Il primo
settembre era una sera piuttosto limpida, ma il
freddo pungeva forte e i ragazzi si stringevano nei mantelli
mentre
scendevano dalle carrozze per riversarsi nel castello.
Il
chiacchiericcio allegro era amplificato dall’ampio salone
d’ingresso, dove il soffitto si scorgeva a malapena e le
fiamme delle torce
alle pareti traballavano a ritmo degli spifferi di vento che si
insinuavano
insieme agli studenti che fluivano lentamente nella Sala Grande.
Quasi
automaticamente, gli studenti che vi entravano alzavano
lo sguardo verso il soffitto incantato, mentre si affrettavano a prendere
posto
in uno dei quattro lunghi tavoli che occupavano gran parte della sala,
salutando i compagni di casata. Qualcuno si massaggiava lo stomaco
borbottante,
pregustando il lauto banchetto, altri continuavano a guardare la porta
d’ingresso ad intervalli regolari, aspettando che si
aprisse per lasciare
entrare gli studenti del primo anno.
Finalmente,
quando tutti ebbero preso posto e la Sala Grande fu riempita, le porte si aprirono e una fila ordinata di ragazzini fece il
suo
ingresso. Tenevano il naso all’insù, la bocca
leggermente aperta nell’osservare
la miriade di candele fluttuanti e il cielo stellato che sembrava
aprirsi sulle
volte del soffitto.
A guidare la
fila il professor Vitious, che faceva lievitare
davanti a lui uno sgabello su cui era riposto un vecchio cappello a
punta,
consunto e pieno di strappi. L’attenzione di tutta la sala
era concentrata su
di lui. Dopo qualche secondo, lo strappo all’attaccatura si
aprì e la sua voce si
propagò fra i tavoli.
“Da
più di un millennio tengo in gran conto
ciò
che dai Quattro richiesto mi fu:
assegnarvi alla
casa di questo castello
che sia per voi
esempio e modello.
Abbiam Corvonero
con la sua benevolenza
a chi coltiva
intelletto e scienza.
Poi Tassorosso
leale e fedele
al duro lavoro
non conosce lamentele.
Astuzia ed
ambizione appartengono invece
a chi di
Serpeverde farà la vece.
Infin
Grifondoro, cuor di leone,
di spavalderia e
coraggio ha gran ammirazione.
Ora coraggio,
mettetemi in capo,
che i tempi bui
non son più in agguato.
A cuor
più leggero procedo allo smistamento
sapendo che non
vi sarà di gran nocimento:
la scuola ormai
è unita e fiera
e ad ogni male
farà da barriera.
Su, forza,
venite e aprite la mente
così
che alle vostre case vi assegni facilmente!”
Gli studenti
applaudirono pigramente, e il professore si schiarì
la voce, per riportare il silenzio.
“Quando
chiamerò il vostro nome, indosserete il cappello e vi
siederete sullo sgabello
per essere smistati”
Fra i nomi noti
di quell’anno, “Potter, Lily Luna” che fu
assegnata a Grifondoro insieme a “Weasley, Hugo”.
Toccò
anche a “Dursley, Garrett”.
Il ragazzino
impiegò quasi il doppio del tempo rispetto ai
suoi compagni per percorrere lo spazio che lo separava dallo sgabello.
Il
cappello era talmente grande che quando lo indossò gli cadde
sugli occhi,
impedendogli la vista della Sala e degli studenti che guardavano
curiosi verso
di lui.
“Oh
bene, che cosa abbiamo qui?”
Garrett si
dimenò sullo sgabello, agitato. Le mani gli
tremavano talmente tanto che dovette aggrapparsi ai lati del sedile.
“Via,
via, ragazzo! ‘Sta un po’ fermo, e fammi guardare
bene” borbottò la voce al suo orecchio
“abbiamo parecchia spavalderia… hai del
fegato! Ma vedo anche molta astuzia, oh sì… tu
sai bene come uscire da
situazioni scomode, dico bene?”
Il ragazzo
annuì, con il risultato che il cappello gli
scivolò ancora di più sul viso.
“Sì,
certo che sì, non c’è alcun dubbio.
Allora…
SERPEVERDE!”
Udì
il cappello gridare l’ultima parola a tutta la sala, e
un fragoroso applauso salì dal secondo tavolo a destra,
mentre si dirigeva a
passo veloce verso di loro, prendendo posto vicino ai suoi compagni.
Garrett si
guardò intorno. La sala era enorme e magnifica:
casa sua ci sarebbe potuta entrare almeno tre volte, si disse. La sua
attenzione fu catturata dal tavolo dei professori. Gli pareva che la
donna seduta
a centro lo stesse osservando. Aveva un’espressione severa,
accentuata dalle
lunghe vesti verde scuro e dalla rigida crocchia in cui aveva
acconciato i
capelli, ma per un attimo gli sembrò quasi divertita.
Quando anche
l’ultimo ragazzo fu smistato, la donna si alzò
e nella sala calò il silenzio. La sua espressione ora era
cambiata.
“Bentornati
ad Hogwarts, ragazzi” disse con un sorriso.
Poi
batté le mani e di colpo i tavoli si riempirono di
pietanze e prelibatezze, e Garrett non fece più caso a
nient’altro.