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Autore: Amber    21/10/2017    2 recensioni
Seguito di Reincarnations Aprire gli occhi. Ovvero: come capire che quell'Arthur è Arthur ma non è Arthur.
Era appena morto. Su quel marciapiede Arthur Pendragon, il ragazzo che voleva diventare professore, che si divertiva a giocare a scherma con i suoi amici e che il sabato andava a pranzo dalla sua famiglia amorevole era morto.
Al contrario l’intera vita di Re Arthur, figlio di Uther Pendragon, sovrano di Camelot e marito di Ginevra, che era vissuto più di mille anni prima e di cui raccontavano ancora oggi le gesta, le vittorie e i fallimenti era tutta lì, nella sua testa.
-Lunga vita al Re- sussurrò alla pioggia, gli occhi spalancati.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gwen, I Cavalieri della Tavola Rotonda, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
- Questa storia fa parte della serie 'Reincarnations. Aprire gli occhi'
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Sono una pazza disagiata. Ho pubblicato la one shot che dà il via a questo continuo il 02/10/2016 e un anno dopo rieccomi a concluderla. Una pazza, come ho già detto.
 
Allora, la storia era partita con Reincarnations con Merlin che reincontra Arthur&Co dopo mille anni nel mondo moderno, loro non ricordano niente e sono tutti amici. Poi Arthur si dichiara a Capodanno, si baciano e l’amore viene incoronato (GRAZIE). Qui ripartiamo con loro due che stanno insieme da due anni e… beh, presumo lo immaginiate.
Questa però sarà davvero la fine, non ci saranno continui o robe strane, promesso. Nel caso mi scuserò.
Attendo con ansia le vostre perplessità e buona lettura
 
Amber
 
***
 
Reincarnations – Aprire gli occhi 2
Ovvero: come capire che quel Merlin è ancora Merlin
 
Quando accadde pioveva. E parliamoci chiaro: lui odia la pioggia.
Ovviamente in un’intera settimana in cui non è dovuto uscire, l’unico giorno in cui ha lezione in università sembra che dal cielo l’acqua venga giù a secchiate. E lui non ha l’ombrello, chiaro.
Beh, il punto non è quello comunque: è sera, è tardi, fa freddo e Merlin lo starà sicuramente aspettando con la cena pronta a casa loro. Beh, casa di Merlin in realtà, ma ormai stanno insieme –insieme-insieme, ma proprio insieme- da due anni e lui ormai ha solo su carta la residenza a casa dei suoi: il moro gli aveva lasciato lentamente e silenziosamente un’anta e un cassetto nell’armadio in camera, che con l’andar del tempo erano diventati non più spazi così definiti; due file nella libreria e una mensola per le sue cianfrusaglie in salotto; il bagno trasformato in un mix di cose, con gli spazzolini di due colori diversi uno affianco all’altro; c’è il cibo che piace a entrambi nel frigo e nella dispensa che comprano a turno al supermercato; e hanno una tabella colorata appesa nella bacheca di sughero in cucina con i turni per i lavori di casa che non rispettano, ma che hanno realizzato insieme in un pomeriggio piovoso tra un bacio e una risata.
 
 
Tacitamente convivono da quando Merlin –il suo assurdo e perfetto ragazzo-, in una fredda mattina autunnale, gli aveva fatto trovare di fianco alla sua tazza di the al gelsomino una seconda copia delle chiavi della porta di casa sua e del portone d’ingresso del condominio. Ricordava di aver visto dipingersi sul viso del moro un sorriso impossibile da nascondere dietro alla tazza, mentre fingeva indifferenza sorseggiando, gli occhi blu che brillavano guardandolo traboccante di quell’amore incondizionato e devoto che gli lanciava anche quando credeva di non essere visto. E lui era inciampato sulla sedia e aveva sbattuto l’anca sul tavolo mentre lo afferrava per il pigiama per baciarlo fino a fargli dimenticare i loro stessi nomi, ma quelli erano dettagli.
 
Certe volte si chiedeva in quale modo potesse dimostrare al moro il sentimento che gli si agitava nel petto, perché dirlo ad alta voce il più delle volte sembrava insufficiente e povero, tanto che invidiava la capacità del ragazzo di trasmettergli quanto lui fosse importante con un solo gesto. Cielo, sembrava assurdo ma il moro lo anticipava sempre su tutto. Pareva sapere cosa pensava o cosa provasse ancora prima che la sua mente ci si potesse soffermare ed era davvero incredibile, quasi ultraterreno, come se gli leggesse nel pensiero. A volte pareva conoscerlo meglio di qualsiasi persona, addirittura più di sua sorella Morgana.
 
Al contrario lui si rendeva conto, mano a mano che il tempo passava, che sulla vita di Merlin gli mancavano dei passaggi.
I genitori morti per dirne una. Possibile che non avesse alcun altro parente? Il moro gli diceva di no ma non ne parlava mai e sviava il discorso con un'abilità quasi innata distogliendo l'attenzione dall'argomento principale e rigirandolo in modo da parlare di altro. Capiva che per Merlin fosse doloroso, ma lui avrebbe davvero voluto sapere, condividere con lui quel peso e semmai, un giorno, poter arrivare a parlare anche dei ricordi felici della sua famiglia.
Poi c'erano altre cose, come la collezione di prime edizioni di classici vecchi di centinaia di anni. Ecco qui avrebbe davvero voluto saperne di più perché il moro aveva questo immenso tesoro e al biondo veniva un colpo pensare a quanto avrebbe potuto guadagnarci il ragazzo se solo li avesse venduti. Dove li avesse presi era un mistero... anche se continuava a blaterare su un misterioso mercatino dell'usato.
Poi c’era la questione soldi. Ed era assurdo, perché lui era un Pendragon e i problemi economici non sapeva neppure cosa volesse dire averli… ed evidentemente per Merlin era lo stesso. Ok, abitava in un appartamento modesto certo, ma era un giovane uomo solo in piena attività universitaria e che non lavorava, quindi come poteva permetterselo? Si era offerto di dividere le spese almeno della casa ma il moro non ne aveva voluto sapere
-Ho delle azioni- gli aveva confessato una sera, le gambe intrecciate alle sue e gli occhi fissi sul soffitto sopra di loro –E fruttano bene. Sono un lascito dei miei quindi… non ci sono problemi-
Ovviamente non si era sbilanciato di più e il biondo aveva dovuto lasciar perdere.
Insomma, c’erano delle cose che davvero non gli tornavano.
Come la mancanza di fotografie. Non una foto dei suoi genitori, o di lui da piccolo, o del periodo adolescenziale, o degli amici lasciati in Irlanda… insomma, della sua vita prima dell’incontro con Gwaine e i ragazzi non c’era niente. Un po’ irritante in realtà
-Non è che sei un serial killer ricercato dal governo con un’identità fittizia, vero?- gli aveva chiesto un giorno ridendo mentre preparava il pranzo, un poliziesco in tv e la testa concentrata sulle dosi della pasta
-Credi che se non vado alla prova del suo vestito Gwen mi ucciderà?-
-Mi preoccuperei di Morgana se fossi in te. Gwen la sta facendo impazzire con i preparativi e la vuole vestire in rosa-
-Sarà una damigella bellissima-
-Ci crederò quando la vedrò-
E la battuta era stata prontamente dimenticata, concentrati sul matrimonio dei loro amici.
 
Poi a Gwaine era venuto in mente di partecipare a questa… cosa medievale e li aveva iscritti tutti, senza possibilità di fuga. Quindi si erano ritrovati in un ranch polveroso a metà luglio, con dei cavalli veri a fare da scena, agghindati in modo osceno con armature finte pesanti e ingombranti, spade in mano senza filo, a darsi battaglia contro altri gruppi di sfidanti in un vero e proprio torneo. Finché i Leoni, la loro fazione tutta in rosso, non si era ritrovata in finale contro i Ghepardi, tutti in giallo. Era stato stancante, sfibrante e imbarazzante. Eppure era stato divertente e bello, soprattutto al momento della premiazione, mentre sfoggiava con orgoglio la gialla corona del vincitore in cartone con delle orribili pietre colorate che gli altri si erano rifiutati di indossare
-Tanto ci hai guidato tu- aveva dichiarato Elyan con una stretta di spalle.
Era vero. Si era subito riscoperto un gran comandante a cui piaceva dare ordini e la spada, a fine giornata, non era stata poi così pesante o ingombrante, anzi gli pareva un peso quasi famigliare
-Inizieremo a osannarti chiamandoti “Nostro Re”- aveva dichiarato Lancelot, il mantello rosso ancora fissato sulle spalle e Gwaine era partito a urlare la canzone modificata di “Perché Arthur è il nostro Re”, saltando e girandogli intorno come un pazzo.
Merlin aveva riso in disparte. Si era rifiutato di combattere e con una semplice casacca e il fazzoletto al collo si era dichiarato loro umile servitore, con un inchino elegante e per niente impacciato, come se lo avesse fatto fino al giorno prima. Ad Arthur erano venute parecchie cose in mente su quello che il suo servitore poteva fargli, ma se l’era appuntato per il dopo. In realtà baciarlo vestito in quel modo era stato strano, e a dirla tutta nemmeno Merlin ne era sembrato troppo entusiasta, ma forse era per la parte in cui si era calato. Il moro in ogni caso non pareva aver apprezzato gran che l’idea di Gwaine visto che aveva per lo più gironzolato tra gli stand con una strana espressione in viso
-Non siamo mica in Harry Potter!- Leon aveva ripreso Gwaine scuotendo il capo con disappunto –Lo chiameremo Sire e basta-
Probabilmente la scenetta aveva attirato i curiosi perché le squadre sconfitte si erano avvicinate a loro, ognuno con uno stemma diverso nel petto: serpenti, torri, cervi e via dicendo.
-E bravo il mio fratellino. Hai proprio la propensione al comando, non è vero? Dovresti proprio fare un discorso ora- lo aveva preso in giro Morgana, vestita da guerriera, con i capelli raccolti scompostamente e il trucco appena sbavato, e con un buffo inchino la strega lo aveva omaggiato –Sire-
-Sire- E tutti l’avevano imitata, sconfitti e vincitori, dame e servitori. Ognuno con un sorriso e una riverenza e si era sentito parte del gioco, parte di quel mondo polveroso, con il nitrire dei cavalli in sottofondo e il clangore delle lame. Chi aveva combattuto aveva posato il ginocchio a terra e tutt’intorno c’era stata come un’ovazione
-Forse è il momento di farli cavalieri, Sire- aveva suggerito Gwen stringendosi al suo fianco con un sorriso e il vestito rosso da dama che le donava in un modo che sapeva quasi di nostalgia.
E lo show doveva continuare. Lui si era riscosso e con la voce grossa, lo sguardo serio e la spada ben in pugno li aveva investiti tutti, con un sacco di paroloni che aveva di sicuro sentito in un qualche film in costume
-… e la prossima volta che combatterete siate orgogliosi, sapendo che ora fate parte del più nobile esercito che il mondo abbia mai conosciuto- aveva dichiarato e i suoi cavalieri, amici e sconosciuti, si erano guardati, un po’ stupiti
-Quale esercito?- aveva domandato perplesso Parcival
-Quello di Camelot, che domande!-
C’era stato come un suono alle sue spalle e girandosi aveva visto Merlin allontanarsi, pallido e stravolto
-Scusa- aveva mormorato quando lo aveva raggiunto ed era ovvio che non riuscisse a guardarlo in faccia –Forse ho mangiato qualcosa di strano… meglio che vada a casa. Tu rimani pure qui a divertirti-
E non era stata una richiesta
-Merlin?- lo aveva chiamato preoccupato passandogli una mano guantata sulla guancia –Che succede?-
Il moro gli aveva dato un bacio, uno di quelli a stampo, veloci e leggeri, quelli che usava per dirgli che era tutto a posto anche se non era così, per non farlo preoccupare. Gli occhi erano traboccanti di lacrime e Arthur ne era rimasto sconvolto mentre avvertiva le lunghe dita di Merlin lisciargli il mantello sulle spalle
-Ti sta proprio bene sai? La parte del Re-
Quando era tornato a casa qualche ora più tardi Merlin dormiva e il giorno dopo il moro si era comportato come se non fosse successo niente.
Era stata una giornata divertente, diversa dal solito ed era finita lì. Tralasciando che i ragazzi continuavano a chiamarlo Sire e lui per scherzare li punzecchiava aggiungendo davanti ai loro nomi la nomina di Sir, tediandoli con gli ordini più assurdi che venivano pressoché ignorati.
Dopo quell’episodio aveva iniziato scherma, ma Merlin non era mai andato a vederlo. Al contrario si erano uniti a lui i ragazzi ed era stato un po’ come ritrovare una vecchia squadra.
 
In ogni caso Merlin era strano, non sempre, solo le volte in cui cercava risposte nel suo passato un po’ troppo oscuro facendolo vagamente irritare.
Morgana aveva alzato il sopracciglio alle sue perplessità e lo aveva mandato fuori di casa a calci. Santo-Gwaine era stato un po’ più comprensivo
-Devi lasciarlo stare- gli aveva detto –Ci sono cose di cui semplicemente non si vuole parlare e probabilmente il suo passato è uno di quelli, soprattutto se è doloroso. Tu lo ami, lui ti ama e non conta nient’altro-
Aveva seguito il consiglio e le cose si erano appianate.
 
Poi erano iniziati i sogni.
Arthur non sognava spesso, anzi, quasi mai. Le giornate erano troppo piene, le notti piacevolmente movimentate e semplicemente quando dormiva, dormiva. E basta.
Ma circa dopo il torneo, forse anche prima anche se con meno frequenza, qualcosa in un angolo della sua mente si era mosso.
Non sognava sempre, a volte erano solo sensazioni, altre volte vere e proprie immagini, vivide. Certe notti si svegliava così di soprassalto da avere il cuore in gola.
La persona che ricordava con dettagli maggiori era Morgana, una piccola peste che giocava con lui in un luogo sconosciuto con muri di spessa pietra che non riconosceva illuminati da grosse candele. A volte era adulta, ma i sogni con lei da grande erano spaventosi, con i suoi occhi gialli e una lingua sconosciuta sulle labbra.
A volte sognava un campo di allenamento o un cavallo, un ruscello, una foresta, una sala grande illuminata da decine di candele agghindata a festa. Certe volte erano stupide battaglie con suo padre come comandante, in cui la gente urlava e lui eseguiva degli ordini. Alcune volte il comandante era lui e l’odore della polvere e del sudore erano così reali che al risveglio doveva andarsi a fare la doccia per levarsi di dosso la sensazione della sporcizia.
Poi c’era Gwen e gli scappava da ridere il modo in cui nel sogno le prendeva la mano o in braccio, la sensazione delle sue braccia esili intorno al collo, la risata gorgogliante accanto al suo orecchio. Gli veniva da ridere di meno quando sognava di essere a letto con lei. E lui era gay. Lo era da sempre, da tutta la vita maledizione, quindi no.
Sognava Merlin. E se gli altri erano loro senza essere loro, Merlin era esattamente come il Merlin che amava anche se meno malinconico: irriverente, malizioso, sarcastico, attento, dolce e giudizioso. Con la sua maglia larga e il fazzoletto al collo, le dita veloci ed esperte che si muovevano mentre lo aiutava a indossare l’armatura, lo vestivano o spogliavano, il sorriso sulle labbra o un broncio che avrebbe voluto baciare con tutto se stesso, perché in realtà adorava da sveglio prenderlo di sorpresa e sentirlo ridere contro le sue labbra. Ma l’Arthur del sogno non lo faceva. Anzi, era proprio uno stronzo e un po’ lo odiava. E lo chiamava idiota e Merlin ribatteva con un asino reale o con testa di fagiolo, senza fare una piega, come se fosse una cosa normale.
Quindi, quando si svegliava e vedeva Merlin accanto a se ancora addormentato, gli piaceva riempirlo di baci per ricordare a se stesso che loro erano lì insieme e quella cosa là era solo un sogno.
Erano solo stupidi sogni.
 
-Arthur sei sicuro di stare bene?- gli aveva domandato il moro in una soleggiata domenica. Erano sul divano e alla televisione c’era un documentario sulle foche che lo aveva fatto sonnecchiare dopo i primi due minuti. Merlin aveva i piedi sulle sue gambe e stava leggendo uno dei suoi vecchi libri polverosi
-Perché?- gli aveva chiesto sbadigliando. Si era stiracchiato come un gatto e aveva posato la testa sul suo grembo, la mano di Merlin si era posata sul suo capo in un gesto famigliare e adorante
-Sei più stanco del solito ultimamente. Non dormi bene forse?-
-No sto bene e dormo tranquillo- Merlin aveva mormorato qualcosa e aveva continuato a leggere –Saranno solo…- Si era interrotto per sbadigliare -…quegli stupidi sogni-
-Che sogni?-
-L’ultima è Morgana che cerca di uccidermi- Ne aveva riso perché era assolutamente ridicolo –Però non dirglielo che poi le do l’idea- aveva scherzato. Ma Merlin non era votato allo scherzo evidentemente. Lo aveva sentito irrigidirsi con tutto il corpo, diventando un pezzo di ghiaccio, la mano paralizzata in mezzo ai suoi capelli. Aveva aperto un occhio guardandolo e il moro torreggiava su di lui, pallido –Cosa c’è?-
-Come Morgana che cerca di ucciderti?-
-Oh è ridicolo su. Morgana non lo farebbe mai. Sarà il mio subconscio che mi mette in guardia sui miei esami o chissà cos’altro-
Merlin aveva posato il libro sul tavolino, che era caduto a terra e lo aveva scostato per alzarsi. Arthur lo aveva osservato sorpreso mentre si dirigeva in cucina lasciando il libro a terra che aveva recuperato lui rigirandoselo tra le mani
-Ti va un the?- gli aveva chiesto il moro nervosamente
-No grazie. Merlin, tutto ok?- si era tornato a sdraiare e aveva aperto il libro per leggerne la trama
-Certo- C’era stato un istante di silenzio –Hai fatto altri sogni simili?-
-Uhm… qualcuno- aveva confessato –Una volta ho sognato…- Forse non era il caso di menzionare Gwen, o la guerra, o di insulti scambiati con lui. Meglio stare sul vago -…un vecchio con i capelli bianchi. Mi sono sentito molto giudicato dai suoi occhi azzurri mentre mi ordinava di bere chissà cosa-
Il fracasso che aveva sentito provenire dalla cucina lo aveva allarmato e si era precipitato a controllare
-Tutto bene scusa, mi è solo scivolata la tazza- Merlin era accucciato a terra e stava già raccogliendo i cocci di porcellana
-Attento a non tagliarti- Il suo strano ragazzo aveva annuito, lui gli si era messo a fianco e lo aveva gentilmente voltato verso di se –Amore è tutto ok… è solo una tazza. Perché piangi?-
Merlin non gli aveva risposto. Aveva mollato i cocci a terra e singhiozzando lo aveva abbracciato come se da un momento all’altro lui potesse svanire.
Come se fosse anche solo lontanamente possibile.
 
Arthur segretamente adorava la domenica.
Era l’unico giorno in cui non c’era nulla da fare, la famiglia aveva i suoi impegni e gli amici non chiamavano presi dalla loro vita privata. Era l’unico giorno in cui aveva Merlin tutto per se, i cellulari spenti, la musica o la televisione erano solo un brusio sottofondo e loro due potevano dormire fino a tardi e poi rimanere a parlare del più e del meno a letto, senza essere incalzati dalla vita fuori.
Gli piaceva portargli la colazione a letto e baciarlo con la dolcezza della crema sulla lingua, adorava contemplare il suo sguardo arruffato e vederlo sbadigliare soddisfatto, la clavicola a creare un ombra leggera sulla sua pelle.
E anche se le domande erano tante e le risposte poche, mentre intrecciava le gambe con le sue e gli passava la mano in mezzo ai capelli, Arthur sapeva di non voler essere in nessun’altro posto al mondo.
 
 
Quindi voleva tornare a casa, subito. Ma il professore lo aveva trattenuto e quella che era iniziata come una pioggerella si era trasformata in un vero diluvio. E, come aveva già ampliamente detto, a lui la pioggia non piaceva.
Sentiva i vestiti appiccicarglisi addosso come una seconda pelle diventando pesanti quasi come un’armatura, rigida e scomoda; i capelli grondati e fastidiosi non gli permettevano la visuale corretta della strada e anche respirare, con l’aria così umida e pesante, gli stava diventando difficile; in più aveva la tracolla con i libri che gli stava indolenzendo tutto il braccio. In conclusione in quel preciso momento si sentiva come alla fine di un lungo allenamento di scherma eseguito sotto la pioggia. Ed era assurdo, perché nessuno schermidore si sarebbe mai allenato sotto la pioggia.
 
Sempre se colei che reputi come una sorella non sia in punto di morte.
 
Il tempo si dilatò e la via che conosceva come le sue tasche, il discount nell’angolo, il negozio a pochi passi da lui, le persone che procedevano spedite in impermeabile e il mondo intorno a lui semplicemente divennero nulla.
 
C’era un fantoccio davanti a lui. Di legno, vestito da guerriero, con la cotta e l’elmo. Un fantoccio distrutto a forza di colpi rabbiosi e disperati. Colpi suoi. Il dolore alla spalla era acuto, i muscoli del collo gridavano pietà, l’odore della pioggia era soffocante, il rumore dei tuoni assordante
“Sta morendo. Lei muore muore muore e io non posso fare niente niente niente…”
Il viso cadaverico di Morgana che sorrideva.
 
Occhi gialli. Una lingua serpeggiante
-Fratello- Ironia. Disprezzo.
 
Il volto rugoso di un vecchio dai capelli bianchi. Un inchino.
-Sire-
 
I suoi cavalieri. Lo scintillio delle lame.
-Per Camelot!-
 
Una corona.
 
La guerra. Le battaglie. Il sangue. Sangue ovunque. Sempre sangue.
 
Il matrimonio.
-Lunga vita alla Regina!-
Gwen.
-Con tutto il mio cuore-
 
La tavola rotonda.
 
Camlann. Mordred.
 
Merlin. Merlin sempre. Merlin ovunque. Merlin dappertutto. Merlin in ogni giorno, in ogni momento della sua vita.
 
-La uso per voi. Solo per voi-
 
Occhi gialli, luminosi come il sole. Un piccolo drago di fuoco.
 
-Ormai è troppo tardi- … -Solo… tienimi così-
 
E poi… poi… poi.
 
La collisione.
Si ritrovò carponi a terra in un secondo, i palmi delle mani che gli lanciavano leggere fitte di dolore, un uomo chinato su lui gridò le sue scuse sopra al frastuono della pioggia aiutandolo a rimettersi in piedi. Non seppe dove trovò la forza per riuscire a rimanere in equilibrio senza barcollare. Si portò la mano sul fianco, là dove aveva appena sentito la spada incantata di Mordred perforare la cotta metallica fino ad arrivare alla pelle, e quasi si stupì di non trovarla fradicia di sangue.
Era appena morto.  Su quel marciapiede Arthur Pendragon, il ragazzo che voleva diventare professore, che si divertiva a giocare a scherma con i suoi amici e che il sabato andava a pranzo dalla sua famiglia amorevole era morto.
Al contrario l’intera vita di Re Arthur, figlio di Uther Pendragon, sovrano di Camelot e marito di Ginevra, che era vissuto più di mille anni prima e di cui raccontavano ancora oggi le gesta, le vittorie e i fallimenti era tutta lì, nella sua testa.
Chi era lui?
Fece appena in tempo a piegarsi in due che un’ondata di nausea lo travolse e il fu Re di una volta e forse del futuro vomitò poco regalmente su un marciapiede qualunque di Londra, forse dove un tempo si ergeva la cittadella
-Lunga vita al Re- sussurrò alla pioggia, gli occhi spalancati.
 
 
La prima volta che lo aveva incontrato era stato in un supermercato già due anni prima. Non quello vicino a casa Pendragon in cui andavano abitualmente, ma quello più piccolo e un po’ più lontano a cui stava casualmente passando vicino quando sua madre lo aveva chiamato
-Abbiamo gente a cena e non ho nulla in casa. Ti sto mandando la lista, grazie ciao-
Ed era stato inchiodato. Una lista chilometrica e un carrello che andava per i fatti suoi seguendo crepe inesistenti sul pavimento. E lui odiava fare la spesa. Troppa gente, troppe cose, troppe corsie. E immancabilmente non trovava mai niente. Quindi si era ritrovato a fare avanti e indietro più volte come un disperato, macinando insulti e borbottando.
Poi lo aveva visto.
Era al bancone della frutta e stava valutando due diverse specie di pomodori. Aveva lo sguardo assente di chi non ci stava seriamente pensando, gli occhi del blu più intenso che Arthur avesse mai visto erano puntati sulla scelta, le lunghe dita delle mani tamburellavano distrattamente sul carrello, i capelli corti neri parevano blu sotto la luce fredda dei neon, gli zigomi taglienti creavano una piccola ombra sulla guancia e le labbra strette in una linea sottile lo avrebbero potuto rendere il soggetto perfetto per un quadro chiaro scuro.
Aveva sentito una leggera punta di qualcosa pizzicargli la nuca e lui era rimasto semplicemente lì, bloccato, guardando uno sconosciuto scuotere la testa e tirare dritto con nessun pomodoro in mano
“Forse lo conosco” si era ritrovata distrattamente a pensare e spinto da una forza non sua il carrello si era mosso verso il moro.
Aveva il fisico snello, slanciato –Arthur lo poteva immaginare facilmente anche con il cappotto addosso. Era freddoloso –le dita e le guance erano arrossate. Era educato –aveva fatto scegliere dallo scaffale prima una signora e aveva ceduto il passo a un bambino. Era gentile –il volto si era illuminato in un piccolo sorriso quando aveva salutato il commesso dietro il bancone del pesce. Era…
Arthur non ci pensò. Oppure si, ci pensò, ma non così bene. Attese, svoltò l’angolo con impeto e… il moro era a terra, sbalzato via dal suo colpo un po’ troppo forte.
E improvvisamente c’erano i suoi occhi blu spalancati puntati nei suoi e lui si era ritrovato in bocca le prime parole che gli erano venute in mente
-Scusa, non ti avevo visto! Certo che potevi evitare di metterti proprio nell’angolo, idiota-
Aveva visto la maschera frantumarsi. Il ragazzo era impallidito e senza riuscire ad alzarsi, ancora mezzo seduto e mezzo sdraiato sul sudicio pavimento, aveva semplicemente iniziato a piangere e singhiozzare balbettando cogliendolo completamente di sorpresa
-Testa di fagiolo che non sei altro! Sei in un luogo pubblico e non puoi comportarti come ti pare, come se le corsie fossero di tua proprietà. La civiltà impone di stare attenti a dove si mette il carrello asino reale!-
Il biondo aveva arricciato le labbra a quell’ultimo insulto, indeciso se ridere o offendersi
-Senti, non puoi piangere mentre mi insulti, non è normale! E solo mia sorella può darmi dell’asino reale- Ricordava di averlo aiutato a rimettersi in piedi chiedendosi se gli avesse rotto qualcosa. Indossava una sciarpa verde e la puntura dietro alla nuca si era dissolta –Sono Arthur Pendragon- si era presentato, non perché volesse sapere il suo nome, solo perché era giusto che il ragazzo conoscesse il suo aggressore ecco.
Il moro aveva annuito piano, come se fosse ovvio, singhiozzando e gli aveva stretto la mano
-Merlin Emrys-
 
 
Quello stesso Merlin che ora stava trafficando in cucina con la loro cena e che dopo tanto penare era suo. Si erano girati attorno per quasi un anno, Merlin che nella sua ingenuità non aveva capito niente e lui che per paura aveva indossato la parte dell’amico perfetto. Poi lo aveva baciato a capodanno, quando era tutto diventato troppo e lui non era più riuscito a controllarsi
-Ah! Sei tornato!- esclamò il moro, il sorriso a illuminargli il volto. Lo aveva visto e ora era completamente voltato verso di lui, guardandolo con aria critica –Ti ho messo un asciugamano lì vicino, non azzardarti a fare un passo dentro casa conciato come sei che dopo mi tocca pulire! Ma cos’hai fatto?- Il tono era diventato preoccupato in meno di un secondo. Ed eccola lì. Arthur nella sua mente poteva contare con certezza quasi assoluta il numero di volte in cui il servo Merlin aveva lanciato a Re Arthur quell’occhiata. Il moro gli si avvicinò e gli prese con delicatezza le mani ferite –Non ti hanno insegnato a guardare dove cammini?-
Il biondo si staccò da lui come se si fosse scottato
-Scusa. Devo andare- dichiarò e lo lasciò lì, gli occhi sorpresi e il corpo rigido, mentre lui gli girava le spalle e fuggiva
-Arthur?-
Lo sentì, ma per la prima volta in quella vita scelse di ignorarlo.
 
Andare a casa dei suoi gli era sembrata una buona opzione in un primo momento. Ma quando era arrivato davanti al cancello e aveva visto la macchina di Morgana entrare, il suo primo istinto non era stato quello solito di calore e affetto, ma si era sentito arrabbiato e tradito.
Sua sorella lo aveva ucciso. E quante volte ci aveva provato!
Ma non era giusto. Morgana, quella Morgana, non aveva fatto niente tranne essere un po’ dispettosa e capricciosa.
E suo padre non era Re Uther, lui non avrebbe mai fatto del male a nessuno. Sua madre invece… ecco, lì punti di paragone non c’erano. Era doloroso doversi ricordare che in quella vita lei non era morta.
Fece dietro front. Casa dei suoi era vicina all’appartamento di Lancelot ma scartò l’opzione ancora prima di realizzare il pensiero. Là c’era Ginevra, la sua Gwen, sua moglie che stava per sposare un altro uomo. Ricordava tutto di lei e lui ne era stato così immensamente innamorato… allora perché quando si erano incontrati per la prima volta non era scattata la scintilla? Perché semplicemente non gli era tornata la memoria in quel preciso istante rendendo tutto più semplice, facendo tornare l’ordine delle cose al loro posto?
I sogni. Avrebbe dovuto fare più attenzione ai sogni. Forse anche lei li faceva, forse anche lei aveva delle sensazioni, ma semplicemente non riusciva a darci un significato perché le mancava il tassello della memoria, forse… forse lui avrebbe dovuto semplicemente dirglielo.
Andò da Gwaine
-Beh? Cosa ci fai qui?- chiese il ragazzo quando se lo trovò sulla soglia di casa. Lo fece passare mentre lanciava un’occhiata al ballatoio dell’appartamento –E Merlin dov’è?-
-A casa. Posso stare qui per un po’?-
Gwaine annuì e non disse mezza parola, forse il suo viso era già abbastanza esplicito
-Certo sire, ogni vostro desiderio è un ordine. In fondo al corridoio a destra c’è il bagno reale con la vostra acqua calda maestà-
Era un modo per sciogliere la tensione. Ma al momento non esisteva metodo peggiore.
 
 
Al che così non poteva andare.
Arthur sapeva che stava perdendo il controllo della situazione ma letteralmente non sapeva più come uscirne.
Il giorno dopo essere stato ospitato da Gwaine non era riuscito a mettere piede fuori casa. Si era ritrovato a guardare il pianerottolo vuoto, la maniglia ancora stretta nella sua mano, con la testa che pulsava, gli occhi pesanti e il panico lo aveva investito.
Cosa avrebbe dovuto fare? Andare all’università come se nulla fosse? Andare a casa dei suoi, salutarli, mangiare e fare i dispetti a Morgana come sempre? Incontrare i suoi amici, i suoi cavalieri e ridere con loro? Felicitarsi con Gwen e Lance? Tornare da Merlin e ricoprire il ruolo di fidanzato?
Il panico gli aveva chiuso la gola e Gwaine lo aveva dovuto sorreggere
-E’ tutto a posto. Arthur, è tutto ok. Non c’è bisogno che tu esca oggi, puoi rimanere qui-
E Arthur era rimasto, al sicuro in quelle quattro mura. Aveva acceso il telefono e tralasciando i messaggi di whats app, si era ritrovato una chiamata da parte di Merlin e un suo messaggio intorno alle 2 di notte: Ricordati di asciugarti bene.
Lo aveva sentito, quel calore bruciante e famigliare all’altezza del petto ma non poteva vederlo in quel momento, non poteva sentirlo. Non poteva e basta. Così non gli aveva risposto e non lo aveva fatto con nessun altro.
 
 
Si era dato malato per una settimana e in tutto quel tempo aveva mandato brevi e sporadici messaggi alla madre mentre Gwaine aveva continuato la sua vita senza domandargli nulla. Arthur non ricordava molto bene com’era l’amico nella loro vita precedente ma la lealtà che ora gli stava dimostrando lo commuoveva a tal punto da farlo vergognare del suo comportamento.
Una sera il moro era tornato dal lavoro con il borsone di scherma del biondo e glielo aveva posato affianco al divano
-Non ho detto a nessuno che sei qui, ma Merlin ne sa sempre una più del diavolo- Lo aveva osservato implacabile –Dentro ci sono dei vestiti e un paio di libri che mi ha detto ti servono per la tesi-
C’era anche il computer e un pacco di post-it colorati nuovi che usava di solito per studiare e che si era rigirato tra le mani sospirando
-Ti ha… gli hai…?-
Gwaine aveva alzato gli occhi al cielo
-Mi ha chiesto solo se stavi bene e sinceramente non sono sicuro di avergli risposto correttamente e no, Arthur, lui non sta bene anche se lo nasconde molto bene- Si era seduto sul divano accanto a lui e il biondo non era riuscito a guardarlo –Puoi stare qui quanto vuoi, lo sai e se non ti vuoi confidare va bene, ma là fuori il mondo sta andando avanti e tu non puoi nasconderti per sempre. Spero tu te ne renda conto-
 
 
In modo diverso glielo aveva detto Morgana quella domenica mattina –la prima domenica senza il calore di Merlin-, mentre loro erano ancora a letto. Lei si era attaccata al campanello con furia e Arthur se lo sarebbe dovuto immaginare, dopo che l’aveva ignorata per messaggio tutta la settimana e non era andato al pranzo di famiglia quel sabato. Gwaine, nel momento esatto in cui l’aveva vista aveva battuto in ritirata, andando a nascondersi in bagno
-Tu- Tutto l’intero essere di Morgana aveva puntato verso Arthur, dito alzato, tacchi ai piedi e sguardo furioso e lui era indietreggiato di riflesso cercando al proprio fianco una spada che non c’era più da molto tempo –Sei sparito- aveva ringhiato
-Sono stato malato-
-Balle!- lo aveva aggredito –E non le sai raccontare da quando avevi ancora il moccio al naso! Ah, ma io lo so cosa stai facendo, su questo non ti batte mai nessuno. Codardo!-
E Arthur si era sentito colpito nel vivo, nel profondo, ed era arrossito
-Non sono un codardo!-
-Ah no? E allora cosa stai facendo nascosto qui da Gwaine, da più di una settimana, senza dare notizie di te a nessuno?- Lui si era zittito e lei aveva alzato il mento, gli occhi scintillanti di rabbia –Sei mio fratello ed è mio compito prenderti a calci quando stai superando il limite. Mamma e papà sono preoccupati. I ragazzi forse si sono bevuti la balla che sei malato, ma Merlin? Dì un po’, te lo ricordi il tuo ragazzo o nemmeno lui si merita una spiegazione? E ti ricordo che hai l’università a cui non stai andando e sei un tutor!-
-Mi sono solo preso un paio di giorni per riflettere, è un reato forse?-
-Riflettere!- sputò lei rabbiosa –Su cosa mai devi riflettere?-
-Su tutto!- le aveva gridato, le mani che tremavano.
Cosa ne poteva sapere Morgana di come si sentiva? Del terrore che provava? Dello strisciante disagio che avvertiva nel ricordare un vita che gli apparteneva con tutta l’anima e che non capiva affatto? Dei sentimenti contrastanti che provava nel trovarsela davanti, diviso tra odio e affetto incondizionato?
Lei aveva probabilmente letto qualcosa nel suo sguardo perché si era ammutolita, seria ma risoluta, riflettendo
-Hai litigato con Merlin?-
-No-
-Ti ho… fatto qualcosa?-
Arthur l’aveva guardata e lei era sembrata quasi colpevole, con gli occhi lucidi e le labbra tristi.
Mi hai ucciso. Mi hai messo il cerotto sul ginocchio da bambini.
Mi hai tradito. Ti ho abbracciata quando avevi paura dei temporali.
Mi hai minacciato. Hai pianto sulla mia spalla quando sei stata lasciata.
Hai aizzato eserciti contro di me. Sei stata al mio fianco quando ho fatto caming out.
Mordred. Sei mia sorella.
E non parli lingue strane, non hai gli occhi dorati e non sei lei. Non sei lei.
L’aveva abbracciata stretta, fregandosene che era in boxer e lei sapeva di casa mentre gli passava le braccia intorno alle spalle
-No. No e ti voglio bene-
Morgana aveva annuito e lui aveva deciso di tornare a casa con lei dove abbracciare sua madre fu come farlo per la prima volta.
 
 
Vide Gwen per caso proprio quella domenica pomeriggio.
Lui era fermo al semaforo, la macchina accesa che vibrava leggermente, la radio che trasmetteva Nothing Else Matters e lui si sentiva estremamente fuori posto, come se anche la più infima modernità lo stesse accusando che lui non doveva essere lì. Poi li vide. Lance le stava tenendo un braccio intorno alle spalle e aveva in mano una sporta con chissà cosa all’interno mentre lei era in jeans e giacca leggera, la borsa a tracolla che le sobbalzava sul fianco a ogni passo. Gli passarono davanti camminando sulle strisce pedonali e non stavano facendo nulla, nemmeno parlavano, eppure lui le face premurosamente aumentare il passo quando l’omino del semaforo diventò giallo e lei gli sorrise dolce, i ricci che le sfioravano la guancia mentre si avvicinava appena a lui.
La fitta che sentì nel vederli sparire nel traffico pedonale mentre gli altri autisti gli strombazzavano dietro perché si muovesse a partire non fu di gelosia, ma di invidia: loro non ricordavano niente, loro erano innamorati, loro erano Gwen e Lance di quel tempo e non dovevano affrontare nessun ex matrimonio, o tradimenti, o sentimenti contrastanti. Loro avevano tutto quello che lui aveva avuto prima con Merlin, che più il tempo passava e meno riusciva ad affrontare.
Forse Morgana aveva ragione: era un codardo.
 
 
All’università il professore lo massacrò di lavoro e lui non gliene fu mai così tanto grato.
Successe durante l’ora di pranzo del lunedì successivo.
Era in un’aula vuota a correggere dei compiti, un colloquio con un paio di studenti di lì a 10 minuti, il panino per il pranzo dimenticato lì accanto e il cellulare che gli mandava fastidiose vibrazioni  quando la porta si aprì
-Avevo detto di vederci alle 14.00 quindi tornate dopo- aveva sbottato senza alzare gli occhi dal suo lavoro e quando la porta si era richiusa aveva ringraziato tutti i santi del paradiso.
Almeno finché la mano di Merlin, le sue lunghe dita pallide, le unghie curate e le vene in evidenza sul dorso, non era entrata nel suo campo visivo. Era rimasto così shoccato che era scattato in piedi come una molla, la sedia rovesciata dietro di se.
Il corvino non aveva dato segni di essersi spaventato. Aveva il viso pallido indecifrabile, leggere occhiaie e la linea delle labbra morbida. Indossava un paio di jeans scoloriti e una leggera maglia a maniche lunghe
-Ho trovato questa chiavetta USB a casa mia e credo che dentro ci sia del materiale che ti serve- Gliela aveva appoggiata sul compito e lo aveva osservato, in attesa.
Era una scusa.
Arthur usava quella chiavetta per i film e le serie tv, non ci metteva certo dentro documenti importanti visto che tendeva a prestarla agli amici… e Merlin lo sapeva. Ma evidentemente non era riuscito a trovare nient’altro che giustificasse la sua presenza lì.
E lui non era pronto e non sapeva assolutamente cosa dirgli. Rimase in silenzio, la chiavetta in mezzo a loro come un muro invalicabile
-Non hai niente da dirmi?- gli sussurrò il moro e lui se lo sentiva sulla pelle il suo sguardo
-Grazie- rispose di rigetto.
Grazie.
Grazie???
Evidentemente non fu l’unico a rimanere basito dalle sue stesse parole perché il ragazzo sussultò e lo fissò allibito, in attesa di qualsiasi altra cosa che… non arrivò. Arthur era così spiazzato e impreparato che non sapeva nemmeno se in quel momento stesse respirando
-Quindi è tutto qui?- Ora sembrava arrabbiato. Arthur alzò gli occhi su di lui sorpreso perché non aveva mai sentito Merlin rivolgersi a lui con quel tono e se lo meritava. Sapeva di meritarselo –Senza una parola o una spiegazione… la nostra storia deve finire così?- Era ferito. Ovvio che fosse ferito. Non che avesse fatto qualcosa per impedirlo ma… il biondo non aveva mai trovato le parole e aveva sempre sperato, come uno sciocco, che una mattina si sarebbe svegliato con le parole giuste nella mente.
Merlin credeva che lo stesse lasciando. E nemmeno lui sapeva se fosse realmente così
-Per tutta l’Antica Religione Arthur parlami!- esclamò e il viso era un’accozzaglia di chiaro scuro, le luci dell’aula che andavano e venivano –Credo di meritarmi almeno una spiegazione- continuò, la voce contenuta bassa e vibrante
-Io…- Cercò rifugio nel libro di testo che aveva davanti ma le parole erano senza significato e lui era così stanco… e svuotato… e stanco –Mi dispiace-
Era più semplice così. Evitare di spiegare, evitare di sembrare un pazzo, evitare di accampare scuse, di mentire, evitare di affrontare un sentimento che non aveva idea dove iniziava e dove finiva.
Tirava del vento fuori. Se ne rese conto quando un albero si piegò talmente tanto da far sbattere i suoi rami ai vetri della finestra facendolo spaventare. Rialzò gli occhi nel mentre Merlin gli stava dando le spalle andando verso la porta marciando come un guerriero
-Non sarò a casa stasera. Ti prego di venire a prendere la tua roba e lasciare la copia delle chiavi dove tu sai- Le luci dell’aula si spensero totalmente. All’esterno la luce era sparita sostituita dagli stessi nuvoloni che pesavano sul cuore indeciso e pensante di Arthur, il panico nel vederlo andar via che cresceva a ondate
-Merlin… per favore io…- balbettò facendo qualche passo verso di lui, il cuore stretto in una morsa -…so che non posso chiederti di aspettarmi ma…-
-Aspettarti?- lo riprese voltandosi di scatto e stavolta la rabbia esplose… insieme ai vetri che implosero verso l’interno dell’aula.
Arthur si coprì il volto, ma fu un gesto inutile: i vetri crearono intorno a lui un mezzo cerchio, come se una barriera lo proteggesse, il vento gli sferzò i capelli e lui ansimò spaventato e palesemente sconvolto quando si girò per cercare la figura di Merlin che… era sparito, lasciando dietro di se la porta dell’aula che sbatté contro il muro .
I due studenti con cui avrebbe dovuto avere il colloquio entrarono come due furie tempestandolo di domande e con il cellulare in mano pronti a chiamare l’ambulanza, richiamando con le loro grida parecchia gente, adulti e studenti.
Ma Arthur non stava sentendo una sola parola di tutto quel trambusto. L’unica cosa che riusciva a pensare erano gli occhi di Merlin come mai li aveva visti… oppure, come solo una volta li aveva visti.
 
Io ho la magia. E la uso per voi Arthur, solo per voi.
 
Occhi dorati… come uno stregone.
 
 
-Avete visto Merlin?-
Morgana alzò gli occhi dalla sua birra e lo osservò, scettica
-Oddio Arthur! Ho sentito che sono esplosi i vetri dell’aula in cui eri oggi- Gwen si alzò preoccupata e lo raggiunse, lasciando il fianco di Lancelot. La loro tavola rotonda era al completo, tranne che per Merlin che non si vedeva –cosa che aveva sperato con ogni fibra del suo essere. Lo aveva cercato come un matto ovunque e aveva creduto che lo avrebbe trovato lì, con i loro amici a bere, come sempre
-Che poi vi rendete conto? Uno stravento di 10 minuti e chi cerca di affettare? Il nostro sire!- esclamò Gwaine ridacchiando –Sicuro di non aver fatto arrabbiare nessuno di importante di recente?-
-Ah, di sicuro ha fatto arrabbiare Merlin finalmente- sillabò Morgana
-Si si sto bene, non mi è successo niente e… lo avete visto si o no? L’ho cercato anche a casa ma non c’è!- spiegò il biondo
-Io non l’ho visto- dichiarò Elyan facendo annuire Parcival
-Io l’ho visto durante l’ora di pranzo gironzolare per il campus- spiegò Gwen –Credevo fosse venuto per vederti- spiegò dispiaciuta
-Si noi… si. Abbiamo parlato- rispose il ragazzo. Gwen era bellissima anche se indossava un paio di jeans e un maglioncino a collo alto, i capelli arricciati le sfioravano le spalle e lui si sentiva così pieno di affetto per lei e così grato per la sua amicizia che sentì le labbra ammorbidirsi in un automatico sorriso. La riaccompagnò da Lance con ferma dolcezza dove la giovane strinse la mano del fidanzato
-Immagino- sbottò Morgana. Arthur la fulminò
-La smetti?-
-No che non la smetto!-
-Se sai qualcosa dimmelo e basta-
-Non so niente e se anche lo sapessi non te lo direi. Sei un irriconoscente e non ci credo minimamente che oggi abbiate parlato!- lo aggredì –Lo avrai fatto soffrire e basta visto come lo stai ignorando-
-Morgana, adesso basta su-
Leon la strinse per le spalle ma lei se lo scrollò di dosso, le labbra ridotte a una linea sottile
-‘fanculo-
-Ti aiutiamo a cercarlo vuoi?- si offrì Lance –Se Arthur dice che non lo trova allora sono un po’ preoccupato. Merlin non ha nessuno e non vorrei gli fosse successo qualcosa-
Arthur ebbe un brivido a quelle parole. No, se fosse successo qualcosa lui lo avrebbe saputo, per forza
-Io credo che dobbiamo tutti calmarci un attimo- Gwaine bevve un sorso della sua birra e sorrise –Merlin non è un bambino e ha diritto anche lui di poter stare da solo quando vuole. Sono certo che domani lo ritroveremo come al solito. Arthur, torna a casa o stai qui con noi, ma non impanicarti per nulla-
Si stava davvero agitando per niente?
-No io… vado a casa- rispose. Si passò una mano tra i capelli –Mi spiace avervi messo in questa situazione. So che siete suoi amici ma… voglio davvero sistemare le cose con lui- spiegò nervosamente puntando lo sguardo nel posto vuoto che di solito era del moro.
Ricordava benissimo l’anno che avevano passato da soli amici, l’anno in cui lo poteva guardare senza essere visto mentre era al bancone a prendere da bere, beandosi della sua figura longilinea, della sua discrezione, della sua risata che lo raggiungeva anche da lontano. Ricordava e provava ancora per lui l’amore incondizionato e devoto che Gwen in quella vita non gli suscitava affatto
-Smettila di sparire allora- sbottò Morgana guardandolo in tralice
Arthur girò loro le spalle e uscì dal locale, il cellulare già in mano mentre provava a chiamare Merlin per la millesima volta. Telefono staccato.
-Arthur- Voltandosi vide Gwaine, la sigaretta in bocca era un puntino luminoso –Cerca di capire Morgana e non avercela con lei- sospirò –Ormai vuole molto bene a Merlin-
-Voglio solo trovarlo- mormorò. E lui non gli voleva solo bene
Il moro lo osservò pensieroso
-Sei sicuro di avere guardato ovunque?- domandò
-Certo che si. Ha il telefono staccato, non so come rintracciarlo, non so dove sia e…- Ed era in panico. Lo era davvero, anche se era stupido e irrazionale, ma aveva la sensazione che se non lo avesse trovato ora non lo avrebbe rivisto mai più
-L’hai cercato in tutti i posti importanti e anche quelli che tu credi essere scontati?-
-Senti l’ho cercato persino al supermercato dove l’ho incontrato la prima volta!-
Gwaine si guardò in giro, controllando che chi fosse all’esterno del locale non li stesse ascoltando, aspirò e rilasciò il fumo verso l’alto
-Intendi… dove l’hai incontrato per la prima volta in questa vita-
Fu come una doccia fredda. Arthur barcollò e sentì il terreno ondeggiargli sotto i piedi
-Cosa?-
-Ti ho tenuto d’occhio in queste settimane e… non credo di sbagliarmi, vero?-
-Gwaine tu… tu ti ricordi?-
Allora non era pazzo. Non era un sogno. Non era solo lui
-Si mi ricordo. Non tutto, solo… qualcosina- Gli sorrise –Non so perché, ma gli altri…- E puntò il pollice verso il pub -…non sanno niente ancora. Non so se succederà mai in realtà-
-Quando ti è successo? Come?- gli chiese avvicinandosi con più foga del dovuto –E cosa ricordi precisamente?-
-Non molto. Ho sempre avuto delle sensazioni, fin da quando ero piccolo e ho imparato a seguirle per capire dove mi avrebbero portato- Prese una boccata di fumo contrandosi –Poi un giorno ho incontrato Merlin e qualcosa è scattato… I sogni sono diventati con colori più vividi e ho voluto che andassimo al torneo medioevale per capire se ci potesse aiutare e così è stato per me-
-Si, per me credo sia iniziata proprio così- confessò il biondo –Ho fatto sogni sempre più vividi da quel momento e poi l’altro giorno…- si interruppe e si passò la mano sul viso
-Siamo uomini d’azione, eh sire?-
Arthur gli sorrise e Gwaine annuì
-Come hai fatto a non impazzire? Io mi sento…- si interruppe di nuovo, boccheggiando. Non sapeva nemmeno lui come –Ricordo benissimo tutto e questo mi sta facendo mettere in discussione ogni cosa: la famiglia, l’università, gli amici…-
-Gwen- continuò per lui il moro –Merlin- Arthur si sentì arrossire e annuire era davvero superfluo, come parlare –Arthur tu sei tu adesso e in questo tempo. Una volta eri un Re e forse molte cose che ti caratterizzano sono simili a quelle che eri un tempo ma tutto il resto no- Si passò una mano tra i capelli nervosamente e sospirò –Senti di amare Gwen?-
-No- rispose il biondo di getto e quasi se ne stupì –Cioè… provo affetto ecco-
-E quando pensi a Merlin, cosa provi? Affetto?- Dio no. Assolutamente no -E quando guardi Morgana? La odi?-
-No!-
Gwaine gli sorrise
-Trova Merlin, Arthur. Tu sai dov’è-
 
 
Lo trovò davvero. E a pensarci non capiva come aveva fatto a non arrivarci subito.
Avalon scintillava al chiarore della città lontana e le stelle erano troppo lontane per vederle… uno scenario completamente diverso da quello che ricordava come ultimo giorno della vita di Arthur Pendragon, Re di Camelot.
Gli si sedette accanto e lasciò che il silenzio riempisse il vuoto che li circondava. Merlin se ne stava rannicchiato, le ginocchia al petto, il viso seppellito dentro le braccia, vestito troppo leggero per quella serata. Tremava.
Gli appoggiò sulle spalle la sua giacca e attese che fosse pronto
-Mi dispiace- sussurrò il moro così piano che Arthur si chiese se non fosse stato frutto della sua immaginazione –Non volevo esplodere io… non ti farei mai del male. Mai-
-Non c’è bisogno che ti scusi-
-Si invece!- esclamò il moro alzando il viso e guardandolo in faccia. Aveva gli occhi rossi –Ho perso il controllo e ho rischiato…- trattenne il singhiozzo ricacciandolo giù per la gola
-Mi hai anche salvato, se salvataggio si può chiamare- sdrammatizzò
-Oh, perfetto allora. Se ti salvo un secondo dopo che ti ho messo in pericolo è tutto a posto! Un urrà per Merlin-
-Merlin- Arthur gli prese la mano e gliela strinse. Aveva le dita gelide –Mi dispiace tanto per queste settimane, devi credermi. Non volevo ignorarti ma non avevo idea… non sapevo come comportarmi e…-
-Ti credo-
-Scusami-
-Sei scusato-
-Ti amo-
Merlin lo guardò di traverso, le ciglia umide
-E Gwen?- sussurrò
-Gwen? Cosa centra Gwen?- gli chiese stupito, un po’ spiazzato anche
-Io credevo che tu… credevo che ti fossi reso conto… che ti fossi ricordato di essere innamorato di lei ecco perché mi ignoravi. Perché tu ti sei ricordato tutto vero?- gli chiese il moro, gli occhi pieni di lacrime che nascose girando il viso dall’altra parte.
Ah. Quindi anche Merlin ricordava tutto
-Si. E’ successo all’improvviso ed è stato come implodere, davvero- Gli posò la fronte sulla spalla e sospirò –Ma non amo Gwen. Le voglio bene, ok? Ma non la amo. Ammetto che ero confuso perché lo ricordo ma non è un sentimento reale, ora me ne rendo conto. È come guardare una fotografia in bianco e nero che ti fa pungere la coscienza di nostalgia-
-Però… Arthur vi siete amati così tanto e io non voglio… non ho mai voluto mettermi in mezzo. Ti prego credimi-
Merlin non era convinto e il biondo si sentì quasi in vena di sorridere per la sua cocciutaggine
-Ora lei ama Lance. E io amo te, senza ripensamenti. Non avrò mai più dei ripensamenti, te lo prometto-
-Non ti senti… ingannato da me? Non ti ho mai detto niente…-
-Nemmeno io sapevo come dirtelo e infatti sono scappato. Almeno finché oggi non ti ho visto e…-
-Finché non hai visto quello che ho fatto vorrai dire. E i miei occhi- borbottò
-No Merlin, finché non mi hai detto di venire a prendere la mia roba da casa tua. Mi sono sentito malissimo-
-Può essere ancora nostra… se lo vuoi- mormorò il moro indeciso
-Lo voglio… se anche tu lo vuoi-
-Io ti amo maledetto asino reale che non sei altro, certo che lo voglio- singhiozzò stringendogli la mano e voltandosi verso di lui completamente –Non posso sopportare di starti lontano Arthur, non dopo tutta l’attesa e il dolore di questi anni-
Lo baciò e fu come respirare. Gli passò la mano tra i capelli, sentì il salato delle sue lacrime e lasciò che il ragazzo lo avvicinasse ancora più a se, spiegazzandogli il maglione, la giacca dimenticata a terra, scivolata dalle spalle del moro
-Da quanto tempo ricordi?- gli chiese Arthur quando si separarono –E cosa ricordi precisamente? Io credo di ricordare abbastanza precisamente quasi tutto sai? La prima volta che ci siamo visti tu già ti ricordavi di me vero? A pensarci adesso la tua reazione di allora…-
Merlin abbassò gli occhi e annuì piano
-Arthur io… devo dirti una cosa- lo interruppe –Io non ho mai smesso di ricordare- confessò e gli lasciò le mani che congiunse in grembo
-In che senso? Lo sai già da quando eri un bambino? E i tuoi genitori?- domandò preoccupato
-No, non hai capito. Io non ho mai dovuto aspettare lo scatto di un interruttore per ricordare perché il Merlin che tu ricordi, il tuo servitore, lo stregone, sono ancora io- Lo guardò negli occhi –Sono sempre io-
Ci mise un po’.  Arthur sentì il sorriso spegnersi gradualmente sul viso mentre prendeva coscienza di quello che il suo ragazzo gli avesse detto
-Cosa? Ma no non è…-
-Arthur io ho la magia capisci? Anche se un giorno Morgana si sveglierà, e non è detto che succeda, non avrà mai i poteri che aveva mille anni fa. Non c’è una goccia di potere in lei in questo secolo. Anzi, nessun essere vivente ce l’ha ma io… io si- spiegò con calma –I miei genitori sono morti, questo è vero, ma è successo quando ancora Camelot esisteva. I soldi che ho derivano da azioni  che ho iniziato io ancora prima che il tuo bisnonno nascesse probabilmente. La mia vita, tutta la mia intera esistenza, nasce e continua qui, ad Avalon e poi finalmente dove ci sei tu- Gli sfiorò la catenina con l’indice e Arthur ricordò le sue parole, quel capodanno di due anni prima –Ti ho aspettato e ti ho amato per mille anni-
-Mille anni- ripeté –Ma non è possibile… non è… è da pazzi- commentò sconvolto
-Si lo è- rise il moro –E’ da pazzi-
-I tuoi libri sono originali… cioè li hai comprati tu- realizzò il biondo improvvisamente
-Già-
-E non ci sono foto perché non esistevano ancora- comprese
-Si-
-E sei sopravvissuto da solo per tutto questo tempo ma… perché?-
Il moro parve imbarazzato
-La mia magia è… alimentata dalla terra stessa e… senti, davvero non è il caso di parlarne è troppo complicato-
-Troppo complicato dici? Mi stai dicendo che sei immortale!-
-Ma no, immortale non proprio. Posso morire anche io se mi investono, o mi sparano o che so io, ma nel corso di questi secoli non potevo permettermelo quindi sono stato molto attento-
-Perché? Cosa dovevi fare?- gli chiese piano. Merlin non gli rispose e Arthur comprese –Sapevi che saremmo tornati? Tutti noi?-
-Sapevo che saresti tornato tu. Gli altri sono stati una sorpresa ma… ammetto che quando ho incontrato Gwaine e poi il resto dei ragazzi ho faticato a tenere a bada la speranza-
-Lo sai che Gwaine ricorda qualcosa?-
Merlin annuì con un sospiro
-Ho paura di quando Gwen ricorderà- sussurrò
-Non è detto succeda-
-E se succede e lei si riscopre innamorata di te?-
-Non succederà te lo assicuro-
Merlin lo fissò, scettico
-Me lo assicuri tu che sei fuggito praticamente di casa?-
-Proprio perché l’ho fatto ti dico che non accadrà- Gli prese le mani e lo fece girare verso di se, risoluto –Lo sai cos’ho realizzato in questi giorni? Che io sono io, adesso e in questo preciso momento. Voglio diventare professore, voglio prendere in giro Morgana, voglio essere ancora il testimone di Lance al suo matrimonio, voglio parlare con mio padre di golf e con mia mamma di cucina- rimarcò –E non ti libererai di me facilmente Emrys perché in questa vita sono nato per stare con te e nessuna Ginevra del mondo mi impedirà di amarti-
-Anche io… sono sempre io- mormorò il moro rosso in viso
-Si- Arthur sentì sciogliersi un nodo nello stomaco e lo attirò a se posandogli un bacio sulle labbra sorprese che si stirarono in un sorriso –Grazie per essere sempre tu. Grazie per aver atteso, per avermi aspettato. Ora puoi riposare, l’attesa è finita-
 
Lui era ancora quell’Arthur senza esserlo davvero. Forse era migliore in quella versione o forse no, ma avrebbe vissuto quella seconda possibilità a pieno insieme Merlin, che era ancora il suo Merlin, servitore, amico, confidente e amante.
Giusto
-Senti Merlin, ho una mezza idea di te vestito da servitore e io da re che potremmo sfruttare in camera da letto mentre mi servi, proprio come ai vecchi tempi-
-Sire, con tutto il mio amore: assolutamente no-
 
 
 
FINE
  
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