mano sul cuscino accanto al suo, come per sincerarsi che fosse vuoto davvero, che l’altro se ne fosse andato lasciandolo lì. La mano incontrò un foglietto piegato in due. Non poteva crederci, cosa credeva di cavarsela con un biglietto lasciato sul cuscino?
Lo prese quasi stizzito, un po’ imbronciato e lo aprì: “Mi mancherai, naughty little monster”. Gli scappò un sorriso. Non era proprio da Elijah lasciare quelle missive eppure l’aveva fatto, ma questo non fu sufficiente a placare quella fitta di gelosia che sentiva alla bocca dello stomaco e che ancora gli faceva male. Era così imbronciato che non aveva voglia di incontrare nessuno, così decise di rimandare tutti gli impegni in serata. Si prese il tempo per riorganizzare l’agenda e si alzò. Era inquieto e ciondolava di qua e di là senza saper cosa fare di quel tempo. Si era vestito, ma non aveva ancora indossato le scarpe e vagava a piedi nudi per casa, come una tigre in gabbia: cucina, camera, bagno, studio piccolo, camera, ingresso, cucina ed ogni volta si affacciava allo studio di Elijah, come a controllare che non fosse lì intento a leggere il giornale, ma poi passava oltre.
Ad un certo punto, annoiato a morte decise che forse un po’ di musica gli avrebbe fatto bene, così passando per l’ennesima volta davanti allo studio grande si fermò sulla soglia e con un sospiro entrò. Di solito ascoltava la sua musica preferita nello studio azzurro, dove aveva tutta la collezione di rari vinili e la sua bella poltrona antica dove si accomodava per gustare in santa pace la musica che gli piaceva. Ma oggi decise che avrebbe ascoltato musica dal pc del suo compagno, forse non era una delle sue idee migliori visto che di solito il Sire non gradiva si mettesse disordine fra le sue cose… ma tanto non era lì per discutere, pensò stizzito Tristan.
Accese il computer e andò sulla libreria musicale, Eijah era un intenditore, adorava il jazz e la musica d’autore, aveva centinaia di playlist impeccabilmente ordinate. Tristan però vide che ce n’era una fuori posto e già dal titolo capì che era qualcosa di diverso: una sola parola in grassetto maiuscolo: LITTLE.
E il suo stupore crebbe ancora quando, aprendo la cartella, si trovò di fronte ad una strana accozzaglia di canzoni e autori che, così a prima vista, non stavano neanche bene insieme. Un centinaio di brani in tutto che spaziavano dal rock al pop italiano anni ’60. Da non crederci! Non immaginava nemmeno che conoscesse certi gruppi, figurarsi se poteva pensare che ascoltasse quei brani!
Premette il tasto “play” e partì la prima canzone: “I don’t wanna miss a thing” degli Aerosmith.
Conosceva già quel brano, ma l’aveva sempre ascoltato distrattamente, senza dar peso alle parole, senza soffermarsi sul protagonista della canzone. E chissà perché, si domandò il conte, Elijah avesse inserito proprio quella canzone, ma poi si ricordò di quando lo trovava assorto mentre lo osservava dormire e gli si strinse il cuore. Gli vennero in mente tutte quelle volte in cui, per un motivo o per un altro, si svegliava e lo trovava lì con gli occhi spalancati, attento ad ogni suo minimo movimento, immobile per non turbare il sonno del suo “naughty little prince”, come lo apostrofava qualche volta quando lui gli rivolgeva uno sguardo altezzoso e interrogativo al tempo stesso.
Tutte quelle scene gli si affacciarono alla mente in quell’istante e si dette dello stupido per non aver capito, per essersi comportato da ragazzino geloso.
Ed ora era lì, da solo, ad ascoltare quella canzone e a sorridere pensando al suo big monster, quell’orso sempre troppo rigido e impostato che a volte invece lasciava intravedere la sua parte più nascosta e dolce, persino romantica.
Il suo sospetto fu confermato con l’inizio della seconda traccia “I was born to love you”,  Freddie Mercury… really?!
Doveva ammettere che il frontman dei Queen, il famosissimo Mr. Bad Guy, era indubbiamente un artista degno di nota, anche se ricordava bene che tipino particolare fosse anche fuori dal palco. Continuò ad ascoltare quello strano miscuglio di canzoni dove Mina e Battisti, ma anche gli Exreme e i Beatles andavano a braccetto.
Ora si era davvero fatto tardi, sarebbe andato a cena in quel ristorantino in fondo alla strada e poi si sarebbe dedicato agli affari.
Era ancora arrabbiato e non gli sarebbe sbollita facilmente, meglio non stare lì troppo a rimuginare.
Uscì di casa e si avviò a piedi con la sua andatura dinoccolata, le mani in tasca e l’aria di chi ha troppi pensieri per la testa. Era già di fronte alla porta del ristorante quando cambiò idea, non aveva fame e decise di occuparsi prima del business, così fece le sue telefonate e i suoi incontri.
Si sentiva inquieto e stanco, ma non aveva alcuna intenzione di andare a dormire.
Avrebbe aspettato l’alba sul mare: era una serata magnifica, il mare era calmo e la luna risplendeva in cielo, grossa e rotonda, sembrava di riuscire a toccarla se solo si allungava una mano.
Si incamminò, le mani in tasca, verso il muretto del porticciolo, vi si arrampicò e camminò fino a raggiungere il punto più estremo, lontano dalle luci e dal rumore della città. In quel punto c’era una quiete assoluta, si sentiva solo il rifrangersi delle onde leggere sugli scogli. Si sedette a contemplare il mare. L’aria stava già cambiando, il cielo stava passando dal blu intenso della notte ad un violetto brillante, quando sentì dei passi  avvicinarsi e una voce calda: “Posso?” Tristan non si voltò nemmeno, ma annuì con un cenno del capo. Non aveva alcuna intenzione di parlare e rimase così assorto nei suoi pensieri. L’altro, invece, evidentemente loquace attaccò: “Anche tu aspetti qualcuno dal mare?” Tristan si voltò e riconobbe un viso familiare, era il cameriere dal profilo greco che lavorava nel ristorante che gli piaceva.
“Non proprio” rispose asciutto, non sapeva se continuare, non gli andava di sembrare una damigella in pena, né tanto meno di raccontare ad uno sconosciuto i sentimenti che lo facevano stare lì da solo ad osservare il mare.
Tuttavia l’altro non aspettò risposta e si era già lanciato in un discorso su quanto il mestiere del suo compagno lo portasse lontano e su quanto lui fosse preoccupato e stanco di quella vita. Tristan si era quasi convinto ad andarsene e cercava un modo educato per allontanarsi quando l'altro chiese:" E tu? Il tuo uomo non sembra un marittimo." Il conte soffocò un risolino a quelle parole perché l'immagine di un Elijah scandalizzato gli era apparsa in mente e rispose: "No, no, non lo è affatto. Non è proprio il tipo, fidati! Anche se a volte è proprio un barbaro!" Quest'affermazione strappò una risata al giovane seduto accanto a Tristan. Rimasero a parlare ancora per un po' e quando il cielo stava diventando bianco Tristan decise che era il momento di ritirarsi e di tornare a casa. Camminò stanco e svogliato mentre un'alba luminescente e densa svegliava Marsiglia.
Il conte decise che non sarebbe andato a dormire, non voleva. Infilarsi nel letto da solo significava incubi a non finire e sinceramente in quel dannato container c'era rimasto fin troppo.
Aggiunse anche questo alla lista mentale delle cose da far scontare ad Elijah.
Due notti dopo rincasò verso le 4 del mattino e senza tanti complimenti s'infilò a letto. Era davvero sfinito e aveva bisogno di chiudere gli occhi, la testa gli doleva troppo per insistere ancora con questa sciocchezza di aver paura di andare a dormire da solo. Si era appena addormentato, o così gli era parso, quando il suono del campanello lo destò di soprassalto. Buttò i piedi sul pavimento e andò ad aprire la porta.
Quando spalancò l'uscio si trovò di fronte un dio greco che sorrideva sornione, con le ciglia leggermente abbassate e la testa piegata di lato, dall'aria stanca e dai capelli, di solito impeccabili, un pochino arruffati, probabilmente, pensò, a causa del lungo viaggio.
Tristan sgranò gli occhioni per la sorpresa, ma non lasciò trasparire null'altro. "Non hai le chiavi?" Borbottò mentre si voltava per ritornare in camera.
Certo, Elijah immaginava una reazione simile, ma aveva sperato in un qualche miracolo. Tristan si era appena voltato quando lo sentì.
Correva via veloce come un treno. L'avrebbe sentito anche se fosse stato umano, pensò l'originale.
Il suo cuoricino che batteva all'impazzata: lo avrebbe riconosciuto fra milioni. Era sempre stato così, da mille anni a questa parte.
"Naughty little liar" fu quasi un sussurro, ma sortì l'effetto sperato. 
Il conte si immobilizzò in mezzo al corridoio, ormai incapace di fare un altro passo. Elijah lo raggiunse in un battito di ciglia e lo strinse forte fra le braccia, Tristan rimase fermo, ma il suo cuore non la voleva proprio smettere di fare come gli pareva: batteva sempre più forte e così tradiva il suo tentativo di rimanere indifferente e scostante al marcantonio del suo uomo che gli si era parato davanti alla porta. "Credevo avessimo chiarito ieri sera al telefono" e mentre lo diceva gli mordicchiava piano il lobo dell'orecchio sinistro per poi scendere giù fino al punto più tenero del collo. Tristan tentò di divincolarsi, ma l'altro era forte e lui troppo stanco ed esausto e quelle braccia erano così accoglienti e calde.
"Non ho voglia di parlare, Elijah, non so se hai notato che sono le 4 del mattino."
"Le 5, Milord, ma se sei stanco..."
"Sì, lo sono - lo interruppe - sono 4 notti che non dormo."
Non avrebbe voluto, nè dovuto dirlo. Ecco, ora sembrava un ragazzino isterico. Dannazione! Mille anni e ancora non riusciva a stare zitto con lui. Ma era così stanco e quelle braccia erano un paradiso.
Elijah non mollò la presa, ma delicatamente gli bacio una tempia e gli sussurrò all'orecchio: "Vieni con me" Tristan voleva protestare che, no, lui sarebbe ritornato a letto, ma le sue gambe decisero diversamente e lo seguirono in bagno. Elijah aprì l'acqua nella doccia e iniziò a spogliarsi senza fretta. L'altro lo guardava come se fosse un alieno e non si risolveva a muoversi. "Pensi di spogliarti o vuoi entrare nella doccia così?" Lo apostrofò dolcemente l'originale, che annullò la distanza fra loro e già gli sfilava la maglietta. Lo trascinò delicatamente sotto il getto d'acqua calda e piano piano gli insaponò i capelli e il corpo. Dopo un po' anche Tristan fece lo stesso con lui. Erano ancora insaponati quando l'originale lo avvolse fra le braccia e iniziò a baciarlo, sempre più con foga e di lì a poco si trovò attaccato alla parete della doccia con Tristan praticamente incollato addosso. Non c'era bisogno di parole, i loro corpi si muovevano animati da una stessa forza, sapevano esattamente come incastrarsi, cosa fare. Cuori che battevano all'unisono, respiro nel respiro, fu un intreccio di gambe, di braccia, di bocche, di denti, di mani, di morsi, di sangue, di acqua, di ansimi, di J smozzicate e di N allungate. Quando ne uscirono erano così stanchi e appagati che si asciugarono a malapena. Nudi e con i capelli bagnati si buttarono sul letto. Elijah attirò Tristan a sè avvolgendolo fra le sue braccia. Il più giovane era così esausto che non oppose la minima resistenza e si abbandonò finalmente in quell'abbraccio, incastrando la testa nell'incavo del suo collo e chiuse finalmente gli occhi, beandosi più che poteva del profumo intenso e stordente del suo uomo. Cadde in un sonno profondo e rilassato, il respiro regolare, i lineamenti distesi, i riccioli scompigliati. Elijah non poteva fare a meno di passare la mano fra i capelli del bell'addormentato fra le sue braccia, indugiando con le dita tra i riccioli e baciandolo di tanto in tanto, ascoltare il ritmo cadenzato del suo cuore come se fosse la più bella musica mai scritta, percepire il suo respiro caldo sulla pelle che lo scaldava più della coperta. 
E quel suo profumo. Quanto gli era mancato. Quell'odore di mare e di libertà, di fiori e d'infinito che era tutto il suo mondo: tutto quello che desiderava. Non c'era nient'altro di più importante. Baciò ancora e ancora il suo conte serenamente addormentato e col pensiero di essere finalmente al proprio posto lo strinse ancor di più a sè e chiuse gli occhi.
   
 
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