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Autore: Marauder Juggernaut    16/10/2017    3 recensioni
*FanFiciton partecipante alla Yuri&Yaoi's Week indetta dal Fairy Piece*
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[ Dal testo ]
« Il solito, dottoressa Fisher? » e sembra divertita e soddisfatta nel calcare con la voce quel titolo. Sento un velo d’imbarazzo e orgoglio colorarmi le guance di rosso, mentre prendo posto al banco proprio di fronte a lei, che se ne sta appoggiata con le braccia al ripiano osservando la mia corona d’alloro.
L’avevo invitata alla laurea, purtroppo era di turno in quel bellissimo café in cui lavora part time e non era potuta venire. Poco importa, la posso vedere adesso.
« Sì, l’ultimo, Robin. » le dico con un po’ di rammarico, perché mi fa davvero strano pensare ai miei pomeriggi senza quell’infuso di zenzero che mi ha fatto compagnia per gli ultimi anni.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Koala, Nico Robin
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note autrice: ringrazio sul serio Zomi che dell'invito nonostante non faccia pare del forum. Spero che la storia piaccia e chiedo scusa per i caratteri OOC dei due personaggi. Purtroppo non ho mai scritto di loro e quindi sono un po' artritica a renderle (?) In ogni caso ho messo l'avvertimento. E spero anche che il banner si veda, ma ho i miei dubbi. In ogni caso, il cognome di Koala è "Fisher" per il personaggio di Fisher Tiger.
Grazie a tutti quelli che si soffermeranno su questa piccola os! Ditemi cosa ne pensate!
M.J.



 
Tè allo zenzero
 
Sono le cinque del pomeriggio, ormai il sole è in procinto di calare e io sono davvero esausta. Penso di non aver riso di più in vita mia che oggi, di non aver pianto più in vita mia che oggi – di gioia, ovviamente – e di non essere stata più emozionata in vita mia che oggi. L’alloro ormai mi pizzica sulla testa, mi sta scompigliando i capelli e un nastro bianco mi penzola davanti agli occhi fuoriposto. Giuro che appena torno a casa lo sistemo, mi dispiacerebbe aver rovinato la corona ma non ho la minima intenzione di toglierla, non dopo che l’ho sudata così tanto. Sono davvero orgogliosa di averla in testa, oggi.
Dragon mi ha abbracciata davvero stretta dopo che ho discusso la tesi e mi è venuto da piangere quando mi ha detto che era davvero orgoglioso di me – lo è sempre stato in realtà, ma oggi glielo si leggeva in faccia e ciò mi ha davvero scaldato il cuore perché Dragon non mostra mai, se non lievemente, le emozioni.
Poi le lacrime sono state prontamente scacciate dai fischi estasiati di Ace, Sabo e Luffy che, in coda a Dragon, mi hanno stritolata in un abbraccio a quattro, prima di sollevarmi da terra e portarmi in trionfo fino al foglio del mio papiro. Probabilmente ero diventata bordeaux per la vergogna, ma a loro non è importato e in fondo nemmeno a me, anche perché ho riso fino a non sentire più aria nei polmoni quando ho visto la mia caricatura sul papiro. Carrot aveva dato il meglio di sé per quel mio ritratto e Law, Bonney e Nami non la finivano più di passarmi birre e shottini da tracannare ogni volta che sbagliavo una risposta di quell’assurdo cruciverba riguardante le pessime figure che avevo fatto in quegli anni di università.
Ancora mi sembra impossibile di aver finito tutto. Di poter chiudere definitivamente quei malloppi di libri che mi hanno accompagnato per cinque lunghi anni di facoltà di Lettere. Se ci ripenso mi viene da piangere di nuovo all’idea che sono finiti i giorni delle studiate intensive, delle agitate conversazioni su whatsapp la notte prima di un esame, delle feste universitarie e dei viaggi d’erasmus. E del tè allo zenzero.
Mi si stringe il cuore al pensiero.
Ed è a bere il mio ultimo tè allo zenzero che sto andando alle cinque di questo ultimo pomeriggio da universitaria. Sento il magone formarsi all’altezza della gola quando mi ritrovo a percorrere per l’ultima la strada che porta al bar letterario Knowledge’s tree. I miei piedi si muovono da soli, probabilmente c’è l’ombra dei miei passi ricalcata sui sampietrini della strada pedonale che porta a quel café. L’ho scoperto il terzo giorno di matricola e non l’ho più lasciato. Mi sono letteralmente innamorata di quell’ambiente caldo e accogliente, di quella luce soffice che si riflette sul legno e lo illumina, di quel profumo di carta stampata e di essenze di tè, un aroma che concilia persino lo studio. E, beh, di lei.
L’ho conosciuta quando ancora doveva finire la triennale in Beni Culturali e adesso è dottoranda in Archeologia.
Il sorriso di Robin è radioso quando mi nota arrivare ed è davvero bellissima. I lunghi capelli neri sono raccolti in uno chignon e alcune ciocche le incorniciano il viso ovale e sembra davvero un il soggetto di un ritratto del Quattrocento. È da sola nel locale, ma probabilmente gli ultimi clienti se ne sono andati da poco.
« Il solito, dottoressa Fisher? » e sembra divertita e soddisfatta nel calcare con la voce quel titolo. Sento un velo d’imbarazzo e orgoglio colorarmi le guance di rosso, mentre prendo posto al banco proprio di fronte a lei, che se ne sta appoggiata con le braccia al bancone osservando la mia corona d’alloro.
L’avevo invitata alla laurea, purtroppo era di turno in quel bellissimo café in cui lavora part time e non era potuta venire. Poco importa, la posso vedere adesso.
« Sì, l’ultimo, Robin. » le dico con un po’ di rammarico, perché mi fa davvero strano pensare ai miei pomeriggi senza quell’infuso di zenzero che mi ha fatto compagnia per gli ultimi anni.
La sua bocca si schiude sorpresa: « Quindi non farai il dottorato alla fine? » mi chiede, mentre mette a bollire l’acqua calda e prepara una tazzina di vetro su un piattino, in compagnia di una fettina di arancia un cucchiaino. Sorrido a quella visione: gliel’ho spiegato all’inizio del secondo anno come mi piaceva davvero il tè allo zenzero, con quello strano connubio col sapore forte dell’agrume e senza zucchero che coprisse l’aroma. Quando gliel’ho detto si è messa a ridere, ma senza prendermi in giro e dal giorno dopo mi sono sempre ritrovata il tè allo zenzero accompagnata da una fettina d’arancia.  Ha sempre avuto un grande spirito d’osservazione lei.
« No, alla fine no. Per quanto mi piaccia Lettere, mi sono resa conto che sono stufa di studiare! » ammetto mentre mi passo una mano dietro la testa, a grattarmi la nuca.
« Quindi questo è davvero l’ultimo, Koala… » dice, mentre mi posa davanti l’infuso. Il profumo dello zenzero mi invade le narici e mi scalda il cuore, ma non mi scioglie quel nodo di nostalgia che mi ha colto da quando il presidente di commissione mi ha nominata dottoressa in Lettere.
Quasi non ho voglia di berlo, perché finire quella tazza significherebbe davvero dire addio a questa mia vita universitaria, a questi anni che hanno cambiato la mia vita e la mia visione del mondo.
In quel liquido ambrato sembrano rinchiusi le delusioni, gli ostacoli, i sogni e le speranze che ho coltivato negli ultimi cinque anni.
« Purtroppo sì, Robin… » confermo con una punta di tristezza, mentre sotto i miei occhi assorti compare anche un piattino con sopra una madeleine.
La guardo stupita e lei mi strizza l’occhio, complice: « Questa la offre la casa e la offre Proust… ».
Io ridacchio mentre intingo il pasticcino nel tè e lo assaggio e mi sento come l’autore di “Alla ricerca del tempo perduto”, dove in una tazza di tè e nel sapore di un dolcetto rivede tutta la sua Combray e la sua infanzia. E io in quella tazza di tè rivedo tutta la fatica che ho fatto per studiare quell’opera per l’esame di storia della letteratura moderna, rivedo la gentilezza di Robin che mi ha prestato con pazienza tutti i sette libri che si trovavano nel bar e che mi ha spronata e tirata su di morale quando credevo che non ce l’avrei fatta. Il sapore morbido e insieme speziato mi culla il palato e non mi trattengo dal divorare tutta la madeleine. Quasi mi si impasta in bocca, ma basta un sorso di tè perché il boccone troppo grosso scenda giù per la gola.
« Quando hai detto che parti per Ohara per concludere il dottorato? » domando ancora; forse è stufa di ricordarmelo perché me lo ha detto qualcosa come una decina di volte nell’ultimo periodo, ma con la ricerca della tesi avevo la testa da un’altra parte; però lei non me ne fa una colpa, anzi capisce e sorride – e io quasi mi innamoro ancora di più di quel sorriso.
« Tra un mese. Probabilmente mi mancherà questo bar: ho lavorato qui dentro tanto a lungo che… » non completa la frase, ma non ce n’è bisogno. I suoi occhi limpidi vagano nostalgici tra gli scaffali di tutti quei libri consumati da assidui lettori o clienti occasionali. Si sente un po’ madre di quel posto, perché so che lei ha cominciato a lavorare qui quando lo avevano appena aperto.
Mi sorride ancora e io ricambio lo sguardo da sopra il bordo di quella tazza di tè che sto sorseggiando e di cui sono a metà. La poso sul piattino e mi schiarisco un po’ la gola: « E ti mancherà solo il bar? » domando curiosa e un poco imbarazzata.
Lei non riesce a trattenere e si copre la bocca con le dita, con quel gesto grazioso che la fa sembrare una nobildonna dell’Ottocento.
« No, mi mancherà anche una studentessa di lettere che ormai è dottoressa per la seconda volta. » confessa con un tono leggero, giocoso e amorevole che mi fa arrossire e sorridere insieme. « E tu, invece? Cosa farai adesso, dottoressa? » domanda. Finta tonta. Lo sa cosa farò adesso, ho le idee chiare sul mio futuro sin dalla prima laurea in Lettere e credo di averglielo detto almeno qualche centinaio di volte negli ultimi tre anni. Ma lei scherza con quella malizia che la caratterizza che me la fa adorare ancora di più.
Metto su un’espressione sorniona e disinteressata, così palesemente finta che la ridere di nuovo: « Ma sai… » butto lì, mentre bevo un altro sorso di infuso e ormai ne manca solo un dito alla fine della tazza « …avevo pensato di fare il concorso per insegnare storia della letteratura nei licei … ma prima avevo in mente di fare un bel viaggio… » per quella finta indifferenza che sto cercando di mantenere rischia di saltare all’aria a causa di quella grossa risata che minaccia di salirmi dallo stomaco.  
« Davvero? E dove? » anche se lo sa perfettamente dove, mi dà corda in quel finto teatrino che stiamo portando avanti insieme, in quel bar vuoto ad eccezione di noi e dei libri.
« Dicono che Dressrosa sia fantastica in questo periodo  ⁓ » le sorrido maliziosa, piegando poi indietro la testa per poter godere di tutte le gocce di quel mio ultimo tè allo zenzero, fine di una tazza e di una brillante e faticosa carriera universitaria.
« Che meraviglia. C’è posto anche per me per un viaggio simile? ».
Appoggio la tazzina sul piattino di ceramica. Il tintinnio sembra rimbombare tra gli scaffali e le altre tazze. Con uno slancio, scendo dallo sgabello solo per mettermi in punta dei piedi e raggiungerla meglio. Le sue labbra sono morbide e delicate come un fiore, amo baciarle sin dalla prima volta, al primo anno di magistrale. Un bacio al sapore di zenzero e arancia, come sempre.
«Per te c’è sempre posto ». 
   
 
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