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Autore: Valery_Ivanov    21/06/2009    2 recensioni
Avete mai provato a vedere voi stessi con occhi un pò... diversi? E vi siete mai resi conto, con rammarico indescrivibile, di avere appena perso un'occasione che non si ripresenterà mai più nella vostra vita?
Genere: Triste, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccola storiella scritta per un concorso a cui alla fine non ho più partecipato XD Senza pretese anche questa, è solo un’idea

Piccola storiella scritta per un concorso a cui alla fine non ho più partecipato XD Senza pretese anche questa, è solo un’idea che mi è venuta in mente e ho voluto trasportare su carta. Spero vi piaccia^^

 

 

Specchi dell’anima

 

Era un pomeriggio grigio e piovoso. Le gocce di pioggia scivolavano lente sul vetro della finestra, ticchettavano leggere sull’asfalto, si fondevano in piccoli rigagnoli sporchi sulle strade e strisciavano sul cemento, risucchiati dai tombini. Veronica teneva la fronte appoggiata sul vetro freddo della finestra. Il suo alito creava piccole nuvolette sulla superficie liscia, su cui lei tracciava simboli con le dita.

«Veronica, ti dai una mossa??!» esclamò esasperata sua madre dell’altra stanza, mentre il rumore dell’olio che sfrigolava nella padella faceva da sottofondo alla sua voce. «Forza, altrimenti il negozio chiude!!!»

Veronica sospirò e uscì a passi lenti dalla stanza. Si infilò il cappotto bianco, prese l’ombrello e le chiavi e uscì di casa. Scesi i due piani di scale si ritrovò fuori, e aprì subito il piccolo ombrello blu con fiorellini celesti. Le gocce d’acqua le schizzavano le scarpe, e qualcuna riusciva anche ad arrivarle al viso. Tolse con un dito quelle fastidiose goccioline e sollevò il cappuccio del cappotto, nascondendocisi il più possibile.

Il negozio si trovava all’inizio della strada parallela alla sua, al numero 59; aveva un’insegna carina e colorata, e numerosi occhiali facevano bella mostra in vetrina. L’oculista era un ragazzo giovane, allegro e gentile, e le mostrò tantissimi e diversi tipi di occhiali, insistendo per farglieli provare tutti. Veronica, stufa già dopo il secondo paio, lasciò che scegliesse lui per lei, comprando un paio di occhiali dalle lenti rettangolari, con la montatura azzurra e una piccola farfalla disegnata con i brillantini sulla stanghetta destra.

 

La mattina dopo la pioggia era scomparsa, lasciando il posto ad un pallido sole invernale. Veronica si preparò lentamente, come sempre, e prima di uscire infilò i nuovi occhiali. In realtà lei odiava portare gli occhiali – preferiva di gran lunga le lenti a contatto – ma sua madre era convinta che con il passare del tempo le avrebbero rovinato gli occhi, e le impediva di portarle sempre. Uscì di casa silenziosamente, chiudendo la porta a chiave; i suoi genitori uscivano molto prima, ma per fortuna la sua scuola era a cinque minuti di cammino.

Appena scesa in strada si rese conto che qualcosa non andava, perché al posto del solito ragazzo che faceva il fioraio all’angolo c’era un bel daino che la fissava sorridente. C’erano principalmente due cose strane in quella scena:

1) Un daino in mezzo ad una città.

2) Un daino che sorrideva.

Veronica lo guardò accigliata per alcuni secondi, poi scosse la testa e procedette nella direzione opposta, verso scuola, ma si bloccò all’istante: la strada era piena di animali, dai più comuni ai più assurdi. C’era persino una giraffa. Sbalordita, la ragazza chiuse gli occhi, li strinse forte, e li riaprì. Nulla era cambiato. Sconcertata, si tolse gli occhiali per pulirli, anche se sapeva che era un gesto senza senso, ma nel momento stesso in cui i suoi occhi smisero di vedere attraverso le sottili lenti rettangolari, gli animali sparirono. Al loro posto c’erano persone, decine di persone, sfocate, che camminavano come ogni giorno sulla strada. Veronica aggrottò le sopracciglia e fissò gli occhiali. Anche quelli erano sfocati, ma sembravano un normalissimo paio di occhiali. Li rimise, lentamente, e il mondo tornò ad assumere contorni nitidi, i contorni di decine di animali che camminavano tranquillamente per la strada. La ragazza ripeté il gesto più volte, ma la situazione rimaneva la stessa: quando toglieva gli occhiali vedeva delle persone e, quando li metteva, degli animali. Al quarto tentativo si accorse che gli animali e le persone coincidevano. Così la signora che stava aspettando l’autobus alla fermata sul lato opposto della strada era un rospo, e il bel ragazzo che stava chiacchierando con i suoi amici era un leopardo.

Veronica fissò impaurita i suoi occhiali, chiedendosi cosa fare. Ma l’orologio segnava già le 7.57 e se non si fosse sbrigata avrebbe fatto tardi a scuola. Così rimise gli occhiali e fece tutta la strada di corsa, ignorando gli animali che camminavano intorno a lei.

 

Arrivò in orario per un soffio ed entrò nella sua classe con il fiatone. Non si stupì quando la vide piena di animali, ma si chiese come avrebbe fatto a riconoscere i suoi compagni. Si diresse velocemente al suo banco, gettandoci sopra la cartella, e si allontanò per posare il cappotto sull’appendiabiti. Quando tornò, trovò un bell’ermellino bianco seduto sul tavolo che messaggiava con un mini-cellulare. Appena la vide arrivare ripose il cellulare in una tasca (una tasca???) e le sorrise.

«Veronica!! Ti vedo particolarmente attiva, oggi!!» scherzò, seguendola con lo sguardo mentre si sedeva. La ragazza lo fissò preoccupata. Chi era quello? Dalla voce non riusciva a riconoscerlo… o forse non ci riusciva perché vedere un ermellino parlante non era cosa da tutti i giorni, e lei non aveva prestato molta attenzione alla sua voce.

«Spiritoso» rispose, attenta a non sbilanciarsi. Non voleva che qualcuno scoprisse il suo segreto.

«Oh, hai comprato gli occhiali nuovi!! Vedere, vedere!!» esclamò quello, e le tese una zampina. Veronica, sollevata di aver trovato un pretesto per togliersi gli occhiali, se li sfilò e li passò al compagno. Subito la sua classe tornò ad essere popolata di ragazzi e ragazze, anche se sempre sfocati. Quello seduto sul suo banco che si stava rigirando gli occhiali fra le mani era Claudio, uno dei suoi “amici”, o almeno così si definiva lui. La ragazza ne approfittò per lanciare uno sguardo d’insieme alla classe e memorizzare la posizione in cui si trovavano le persone con cui parlava di solito; la sua compagna di banco stava chiacchierando con un’amica vicino alla cattedra. Claudio le restituì gli occhiali commentando “carini” e lei sorrise appena. Sentiva una strana curiosità dentro di sé, la voglia di scoprire a che animale corrispondevano i suoi compagni di classe. Rimise gli occhiali e gli occhi azzurri di Claudio tornarono ad essere quelli neri e brillanti di un ermellino. La sua compagna di banco, invece, era una pecora. Azzeccatissimo, senza ombra di dubbio. Un pinguino le si avvicinò salutandola, e lei dovette fare uno sforzo immenso per impedirsi di ridere. Era così buffa, quella situazione, e così strano vedere animali di ogni tipo che le parlavano cordialmente, ignari del potere dei suoi occhiali, che le venne da sorridere.

Le lezioni passarono in fretta, tra un tricheco che spiegava la seconda guerra mondiale e un procione che interrogava sulle formule matematiche. Veronica soffocò spesso le risate, soprattutto quando il procione iniziò a sgridare un tremante coniglietto che non aveva studiato nulla, o quando la prof di religione, una mucca, si era messa a scrivere alla lavagna alzandosi sulle zampe posteriori. Fu solo durante l’ultima ora che le venne in mente quella domanda, la domanda che divenne il suo tormento nei giorni successivi.

E io, che animale sarei?

 

Quel pensiero la assillò per giorni, rendendo la sua vita un complicato susseguirsi di manovre strategiche per evitare di specchiarsi in alcun modo. Non riusciva neanche lei a spiegarsi bene il perché di questo suo comportamento, sapeva solo di essere terrorizzata al pensiero di scoprire a quale animale corrispondeva. E se non si fosse piaciuta?

In quelle giornate nuvolose Veronica si rese conto per la prima volta di quanti specchi e vetrate c’erano nella città; le vetrine dei negozi sembravano infinite, i parabrezza delle macchine, i finestrini, alcuni portoni di vetro, gli specchi dei bar. Questa era ad esempio una cosa a cui non aveva mai fatto caso: molti bar avevano ampi specchi dietro al bancone, oppure piccoli specchietti incorniciati alle pareti. Le sembrava di trovarsi in un campo minato.

A casa era più tranquilla; sapeva bene dove erano collocate tutte le superfici riflettenti e aveva imparato in breve tempo a muoversi in modo da evitarle. I suoi genitori non si erano accorti di nulla, pensando probabilmente che si trattasse di un nuovo gioco un po’ strambo della figlia. Veronica era rimasta molto sorpresa nello scoprire che animali erano i suoi genitori: suo padre, Giacomo, era un uomo silenzioso e buono, quasi del tutto calvo, con una “pancetta da ubriaco” - come la definiva la madre – e la barba sempre rasata male. Veronica lo immaginava come un animale mansueto con grandi occhioni dolci e invece, attraverso gli occhiali, il signor Giacomo era un gorilla. Sua madre, Anna, era una donna di quelle sempre attente al proprio aspetto e alla propria casa, meticolosa fino alla nausea e fissata con le cose più assurde. Sue madre era un barboncino, e Veronica trovava che fosse perfetto.

Il dilemma che tormentava la ragazza le impediva addirittura di dormire: ogni sera, da sola, al buio, ricominciava a chiedersi quale animale sarebbe mai potuta essere, e se voleva davvero saperlo. Ed ogni sera si addormentava senza essere giunta ad alcuna conclusione.

Fu una mattina in cui le nubi si erano un poco diradate che accadde un fatto ancora più strano di tutti quelli precedentemente avvenuti. Veronica stava camminando tranquillamente per strada, osservando curiosa tutte le persone-animali che la circondavano come al solito. D’un tratto i suoi occhi si spalancarono, sorpresi: dal negozio a pochi passi da lei stava uscendo una persona. Un uomo, per l’esattezza. Il suo oculista, per essere ancora più precisi. La ragazza si controllò il viso, ma gli occhiali erano ancora al loro posto. Si guardò in giro, ma il resto della popolazione di quella strada le appariva ancora sottoforma di animali. Sconcertata da quel fatto seguì l’uomo fino al suo negozio, cercando di pedinarlo senza farsi scoprire, ma vista la sua goffaggine e il suo continuo evitare specchi e “persone” fu scoperta dopo pochi minuti.

«Posso sapere perché mi stai seguendo?» le chiese all’improvviso l’uomo, voltandosi di scatto. Veronica balbettò qualcosa, cercando una scusa, e, a quel suo impacciato tentativo di giustificarsi, l’oculista scoppiò a ridere.

«E’ a causa degli occhiali, vero?» commentò con la sua voce allegra. «Vieni con me»

 

Una volta entrati nel negozio l’oculista le raccontò la storia di quegli occhiali molto particolari, lasciando la ragazzina senza parole. Alla fine, c’erano solo due domande che ancora le aleggiavano in testa, irrisolte.

«Perché lei è l’unico che riesco a vedere normalmente?» domandò, guardandolo dubbiosa.

L’uomo sorrise, sfilandole gli occhiali. «Perché questi un tempo mi appartenevano. Fu mio nonno a trovarli per primo, e da allora li abbiamo sempre tramandati nella nostra famiglia come un tesoro raro e prezioso»

«Questo non risponde alla mia domanda»

L’uomo la fissò in silenzio per alcuni istanti, poi le restituì i piccoli occhiali. «La risposta l’avrai da sola se troverai il coraggio di specchiarti» mormorò, e per un attimo i suoi occhi sembrarono scintillare di una strana luce.

Veronica rimase in silenzio, pensierosa, poi si alzò dalla sedia su cui l’oculista l’aveva fatta accomodare quand’erano entrati e si diresse all’uscita.

«Solo un’ultima cosa» disse, poco prima che la sua mano abbassasse la sottile maniglia d’ottone. «Perché proprio io?»

L’uomo sorrise ancora, stavolta con più calore. «Eri sempre così apatica… ho voluto smuoverti un po’»

E Veronica non riuscì davvero a capire se si trattasse di una bugia o no.

 

Quel pomeriggio i suoi genitori non c’erano. La ragazza entrò nella grande stanza da letto e si avvicinò all’armadio. Lo specchio era a pochi passi da lei. Un raggio di sole che filtrava dalla finestra creava piccoli giochi di luce sulla sua superficie liscia e trasparente, e per la prima volta in vita sua Veronica pensò che non c’era nulla di più sincero di uno specchio…

Prese un bel respiro, raccolse tutto il suo coraggio e compì velocemente gli ultimi passi, chiudendo con forza gli occhi. Si voltò di quarantacinque gradi a sinistra, sapendo che così si sarebbe trovata direttamente davanti allo specchio. Contò fino a cinque, poi aprì gli occhi di colpo. Gli occhiali le caddero dal viso, quasi guidati da una forza sconosciuta, e rimbalzarono appena sulla moquette rosso scuro, restando immobili a terra. Veronica si chinò a raccoglierli, sospirò e li inforcò nuovamente con un unico gesto secco.

Davanti a lei un paio d’occhi sorpresi le restituirono lo sguardo, percorrendo tutta la magra figura di una ragazzina di 14 anni. I suoi occhi, i suoi capelli, i suoi abiti, il suo viso. Le sembravano diversi, eppure erano gli stessi che aveva visto qualche giorno prima, gli stessi che vedeva da anni. Si portò lentamente l’indice sulla guancia, facendolo affondare nella pelle morbida. Corse al balcone e si sporse sulla ringhiera, cercando frenetica qualsiasi animale che indicasse la presenza di esseri umani, ma non ne vide nessuno. Solo persone. Uomini, donne, bambini, anziani, ragazzi. Con un gesto lento Veronica si ritrasse dalla ringhiera e tornò dentro, davanti allo specchio, rimanendo immobile ad osservare il proprio riflesso per quella che le parve un’eternità.

 

La mattina dopo Veronica decise di riportare gli occhiali al negozio e chiedere scusa per averli rotti. Si svegliò presto e uscì di casa senza che i suoi le chiedessero dove stesse andando; l’aria fredda le fece svolazzare i capelli attorno al viso, e spazzò via un po’ di tristezza. Percorse velocemente il breve tratto di strada e si fermò di fronte al numero 59, dove su un cartello sbiadito attaccato malamente ad una porta sprangata era stata scribacchiata la parola “venduto”. La ragazza si guardò intorno silenziosamente. La gente le passava accanto, ma nessuno sembrava accorgersi della sparizione del suo negozio di occhiali, e del suo misterioso proprietario. Si avvicinò lentamente al vetro sporco e ne pulì uno spiraglio con il bordo della manica del cappotto. Dentro era tutto completamente buio, si scorgeva solo a malapena la sagoma scura del bancone di legno dietro il quale sedeva sempre l’oculista.  

Con una piccola fitta di rammarico, Veronica si rese conto che non avrebbe mai potuto scoprire quale animale si celava dentro il suo animo. Estrasse gli occhiali che aveva riposto con cura in tasca e li inforcò, togliendosi le lenti a contatto.

  
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