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Autore: futacookies    13/10/2017    0 recensioni
Perché, in fondo, lei si sentiva sia gatto che topo – braccata da un paio d’occhi che non avrebbero mai demorso, orditrice di una trappola a cui lui aveva, infine, abboccato. Magari era un ragno, e lui una mosca. Magari alla fine l’avrebbe mangiato. Magari alla fine era lei, il serpente.
[...]
Non c’era più un futuro, per lei e Scorpius. Forse non c’era mai stato. Aveva messo in trappola anche quello.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lily Luna Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Lily/Scorpius, Rose/Scorpius
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Note dell’autrice
Salve a tutti! Sono particolarmente felice di come abbia sviluppato questa storia, e di come sia riuscita ad esprimere i sentimenti dei due personaggi. La relazione tra Scorpius e Rose segue ormai un mio personalissimo schema di rapporti e caratteri – ovviamente si ignora qualunque delucidazione sui loro personaggi possa esserci stata fornita da The Cursed Child. Per cui, sentitevi più o meno liberi di considerarli OOC.
Devo dire che, sebbene la storia sia nata più come uno sfogo che altro, ci sono particolarmente attaccata, perché è anche un’evoluzione (?) del rapporto tra Rose e Scorpius rispetto a quanto scrissi due anni fa con “La strada per l’inferno”. Mi piace pensare che le differenze, seppur minime, tra le loro interazioni siano dovute ad una mia diversa concezione dell’amore – in fondo, all’epoca avevo quindici anni, oggi ne compio diciotto.
Probabilmente tra oggi e domani aggiungerò una serie di note, alla fine, per fornire la mia chiave di lettura e il contesto in cui ho calato questa storia – per adesso sappiate che Rose era innamorata di Scorpius, lui la ricambiava, ma hanno combinato un gran pasticcio. Sappiate anche *spoiler* che le parti in corsivo, messe tra virgolette e separate dal testo dai trattini, fanno parte di una sorta di dichiarazione di Scorpius, a cui si accenna più volte.
Buona lettura,
Fede ♥

A Gabs, che è sempre quanto di più bello potesse capitarmi.
E a Vitto, che è più o meno la stessa cosa.

Il gatto e il topo

Rose non sapeva se fosse davvero giusto, quello che stava facendo – non sapeva nemmeno se era reale, quello che provava. Rose non sapeva se amasse Scorpius, o se fosse tutto un brutto scherzo della sua mente – in realtà, Rose non sapeva niente.
Non su se stessa, non da molto tempo, ormai – era cresciuta ed era diventata quasi un’estranea, per se stessa. Non per Scorpius. Nonostante avesse cercato di sfuggirgli, di sfuggire a quei sentimenti che le avevano fatto così male, era unicamente riuscita a trovarselo più vicino.
Non sapeva chi stesse dando la caccia a chi, non sapeva se fosse lei, il gatto che aveva spinto il topo nella trappola, o se fosse Scorpius, deciso più che mai ad acchiapparla – e la guardava, la guardava con quegl’occhi grigi e freddi e sembrava che stesse cercando di perforarle l’anima, sembrava che ci fosse riuscito, sembrava che guardasse lei e oltre lei, attraverso quelle fessure che aveva scavato a forza di sguardi rubati.
Gliel’aveva detto, pochi giorni prima – era in biblioteca, nascosta in libro, dove nessuno sarebbe riuscito a trovarla. Tranne Scorpius.
_

“Ti guardo, quando pensi che non lo faccia nessuno. E ti guardo quando lo stanno facendo tutti. In classe, quando capita. In Sala Grande, sempre.”
_

Non riusciva a smettere di guardarla, e lei non riusciva a smettere di pensarci. Non riusciva a non pensare che fosse stata una stupida – proprio lei, una Corvonero! – a non mettere insieme tutti i pezzi del puzzle, quando ancora poteva.
Quando, nei mesi precedenti, aveva spinto Lily verso di lui – verso quelle braccia che avrebbero dovuto stringerla, in quel momento, verso quegl’occhi che la guardavano sempre, verso quelle labbra che l’inseguivano nei suoi sogni e soprattutto nei suoi incubi – era convinta che avrebbe fatto un favore a tutti. All’adorata cugina, che aveva bisogno di riprendersi, dopo una brutta delusione; a Scorpius, che chiaramente non era interessato a lei; a se stessa, che doveva assolutamente salvare da quei sentimenti troppo forti per essere contenuti e troppo distruttivi per essere espressi.
Adesso quelle braccia volevano davvero stringerla, quegl’occhi la guardavano implorando pietà per un crimine che non avevano commesso, quelle labbra le confessavano cose che avrebbe dato la vita per non sentire – ora era tutto sbagliato, non c’era nulla che non avrebbe fatto per proteggersi, per proteggerlo. Non c’era nulla che non avrebbe fatto per tornare indietro nel tempo ed disfare tutte le sue trappole. Alla fine, chi aveva davvero intrappolato?
Molto probabilmente, si disse, entrambi. E non riusciva davvero a tollerarlo – non riusciva a tollerare il volto estatico di Lily, non riusciva a tollerare il modo in cui lui le sorrideva e poi immediatamente si girava a guardarla. Avrebbe voluto soltanto sprofondare – magari un giorno la terra l’avrebbe inghiottita davvero, e con lei i suoi problemi, dove gli occhi di Scorpius non sarebbero riusciti a seguirla.
Perché, in fondo, lei si sentiva sia gatto che topo – braccata da un paio d’occhi che non avrebbero mai demorso, orditrice di una trappola a cui lui aveva, infine, abboccato. Magari era un ragno, e lui una mosca. Magari alla fine l’avrebbe mangiato. Magari alla fine era lei, il serpente. Oppure era lui, lui che l’aveva prima intrappolata nei suoi stessi sentimenti e poi aveva scelto Lily – Merlino, lo aveva costretto lei, a scegliere Lily. Lui che poi, incurante delle conseguenze, le aveva rivelato cosa provasse davvero, a prescindere da cosa mostrasse – e lei aveva iniziato a cadere, sotto il peso di quella consapevolezza.
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“Non m’importa cosa pensi, di cosa tu sia convinta. Non m’importa di quello che ti sei sempre detta. Sei una stupida, lo sei sempre stata. Pensi di nasconderti, di scapparmi, e ogni volta che succede mi rendo conto che non c’è davvero un posto dove non ti troverei. Ti troverò sempre.”
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Voleva andarsene, non vedeva l’ora che quell’anno finisse – e dopo non ci sarebbe stato più niente, non ci sarebbe stato più lui, non più i suoi occhi che la seguivano ovunque. Solo ricordi sbiaditi da lacrime e rancore. Eppure era terrorizzata dall’idea di perderlo: avrebbe preferito continuare a permettergli di dilaniarle l’anima, di vederlo, sorridente e soddisfatto, al fianco di Lily. Avrebbe sopportato tutto per lui, per non separasi da ciò che era stato la sua unica garanzia, nel corso degli anni.
Le sue amicizie cambiavano, la sua famiglia cambiava, lei era cambiata fino al punto di guardarsi allo specchio e non sapere nemmeno più cosa le fosse successo, eppure Scorpius era sempre lì – leggera e straziante puntura nel fondo della sua anima. Se gliel’avesse chiesto, lui le avrebbe detto cosa l’aveva cambiata. Forse il tempo, forse gli altri. Forse lui.
Si sentiva con le spalle al muro. Cosa avrebbe dovuto fare? Dannarsi – dannarlo? – e lasciare che desse libero sfogo a quello che provava, ferendo indicibilmente l’unica persona della cui felicità le interessasse ancora qualcosa?
_

“Lily, Lily. Lo so, di non essere l’unico chiodo fisso della tua mente. C’è sempre anche lei. Preferiresti andare avanti così finché avrai vita, piuttosto che dirle la verità. Lo scoprirà, prima o poi. Magari glielo dirò io. Magari tu. Non m’importa nemmeno di questo.”
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Avrebbe preferito morire – avrebbe preferito ucciderlo. Avrebbe davvero preso in considerazione l’idea di non sentirsi più quegl’occhi addosso, così dolci e affilati allo stesso tempo, pur di non farla soffrire. In realtà, sapeva che avrebbe sofferto in ogni caso, verità o bugie che fossero. Aveva messo in trappola anche lei.
L’aveva condannata ad una vita d’infelicità nel tentativo di salvare quello che restava di se stessa – lacrime seccate e promesse mai mantenute e sogni mai avverati. Un’esistenza costruita nella sua mente, alterando il passato, ignorando il presente, sperando nel futuro, che era l’unica cosa rimastale. L’unica cosa che le era rimasta e alla quale aveva rinunciato più che volentieri, pur di riprendere controllo di sé – non c’era più un futuro, per lei e Scorpius. Forse non c’era mai stato. Aveva messo in trappola anche quello.
E chi sa cos’altro si era negata, in quel modo – cos’altro le aveva negato lui, troppo preso dalle sue macchinazioni per accorgersi delle trame che lei tesseva di notte e sfilava di giorno. Forse erano entrambi degli stupidi, ciechi e sciocchi come a volte possono esserlo solo le persone innamorate. Perché questa era la verità. Crudele, cattiva, velenosa verità. Che forse l’avrebbe uccisa.
Scorpius era innamorato di lei – non avrebbe smesso di esserlo per farle piacere, o per farlo a Lily. Non avrebbe rinunciato a suoi sentimenti, era troppo egoista anche solo per pensarlo. E a lei cosa restava? La totale abnegazione, la rinuncia di se stessa, di cosa era diventata non sapendo neanche come. Lui non avrebbe rinunciato a niente, quindi lei avrebbe rinunciato a tutto.
_

“Cosa credevi, che sarebbe bastato buttarmi tua cugina tra le braccia, per farti stare meglio? Che se lei mi avesse amato, tu avresti smesso? Ti sei resa conto troppo tardi della situazione, vero? Non avevi capito nulla, e continui a non capire. Non capirai, perché non vuoi farlo. L’unica cosa che hai capito era che ti amavo, quando ormai erano settimane che frequentavo Lily.”
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Oh, aveva capito, aveva capito tutto, aveva capito troppo e avrebbe maledetto per sempre il giorno in cui il Cappello Parlante l’aveva smistata a Corvonero, perché Scorpius, a dispetto di tutto, non avrebbe fatto altro che farle sembrare una stupida, per ben sette anni. Sarebbe caduto nelle sue trappole, solo per farla cadere a sua volta. Cosa avevano ottenuto, una volta caduti entrambi a terra?
Un contatto con la realtà, che non avevano mai avuto? La difficile scoperta di se stessi, quando ormai era troppo tardi? Non era giusto, davvero, quello che aveva fatto, non era giusto quello che stava facendo, ma sarebbe stato giusto quello che avrebbe fatto. Avrebbe rinunciato a se stessa.
Ormai, Scorpius era perduto. Non c’era alcuno modo in cui avessero potuto stare insieme, non c’era alcuno spazio o tempo in cui sarebbe stato possibile. Perché lui era stato di Lily ed era macchiato di un amore che non le avrebbe mai dato pace. Se ricambiava il suo sguardo, se gli perforava l’anima a sua volta, Rose riusciva quasi a vederla, quella macchia: rossa, sgargiante, sanguigna. Indelebile.
Era così che c’era finita, in biblioteca: sfuggendo il sguardo. Aveva imparato a conoscerlo, a sentire i suoi occhi su di sé, e sapeva che non l’avevano lasciata un solo istante, quella mattina – le erano scivolati addosso nei corridoi, le avevano scottato la nuca nell’ora di Trasfigurazione, le avevano scavato dentro quando l’avevano incrociata, per un singolo instante. Sentiva che stava per fare qualcosa, ed era scappata, ed era finita nell’ennesima trappola. Poi lui l’aveva raggiunta, e tutte le parole erano morte, insieme alla sua capacità di alzarsi e andarsene – sapeva che non se ne sarebbe andata mai. Era parte del suo potere su lei.
_

“Ti amo. Lo sai, sono convinto che tu lo sappia. Devi averlo capito, per forza. Non puoi ancora ignorarlo. Ti amo e non m’importa di quello che provi tu, Lily o chiunque altro. Non m’importa quanto e quanti dovrò sacrificare, pur di averti.”
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Incapace di rispondergli alcunché, aveva lasciato che si avventasse sulle sue labbra, che facesse quello che voleva perché davvero – davvero – le erano mancate tutte le forze. Era rimasta lì, inerme, con la consapevolezza che il suo sapore era esattamente come l’aveva immaginato, e che le sue mani l’avrebbero seguita ovunque, peggio dei suoi occhi – era stato un assaggio di paradiso prima che si schiudessero le porte dell’inferno. E non c’erano state buone intenzioni, sulla strada che l’aveva portata lì.
Appena si era staccato da lei, aveva appena avuto il coraggio di dirgli di andarsene, prima di brancolare in stato confusionale fino alla sua Sala Comune – da allora c’erano stati solo il chiasso di cui si era circondata e il silenzio da cui si era fatta inghiottire. Da allora c’erano stati i suoi occhi, più prepotenti di prima, più arrabbiati, ma in grado di esprimerle semplicemente lo sconfinato e ossessivo amore che provava per lei.
L’aveva guardata ed era stato come nascere, morire e risorgere in un sol colpo – era stato come provare tutto da capo, solo per poi smettere. E in quel momento si stava recando in biblioteca, dov’era iniziata e finita, per cercare risposte ad una domanda che non aveva ragione di esistere – che forse davvero non esisteva. In fondo, perché crearselo, il problema? Scorpius l’amava e la voleva, certo, e lei lo amava – Merlino, se l’amava! – ma nulla la costringeva a desiderare una relazione.
Seppe che stava arrivando prim’ancora di sentire i suoi passi, grazie a quell’insieme di istinti primordiali che l’avevano intrappolata da qualche parte insieme a lui – forse erano entrambi topi, vittime di un gioco più grande di loro. Ragazzini stupidi che non conoscevano l’amore e non sarebbero mai riusciti a capirlo, che lo rifiutavano e lo cercavano per amor proprio più che per l’altro.
«Rose…», mormorò lui strascicando il suo nome, una preghiera e un’accusa che non sarebbero potute risultare più carezzevoli, «…dimmi di sì.»
Ripensò alle lunghe e dolorose elucubrazioni che non l’avevano lasciata per un solo momento, da quando l’aveva baciata – il gatto, la trappola, la macchia, il topo. I topi – e si disse che c’era una sola e naturale risposta a quell’ordine sussurrato, a quella richiesta che aveva l’alacre odore dell’imposizione.
«No. Vattene. Lasciami in pace.»
Fu orgogliosa di se stessa, nel momento in cui pronunciò quelle parole – ferme, decise, pericolose. Come solo le parole d’amore potevano essere. Non aveva pensato che si sarebbero mai parlati così, che una cosa del genere sarebbe davvero successa, che un giorno lui l’avrebbe supplicata di essere sua e lei gli si sarebbe negata – c’era qualcosa di stonato, profondamente sbagliato in tutto ciò. Avrebbe dovuto buttargli le braccia al collo, stringerlo al seno, dirgli tutto ciò che voleva sentirsi dire – sì, sì, ancora sì. Per sempre sì. Invece restava immobile, come una statua troppo lontana, dallo sguardo troppo severo, mentre lui sembrava sgretolarsi sotto il peso delle sue parole.
«Non lo farò. Lo sai, te l’ho detto. Tu mi ami, tu mi ami…», continuò a ripetere, forse più per convincere se stesso che lei.
Avrebbe voluto guardarlo e ripetergli esattamente le stesse cose, infliggergli il colpo di grazia e magari riuscire a fargli credere che quel bacio, al quale non era capace di smettere di pensare, fosse avvenuto solo nella sua testa, che fosse unicamente uno di quei sogni irrealizzati e irrealizzabili su cui avevano fantasticato così a lungo da considerarlo reale – non ci riuscì.
Tenne lo sguardo basso e biascicò qualcosa che non era nemmeno sicura di aver capito – non sarebbe mai stata così abile da mentire, perché i suoi sentimenti erano troppo evidenti per essere nascosti o insabbiati. Mentre lei continuava a mormorava frasi sconnesse, lui alzò finalmente il capo.
«Sei una bugiarda. Tu menti, come tutti. Tu mi ami, e vorresti dirmi di sì.»
Rose sorrise amara, di fronte ad una constatazione così ovvia che non aveva nemmeno bisogno di essere pronunciata. Certo, che lo amava. Certo, che voleva dirgli di sì. Ma non l’avrebbe mai fatto, perché erano prigionieri e carcerieri e volevano giocare allo stesso gioco seguendo regole diverse – volevano acchiapparsi e poi lasciarsi sfuggire, e continuare all’infinito.
Rose sorrise amara, mentre gli voltava le spalle, per impedirgli di godere di quella conferma così sfacciata e innegabile – mentre voltava le spalle a tutto quello che sarebbero potuti essere, che erano e che erano stati. Alle loro macchie e alle loro trappole.
«Questa è l’unica verità che ti sarà concessa.»
 
  
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