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Autore: Alexa_02    15/10/2017    2 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Julianne

“È stato pazzeschissimo!” squittisce Dottie, mentre raggiungiamo il tavolo vuoto in fondo alla mensa. Trema come una foglia dall'agitazione e i riccioli biondi le danzano intorno al viso, fuori controllo. Ha gli occhi blu spalancati e luminosi, ha l'aria un po' stralunata. Da quello che mi ha raccontato durante algebra, Giselle e le sue amiche la prendono in giro dicendogli che assomiglia ad un alieno o qualcosa del genere. Dice che è a causa della pelle pallida, delle vene molto visibili e degli occhi enormi. Nel mio cervello gli alieni sono verdi, alti e con la testa enorme, nulla che si possa trovare su Dorothea.
“Nessuno ha mai lasciato senza una risposta decente Giselle. È un momento epico” gongola depositando il vassoio sul tavolo. Henry mi appoggia un mano sulla nuca “Stai bene?”.

Pur considerandomi di marmo, il commento sulle cosce non mi è semplicemente passato attraverso, ma sto bene. Annuisco e lui sorride “Okay, ti stavo raccontando...”. Henry riparte con il suo sproloquio sulla fantastica e stimolante giornata che ha passato, ma non riesco ad ascoltarlo. Da dove sono seduta, appositamente con le spalle verso il muro, riesco a vedere alla perfezione il tavolo di Matt. Giselle straparla alle sue amiche e i ragazzi parlottano tra loro, ridendo. C'è solo uno sguardo che si aggancia al mio: quello di Aaron. Resto impantanata nel verde dei suoi occhi e stregata dal modo in cui mi fissa, come se non riuscire a guardare altrove. Lo so perché non ci riesco nemmeno io.
Avevo pianificato di iscrivermi al corso di francese per principianti appositamente per non incontrare una faccia conosciuta, ma non ha funzionato. Nonostante tutto, il rovescio della situazione si è rilevato anche meglio del mio piano originale. È stato davvero bello parlare con lui lontano da il resto del mondo, come la sera della festa. L'ora di francese è stata la migliore dell'intera giornata, non voglio mentire, sentirlo incespicare e cercare di pronunciare le parole alla perfezione è stato adorabile e eccitante allo stesso tempo.

Forse mi sto ammalando.

Di sicuro mi serve una doccia fredda.

Magari due.

Magari una con lui.

No! Assolutamente no. Non ho intenzione di cadere in nessuno stereotipo, non se ne parla. Eppure lo sto ancora fissando. Vorrei non sentirmi così, non siamo fatti per poter stare insieme, nemmeno per sogno. I nostri genitori vivono insieme e molto probabilmente finiranno per sposarsi. Oltretutto, coesistiamo all'interno dell'habitat scolastico in categorie sociali che nemmeno si possono sfiorare. È inutile sperare nei miracoli, non si avverano mai.
“Terra chiama Jules!” Henry mi schiocca le dita davanti alla faccia, facendomi sobbalzare. “Ci sei?”

Smetto di guardare Aaron e metto a fuoco mio fratello.“Scusa, Hen. Stavo pensando ad una cosa. Dicevi?”.

Mi guarda scettico e si volta verso la direzione del mio sguardo “Più che a un cosa direi un qualcuno..”.

Dottie ridacchia nella sua pasta. Sbuffo “Cosa stavi dicendo?”.

“Prima che tentassi di spogliare qualcuno con lo sguardo...”

“Henry!”.

“...stavo dicendo che sono tremendamente indeciso su quale club pomeridiano scegliere. Ti stavo chiedendo un consiglio, ma a quanto pare sono sceso in graduatoria nelle tue priorità”.

Sotto il tavolo, gli tiro un calcio ben assestato sullo stinco “Sceglili a caso, come farò io”.

“I tuoi consigli sono sempre molto utili” brontola, massaggiandosi la gamba.

“Per tutta la prima settimana si può partecipare a tutti i club e a tutte le attività sportive, così si può decidere cosa scegliere” ci informa Dorothea “Provane qualcuno e vedi quale ti aggrada di più”.

“Ti ringrazio di cuore, mia nuova sorella putativa” sorride e le stringe la mano. Dottie arrossisce e ridacchia.

“Avrei dovuto mangiarti nell'utero” grugnisco addentando una forchettata di insalata. Henry mi fa la linguaccia e continua a sfogliare il libro delle regole.
Un mucchietto di ragazzi allampanati si avvicina al nostro tavolo “Henry Roux?” chiede quello in testa. Ha i capelli castani tagliati corti e gli occhi azzurri. Porta degli occhiali sottili e una camicia a quadretti rossi, sotto un maglioncino con un razzo.
“Si?” Henry sorride cordiale, io d'istinto mi irrigidisco.

“Mi chiamo Christopher Reed, sono il presidente del club di robotica e di scienze, siamo insieme in praticamente tutti i corsi avanzati” ha la voce stridula e continua ad asciugarsi la mano su i jeans.

“Sì, mi ricordo. È un piacere conoscerti” gli porge la mano e Christopher gliela stringe rapidamente.

“Abbiamo indagato su di te e ci farebbe molto piacere se partecipassi ai nostri club” fa un cenno verso i suoi amici “Stiamo andando nelle aule adesso, se ti va di venire con noi puoi dare un'occhiata”.

Henry esita e si volta a guardarmi indeciso. So cosa pensa, lo so sempre.

“Vai. Ci vediamo più tardi” lo rassicuro. So che non vuole lasciarmi da sola qui.

Es-tu sûre? Je peux rester( Sei sicura? Posso restare) ” So che lo farebbe, ma non voglio che non si faccia degli amici.

Allez! (Vai)”.
Mi scocca un bacio sulla testa, afferra il vassoio e segue i nerd fuori dalla mensa.

“Tuo fratello è davvero stupendo...” esala Dottie, osservando la schiena di Henry che si allontana. Ha le guance rosse e gli occhi luminosi. Vorrei poterle dire che spreca il suo tempo, ma Henry mi ha fatto promettere di appoggiare la sua bugia, quindi resto in silenzio e finisco il mio pranzo. “Aveva una ragazza in California?” Chiede lei tutto d'un fiato. Ignoro la sua domanda “Come sai che veniamo dalla California? Non mi sembra di avertelo detto”. La sua faccia raggiunge una nuova tonalità di rosso ma, prima che possa rispondere, una ragazza si butta sulla sedia affianco a lei. “Scusa Dots! Sono in ritardo, ma ho passato gli ultimi venti minuti a tentare di scollare la borsa dal banco di algebra” prende una sorsata dal succo di frutta e mi fissa “Perché è seduta con noi?”. I suoi occhi castani mi guardano in cagnesco attraverso la frangetta rosso sangue e sotto due dita di brillantini dorati. Indossa una maglia fatta a kimono color fuoco e, in quella che immagino sia una parrucca, porta dei bastoncini cinesi che le tengono le ciocche raccolte dietro la testa. So che fissare è da maleducati, ma non riesco a smettere di guardarla. Ha un aspetto davvero pazzesco.

“Pey, lei è Julianne, la nuova studentessa. Julianne, lei è Peyton Jackson, la mia migliore amica” bisbiglia Dottie a disagio.

“Sì, so chi è. Ti ho chiesto perché si siede con noi”.
Non avevo mai incontrato una persona più sul chi vive di me. È interessante. “Se non vuoi sederti qui, puoi anche andartene. Non mi sembra che ci sia scritto il tuo nome sul tavolo” ribatto.

“Sei qui da nemmeno un giorno e già credi di poter dare ordini a tutti? Credo che tu abbia sbagliato tavolo, sono sicura che alla cricca della Troia manchi una stronza” abbaia. Aggressiva, mi piace.

“Peyton!” squittisce la sua amica, con la faccia bordeaux.

“Ti avevo già detto di non raccogliere randagi, non ti si scollano più” la sgrida.

“Lascia stare Dottie, lei non ha fatto nulla”.

“Non chiamarla Dottie! E non parlare come se ci conoscessi, non sai un dannato cazzo di noi!” sbraita senza controllo. Ha l'aria di essere sull'orlo di una crisi isterica.

“Peyton...” sussurra Dottie, afferrandole la mano e stringendogliela. Peyton ha gli occhi lucidi, impugna la forchetta con forza e le trema il labbro inferiore. Ha l'aria esausta e credo di sapere perché. La sua borsa di stoffa intrecciata ha un buco sfilacciato e sporco di colla sul fondo, proprio dove deve essersi appiccicata al tavolo. È debilitante provare ad esprimere se stessi se si viene costantemente incoraggiati a non farlo.
Diversi bisbigli si levano intorno a noi, la nostra conversazione ha dato spettacolo.
“Pey...”.

“Lascia perdere...” la voce le si spezza. Si alza, spinge da una parte il vassoio, svuota la borsa e, solo con il contenuto, esce correndo dalla mensa. Dottie prontamente la segue, zigzagando tra i commenti e le risate.
Resto sola a fissare il buco nel cadavere della borsa. Sembra un guscio vuoto. Proprio come le persone come Giselle fanno sentire le loro vittime. Vorrei urlare o rompere qualcosa, ma non servirebbe a nulla. Perciò mi limito a sistemare i vassoi, raccogliere le mie cose, la borsa martoriata ed ad uscire dalla mensa.

 

 

 

Seduta sul pavimento del bagno delle ragazze, cerco maldestramente di rattoppare lo squarcio nell'animo di Peyton. E per animo intendo la sua borsa. È di un bel giallo brillante, ha uno strano uccello stampato sul davanti e numerose scritte fatte da Peyton sul didietro. Sono versi di canzoni, alcune le riconosco.

Dal portafoglio tiro fuori in set da viaggio per il cucito e mi metto al lavoro. Mia madre mi ha passato la bizzarra abitudine di portarmi sempre dietro ago, filo e qualche bottone, non sai mai cosa può succedere. Mi ha anche insegnato a cucire, anche se dopo che se ne è andata ho smesso di farlo. Però me la cavo ancora benino. Cerco di rattoppare lo strappo senza bucarmi le dita e senza macchiare la borsa di sangue. Alla fine, lo strappo è riparato e la borsa è di nuovo utile. Sembra un po' l'addome di un uomo sventrato, ma può andare.

Fuori dal bagno, mi metto alla ricerca di Dottie e Peyton. La maggior parte del corpo studentesco è ancora in mensa, quindi non sarà troppo difficile trovarle. Dopo eccessive rampe di scale e numerose porte aperte a vuoto, trovo le due ragazze nell'aula del giornalino scolastico. Sono sedute sul pavimento lucido, Dottie tiene la testa di Peyton in grembo e le accarezza la testa con dolcezza. “Lei non c'entrava nulla” le bisbiglia.

“Lo so” singhiozza Peyton.

“Hai visto la foto. È la nuova vittima di Giselle, non una sua amica”.

“Mi dispiace, ma non riesco a fidarmi di nessuno. Dopo Nicole, io...”.
Busso piano sul legno della porta e lei smette di parlare. Entrambe mi fissano mentre mi avvicino e deposito la borsa sul pavimento. Dottie sorride, osservando il rammendo con l'aria di chi sa di avere ragione. Peyton afferra la sacca e la scruta sorpresa.

“Mi dispiace per la tua borsa” mi volto e punto alla porta. Non ho energie da sprecare con qualcuno che non mi vuole, alla fine sto bene anche da sola.

“Aspetta” strepita Peyton, facendomi voltare “Mi dispiace, Julianne”. Si asciuga una lacrima, mettendosi a sedere diritta. “So di essermi sbagliata su di te. Da l'anno scorso non sono più nella pagina di Facebook della scuola, quindi non sapevo che fossi uno dei capri espiatori di Satana. Scusa se ti ho giudicata frettolosamente”.
So bene che l'attacco è la miglior difesa, uso anche io questo metodo “In ciò che sembriamo veniamo giudicati da tutti; in ciò che siamo da nessuno”.

Peyton sorride, mostrando un leggero spazietto tra gli incisivi “Friedrich Schiller”.

Nessuno capisce mai le citazione che faccio, sono sorpresa. Lei continua “Sei nel mio corso di letteratura e anche in quello di storia. Non ho mai visto il signor Ellingford proporre il giornalino scolastico a qualcuno che non sia un suo studente da parecchio” alza una mano indicando la stanza “Sono il capo redattore”.

Non so cosa dire. La mia fiducia nelle persone si è deteriorata negli anni e si è consumata, non sono molto incline alle seconde opportunità.
“Ricominciamo da capo?” mi porge la mano, visibilmente desolata. Capisco il suo estro creativo e capisco anche che è difficile sopravvivere nel mondo degli stronzi, perciò perché no.

Torno verso di loro, mi chino e le stringo la mano in segno di resa. Peyton sorride e Dottie squittisce compiaciuta “Sapevo che sareste andate d'accordo alla fine!”.

Peyton sorride e si sistema il trucco sbavato “Hai delle belle tette, Fanali” scherza, cercando di alleggerire la tensione.
Ridacchio “Lo so”.

Sospira, appoggiandosi le mani sul viso “Dio, non fa nemmeno ridere”.

“Credo sia invidiosa, le sue nemmeno rientrano in una taglia” suppone Dottie.
“Immagino di sì”.
La campanella suona facendo vibrare le pareti. Peyton si alza spolverandosi la gonna di jeans “È ora di mettersi al lavoro”. Gli studenti iniziano ad invadere la stanza e i computer.
“Ti va di fare il giro dei laboratori? Ti faccio da guida” si propone Dorothea.

Annuisco.
“Ci vediamo dopo, Pey”.
Ci fa un sorriso stanco e si mette a parlare con gli altri giornalisti.

 

Dottie e io passiamo il pomeriggio girando per le aule e osservando le attività pomeridiane. È sorprendente come in ogni stanza lei sappia chi ne è a capo e chi fa parte del club.
“Personalmente, ti sconsiglio le cheerleader e l'annuario. Sono il territorio di Giselle e delle sue amiche” mi informa sulle scale.

“Seguono tutte gli stessi club?”.

“Sì. Sono tutte e tre nelle cheerleader e nell'annuario. È un'imposizione che presumo arrivi da Giselle”.

“Triste” commento.

“Già, ma è un bene perché infettano solo due attività su cinquantotto” asserisce mentre entriamo nel club di scacchi. Immagino abbia ragione.
Le prime tappe del suo tour sono i club che a lei piacciono di più e quelli in cui è stata.

“Quest'anno sono nel club di matematica e nella squadra femminile di tennis” mi bisbiglia nell'aula di cinese. “Pey è nel giornalino scolastico e nella squadra di pallavolo”.

Ci sono così tante attività che è davvero difficile sceglierne una.

“Alla fine del trimestre puoi cambiare attività o decidere di restare”. Beh è già qualcosa.

Come ultima parte del tour di Dorothea, raggiungiamo l'esterno della struttura e mi mostra tutte le attività fisiche. Alla fine mi scorta fino ad una gradinata di metallo e ci sediamo sui sedili di plastica blu. Davanti a noi, un mare di ragazzi in divisa si riscalda sull'erba. “Questa è la parte che preferisco” sospira, quasi gemendo. “La squadra di lacrosse è il gruppo sportivo più importante della scuola, vincono sempre e sono la squadra del cuore del preside. Aaron è il capitano, il numero sedici”. Ha in tono di voce che uso io quando parlo di cioccolata. Il suo sguardo è fisso su un paio di spalle larghe che fendono l'aria in un giro di corsa di riscaldamento. Inquietantemente, riesco a riconoscerle anche io. Lo guarda come se fosse un dolcetto alla crema e un leggero sospetto mi solletica il cervello. “Sa che ti piace?” domando curiosa.
Dorothea arrossisce fino alle orecchie e dondola sul seggiolino blu “Oddio no!” squittisce nervosa “Non sa nemmeno che esisto...”.

“Perché non ti presenti?” la incoraggio.

Sobbalza “No! Insomma non sono assolutamente il suo tipo. Lui esce con le cheerleader e con le reginette di bellezza, io sono solo un puntino nel suo campo visivo” sussurra. Vorrei consolarla, ma non sono brava con gli incoraggiamenti e la motivazione, perciò le snocciolo un po' della mie esperienza passata “Ho imparato che se vuoi qualcosa veramente, un modo per ottenerlo lo trovi sempre”.
Dottie sospira e si lascia cadere contro lo schienale “Si dice in giro che abbia lasciato Savannah alla festa di venerdì e che sia in cerca di una nuova distrazione. Con lei c'era stato per parecchio tempo, più che con tutte le altre”.

“Le altre?”. Il sospetto che fosse un donnaiolo incallito mi aveva sfiorato la mente, ma speravo di sbagliarmi. “Beh, sì. Non sono state molte, non come Lip almeno, però le ragazze che morirebbero per lui sono più o meno tutte. Aaron Anderson si lascia dietro una lunga scia di cuori infranti”. Suppongo che in mezzo ci sia anche il suo. Dorothea scrolla le spalle e recupera la borsa “Devo andare al club di matematica ora, vuoi venire?”.
Preferirei amputarmi un piede “No, grazie. Penso che resterò ancora un po' qui”.

Dottie si alza “Okay, se hai bisogno sai dove sono” sorride e scende gli spalti facendo ondeggiare la matassa di riccioli.

Sono esausta, la giornata non è ancora finita e non vedo l'ora di andare a casa. Per quanto poco lo voglia ammettere, questa scuola non è affatto male. Sarebbe tutto perfetto se papà e Scarlett fossero qui con me.
Mi sdraio sulle sedie e chiudo gli occhi, lasciandomi cullare dal calore del sole. Se mi concentro mi sembra quasi di essere distesa sul tetto di casa con Scarlett, durante una qualsiasi giornata d'estate. Percepisco la sua risata scomposta, l'odore della crema solare alla vaniglia e lo scoppiettio delle bollicine di limonata contro i cubetti di ghiaccio.

“Ehi, principessa”.
Ignorando i comandi, il mio cuore esegue un carpiato al suono della sua voce. Sento il suo sguardo risalire i contorni del mio corpo e vorrei non trovarlo così appagante. Apro lentamente un occhio nella direzione della voce e la figura possente di Aaron mi fissa dal prato. È appoggiato con i gomiti alla barra di protezione di metallo delle gradinate. Ha i capelli arruffati e umidi, è sporco di erba mista a fango e gronda sudore come una cascata. Nonostante questo sento l'impulso primordiale di leccarlo. La divisa da lacrosse risalta alla perfezione il suo fisico massiccio.
“Non dovresti essere in qualche club da cervelloni a mostrare le tue sconfinate capacità intellettive” mi stuzzica, facendomi scivolare lo sguardo addosso.
“Quanti paroloni Anderson, sono stupita” allungo le braccia sopra la testa stiracchiandomi e lasciando che la maglia risalga oltre l'orlo dei jeans. “Come mai ti interessa?”.

Aaron sospira rumorosamente “Voglio solo assicurarmi che la nuova arrivata si goda al meglio ogni esperienza che la scuola può offrire”. Il suo sguardo rimane puntato sul brillantino che luccica sul mio ombelico scoperto “E poi il tuo pisolino di bellezza sta interferendo con l'allenamento della mia squadra”. Mi tiro su a sedere “Interferendo?”.

“Beh, sì. La tua bellezza e il tuo corpo sexy distraggono la mia squadra dal gioco. Lip si è fatto buttare a terra come un'idiota proprio due secondi fa”. Sposto lo sguardo oltre le sue spalle massicce e incontro gli sguardi divertiti di tutta la squadra che mi fissano. Stiamo dando spettacolo. Il gruppetto di avvenenti giocatori di lacrosse mi scruta curioso e alquanto interessato. I loro sguardi indagatori quasi mi distraggono dalle parole di Aaron. Scollo il sedere dal sedile di plastica e scendo i gradoni di metallo verso di lui “Aspetta un secondo” Mi fissa. “Erano dei complimenti quelli che le mie orecchie hanno appena percepito?”.
Aaron inclina la testa e sfoggia un sorrisetto sexy e ammiccante, condito da un leggero rossore alle guance. È la tipica espressione di chi sa di essere assolutamente irresistibile e, solo nella mia testa, sono pienamente d'accordo con lui.

“Sto solo costatando quello che vedono i miei occhi, principessa”. Immagino sia una tecnica ormai collaudata da anni, perché funziona alla perfezione, ma con il cavolo che glielo lascio credere.
Recupero gli occhiali da sole dalla borsa e li indosso “Immagino ti serva un buon oculista allora. Buon allenamento”. Raggiungo la scuola godendomi il suo sguardo che mi scalda la schiena.

 

 

Una volta nel complesso scolastico, mi lascio scivolare sul pavimento del corridoio e aspetto che la campanella termini il supplizio del primo giorno. Mentre spilucco un barretta alla frutta, una donna alta e formosa mi oscura dalla carezza del sole. “Julianne Roux?” Pronuncia il mio nome più come un'affermazione che come una domanda. “Chi vuole saperlo?” addento un altro pezzo di barretta.

I suoi occhi neri sorridono mentre si china verso di me “ Sono Jana Dawson, la consulente scolastica”. Ha i capelli neri raccolti in una coda alta e ordinata, il vestito di cotone blu le svolazza intorno alle cosce quando si muove. Come tutti gli psicologi che ho incontrato, trasuda sicurezza e tranquillità da ogni poro. “Non ho bisogno di una strizzacervelli”.

La dottoressa si inginocchia appoggiando il suo costoso vestito di marca sul linoleum sporco “Non sono una strizzacervelli”. Cerca il contatto visivo e rimane sempre ad una certa distanza, lasciandomi il mio spazio personale. Conosco tutte le mosse che potrebbe giocarsi per cercare un punto di contatto. “Io dico di sì, invece. Il termine consulente scolastica è un modo carino per far credere agli studenti che non stanno veramente andando in terapia, ma semplicemente fanno due chiacchiere con una professoressa. Scommetto che nel suo ufficio c'è una bella cornice in cui è deposto un diploma di Stanford o Yale che attesta i suoi studi in psichiatria e il fatto che lei è realmente un medico, ma siccome i suoi pazienti sono troppo concentrati su se stessi e su i propri problemi non lo notano finché non è troppo tardi e ormai hanno bisogno di lei”.

Inclina un sopracciglio e stringe le labbra.

“Mi sbaglio?” domando sarcastica “Vuole un consiglio su come avere a che fare con me? Non mi menta mai, non le darei più retta dopo”.

La dottoressa sospira, mostrandomi le fossette intorno al sorriso perfetto “Sono colpita, Julianne”.

“Non è la prima”.

“Va bene, allora vada per la completa sincerità. Sì, sono una psichiatra, mi sono laureata a Yale e nel mio ufficio c'è una bella cornice con il mio attestato. Il motivo per cui sono qua è che devi venire da me almeno una volta a settimana perché la tua iscrizione sia valida. Il preside non avrebbe mai accettato un ex-tossicodipendente con precedenti penali senza qualche compromesso”.

Le sue parole mi schiaffeggiano e sgonfiano l'arroganza che mi dava sicurezza. La fisso veramente negli occhi, sorpresa. Nessuno usa mai apertamente quella parola con me.

“Scommetto che è la prima volta che qualcuno ti definisce in questo modo davanti a te”.

Annuisco.

“Se vuoi la sincerità sarà quello che ti darò, nessun giro di parole, promesso. Tua madre ha fatto i salti mortali per farti entrare in questa scuola, le altre due in cui ha fatto domanda hanno rifiutato. Ha corrotto il preside Richmond con ogni mezzo possibile e alla fine lui ha ceduto con qualche condizione. Se vuoi portare avanti la tua istruzione immagino che dovrai avere a che fare con una strizzacervelli come me”.

“Va bene” borbotto. Non avevo idea che la mamma avesse dovuto fare tanta fatica per trovarmi una scuola “Ci sono altre condizioni?”.

“Vieni” si alza porgendomi una mano “Continuiamo a parlarne nel mio ufficio”.

   
 
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