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Autore: alessandras03    12/10/2017    0 recensioni
SEQUEL BISBETICA VIZIATA.
Dal Capitolo 1...
"In fondo è l’alba per tutti. E’ l’alba di un nuovo inizio. L’alba che porta con sé la notte, schiarendo il cielo, colei che reca luce e spensieratezza.
E’ questa la mia alba. Guardare avanti e capire che non bisogna fermarsi.
Come il tempo scorre, come la notte passa e arriva il giorno, così i cattivi pensieri svaniscono per dar spazio ad una pace interiore senza limiti. "
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 15

 

Sono seduta in sala d’aspetto. Mia madre è amica della ginecologa, ma sembra più nervosa di me. Si tocca continuamente le dita, morde le labbra e trema. Io sono immobile, osservo un punto fisso e non fiato. Poi mi perdo nel notare una giovane ragazza con il pancione avanzare, si volta sorridente e porge il braccio al ragazzo appena entrato. Le loro mani si ricongiungono e le loro dita s’intrecciano. Poi lei prende posto al mio fianco, ma il ragazzo non le lascia assolutamente la mano. Avrà più o meno la mia età, ci scommetterei.

«Tesoro esco un secondo a fare una telefonata» mia madre si mette in piedi e lenta si avvia verso l’uscita.
Sfilo il telefono dalla mia borsa e noto con disappunto che Dylan non si è più fatto sentire. Dopo la lunga litigata di qualche giorno fa non vuole saperne più niente.
Ho preso la mia decisione. Crescerò questa creatura senza di lui, fingendo che abortirò.
Mi odierà per sempre, ma almeno un giorno… saprò che lui sarà riuscito a realizzarsi come desiderava da sempre. Non è forse questo amare qualcuno? Lasciarlo libero di crescere ed essere felice, anche senza di me.
Mi scende una lacrime, l’acchiappo con l’indice, ma poi ne scende un’altra, poi un’altra. Cerco di inghiottire questo terribile nodo che mi blocca il respiro. Alzo gli occhi verso il soffitto e respiro profondamente.

Quando un pacchetto di fazzolettini mi si porge di fronte al mio viso, abbasso lo sguardo.
I due ragazzi mi stanno fissando e dai suoi occhi riesco ad intravedere tutta la comprensione di questo mondo. La ragazza, poi, mi poggia una mano sul ginocchio stringendola.
«Qualunque sia il problema sono sicura che andrà bene.» Sussurra dolcemente.
L’ammiro per qualche istante, ha i capelli ricci neri che le ricadono lungo le spalle, il viso roseo colorito sulle guance, il corpo non troppo esile che mette in mostra la forma del suo pancino tondo.
«Grazie» deglutisco. Acchiappo il pacchetto e sfilo un fazzoletto, asciugando gli occhi. «Quanti mesi?» Chiedo abbozzando un mezzo sorriso.
Lei osserva il fidanzato, si posa una mano sul ventre e sorride. «Sei mesi» lo dice con una tale enfasi da farmi rabbrividire.
«Che bello» dico annuendo.
«Quanti anni hai?» Mi chiede innocentemente.
Abbasso gli occhi. «Diciassette» sussurro.
«Io diciannove» dice un po’ sconsolata.
Quando si apre la porta dello studio della dottoressa sussulto, è il mio turno.
«Stewart» dice la donna guardandosi intorno.
Mi metto in piedi e sospirando mi avvio, lasciando i due ragazzi con ultimo sguardo.

La donna mi invita a sedermi su di un lettino, mentre sistema delle cianfrusaglie intorno.
«La mamma dov’è? E’ da un po’ che non la vedo!» Dice indossando i guanti in lattice e posizionandosi su di uno sgabello di fronte un monitor.
«E’ fuori» schiarisco la voce e mi sdraio, lei alza la mia maglia, abbasso di qualche centimetro anche il pantalone di tuta che indossavo.
«E’ freddo» ride mentre posa sul mio ventre una sostanza gelatinosa.
Osservo il soffitto e scuoto il capo. Quanto vorrei che tutto questo fosse solo un terribile incubo.
L’apparecchio si muove sul mio ventre ed io ho il cuore che batte a mille.
«E’ minuscolo, sono solo quattro settimane.» Sorride.
Nuovamente mi scende una lacrima. Forse dentro di me speravo che improvvisamente la situazione si capovolgesse e che la notizia fosse “non sei incinta”, invece no. Sono incinta di quattro settimane e voglio soltanto morire.

«Vuoi considerare le altre opzioni?» Mi chiede sfilandosi i guanti, mentre posa sul mio ventre dei tovaglioli per asciugarmi.
Così faccio, mettendomi seduta. Deglutisco e scuoto il capo.
«Ascoltami, la vita è tua e del bambino. Lui lo sente, lui sentirà tutto, saprà che la sua mamma non lo vuole davvero…» sussurra, «sei così giovane e… se non te la senti dovresti valutare le altre opzioni, te lo dico da medico.»
«Dovrò solo abituarmi all’idea di tutto ciò… ma andrà bene… suppongo» socchiudo le palpebre.
«Il padre del bambino lo sa?» Schiarisce lei la voce mentre si posiziona sulla sua scrivania.
Mi metto in piedi e la osservo dritta negli occhi. «Sa che abortirò.» Dico severamente.
«Grace sono in dovere di dirti che questo non è assolutamente corretto e che un giorno potrebbe portarti in tribunale per una cosa simile!» Esclama con gli occhi sgranati.
Mi prende il panico, ma cerco di mantenermi calma. «Non riesco ora come ora a immaginare una vita di coppia felici e contenti con un bambino, sono solo una ragazzina!» Sbotto.
«Lui deve essere messo al corrente delle tue scelte in questa situazione, un giorno potrebbe scoprire che tu lo hai tenuto e non hai idea di cosa potrebbe accadere» spiega. «Ne ho viste di situazioni simili.»
Passo una mano sulla fronte. «Potrei darlo in adozione dopo il parto e continuare la mia vita.» Penso frettolosamente.
Lei tentenna qualche istante. «Allora dovrai cominciare da ora a cercare una famiglia per questa creatura. Ci sono tante giovani coppie che desiderano avere un bambino. Potresti realizzare il sogno di qualcuno» la dottoressa sembra rilassarsi. «Posso darti una mano in questo caso.»
Vuoi darmi una mano? Procurami una pillola per un sonno profondo, da cui non c’è risveglio. Grazie.
«Va bene, puoi iniziare a cercare allora» boccheggio qualche istante e poi riprendo la mia borsa, poggiata sulla sua scrivania. Le porgo la mano per salutarla. «Grazie» dico con voce flebile.
«Ci vediamo tra  quattro settimane, ma se hai qualche problema o titubanza prima, non esitare a chiamarmi!» Detto ciò mi stringe la mano. «Mi raccomando.» La sua lunga e profonda occhiata mi rende nervosa.
Così appena posso sgattaiolo fuori di lì.

Mia madre è in sala d’aspetto ansiosa, non appena mi vede le luccicano gli occhi.
Le vado incontro.
«Andiamo» decreto dando uno sguardo ai ragazzi di prima.
«Che cosa hai fatto?» Domanda mia madre con un tono così preoccupato.
«Mamma dopo.» Sbuffo. Poi alzo una mano per salutare i due e m’incammino verso l’uscita.
Salgo subito in auto e poggio il capo sul sedile. Chiudo gli occhi e rimango così qualche istante, fin quando mia madre non piomba sul posto di guida, riempendomi di domande.
«Dimmi tutto.»
«Lo darò in adozione dopo il parto, così partirò per il college» decreto svelta.
Mia madre non parla. Lo so che è contro questa decisione, ma come ha detto le ginecologa, la scelta è solo e soltanto mia.
«Forse dovresti dirglielo a quel ragazzo.» Adesso il suo tono è severo, duro e rigido. «Non puoi comportarti da strafottente in questa situazione.» Mette in moto l’auto.
«Dylan e io non ci parliamo più, tanto fra poco lui se ne andrà» scocco la lingua sul palato e fisso fuori dal finestrino.
«Sei una persona cattiva quando ti comporti così, non capisco da chi tu ne abbia preso» mia madre sembra afflitta, ma non immagina quanto io lo sia.
Sto cercando di estrapolare dal mio corpo un’energia che non credevo neanche di avere. Sto cercando di non comportarmi da pazza isterica, urlando e piangendo.
Sto cercando di fare la persona matura, prendendomi questa responsabilità, ma non voglio tenerlo, non sarei in grado.
Il bambino o bambina avrà bisogno di due genitori, due persone che gli vogliano bene costantemente ed incondizionatamente, senza che debbano pentirsene ogni qualvolta incroceranno i suoi occhi. Voglio che abbia affianco due persone che gli stiano dietro come fossero due cani da caccia, che possano fargli realizzare ogni suo desiderio, che riescano a renderlo o renderla felice con poco, anche con le piccolezze. Voglio che il giorno di Natale riceva tutte le attenzioni, che il primo compleanno abbia intorno solo gente che lo guardi come se fosse la cosa più bella di questo mondo, che il primo giorno di scuola gli si vengano scattate cinquecento fotografie da appendere poi in un album.
Voglio che diventi una brava persona, sicura di sé, pronta ad affrontare ogni ostacolo della vita. Voglio che in un futuro non si penta mai della famiglia in cui è cresciuto, che possa esser fiero dei suoi genitori, che possa guardarli con ammirazione e non desiderare nient’altro di meglio al mondo.


Trascorro l’intera giornata chiusa in stanza, non voglio sentire nessuno, né mia sorella né Beth. Ho scoperto, però, tramite quest’ultima che Dylan partirà prima del previsto per il college. Fra qualche giorno spiccherà il volo.
Beth dice che non riesce a rimanere ancora per molto qui ed è sicuramente la scelta migliore quella di andar via adesso, quando le acque sono così agitate.
Bè, lo penso anch’io e spero che possa affrontare questo momento nel migliore dei modi.
Beth, invece, aspetterà ancora una settimana, poi anche lei lascerà New York e la rivedrò nelle vacanze natalizie. Mi chiedo come farò a nascondere la pancia, ma questo è un problema che affronterò in seguito.


Il giorno dopo sto facendo una corsetta nel vialetto di casa, ma quando in lontananza scorgo una figura conosciuta rallento. Stacco la musica, abbasso un auricolare e assottiglio gli occhi per capire meglio, così con il fiatone mi blocco. Porto le mani sui fianchi  ed inclino di poco il busto in avanti.
Il ragazzo ha i capelli cortissimi, una camminata conosciuta, un borsone alla spalla, un atteggiamento facilmente riconoscibile ed un braccio ingessato.

«Buongiorno!» Il suo vocione mi interrompe il flusso sanguigno.
Il cuore mi esplode di gioia e corro ad abbracciarlo. Probabilmente non è la reazione che lui si sarebbe aspettato, ma è una cosa bella in mezzo a tante cose orribili.
Brian è lì davanti a me e sembra passato così tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti…
Mi stringe cercando di far attenzione al braccio e lo sento ridere.
«Qualcosa mi dice che questa bimba non stia bene» mormora.
Mi distanzio fredda e mi ricompongo. «Come mai sei tornato?» Sistemo i capelli in una coda alta e spettinata.
Lui sospira e mi mostra il braccio, «sono da gettare in una spazzatura» ride. «In realtà ho litigato con qualcuno lì e le cose non sono andate come previsto, mio padre mi ha finalmente lasciato libero di fare quel che voglio perché per lui sarò sempre un disgraziato e niente… sono tornato qui»  si gratta il capo imbarazzato. «Devo trovare un lavoro stabile, sistemarmi mentalmente, ma ho sempre la solita testa di cazzo» dice infine.
Lo guardo di sbieco. «Perché hai litigato?»
Si guarda intorno, «c’erano le donne nel nostro gruppo di addestramento ed io sono un piacione… lo sai, mi sono lasciato coinvolgere da una ragazza, ma niente di serio insomma» sembra impacciato e mi viene da ridere. «Lei aveva già una tresca con un tizio, un mio compagno ed una mattina è scattato il finimondo. In poche parole le donne sono la mia rovina, mi hanno cacciato e voglio farmi prete… credi sia una buona idea?» Nascondo il volto con entrambe le mani e scoppio a ridere.
Lo fisso nuovamente negli occhi e prendo un lungo respiro. «Ti va un caffè?»
Ride ed annuisce di rimando.


Siamo seduti in un bar di Manhattan, lui con un cappuccino, che tanto gli era mancato mentre io con un cornetto ed un caffè.
Parliamo del più e del meno, ma non abbiamo ancora sfiorato il tasto Dylan.
Lui mi racconta del suo addestramento, di quanto fosse duro e faticoso e di quante rinunce ha dovuto fare, così mi indica i suoi capelli quasi del tutto rasati. In realtà stanno già crescendo e così ha ancora di più l’aria da cattivo ragazzo, il quale è sempre stato.
«Ti preferivo con i capelli più lunghi» sorseggio il caffè.
Si massaggia il capo, «crescono subito» mi schiaccia un occhio. «Ho parlato tutto il tempo di me, di me e di me…» si massaggia il mento, «come sta il mio fidatissimo rivale?
Ci siamo. Perfetto.
Non muovo alcun muscolo facciale ed è per questo che lui si acciglia.
«E’ morto?» Ironizza. «Quando vi  ho lasciati pensavo di rivedervi tra qualche anno» sogghigna.
«Dylan fra non molto partirà per il college» dico stropicciando un fazzolettino.
Brian sorseggia il suo cappuccino, leccando dai baffetti la schiuma. «Ed anche tu no?»
Scuoto il capo accennando una smorfia con le labbra.
Aggrotta la fronte confuso e si sporge di più verso di me, «stai scherzando spero» inclina il capo da una parte e mi scruta dritto negli occhi.
Scapperei giuro. Questa sarebbe l’ennesima prova che io e Brian siamo due esseri completamente fuori dal normale.
«No, non andrò al college per quest’anno» deglutisco addentando il cornetto.
«Bene, quindi quest’anno vorrai lavorare da qualche parte? Fare un’esperienza diversa?» Domanda curioso.
«Tenere in grembo un bambino per nove mesi è da considerarsi come nuova esperienza no?» Non lo sto assolutamente guardando, ma quando i miei occhi incrociano i suoi noto la sua espressione paralizzata, gli occhi di pietra e lo sguardo assente.
«Non ci voglio credere» decreta a denti stretti.
«Neppure io.» Schiarisco la voce.
Si massaggia il volto con entrambe le mani e si poggia allo schienale della sedia respirando profondamente.
«Pensavo di essere io quello dei grandi casini Liz» sembra completamente su di giri, come se gli fosse arrivata una pentola di acqua bollente addosso.
Odio esser guardata con pena, ma lui non sta facendo questo, lui mi sta fissando come quando io osservavo lui dopo una delle sue sventure. Come per dire “mannaggia a te”.
Ed eccolo lì, pensieroso che non fiata. Sicuramente si starà cullando, la sua vita non è l’unica a fare schifo.
«Ma perché lui va via?» Chiede subito dopo.
Scuoto il capo, «lui sa che abortirò» sentenzio.
Mi sta squadrando malignamente, «è una decisione di merda, lo sai.»
Scrollo le spalle. «Dopo di che lo darò in adozione e io andrò al college.» Spiego cercando di apparire rilassata, quando in realtà sono un fiume in piena.


«Oh perfetto! Complimenti.» E’ in quell’istante che la voce di Dylan piomba alle nostre orecchie.
Ci voltiamo di scatto e lui è lì parato di fronte a noi, con le mani nascoste dentro i jeans e l’espressione di chi ci scaraventerà contro qualcosa.
Brian si mette subito in piedi ed alza le mani in segno di resa, «ti stai facendo un film, stiamo solo prendendo un caffè» il suo tono è freddo.
«Che bello, tu fai colazione come una persona tranquilla e normale, mentre io mi faccio venire la gastrite!» Sbotta Dylan osservandomi. «Brava, sei uno schifo» dice con odio e disprezzo. Non può esser sincero, però.
«Dylan io ho già deciso, basta adesso» borbotto furibonda.
«Tua madre mi ha detto che lo darai in adozione, perfetto, almeno saprò che avrà una madre come te» sputa quelle parole trafiggendomi il petto con un coltello affilatissimo.
Brian si volta verso di lui in cagnesco, «credo tu sia troppo duro adesso» cerca solo di mettere la pace, lo so. Conosco questa sua espressione.
«E’ vero.» Mi alzo ingoiando il solito maledetto nodo, strizzo gli occhi e caccio via le lacrime. «Avrà sicuramente una bellissima famiglia» mordo violentemente le labbra.
«Sei riuscita ad avere quello che volevi, l’odio nei tuoi confronti… come se tutto l’amore che provassi fosse stato spazzato via così… non potrei mai più guardarti come se tu fossi la cosa più bella della mia vita, perché non lo sei» la sua voce sta tremando, «buona vita Grace Elizabeth Stewart, spero di non rincontrarti mai più.» I suoi occhi lucidi lo ingannano, si volta e va via sfregando i palmi delle mani l’uno contro l’altro.

Mi lascio cadere sulla sedia avvilita. Brian mi si affianca abbassandosi e mi accarezza una gamba.
«Ti accompagno a casa.»



POV  DYLAN


Non è Brian il problema. Non più. Non sono geloso della loro vicinanza, non potrei esserlo.
Mi tormenta l’idea che lei stia facendo come se io nella sua vita fossi solo un puntino minuscolo ed invisibile. Eppure pensavo che fosse sincera, che ci legasse qualcosa di vero e profondo, pensavo di poterle fare cambiare idea, pensavo che l’amore ci avrebbe fatto attraversare questo momento insieme e crescere soprattutto insieme.
Invece non si sta preoccupando minimamente di niente, non le interessa nulla.
La mia durezza nei suoi confronti non è reale, la amo così tanto, ma non riesco più a dirglielo. Probabilmente l’odio ha preso il sopravvento.

Sistemo le valige ed i vari borsoni, visto che domani sera lascerò New York.
Beth, silenziosa, mi sta dando una mano, ma so che ci sta soffrendo quanto me.
«Vuoi che le parli?»
«Grace non ascolta nessuno» dico serio mentre chiudo l’ultimo borsone.
Beth si sedie sul mio letto con le mani fra le gambe e mi osserva in ogni movimento che faccio.
«Voglio poter sistemare le cose, non voglio credere che stia succedendo tutto questo» ribadisce triste.
Frenetico mi dirigo in bagno per prendere le ultime cianfrusaglie.
«Non c’è niente da sistemare, è finito tutto» sentenzio, ma poi mi sporgo sul lavandino ed osservo la mia immagine riflessa sullo specchio. «Mi riprenderò» mormoro a denti stretti.
«Ci sentiamo allora» mormora Beth dalla stanza, «se hai bisogno di qualunque cosa lo sai che devi chiamare immediatamente, senza esitare e cerca di cominciare bene, non farti distrare da niente e da nessuno, divertiti quanto puoi e non pensare a nulla. » Si mette in piedi e parlotta velocemente, poi mi abbraccia di scatto. «Mi mancherai così tanto da non poterlo neanche descrivere» sussurra al mio orecchio.
La stringo a me ed inalo il suo profumo, il suo odore sulla pelle, il suo shampoo al cocco.
Questa non è la fine, ma solo l’inizio di una grande scalata.
«Ti voglio bene» dico con voce rauca.

 
  
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