Fumetti/Cartoni americani > Teen Titans
Segui la storia  |       
Autore: edoardo811    14/10/2017    0 recensioni
Un lungo viaggio da fare, un ignoto passato completamente da scoprire, un intero mondo da salvare.
La vita di Rachel è caduta a pezzi di fronte ai suoi stessi occhi, prima che lei potesse anche solo rendersene conto. Ma dietro ad una ragazza abbandonata, tradita, distrutta, si cela in realtà ciò che probabilmente è l’unica speranza di salvezza dell’intero genere umano. Perché lei non è una ragazza come le altre: lei è una conduit. Un demone, agli occhi dei più, un’eroina agli occhi dei meno.
In compagnia dei suoi nuovi amici, la giovane sarà costretta a dover agire al più presto, in una vera e propria corsa contro il tempo, prima che tutto ciò che con tanta fatica e sacrifici è riuscita a riconquistare venga spazzato via ancora una volta.
Ma essere dei conduit non è facile e lei, nonostante abbia raggiunto una consapevolezza del tutto nuova di sé, presto sarà costretta a scoprirlo.
Perché per raggiungere il controllo ci vuole tempo, tenacia, dedizione.
Per perderlo, invece, basta un attimo.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Raven, Red X, Robin, Sorpresa
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

8: PROGRESSI

 

 

Dopo quelle che parvero altre interminabili ore ed ore di viaggio, il gruppo si trovò finalmente di fronte a qualcosa di nuovo, dopo le infinite pianure e steppe a cui si erano abituati. Certo, non sembrava nulla di positivo, ma era comunque una novità.

Lucas rallentò la macchina, schiudendo le labbra. «Ma che diavolo...?»

Anche gli altri ragazzi rimasero senza parole. Di fronte a loro, decine e decine di automobili, furgoni, camioncini e altri veicoli si trovavano tutti ammassati, formando una barriera lunga centinaia di metri impossibile da valicare in macchina, visto che i veicoli coprivano entrambe le carreggiate dell’autostrada. E non sembravano messe lì a casaccio. 

«E adesso?» domandò Tara, rompendo il silenzio che si era creato.

«E adesso è un bel problema» mugugnò Rosso. E se era colui che sembrava sempre avere una soluzione a tutto a dirlo, allora era davvero un bel problema. «La macchina non passa di qua.»

«Torniamo indietro, allora?» interrogò allora Amalia, infilando la testa tra i due sedili anteriori come suo solito.

«Temo che anche questa non sia un’opzione valida...» brontolò ancora Lucas, accennando con il mento alla spia della benzina. Solo in quel momento Rachel si rese conto che era ancora accesa, e chissà da quanto tempo. La corvina spalancò gli occhi, ricordandosi delle loro risorse di carburante ormai agli sgoccioli.

«Non dovremo mica andare avanti a piedi?!» interrogò Komi, basita.

«Se torniamo indietro rimarremmo a piedi in ogni caso.»

«Ma...»

«Avremmo dovuto occuparci del carburante già da un pezzo...» mugugnò Richard, infastidendo Rosso come suo solito.

Rachel alzò gli occhi al cielo e scese dall’auto, prima che l’ennesima discussione iniziasse tra i due.

«Ehi, aspetta!» la chiamò il partner, scendendo a sua volta. A quel punto, agli altri ragazzi non restò molta scelta.

Rachel si avvicinò alle automobili. Erano molte di più di quante avrebbe potute contarne, a perdita d’occhio. Tutte quante erano arrugginite, ammaccate, molte addirittura carbonizzate. Ma la cosa più sorprendente, era che erano quasi tutte coperte in più punti da quello che aveva tutta l’aria di essere del muschio. E non sembrava naturale. Inoltre, perfino la strada era sprofondata in più punti, diverse pozzanghere di acqua stagnante si trovavano in giro, nonché altri mucchi di quello strano muschio. Forse era dovuto al paesaggio circostante, costituito da diversi acquitrini. Magari il terreno non aveva retto il peso della strada, che di conseguenza era ceduta, ma questo non spiegava comunque la presenza di tutte quelle macchine.

Che cosa è successo qui?

«Jack, ricordi di aver visto roba del genere, durante il tuo viaggio?» domandò la corvina, senza nemmeno voltarsi.

Il ragazzo sussultò, non aspettandosi di essere chiamato in causa. «No, purtroppo no. Mi dispiace.»

«Mh.» La conduit provò una strana sensazione. Sentiva che la strada di fronte a loro era pericolosa, ma allo stesso tempo era convinta che fosse quella giusta da prendere. Del resto, creare una simile barricata voleva dire che qualcuno non voleva che si proseguisse lungo quella strada. E se qualcuno voleva che non si proseguisse, significava che lungo quella strada c’era qualcosa di importante, che non tutti dovevano raggiungere.

«La comunità...» mormorò, senza nemmeno rendersene conto.

«Siamo sulla strada giusta» fece eco Richard.

Corvina si voltò verso di lui, sorpresa. Lo stesso fecero gli altri. L’ex Mietitore, notando i loro sguardi, scrollò le spalle. «Beh? Che avete da guardare? Chi pensiate che abbia lasciato quelle macchine lì, qualcuno che non ha nulla da nascondere, o da proteggere?»

«La California è ancora piuttosto lontana però...» osservò Rosso, prendendosi il mento, stranamente senza accanirsi contro il brizzolato. «Devono proprio aver deciso di fare le cose in grande per essersi spinti fino a qui pur di impedire agli estranei di avvicinarsi...»

«Ma scusate, come può qualcuno raggiungere la comunità se le strade sono bloccate?» domandò Komi, incrociando le braccia, diffidente.

«Questa è la cosa che mi chiedo anch’io» ammise Rachel, abbassano lo sguardo, rimuginando. «Solamente proseguendo potremo scoprirlo.»

«Quindi dobbiamo camminare?»

«Temo di sì.»

«Che palle...» brontolò Amalia, sbuffando come una bambina. «Le borse le porta tutte lui, giusto?» domandò poi, indicando Richard, il quale spalancò gli occhi basito.

«Non oserete...» minacciò lui, sollevando l’indice e puntandolo contro di loro, mentre Tara, Lucas e Komi si osservavano tra loro scambiandosi sguardi complici che non promettevano nulla di buono per il brizzolato. Jack ridacchiò di fronte a quella scena e perfino la conduit si lasciò scappare un sorriso divertito, dopodiché si voltò di nuovo verso le macchine, tornando seria.

Mentre alle sue spalle si udivano le proteste di Richard, la giovane osservò l’orizzonte, smarrendosi nei propri pensieri. Erano sempre più vicini, se lo sentiva dentro. Sì domandò cosa ci fosse in serbo per loro, una volta varcata quella barriera di automobili abbandonate. Di una cosa era sicura: quello era il punto di non ritorno.

Doveva solo sperare che non ce ne fosse davvero il bisogno, di ritornare.

 

***

 

Rachel si sentiva osservata. Era da diversi minuti che quella sensazione aveva iniziato a manifestarsi e, come al solito, se il suo istinto le suggeriva qualcosa, allora era qualcosa di cui tenere conto per davvero. L’ultima volta che si era sentita osservata mentre camminava nel bel mezzo di una strada aveva finito con l’avere ragione, visto che poi aveva incontrato di persona coloro che la stavano osservando.

Non sapeva da quanto tempo, ormai, stavano proseguendo. Avevano superato la barriera di automobili, che si era rivelata molto più lunga di quanto avevano potuto immaginare, ed ora erano lì, intenti a percorrere le centinaia di chilometri che mancavano alla California a piedi.

Sperando che le provviste bastassero. Avevano ancora qualche borsone, perciò non dovrebbero aver avuto problemi, nella peggiore delle ipotesi avrebbero dovuto razionare il cibo. Alla fine Richard non era stato davvero costretto a fare da galoppino, visto che ciascuno di loro trasportava qualcosa, anche se Rachel dubitava che Amalia stesse semplicemente scherzando quando aveva fatto quella proposta. Il lato positivo era che non faceva molto caldo, quindi le loro energie non sarebbero state immediatamente drenate dal clima.

Come di consueto, le ragazze parlottavano del più e del meno, mentre lei e Rosso erano in testa al gruppo, l’uno accanto all’altra, intenti a procedere in silenzio. Del resto, loro due non avevano bisogno di parlarsi in qualsiasi momento per capirsi. La corvina si domandò poi cosa stesse pensando Richard, rimasto al fondo della marcia insieme a Jack. Poteva perfettamente immaginarsi le occhiate furtive che gli lanciava, in attesa del suo primo passo falso. Rachel sorrise a quel pensiero, sentendosi anche estremamente sollevata del fatto che c’era qualcun altro intento a fare ciò che lei avrebbe voluto fare, ossia tenere d’occhio Jack. Non voleva ammetterlo, ma era grata a Richard per come, nonostante tutto, stesse guardando le spalle di tutti loro. Anche lui stava cambiando, ne era sicura. Anche se sicuramente il brizzolato avrebbe preferito tirare le cuoia piuttosto che ammetterlo apertamente.

Rachel si voltò, per volgere una rapida occhiata in direzione dell’ex Mietitore. Doveva essere una cosa veloce, in modo che nessuno se ne accorgesse, ma non appena lo fece, con suo enorme stupore scoprì che anche lui la stava guardando. I loro sguardi si incrociarono e la giovane sentì le proprie interiora attorcigliarsi all’improvviso. Durò un solo istante, ma le sembrò un’eternità. Dopodiché, lui le rivolse un cenno del capo e distolse lo sguardo. La giovane si voltò di nuovo, basita, non sapendo minimamente a cosa pensare. Perché la stava guardando? Per lo stesso motivo per cui lei si era voltata, ossia per via della loro discussione su Jack? Si auto convinse che quello fosse il vero motivo, ma una parte di lei, invece, stava pensando a tutt’altro.

«Tutto ok, Rachel?» domandò Lucas all’improvviso, facendola trasalire.

La ragazza scrollò il capo per ricomporsi al più presto. Per un attimo si era scordata che anche Lucas era uno che non si lasciava sfuggire nulla, e ciò era un errore madornale che non doveva più commettere.

«Sì, sto bene...» replicò lei, con un tono talmente poco convincente che nemmeno lei ci credette.

«Ne sei sicura?» domandò allora Rosso.

Corvina si mordicchiò il labbro inferiore. Ma che diavolo stava combinando?! Era chiaro come il sole che il moro non fosse convinto delle sue parole. Forse... forse avrebbe semplicemente dovuto dirgli la verità. Del resto, poteva fidarsi di Richard, ma non di Lucas, colui che le era rimasto accanto per tutto quel tempo, colui al quale aveva deciso, infine, di donare il suo cuore?

Certo che no.

«Ascolta, Lucas...» Rachel iniziò a parlare, ma qualunque fosse la ragione, si interruppe di colpo. La frase che stava per dire si tramutò in un’altra senza che nemmeno lei se ne accorgesse. «... tu ti fidi di Jack?»

Red X inarcò un sopracciglio. «Di quello sconosciuto che abbiamo trovato in mezzo ad una strada, di notte, mezzo morto? Mi fido di lui tanto quanto mi fidavo di Amalia e Ryan quando li abbiamo incontrati la prima volta, cioè non molto. Ma ora che è qui con noi possiamo tenerlo d’occhio meglio e vedere cosa combina, e se fa qualche cazzata possiamo sempre cacciarlo via a calci.»

Rachel schiuse le labbra udendo quelle parole. Allora... neanche lui si fidava di Jack. Un sorriso cominciò a dipingersi lentamente sul volto della giovane, che si maledisse per aver sottovalutato in quel modo, per l’ennesima volta, Rosso.

«Dal tuo sorriso deduco che era la risposta che speravi di sentire...» commentò ancora il moro, abbozzando un sorriso a sua volta.

La corvina sentì le proprie goti arrossarsi, poi chinò il capo, ridacchiando sommessamente. «Sei il migliore» sussurrò infine, appoggiando il capo sulla sua spalla.

«Anche tu non sei male» replicò lui, avvolgendole un braccio attorno alle spalle.

«Ehi, piccioncini» sbottò Komi da dietro di loro. «Prendetevi una stanza.»

Lucas la liquidò con un cenno della mano, mentre Tara ridacchiava. Rachel ignorò tutti loro, concentrandosi unicamente su Rosso. Le dispiaceva dover sparlare in quel modo di Jack, ma era la verità, non riusciva a fidarsi di lui, e a quando pareva Richard non era il solo che la pensava come lei. E la cosa la fece sentire molto più a suo agio.

Per un momento aveva pensato che potesse fidarsi di Robin e non di Rosso... che stupida. Era ovvio che il moro diffidava di Jack tanto quanto lei, altrimenti non lo avrebbe chiamato "partner".

«Aspetta, hai detto che non ti fidavi di Komi e Ryan quando li hai incontrati. Significa che non ti fidavi nemmeno di me?»

«Non proprio...» Il ragazzo piegò il capo. «... diciamo che con te il discorso è stato diverso. Non potevo fidarmi ciecamente, come sicuramente neanche tu, ma sapevo che le tue intenzioni erano buone. Non mi avresti tradito, ne ero sicuro. E dopo che mi hai raccontato tutte quelle cose su di te, dopo aver visto la tua reazione quando abbiamo incontrato Richard la prima volta, questa mia certezza non ha fatto che rafforzarsi.»

Rachel sentì lo stomaco in subbuglio ripensando a quel giorno. Era passato più di mezzo anno, da allora, eppure ricordava tutto quanto così bene, così vividamente. Abbassò lo sguardo, sospirando profondamente. «Grazie per essermi stato accanto...»

«Nessun problema. Lo rifarei altre mille volte. Ma poi basta, eh.»

Corvina ridacchiò, chinando il capo. «Ricevuto... quindi ti sei fidato di me anche prima che ti raccontassi del mio passato?»

«Diciamo di sì.»

«E come mai?» La ragazza sollevò un sopracciglio, perplessa. «Ero solo una ragazza come tante, conduit per giunta, non ci eravamo mai visti prima. Cosa ti ha spinto a fidarti di me fin dal primo momento?»

«Beh...» Il ragazzo esitò. «Non saprei...»

«Non può essere stata solo una sensazione a pelle, non è roba da te» insistette Rachel, guardandolo negli occhi.

Per la prima volta dopo tanto tempo, Rosso non sembrava davvero in grado di trovare le parole. E la cosa non faceva altro che incuriosire ancora di più la corvina. Ma prima che la discussione potesse proseguire, un rumore orribile si disperse nell’aria. Anzi, più che un rumore, sembrava un verso. Un verso che non piacque per niente alla conduit.

I ragazzi si fermarono di scatto, per poi iniziare a guardarsi attorno, i sensi affinati al massimo. Rachel provò una strana sensazione, fu in quel momento che realizzò perché si era sentita osservata: non erano soli.

Diverse pozze d’acqua nel terreno paludoso accanto a loro esplosero all’improvviso, facendo trasalire tutti i presenti. Da esse fuoriuscirono diverse figure, che atterrarono sulla strada attorno a loro, circondandoli, accompagnati da una pioggia di schizzi d’acqua stagnante. Non appena Rachel le vide meglio, inorridì.

A primo impatto, Corvina non credette nemmeno ai propri occhi, ma più passavano i secondi, più udiva i loro versi, più il tanfo di acqua stagnante si insinuava nelle sue narici, più realizzava che tutto quello era reale.

Non aveva nemmeno idea di come definire ciò che si trovava di fronte a lei. Erano delle creature antropomorfe, qualcosa che mai aveva visto prima. Assomigliavano a degli uomini, ma avevano la pelle ricoperta di squame, chi verdi, chi invece di tonalità più scure come il grigio o il nero, chi invece bianche, gli occhi gialli, le pupille piccole, i musi schiacciati e i denti aguzzi. C’era chi aveva ancora dei capelli e chi invece no, chi sotto le braccia aveva delle membrane simili alle ali dei pipistrelli, alcuni avevano perfino la coda.

Erano... mutanti. Ibridi tra uomini ed animali, rettili perlopiù. Ed erano disgustosi. Credeva che nulla l’avrebbe sconvolta come quella volta in cui aveva incontrato i Mietitori per la prima volta, ma si era sbagliata. Una mezza dozzina di quegli esseri li stava circondando, ringhiando, producendo quei versi che già prima avevano udito, diversi di loro avevano pure della disgustosa bava giallognola che colava dalla bocca. Era evidente che non fossero lì per dare loro il benvenuto.

I ragazzi si strinsero, ritrovandosi disposti in cerchio, mentre quegli esseri continuavano ad avvicinarsi. Rachel si domandò se anche loro fossero dei conduit. Non aveva mai visto alcun tipo di esseri simili a quelli, ma non c’erano molte spiegazioni. O forse, il gene che possedevano loro aveva reagito in maniera diversa, attribuendogli quegli aspetti ripugnanti. Non lo sapeva, sapeva solo che non era affatto intenzionata a trasformarsi nello spuntino di qualche mostro. E lo stesso sicuramente stavano pensando i suoi compagni, perché Komi estrasse la pistola, gli occhi di Tara si illuminarono e Rosso piegò le gambe, pronto a combattere.

Un altro rumore, tuttavia, distolse l’attenzione di tutti i presenti, mutanti inclusi. Un rumore decisamente più conosciuto ai ragazzi, quello di un veicolo. Rachel puntò lo sguardo verso l’orizzonte, dove poté scorgere diversi mezzi dirigersi verso di loro. Non seppe dirsi se questa cosa fosse positiva o meno fino a quando non notò la reazione dei mutanti, i quali si voltarono tutti verso la strada, ignorando bellamente ragazzi, per poi cominciare ad agitarsi. Sembrava quasi che conoscessero quei veicoli, e che non fossero nulla di buono per loro.

Erano una jeep ed un furgoncino, che si fermarono ad un centinaio di metri di distanza da loro. Diversi uomini armati scesero da essi, per poi sollevare i fucili. Uno di loro sparò diversi colpi di avvertimento, rivolti verso al cielo. I mutanti non parvero gradire la cosa, perché si fiondarono verso di loro, urlando e dimenandosi come degli ossessi. Non dovevano brillare di intelligenza, perché così facendo per gli uomini fu molto più semplice aprire il fuoco su di loro. Alcuni di loro furono feriti e fecero dei versi di dolore simili a dei guaiti, dal rumore agghiacciante che fecero accapponare la pelle di Rachel, altri stramazzarono perfino a terra. Non passò molto tempo prima che i pochi superstiti rimasti decisero di battere in ritirata, gettandosi di nuovo negli acquitrini, non lasciandosi dietro altro che i loro guaiti e le loro tracce di sangue marrone scuro.

I ragazzi rimasero in silenzio, ad osservare basiti la scena. Uno degli uomini, lo stesso che aveva sparato i colpi di avvertimento, cominciò poi ad avvicinarsi verso di loro, mentre gli altri rimanevano in prossimità dei veicoli, probabilmente per coprirgli le spalle. Rachel tenne alta la guardia: nonostante quei tizi li avessero appena aiutati, non poteva sapere di potersi davvero fidare.

Quando l’individuo si avvicinò, la corvina non poté non constatare che perfino lui altro non era che l’ennesimo ragazzo. La cosa la fece rilassare in piccola parte, ma rimase comunque sull’attenti. Si concentrò sul suo aspetto: aveva i capelli biondo platino, tanti, tirati all’insù. Era molto pallido, quasi come lei, gli occhi erano chiari, grigi. Avrebbe voluto poter dire di più su di lui, ma non poteva, siccome aveva di fronte al naso e alla bocca una bandana nera, con il ghigno di un teschio stampato sopra. Aveva dei pantaloni mimetici grigi scuri, e una maglietta grigia scura delle maniche corte, che lasciava scoperte le braccia muscolose.

Quella divisa le ricordò molto quella degli Underdog, cosa che non le piacque minimamente. Per non parlare poi del fatto che anche Jeff Dreamer aveva la fissa per i teschi. In poche parole, quel tizio incarnava tutto ciò che Rachel avrebbe preferito non dover più rivedere dopo Sub City. 

Quando li raggiunse, li scrutò uno per uno molto attentamente. Solo in quel momento Rachel si accorse del suo sguardo inquisitore, che mischiato a quella bandana e al colore dei suoi occhi lo rendevano quasi inquietante. Quando poi fu lei quella ad essere osservata, il nuovo arrivato corrucciò la fronte. Parve quasi che la stesse esaminando, molto più attentamente rispetto a come aveva fatto con gli altri. Corvina resse lo sguardo, anche se cominciò a sentirsi a disagio. Che avesse intuito che lei fosse una conduit? Ma da cosa? E anche se così fosse stato, perché avrebbe dovuto squadrarla in quel modo? Passarono diversi istanti prima che si decidesse di distogliere lo sguardo da lei. Corvina sentì i propri nervi sciogliersi all’improvviso.

«State tutti bene?» domandò infine il ragazzo, con tono molto più socievole di quello che Rachel si sarebbe aspettata,  appoggiandosi il fucile su una spalla.

«Sì, anche se avremmo potuto cavarcela anche da soli» rispose Lucas, incrociando le braccia e scoccandogli un’occhiata diffidente.

Diverse rughine apparvero sotto agli occhi del biondo, segno che aveva sorriso, o sogghignato, era difficile capirlo. «Meglio prevenire che curare» rispose, per poi spostare lo sguardo sugli acquitrini. «Mi spiace che abbiate dovuto incontrare i Corrotti in questa circostanza, ma purtroppo è già da diverso tempo che attaccano tutti quelli che passano per di qua.»

«I... Corrotti?» domandò Rachel, perplessa. «I mutanti che ci hanno circondati?»

«Noi li chiamiamo così» annuì il ragazzo. «Vivono in questa zona, aiutano a tenere lontani gli intrusi.»

«Aiutano a...» Rachel si bloccò di scatto. «Aspettate, siete stati voi a creare quella barricata di macchine?» chiese ancora la corvina, mentre iniziava a collegare i puntini.

Il biondo annuì ancora. «Immagino che la vostra destinazione sia la California.»

Rachel dischiuse le labbra e la stessa reazione di stupore ebbero anche i suoi compagni. «Ma... ma allora voi...»

«Venite con me» tagliò corto lui, accennando con il capo al furgoncino. «Abbiamo molto di cui parlare. Ah, il mio nome è Simon. Piacere di conoscervi.»

 

***

 

Il furgone procedeva per la strada dismessa, sobbalzando sopra ogni buca. Al suo interno, i sette ragazzi, contando anche Simon, erano seduti, intenti a discutere tra loro. Rachel osservava la strada che scompariva alle sue spalle, attraverso i vetri delle porte posteriori. Ancora non le sembrava vero.

Ancora non le sembrava vero che Simon e gli uomini che avevano incontrato li stavano portando là. Ancora non credeva che li stavano portando alla comunità.

Era successo tutto così in fretta...

Sapeva che la strada che avevano scelto era quella giusta, ma non avrebbe mai potuto pensare che le cose sarebbero andate così bene ed in così poco tempo. Alla fine perfino i Corrotti non erano stati un problema, per loro, visto che ci avevano pensato Simon e i suoi a farli fuggire. Le sembrava tutto così assurdo, irreale. Due giorni prima erano intenti a brancolare nel buio, diretti verso una meta di cui avevano solo sentito parlare, spinti da una semplice speranza, una speranza che avrebbe potuto rivelarsi completamente vana in qualsiasi momento e far crollare tutto quanto come un castello di carte. Invece ora erano lì, ora era tutto reale. Avevano incontrato persone che li stavano portando verso un luogo sicuro, quella che magari avrebbe potuto essere la loro nuova casa, li stavano portando verso ciò che per la prima volta dopo mesi faceva sperare alla corvina in un futuro più luminoso.

E la cosa la faceva sentire molto bene. Sapere che il lungo ed estenuante viaggio che avevano intrapreso era davvero servito a qualcosa, sapere che per una volta i loro sforzi non erano stati vani, sapere che per la prima volta dopo tempo sarebbero stati al sicuro, la faceva sentire bene come poche volte era stata.

La comunità non era mai stata così reale, e così vicina, come lo era in quel momento.

«Teniamo sotto controllo queste strade ventiquattro ore su ventiquattro» stava spiegando nel frattempo Simon, facendo vagare lo sguardo tra i presenti. Si era tolto la bandana, rivelando il suo volto completamente glabro. Era attraente, Rachel doveva ammetterlo.

«Abbiamo delle torri di vedetta dalle quali possiamo vedere tutto nel raggio di chilometri. Quando qualcuno supera la barricata, noi andiamo a prelevarlo. Ovviamente, però, non possiamo lasciare entrare chi ha brutte intenzioni, ma spesso ci pensano già i Corrotti a farli scappare con la coda tra le gambe.»

«Quindi... quelle bestie sono vostre amiche?» domandò Komi, inarcando un sopracciglio.

«No. Semplicemente, questo è il loro territorio, e loro lo sorvegliano. Noi abbiamo rigirato la cosa a nostro vantaggio. Non sono creature malvage, semplicemente, non vogliono essere disturbate. O meglio, era così, fino ad un po’ di tempo fa’…» Simon sospirò. «Non sappiamo bene cosa sia successo, ma ad un certo punto i Corrotti hanno iniziato ad aggredire chiunque varcasse le barriere, non solo chi creava problemi, e hanno addirittura attaccato diversi dei nostri avamposti, perfino uno dei nostri depositi. In poche parole, da improbabili alleati si sono trasformati anche loro in un problema. Uno dei tanti, di problemi.»

«Depositi?» interrogò Tara, rigirandosi tra le dita una ciocca di capelli.

«Dove custodiamo le nostre provviste. Abbiamo allevamenti e campi coltivati fuori dalla comunità, ovviamente tenuti sotto stretta sorveglianza dal nostro corpo di sicurezza, che ci permettono di avere praticamente tutto ciò che serve, inoltre alcune nostre squadre sono sempre in missioni di ricognizione, alla continua ricerca di viveri e altri civili da portare in salvo.»

«Da quanto tempo fai parte della comunità?» ora toccò a Rosso fare la sua domanda.

«Praticamente da sempre. Quando sono arrivato qui non era da molto che il nostro capo aveva avviato questa cosa, e il nostro corpo di sicurezza non era molto nutrito. Era costituito perlopiù da poliziotti, alcuni militari e volontari. Non è stato difficile per me inserirmi e scalare i ranghi, visto che prima di questo delirio stavo cercando di arruolarmi.»

«Avete un capo?» si intromise poi Rachel, sentendosi quasi in pena per Simon e per la miriade di domande che gli stavano rivolgendo, anche se era abbastanza sicura che lui, ormai, fosse abituato a tutto ciò.

«Sì, diciamo che è colui che ha iniziato tutto quanto. È stato il primo ad iniziare a protestare, a far sentire la propria voce e a cercare di far capire alle persone che tutto quello che nessun governo avrebbe fatto niente per noi e che se volevamo salvarci, avremmo dovuto fare da soli. Le sue registrazioni radio hanno fatto il giro per tutto il paese, scommetto che sono arrivate anche ad Empire.»

La corvina sgranò gli occhi, ripensando ad Empire City, agli schermi giganti sparpagliati per la città, a quell’agitatore con il volto censurato che gridava a tutti quanti che il governo li stava tenendo chiusi in gabbia. Credeva che fosse sparito, che fosse addirittura stato fatto fuori, invece no, invece era stato proprio lui a creare tutto quello. Rachel non avrebbe mai potuto pensare di poter ammirare in quel modo qualcuno che nemmeno aveva mai visto in faccia. E la cosa più sorprendente, quel tizio non era mai stato per davvero ad Empire City, ma trasmetteva da praticamente l’altro lato del paese.

Incredibile...

 «Dobbiamo conoscerlo allora...» osservò Rachel, abbozzando un sorriso. 

«Soltanto gli ufficiali più alti possono parlargli. Nemmeno io posso vederlo, o partecipare alle sue riunioni.»

«Oh.» La conduit si sentì sinceramente dispiaciuta, ma poteva immaginare il motivo di ciò. Del resto, un uomo che doveva occuparsi di dirigere una comunità con chissà quante persone doveva avere il suo gran bel da fare. «Peccato.»

«Quanto manca ancora?» brontolò infine Richard, nemmeno con troppa gentilezza. Per sua fortuna, Simon era molto paziente. 

«Mi spiace, ma ci vuole ancora un po’ di tempo. Siamo ancora a più di cento chilometri di distanza dalla città. Inoltre, prima di portarvi alla comunità dobbiamo passare in uno degli avamposti, per raccogliere i vostri dati e registrarvi, e dovremo anche attribuirvi delle mansioni.»

«Delle mansioni?!» Komi quasi sobbalzò. «Che cosa?!»

«Vi sarà tutto spiegato da uno degli ufficiali, non preoccupatevi. Il mio lavoro, per adesso, è semplicemente quello di portarvi a destinazione sani e salvi. A dire il vero, non ero nemmeno obbligato a rispondere a tutte le vostre domande, ma mi sembrava il minimo, per rendere più leggero il viaggio. Siete stati fortunati ad incontrare me e non un altro dei capitani, come Artemis. Alla prima domanda lei vi avrebbe detto di chiudere il becco e basta.»

«Delle mansioni...» sbottò ancora Amalia, incrociando le braccia. «Che schifo...»

Accanto a lei, Tara ridacchiò, per poi darle qualche pacca di incoraggiamento sulla spalla. «Su, coraggio, non sarà peggio che dover combattere per la propria sopravvivenza.»

«Parliamone...»

Tara ridacchiò ancora, pure Rosso e Simon sorrisero. Rachel, invece, inspirò e chiuse gli occhi, appoggiandosi con il capo contro la superficie di plastica dietro di lei. Tutto quell’ottimismo le aveva fatto scordare quanto esausta fosse. Non vedeva l’ora di arrivare e potersi finalmente fare una vera dormita, sopra un letto morbido, con delle lenzuola pulite e magari Lucas accanto a lei.

Un altro pensiero che non aveva smesso per un solo istante di tormentarla era poi la questione dell’epidemia. Finalmente stavano arrivando alla comunità, vero, però per quanto tempo avrebbero potuto rimanerci? Sinceramente, né lei, né nessun altro avevano pianificato cosa fare una volta arrivati a destinazione, anche perché nessuno di loro sapeva se davvero sarebbero mai arrivati. Ma ora che erano lì, doveva pensare in fretta. Non avrebbe mai potuto trovare una cura per Lucas e tutti quanti restandosene nella comunità, la quale era comunque condannata a prescindere, visto che nessun luogo era al sicuro dall’epidemia. E ora aveva scoperto che avrebbero perfino assegnato loro delle mansioni e dubitava che si potesse rifiutare se si voleva restare.

Corvina si morse un labbro. Solo in quel momento si rese conto che, nonostante tutto, i problemi erano ancora lungi dal risolversi. E lei non aveva assolutamente idea di che cosa fare. In quel momento, la cosa più sensata che le veniva in mente era quella di arrivare a questo avamposto, lasciarsi registrare ed entrare nella comunità. Una volta fatto ciò, avrebbe parlato con Lucas e i suoi compagni per decidere il da farsi. E inoltre forse era quasi giunto il momento di dire a Tara e Komi la verità. Almeno a loro due, glielo doveva.

Le tornò in mente anche Richard, il quale osservava disinteressato il paesaggio fuori dal furgone. Avrebbe davvero fatto come da accordo, e se ne sarebbe andato per la sua strada? Con suo enorme stupore, Rachel si ritrovò a sperare che decidesse di non farlo. Del resto, nemmeno lui aveva ancora trovato le risposte che cercava.

Potrebbe avere ancora bisogno di me... cioè, di noi, di noi...

Rachel sospirò e scrollò il capo per allontanare quei pensieri. Poi, pensò anche a Jack. Non aveva ancora spiccicato una parola fino a quel momento, chissà che cosa gli stava frullando per la mente. Se era già stato nella comunità, probabilmente qualcuno avrebbe dovuto riconoscerlo, prima o poi. Magari avrebbero scoperto più cose sul suo passato. Simon non aveva dato alcun segno di conoscerlo, ma era normale, chissà quante persone e volti aveva visto. Per lui, ormai, era una routine. Tuttavia, il fatto che registrassero tutti quanti, fece ben sperare la corvina. Se Jack era già stato alla comunità, sicuramente era stato registrato. Magari avrebbero scoperto chi era davvero e avrebbero potuto finalmente capire se lui era una minaccia oppure no.

Era probabile che lui stesse pensando alle stesse cose, in quel momento. Non le restava altro che attendere e vedere come le cose si sarebbero messe.

 

***

 

Dopo quattro ore di viaggio, finalmente arrivarono alla loro prima tappa, il famoso avamposto. Erano usciti dall’autostrada già da un pezzo, Rachel non aveva fatto ben caso a che strada avevano preso, perciò si sorprese notevolmente quando, una volta fuori dal furgone, si ritrovò di fronte un paesaggio molto diverso rispetto a quelli a cui si era abituato.

Non avrebbe mentito dicendo che quella era la prima volta nella sua vita che si trovava su delle colline. Era cresciuta ad Empire City, abituata allo squallore e al grigiore della grande metropoli, e fino a quel giorno non avevano fatto altro che viaggiare sull’autostrada, accanto a dei panorami che bene o male erano sempre gli stessi, ma quello, invece, era diverso. Da lì potevano vedere tutto quanto. Potevano vedere l’autostrada, così lontana e minuscola, potevano vedere le altre colline, le pianure in lontananza, i boschi, gli acquitrini. Esattamente sotto di loro, lungo il pendio, si trovavano perfino dei vigneti.

Verde, viola e arancione si mischiavano sotto ai suoi occhi formando un paesaggio stupendo, un paesaggio che la corvina avrebbe potuto rimanere ad osservare tutto il giorno. Quello era il classico paesaggio che un artista avrebbe amato dipingere. Accanto a lei, perfino i suoi compagni sembravano meravigliati da quella vista.

Quando Rachel si voltò, poi, poté constatare che "avamposto" non rendeva per niente giustizia all’edificio di fronte a lei. Un’enorme villa si stagliava dinnanzi al suo sguardo. Era lunga, alta, gigantesca, bellissima, dalle pareti dipinte di nero, con ampie vetrate come finestre ed un pianerottolo di legno sull’ingresso, che andava poi a circondare tutta la struttura. Era così strano vedere un edificio di quel tipo che non fosse stato vandalizzato.

Il giardino era enorme. Un sentiero lo attraversava, giungendo al pianerottolo, mentre diversi roseti lo decoravano. Quando notò questi ultimi, la ragazza rimase senza parole per l’ennesima volta. Non avrebbe mai pensato di rivedere dei fiori, tantomeno delle rose. Era evidente che qualcuno si occupasse di quel giardino periodicamente, o non sarebbe mai stato così curato. Ad un certo punto udì perfino degli uccellini cinguettare. Quel suono fu tanto irreale quanto meraviglioso. Era passato così tanto tempo da quando l’aveva udito l’ultima volta... forse era esagerato, ma per lei quel luogo era un autentico paradiso.

«Forza, andiamo.» Simon ricordò ai presenti che non si trovavano lì in vacanza. Tuttavia, Rachel apprezzò il fatto che avesse lasciato loro un po’ di tempo, prima di richiamarli al dovere. I ragazzi lasciarono lo spiazzale dove i soldati avevano parcheggiato i veicoli e si avviarono lungo il sentiero di ciottoli di pietra, guidati dallo stesso Simon, mentre gli altri militari rimasero accanto ai veicoli, ad attenderli.

Sul pianerottolo, vicino all’ingresso, Rachel vide altri soldati, sfuggiti al suo sguardo poco prima. Questi salutarono Simon con un cenno del capo. Il ragazzo ricambiò, poi spalancò la porta scorrevole, invitandoli ad entrare. Dentro la villa era ancora più bella: davanti a loro, due divani bianchi come la neve, disposti ad angolo retto di fronte ad un televisore enorme e ad un tavolino da caffè, un grosso tappeto bianco copriva il parquet di legno, mentre non molto distante si trovava il ripiano di una cucina talmente moderna che alla corvina parve quasi fantascienza. Le pareti grigie scure erano coperte da quadri e fotografie, perlopiù di altri paesaggi.

Sarebbe stato tutto perfetto, se solo non fosse stato per tutti i soldati armati che girovagavano, i quali ricordarono esattamente a Rachel il perché loro si trovavano lì. Un altro pugno in un occhio, era quel tavolo enorme esattamente in mezzo al salotto, sul quale erano disposti fucili, pistole, monitor e anche uno stranissimo copricapo di lana, simile a quello dei cosacchi russi. Seduto dietro di esso, si trovava un altro soldato. Un altro ragazzo, che non doveva essere nemmeno molto più grande di loro, avrebbe dovuto dire Rachel. Aveva gli occhi verdi e anche lui i capelli biondi, però a differenza del suo commilitone, i suoi erano corti, tagliati a spazzola, proprio come quelli dei militari. Fu proprio da lui che Simon li guidò.

Il militare stava scrivendo su una tastiera, osservando uno dei monitor, ma non appena il ragazzo biondo si avvicinò si voltò verso di lui. «Rapporto, capitano Lawrence» ordinò, con tono autoritario e professionale. Una scena quasi buffa, considerato a che a dire quelle parole era stato uno che non doveva nemmeno essere più grande del suo interlocutore.

Simon sospirò, esausto. Nemmeno lui sembrava molto entusiasta del fatto che quel tizio gli si rivolgesse in quel modo. Accennò con il capo al gruppo di ragazzi. «Nuovi arrivati. Sai già cosa fare, Konstantin.»

«Sissignore!»

Rachel inarcò un sopracciglio. Prima faceva l’autoritario, e dopo rispondeva con un "sissignore"? Quel tizio era strano. Ma allo stesso tempo, la corvina abbozzò un sorriso divertito. Konstantin, così si chiamava a quanto pareva, si alzò poi in piedi, rivelando un fisico molto, molto robusto, anche più di quello di Simon. Il sorriso sparì dal volto della ragazza quando lo notò. Quel ragazzo avrebbe potuto spezzare il suo commilitone in due. Un'altra cosa che catturò la sua attenzione, fu l’enorme stella rossa ricamata sulla sua uniforme, all’altezza del petto.

«Piacere di conoscervi» iniziò il soldato, sorridendo a tutti loro in maniera gentile. «Io sono il capitano Leonid Konstantinovitch Kovar, ed oggi tocca a me occuparvi della vostra registrazione. Immagino che il mio compagno Lawrence ve ne abbia già parlato.»

«Puoi evitare di chiamarmi Lawrence...?» si lamentò Simon, evitando lo sguardo dei ragazzi, il quali avevano cominciato ad osservarlo divertiti.

Konstantin lo ignorò bellamente. «Mentre vi stavate dirigendo qui, ho informato il mio superiore, che ci raggiungerà a breve per discutere con voi del vostro futuro ruolo all’interno della comunità, nel frattempo, però, potremmo cominciare con la vostra registrazione. Dovreste darmi un documento che contenga anche una vostra foto. Allora, chi comincia?»

«Perché dovete sapere le nostre identità?» domandò Rosso per tutta risposta, incrociando le braccia. «Il vero motivo per cui le chiedete?»

Mise parecchia enfasi su quella parola. Rachel si domandò il perché, ma non appena notò lo sguardo che Simon rivolse al moro, la corvina intuì che il suo partner aveva esattamente chiesto ciò che invece non doveva chiedere.

«In questo modo possiamo fare una ricerca incrociata con i database della polizia e scoprire se avete o meno dei precedenti penali» rispose nel frattempo Kovar, facendo strabuzzare le palpebre di Lawrence. «In base ai quali possiamo stabilire se sarete un pericolo, o meno, per la comunità.»

Simon si sbatté la mano sul volto. «Si può sapere perché gliel’hai detto?!»

«Beh... me l’ha chiesto» replicò Konstantin, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

«E ora cosa ti garantisce che nessuno di loro ti dirà di non possedere alcun documento?» chiese ancora il biondo, accigliandosi.

Il ragazzo più robusto spalancò gli occhi, come colto da un’illuminazione. «Oh... beh...»

«Ringrazia che sono solo dei ragazzi e non dei pazzi assassini...» continuò Simon, scuotendo il capo contrariato dalla sbadataggine del commilitone, il quale si stava grattando il capo imbarazzato. Rachel sorrise divertita di fronte a quella scena. Il suo sorriso, tuttavia, svanì quando notò come l’espressione di Lucas fosse diventata quasi infastidita. La giovane inarcò un sopracciglio, ma non disse nulla.

«Sono certo che nessuno di loro ci mentirà» si giustificò infine Konstantin, probabilmente cercando più di convincere sé stesso che il collega. Dopodiché si schiarì la voce, cercando di ricomporsi. «Dunque, chi comincia?» domandò di nuovo.

I ragazzi si guardarono tra loro. Era chiaro che tutti quanti volessero procedere. Non avevano fatto tutta quella strada per poi tirarsi indietro in quel modo. Era la comunità ciò di cui stavano parlando, il primo, vero e forse anche unico luogo davvero sicuro che potesse esistere in quel mondo dilaniato dall’odio e dalla morte. O forse erano solo quasi tutti a pensarla in quel modo, visto che Lucas ignorò lo sguardo dei propri compagni, perfino quello di Rachel. La corvina si mordicchiò l’interno della guancia, perplessa da quel suo comportamento. Che gli stava succedendo?

«Tara Markov» esordì infine la ragazza bionda, facendosi avanti per prima, estraendo dalla tasca il suo portafogli. «Ecco, questa è la mia carta di identità.»

Il soldato annuì, poi iniziò a trafficare con il computer. Digitò il nome sulla tastiera, probabilmente per cercare eventuali riscontri con il database della polizia, dopodiché mise il documento su uno scanner. Ci volle qualche minuto, infine riconsegnò il documento alla ragazza. «Grazie mille. Prossimo?»

Amalia si diresse al tavolo, mentre Tara tornava indietro. «La patente può andar bene?» chiese, porgendogli la schedina di plastica. Non appena lo fece, Konstantin la squadrò da capo a piedi, con le labbra dischiuse. Komi inarcò un sopracciglio, osservandolo a sua volta. «Che c’è?»

«Eh, cosa?» Il soldato si riscosse, scrollando il capo. «Ehm, no, niente, niente... c-certo che va bene...»

Konstantin, paonazzo, fece il suo dovere. «K-Komand’r Anderson?» domandò, leggendo sopra la patente.

«Sì, Amalia nella vostra lingua.»

«B-Bel nome...»

«Ehm... grazie... credo...»

Il soldato continuò a trafficare con il computer. Quando ebbe finito, comunicò, o meglio, balbettò che la mora era a posto. Komand’r, perplessa, ritornò accanto a Tara, alla quale scappò una risatina divertita.

«Quando si dice amore a prima vista» commentò a bassa voce, dandole di gomito.

«C-Che cosa?!» bisbigliò Amalia, sgranando gli occhi. «Pensi che... oh, Cristo... e adesso chi glielo spiega a quello che non sono interessata?»

Tara ridacchiò ancora più forte, al punto che perfino Simon inarcò un sopracciglio.

Vennero poi i turni di Richard e Rachel. Il primo fu registrato senza problemi, anche se Rachel si stupì parecchio del fatto che né Simon, né Konstantin fecero domande a Robin in merito alla sua tenuta da Mietitore.

Quando toccò a lei, invece, la situazione parve farsi più insolita.

«Roth?» domandò Simon, restituendo alla giovane il suo documento sgualcito, inarcando un sopracciglio.

«Ehm... sì» replicò lei, perplessa.

«Mh. Interessante» commentò il biondo. «Prossimo.» Distolse lo sguardo da lei, ma la corvina continuò comunque ad osservarlo, domandandosi cosa diavolo stesse frullando nella sua mente. Perché da quando si erano conosciuti, non aveva smesso un attimo di trattarla quasi come se fosse diversa da tutti gli altri suoi compagni? Che cosa voleva da lei?

Il turno di Lucas la fece distrarre dai suoi pensieri. Il moro fece un passo avanti, come avevano fatto gli altri, ma la sua espressione non era ancora minimamente cambiata. Fu solo quando parlò, che la corvina si rese conto cosa stesse tramando. Nulla di buono, evidentemente.

«E se mi rifiutassi di rivelarvi la mia identità?» domandò, con voce quasi inacidita.

Rachel si irrigidì, mentre Konstantin aprì bocca per parlare, ma fu bruscamente interrotto da Simon, il quale si fece avanti incrociando le braccia. «Non possiamo accettare degli sconosciuti nella comunità, perché non possiamo sapere chi siano veramente e quali intenzioni abbiano.»

«Qualsiasi persona con un po’ di cervello capirebbe che le vostre intenzioni sono quelle di fare un controllo incrociato» ribatté Lucas, freddo. «Qualunque criminale ormai possiede un documento falso, o addirittura non ne possiede nessuno. Se davvero pensate che questa cosa possa tenervi al sicuro, allora vi sbagliate di grosso.»

«Non sono io che faccio le regole» replicò Simon alzando la voce, avvicinandosi ulteriormente a lui e scrutandolo dritto negli occhi. Sembravano due mastini pronti a sbranarsi a vicenda. Rachel cominciò ad allarmarsi, anche Tara e Komi parvero preoccupate. «Se dipendesse da me, le cose sarebbero molto diverse, ma purtroppo io sono solo un soldato. Questo è il sistema che il nostro sindaco ha creato ed io sono semplicemente tenuto a rispettarlo e a seguirlo.»

«Che problema c’è, Lucas?» si intromise Richard, con un sorrisetto che non aveva nulla di buono. «Hai qualcosa da nascondere?»

Rosso si voltò verso di lui, scrutandolo con odio. Perfino Rachel gli lanciò un’occhiata mista tra la rabbia e lo sbigottimento. Che cavolo gli era saltato in mente?

«Già, Lucas, hai qualcosa da nascondere?» fece eco Simon, avvicinando ulteriormente il volto al suo. Lucas mantenne il sangue freddo, pure di fronte allo sguardo di ghiaccio del soldato, il quale, tra le altre cose, si era perfino rimesso la bandana. Il moro digrignò i denti. Strinse i pugni e la corvina pensò quasi che stesse per colpire il biondo, cosa che non poteva assolutamente permettere. Rapida, afferrò la mano del ragazzo, facendolo sussultare. Lucas si voltò di colpo, sorpreso. A quel punto, Rachel cercò di sorridergli accomodante. Capiva il suo scetticismo, sicuramente temeva che il suo passato potesse causargli dei problemi, ma Rachel era certa che li avrebbero lasciati entrare lo stesso nella comunità. Lucas non era più un criminale, era cambiato e lei lo avrebbe dimostrato con ogni mezzo a sua disposizione se necessario. I due ragazzi si osservarono, in un modo che non poteva non far trasparire il loro profondo legame, poi Rachel gli rivolse un cenno del capo. Voleva tranquillizzarlo, voleva fargli capire che non doveva preoccuparsi di nulla, perché erano insieme. C’era lei a guardargli le spalle. Lucas, a quel punto, chinò la testa, chiaramente riflettendo su quale fosse la cosa giusta da fare.

Infine, il ragazzo espirò profondamente, poi drizzò lo sguardo, tornando a guardare Simon dritto negli occhi.

«Blake. Lucas Blake.»

 

 

 

 

 

Non è stato un periodo semplice per il sottoscritto, e questo (penoso) capitolo arrivato spaventosamente in ritardo ne è la dimostrazione. Chiedo scusa per l'attesa terrificante, ma purtroppo non dipende da me. Cioè, sì, anche da me, ma cercate di capirmi, EFP non è un lavoro e il tempo per esso talvolta scarseggia, talvolta c'è, ma preferisco dedicarmi ad altro. Cercherò di proseguire la storia, ma non aspettatevi più una programmazione fissa. Il prossimo capitolo può arrivare domani come tra un mese. Chiedo scusa, di nuovo. Spero comunque di riuscire a proseguire la storia, ma non voglio fare promesse che potrei non mantenere. Nel dubbio, a quei pochi appasionati che rimangono, dico di tenere alta la speranza, perché come ormai avrete capito io sono uno che cambia idea ogni tre secondi e mezzo. Grazie per la pazienza, scusate ancora, e alla prossima. 

p.s. Sì, Lucas Blake fa pena. Se non vi piace come cognome rimpiazzatelo nella vostra mente con quello che preferite, non me la prenderò a male, tanto questo nome, a parte questo capitolo, avrà l'utilità di una presa elettrica dentro una vasca da bagno e molto probabilmente non verrà mai più nominato. 

Btw, Kostantin è Red Star, Simon invece è un OC, un vecchio amico che probabilmente qualcuno dei lettori veterani riconoscerà.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Teen Titans / Vai alla pagina dell'autore: edoardo811