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Autore: _armida    14/10/2017    0 recensioni
[CosimoxBianca]
[Dal testo]
Danze, canti, giocolieri e saltimbanchi: la piazza antistante il Duomo era gremita di persone festanti. Tutta Firenze pareva essersi raccolta lì in quello che era il giorno più sacro dell'anno. Di certo per la città era uno dei più festosi.
I più estrosi avevano indossato costumi e maschere stravaganti. Ovunque le fiaccole rilasciavano una calda luce scarlatta, i cui riflessi andavano ad intrecciarsi – a modellare quasi – i corpi e volti di chi era presente quella notte.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cosimo de' Medici
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nda 
La one-shot è ambientata qualche anno dopo la nascita di Piero, che dovrebbe essere avvenuta nel 1416.
L'evento in cui i personaggi si muovono è la cerimonia dello Scoppio del Carro (per maggiori informazioni qui). Non ho trovato molte informazioni su come essa avvenisse all'epoca di Cosimo de Medici, quindi mi sono presa alcune libertà (spero non siano troppe).
Bene, finita questa premessa, vi auguro una buona lettura. Se una volta arrivati in fondo voleste lasciare un piccolo commento, io ne sarò più che felice.

 
Cosa ne è stato di quel sognatore?
 
Sera della domenica di Pasqua

Danze, canti, giocolieri e saltimbanchi: la piazza antistante il Duomo era gremita di persone festanti. Tutta Firenze pareva essersi raccolta lì in quello che era il giorno più sacro dell'anno. Di certo per la città era uno dei più festosi.
I più estrosi avevano indossato costumi e maschere stravaganti. Ovunque le fiaccole rilasciavano una calda luce scarlatta, i cui riflessi andavano ad intrecciarsi – a modellare quasi – i corpi e volti di chi era presente quella notte.
Uno sputafuoco diede mostra delle proprie abilità sui gradini del Duomo e per un istante le tenebre scomparvero dal volto di Cosimo, a pochi metri di distanza.
Sorrise e, come il resto degli spettatori, applaudì.
Era questione di minuti perché la consueta cerimonia dello scoppio del carro avesse inizio e, come ogni anno, l'esplosione del brindellone era accolta con feste e bagordi che, iniziati già dal pomeriggio, duravano fino all'alba.
Osservò un gruppo di giovani ballare in cerchio a poca distanza: bottiglie vuote abbandonate a terra, vesti bianche, lunghe fino ai piedi, tenute insieme da spille e corde, e corone di fiori a cingere i capi. Gli udì ridere di gusto e poi cantare a squarciagola la canzone popolare in quel momento suonata dal menestrello più vicino. Non poté fare a meno di pensare che solo qualche anno prima si sarebbe unito a quei giovani senza esitare un istante: come era cambiato tutto così in fretta. Di quel ragazzo che viveva di sogni – di un foglio scarabocchiato alla volta –, con le mani perennemente nere di carboncino o rosse di sanguigna e la camicia puntinata di macchie di pittura dalla più svariate sfumature, ora non rimaneva più nulla. Osservò in alto, dritto davanti a sé: il tamburo ottagonale del Duomo era illuminato sulla sommità da fiaccole che da quella distanza sembravano formare un cerchio; con la sua forma tozza ed incompleta rappresentava uno sberleffo nei confronti di tutti i fiorentini, così presuntuosi da credere di riuscire a superare gli antichi e costruire la più grande cupola che la storia avesse mai visto.
Che cosa aveva detto una volta a suo padre? Che ci avrebbe pensato lui a costruirla.
Gli venne quasi da ridere. Ma essa era la risata amara di una persona a cui avevano tarpato le ali ancora prima di spiccare il volo. Essa sapeva di sogni infranti e desideri repressi.
Gli pareva fossero passati decenni tra l'uomo dal volto severo in piedi di fianco agli altri membri della famiglia Medici e quel sognatore.
Che cosa gli era accaduto? Era iniziato tutto con il suo soggiorno a Roma: l'elezione del nuovo papa, la bottega di Donatello... lei...
Lorenzo, al suo fianco gli diede una gomitata nelle costole cercando di apparire discreto, ma guadagnandosi le occhiatacce del fratello e del padre. Prima che Cosimo potesse chiedergli cosa gli fosse preso, gli indicò un punto non precisato tra la folla: il corteo che scortava la torre pirotecnica – il brindellone – era giunto all'imbocco della piazza.
La musica cessò e la gente si mise verso il margine, permettendo così alla coppia di buoi bianchi che trascinavano il carro su cui era adagiata la torre di arrivare fino al punto prestabilito: tra il Battistero e le porte serrate del Duomo, a esattamente 150 metri in linea d'aria dall'altare maggiore di quest'ultimo: era questa la distanza che la colombina – nient'altro che un razzo che con un volatile aveva ben poco a che fare – percorreva ogni anno. La corda che avrebbe funto da guida fu tesa e agli spettatori non restò altro che attendere l'arrivo del resto del corteo.
Ad aprire le fila di questo, di fianco all'arcivescovo di Firenze, Andrea de' Pazzi sfilava con una torcia accesa fra le mani. Il risultato di un antico diritto di famiglia.
Quanto apparivano boriosi i Pazzi quando narravano di quel lontano avo che fu il primo a varcare le mura di Gerusalemme durante l'assedio della prima crociata? Perfino Rinaldo degli Albizzi, loro fedele alleato, fuggiva quando sentiva puzza di quel racconto.
Il fuoco benedetto che il Pazzi stava portando in trionfo era stato acceso con le schegge del Santo Sepolcro che il suo avo aveva portato a casa da Gerusalemme.
In corrispondenza del portone del Duomo, la torcia fu passata all'arcivescovo che, con essa tra le mani, entrò all'interno della cattedrale.
Passarono diversi secondi di assoluto silenzio, poi esso fu rotto da un suono simile ad un fischio, che si faceva sempre più forte: la colombina schizzò fuori dal portale, dirigendosi senza indugi in direzione del brindellone, azionandone così la miccia prima di ripercorrere il filo a ritroso.
Dal carro iniziarono ad essere sparati i primi fuochi artificiali che, ben visibili da ogni angolo della città, distribuivano simbolicamente il fuoco benedetto a tutta la cittadinanza di Firenze.
Cosimo osservò il cielo illuminato a giorno, poi il suo sguardo passò ad studiare la gente intorno a lui: stavano tutti con il naso all'insù, completamente rapiti da quel meraviglioso spettacolo di luci e colori. Pensò al piccolo Piero, rimasto a casa con Contessina: anche loro, affacciati ad una delle finestre del palazzo di famiglia, probabilmente si stavano godendo quella vista.
La scia dorata di uno dei fuochi sparati passò affianco al tamburo ottagonale, illuminandone ed accentuandone il vuoto all'interno e per un istante il suo volto tornò ad oscurarsi, a farsi pensieroso, mentre il sognatore sopito dentro di sè scalciava nel tentativo di ritornare per alcuni istanti a galla. Ma i suoi calci erano troppo deboli per condurre ad un qualche risultato.
Altri botti seguirono quello, ma la mente di Cosimo, come poco prima che la cerimonia iniziasse, era lontana, persa nei propri ricordi, nei propri pensieri da giovane che delle difficoltà della vita ancora non sapeva nulla.
Fu riscosso dall'applauso della gente festante e dalle loro urla di gioia. Guardò il cielo, tornato nuovamente buio sopra la cattedrale.
Le persone cominciavano a disperdersi nelle numerose viuzze intorno alla piazza, alcuni per proseguire la serata, altri per ritrovare i propri letti. I più giovani ed estrosi sarebbero invece rimasti a divertirsi nella piazza fino all'alba.
A quest'ultima categoria apparteneva senz'altro suo fratello che, quando lo cercò con lo sguardo, lo ritrovò a ballare tenendo per mano un paio di ragazze dal seno prosperoso e gli abiti alla greca decisamente troppo succinti.
Non potè fare a meno di trattenere un sorriso nell'osservarlo divertirsi.
Suo padre, al suo fianco, gli domandò se intendesse tornare a casa con lui e, stranamente, Cosimo si rese conto che voleva ritardare ancora di un pochettino la fine della serata. Gli augurò la buonanotte e lo salutò con un cenno del capo, prima di tornare a guardarsi intorno con aria incuriosita: quell'atmosfera caotica e chiassosa non gli dispiaceva affatto, anzi, lo metteva di buon umore.
Distrattamente, si mise a studiare un gruppo di giovani che ballavano in cerchio poco lontano: anche loro indossavano lunghe tuniche bianche che ricordavano l'antica Grecia e il loro capo era cinto da una corona di fiori; una di quelle ragazze aveva i capelli rossi... e un viso troppo famigliare.
Si immobilizzò all'istante, le membra paralizzate e gli occhi incapaci di staccarsi da quella figura. Si trattava di un'allucinazione, di uno scherzo della vista risultato da troppe ore passate sui libri mastri della banca?
Anche lei lo notò e lasciò le mani delle sue compagne di danze, che ripresero a ballare tra di loro come se niente fosse.
Si studiarono per diversi secondi, ognuno fermo nella propria posizione. Fu lei, alla fine, a fare il primo passo.
"Cosimo", mormorò appena, avvicinandosi.
"Bianca", rispose lui di rimando con un filo di voce.
Il tempo su di lei pareva non essere passato: gli occhi verdi più splendenti che mai e il viso etereo, estraneo a difetti, incorniciato da quello che pareva essere fuoco vivo.
Che poteva dire invece di sè stesso? I lunghi capelli selvaggi erano stati accorciati e domati in un taglio che esprimeva serietà e la tenebra che un tempo gli circondava il volto ora era interrotta da alcuni fili grigi. Le occhiaie sotto ai suoi occhi non erano più quelle di chi passava la propria notte a disegnare, ma sapevano del peso del proprio ruolo e di preoccupazioni. Come di preoccupazioni era la ruga che gli solcava la fronte, perennemente corrucciata.
Per essere certo che lei fosse davvero lì, che fosse davvero di fronte a lui, allungò una mano, andando a stringere la sua. Solo quando ne avvertì il calore potè concedersi il lusso di pensare “è tutto vero”. Con titubanza, tremante, quella stessa mano scivolò verso l'alto, sfiorandole il braccio nudo, la spalla lasciata scoperta dal peplo monospalla che indossava – così simile a quello del loro primo incontro, alla bottega di Donatello –, seguendo la linea del suo collo sottile fino ad arrivare alla guancia e fermandosi lì, ad assaporare il suo calore, piacevole sotto ai polpastrelli freddi. Con il pollice tracciò la linea delle sue labbra rosse come la polpa di un melograno maturo.
Sarebbe andato avanti così ancora per molto, incapace di fare altro che osservare quei due grandi occhi verdi, a loro volta incatenati ai suoi, se non fosse stato per l'improvviso gesto di Bianca, che gli gettò le braccia al collo, poggiando poi le labbra sulle sue.
Per Cosimo fu più che naturale lasciare che lei gli mordesse piano il labbro e poi, con la stessa delicatezza, glielo succhiasse. Un sospiro di piacere gli sfuggì e un istante più tardi la sua lingua era già alla ricerca della gemella. Esplorò la sua bocca come tante volte aveva fatto in passato, con i battiti del cuore accelerati e il respiro che si faceva sempre più corto.
C'era qualcosa, però, in quell'oceano di sensazioni deliziose, che gli causava malessere.
Aveva immaginato la scena che ora stava vivendo centinaia, forse migliaia di volte, nelle lunghe notti insonni che aveva passato dopo la sua fuga. Avrebbe dovuto solo gioirne, eppure la sua coscienza in quel momento doveva provare un perverso piacere a ricordargli che tutto quello non sarebbe dovuto succedere. Che lui non era nella condizione di amoreggiare con una lavandaia nel bel mezzo della piazza del Duomo.
Si staccò dalle sue labbra carnose provando una fitta di dolore al cuore. “Non posso...”, mormorò con sofferenza, poggiando però la fronte contro la sua. “Sono un uomo sposato”
Amava Contessina, in un modo tutto suo l'amava. Adorava come lei gli tenesse testa, quel suo carattere così simile al proprio... o a come sarebbe dovuto essere, almeno agli occhi del padre. Ma Bianca era... lei gli ricordava la giovinezza, i suoi sogni, quella libertà che gli era stata strappata.
Un nuovo bacio. Questa volta fu lui a prendere l'iniziativa, incapace di resistere a tutta quella vicinanza.
Anche questo interrotto troppo presto.
“Qui potrebbe vederci chiunque”. Tentativo stupido per porsi un limite, per mettere una distanza tra sé e quella donna a cui non aveva mai saputo dire di no.
Bianca si guardò in giro, oltre alla spalla di Cosimo, studiando le persone intorno a lei. “Non c'è bisogno che restiamo qui”, gli sussurrò all'orecchio. Gli prese una mano ridendo e poi corsero via insieme.

Bianca viveva in uno dei quartieri più poveri della città. Aveva preso in affitto una stanza situata al piano terra di un'anonima casa situata in un'angusta vietta laterale. L'ambiente era piccolo, con la muffa ad infestare gli angoli più umidi, e il mobilio era ridotto all'estremo necessario, con un letto imbottito di paglia, un tavolo e un paio di sedie. Non era molto, ma era tutto ciò che poteva permettersi.
Alle pareti, fermati da un chiodo vi erano alcuni fogli con quelli che probabilmente erano ritratti della donna, ma Cosimo non fece molto caso ad essi, o ci provò, ma scarsissimi risultati dal momento che appena l'uscio fu chiuso alle spalle dei due ritrovati amanti, essi si ritrovarono l'una nelle braccia dell'altro, avvinti in un bacio che sapeva di una passione che, fino a quel momento costretta ad imporsi del contegno, ora esplodeva in tutta la sua forza.
Cosimo si slacciò con gesti veloci il mantello, mentre Bianca cercava con urgenza di aprire i bottoni del raffinato panciotto che l'uomo indossava. Forse fu lei a strappare alcuni bottoni di perle, oppure fu lui nella foga del momento, fatto sta che esso fece tappeto insieme al mantello molto presto. La camicia li seguì un istante più tardi, sfilata dalla donna tra un bacio e l'altro.
Cosimo la portò più vicina al proprio corpo, schiacciandola quasi contro al proprio petto, e trascinandola per l'ennesima volta in un lungo bacio, di quelli da lasciare senza fiato. Nel frattempo la sua mano percorse lentamente il collo di lei, scendendo fino alla spalla e lasciando cadere l'unica spallina dell'abito.
A quel punto Bianca si staccò, facendo un passo indietro. Un sorriso malizioso le illuminava il volto. Con gesti lenti sciolse il nodo del nastro che teneva in vita e l'abito le cadde ai piedi, lasciando il suo corpo completamente esposto alla vista dell'uomo.
Lo sguardo di questo si fece liquido, con le pupille dilatate a dismisura e un evidente rigonfiamento all'altezza del bassoventre.
Si slacciò in fretta la cintura e tolse gli ultimi indumenti che indossava.
E restarono solo loro due, senza più alcuna barriera a dividerli.
Non erano Cosimo della potente famiglia dei Medici e Bianca la lavandaia. In quel momento era semplicemente un uomo e una donna che si amavano.
Cosimo la prese tra le braccia e caddero insieme sul letto.
Avvinti. Una cosa sola.
L'unico rumore che si udiva erano i loro sospiri di piacere, i gemiti soffocati l'uno sulla pelle dell'altra e il leggero cigolare del letto.
Quando tutto finì Cosimo si lasciò cadere a pancia in su, con un braccio piegato dietro la testa e lo sguardo fisso al soffitto. Bianca gli si appoggiò al petto ancora ansante, sfiorando la sua pelle con le dita e andando a formare dei piccoli cerchi. Lui portò una mano dietro alla sua schiena, avvicinandola ancora di più a sé.
La osservò in viso, non potendo fare a meno di notare la palpebra che ogni tanto le calava, segno che di lì  a poco si sarebbe addormentata tra le sue braccia. Rallentò il ritmo delle carezze.
“Cosa ne è stato di quel sognatore,  Cosimo?”, gli chiese lei, lasciandosi poi andare ad uno sbadiglio. Si accoccolò meglio contro il suo petto.
Già, cosa ne era stato di quel sognatore?
Cosimo forse le avrebbe detto che esso era scomparso, spazzato via da quel cognome troppo importante che ogni giorno gli pesava sempre di più sulle spalle... Ma era davvero così? Oppure qualcosa dentro di lui si era smosso?
Mentre indugiava sulla risposta osservò il suo volto: gli occhi erano chiusi e il suo respiro si era fatto regolare, proprio come quello dei dormienti. Aveva un'espressione serena in volto che gli sciolse il cuore. Non poté fare a meno di accarezzare quella massa disordinata di boccoli rossi che ricadevano scomposti sulla sua schiena e sul materasso: era stupenda.
Con il sorriso finalmente comparso sulle sue labbra, si mise ad osservare i disegni appesi alle pareti: essi portavano la mano di diversi autori, ma quello che lo colpì di più fu quello centrale. Quella mano la conosceva fin troppo bene dal momento che si trattava proprio della sua. Non credeva potesse averlo conservato per tutto quel tempo.
Improvvisamente gli venne un'idea, un modo indiretto di dare una risposta alla domanda di lei lasciata in sospeso.
Si alzò con estrema cautela dal letto, stando attento a non svegliarla e ottenendo come risultato solo un sommesso mugolio di protesta.
Cercò il proprio taccuino, lasciato in una delle tasche del mantello e, al lume di una fioca candela, si sedette al tavolo.

***

La mattina successiva...

Bianca aprì gli occhi lentamente, incapace di celare il sorriso che in quel momento gli illuminava il viso al ricordo di quella notte, del suo profumo ancora impresso sulla sua pelle e sulle lenzuola.
Si guardò intorno e non si sorprese più di tanto nel constatare che Cosimo non era lì. Più che normale dal momento che lui aveva anche una famiglia a cui badare.
Si mise seduta, notando nella penombra della stanza qualcosa che la sera prima non c'era: un foglio poggiato sul tavolo. Pareva ci fosse sopra impresso qualcosa, ma dovette alzarsi e avvicinarsi per scoprire di cosa si trattasse.
Su quel piccolo foglio di carta Cosimo aveva raffigurato il suo volto.
Una risposta alla domanda di quella notte.
Una promessa.
   
 
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