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Autore: sissir7    23/10/2017    2 recensioni
Mary ha sparato al suo migliore amico e John non ha intenzione di fingere più ormai. Dopo tutto quello che hanno passato, lui e Sherlock si meritano un nuovo inizio.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non se ne era mai accorto veramente prima d’ora.
Toccò con il polpastrello dell' indice destro quel cerchio bianco perfetto.
Lì, la sua pelle era fredda e insensibile.
In quel punto non sentiva neanche l’acqua calda che veniva giù con forza dalla doccia e si rese conto che non l’avrebbe mai più sentita.
Si rese conto che quel marchio sarebbe rimasto lì, un particolare, una sciocchezza che neanche ci fai caso, a ricordargli del giorno cui decise di non morire, o meglio, di vivere per John.
“John”.
Sussurrò quel nome come se se l’avesse detto un pò più forte il cuore gli sarebbe scoppiato e il fiato mancato.
Lo disse ad occhi chiusi, come una preghiera, un incantesimo, un desiderio.
Un ultimo desiderio.
Uscì dalla doccia e si avvolse un asciugamano in vita velocemente.
Aprì la porta e lì sulla soglia c'era John con il pugno alzato in procinto di bussare.
Sherlock fece un passo indietro quasi spaventato.
“Non eri in cucina né in camera e mi stavo…”
Lo sguardo gli cadde sul petto bagnato di Sherlock, sulle gocce che gli cadevano ribelli dai ricci scuri. Si schiarì la voce.
“…mi stavo preoccupando.”
Abbozzò un sorriso.
“Sto bene John.”
Cercò di sorridere sincero anche lui.
Poi Sherlock si chiuse in camera e John si buttò a peso morto nella sua poltrona.
Aveva un mal di testa che neanche le medicine riuscirono a domare e ormai durava da giorni.
Giorni in cui aveva la guerra in quella testa e nel suo cuore.
Aveva detto a Mary che avrebbe avuto bisogno di un po' di tempo per accettare il fatto che lei aveva sparato alla persona più importante della sua vita e lei non aveva battuto ciglio a quella sua decisione.
Lo lasciò ritornare a Baker Street, così, semplicemente, lasciandogli solo uno sguardo freddo e una stretta di mano.
E quindi ora era di nuovo nel suo appartamento, quell’appartamento che sarebbe stato sempre anche casa sua come Sherlock gli rispose quando gli chiese se poteva stare un po' lì mentre non superava quel tradimento da parte di sua moglie.
Il fuoco scoppiettava forte nel camino e in un certo senso lo tranquillizzava.
Il profumo del bagno schiuma di Sherlock che ancora usciva dal bagno lo tranquillizzava, la morbidezza della stoffa della sua poltrona e tutto quello che lo circondava lo tranquillizzava.
Non voleva essere in nessun altro posto al mondo.
Tra lui e Sherlock c’era come un velo di cemento che gli impediva di comportarsi come sempre, come avrebbe voluto.
Avrebbe voluto parlargli di qualsiasi cosa senza quella sensazione di dolore e tristezza che la sua voce non riusciva a trattenere.
Avrebbe voluto dirgli che si sarebbe preso cura di lui per un po' perché così si sarebbe preso cura un po' anche di stesso, si sarebbe sentito sicuramente meglio nel cercare di rimediare a quello che Mary aveva fatto.
Avrebbe voluto strappare quella cicatrice dal petto di Sherlock che poco prima aveva visto.
Avrebbe voluto accarezzarla e così farla sparire, così tutto sarebbe sparito: il dolore, il passato, i problemi.
Mary.
Sì, Mary anche sarebbe dovuta sparire.
E anche quel futuro bambino con lei.
John strinse i pugni fino a segnare i palmi con le unghie.
Come avrebbe fatto a crescere un bambino in quella situazione?
Come? Con il suo cuore trafitto e diviso in due?
Le sue ciglia si inumidirono.
Si paralizzò su quella poltrona, bruciava, poi tremava.
Era tutto sbagliato.


“Hey, John.”
La voce scura gli accarezzò la guancia.
Il suo pugno era avvolto dalla mano grande e pallida di Sherlock che in ginocchio gli stava di fianco, chissà da quanto; non si era accorto fosse lì.
“Hey” disse ancora, sorridendogli piano e dolcemente.
John sospirò e sciolse i pugni, guardando gli occhi di Sherlock.
“H-Hey”
“Ti faccio un tè?”
Era lì a pochi centimetri da lui ad accarezzargli il palmo della mano.
Sherlock era lì a terra a rassicurarlo e calmarlo.
Era una cosa talmente nuova che pensava di star sognando.
“Sei tu quello ad essere stato sparato. Dovrei essere io a farti il tè.”
“Allora ne preparo per due.”
Quel sorriso fece sorridere anche lui.
Sherlock si alzò piano ma John, istintivamente, lo afferrò per un braccio.
“Mi dispiace.”
Era la prima volta che sentiva John pronunciare quelle parole e gli fecero male.
Non doveva essere lui a scusarsi per quello che era successo.
Non doveva essere lui a stare così disperatamente male.
“Sherlock, mi dispiace che tu sia rimasto coinvolto in una situazione che ti ha…”
Ucciso.
Non lo guardava neanche ma le sue dita erano ancora forti per trattenerlo.
Lo teneva come fosse l’unico appiglio rimasto per non sprofondare.
“L’unica cosa grave che è successa, John, è che tu ora ti senti responsabile per l’azione di un’altra persona che non ha nulla a che fare con te e quello che sei. Tu non sei così.Non mi faresti mai del male.” 
John lo guardò.
Gli lasciò il braccio e si alzò, avanzando verso lui, per poi stringerlo in un abbraccio.
Sentì sul suo petto il cuore di Sherlock battere forte.
Sentì che avrebbe voluto passare la vita a vivere momenti come quello.
Ma Sherlock non si mosse.
Aveva il volto scuro e impensierito.
L’abbraccio si sciolse proprio per quella sua freddezza e John si scostò velocemente da lui.
“Scusa John, i-io…”
“Tranquillo, non devi dire nulla.”
Sherlock sapeva che se l’avesse abbracciato non gli avrebbe più permesso di andarsene.
Se si fosse lasciato il privilegio di stringere John, gli avrebbe confessato tutto.
“E’ solo che io non sono molto in grado di”
“Per l’amor del cielo, non preoccuparti.”
La voce di John era dolce a quelle parole.
“So che trovi certe cose difficili. Non è nulla.”
Era tutto invece per Sherlock, che si limitò ad annuire e  a troncare l’argomento con: “Faccio il tè.”
“Okay.”


Quella sera però non fu facile non parlare di nuovo toccando l’argomento.
Era mezzanotte passata e gli occhi di John non volevano chiudersi, era nervoso, stressato e non faceva altro che pensare a Sherlock, a quando lo vide attaccato a mille tubi in ospedale, a quando il medico uscì con in faccia la frase “Non ce l’ha fatta” scritta su ogni ruga del volto e nel nervosismo delle sue mani.
E non potrà mai dimenticare il volto di Mycroft crollare, tutta quella sicurezza ed eleganza crollare, precipitare come sabbia tra le mani.
Strinse gli occhi, massaggiò il bruciore che provava allo stomaco ma non passava. I flash continuavano ad affiorare.
Un’infermiera uscì, urlò che il cuore batteva, che batteva forte di nuovo, che era vivo.
E poi ore ad aspettare.
Ore a sperare.
Ore a rinnegare quello che ancora una volta non gli aveva detto.
Ciò che avrebbe dovuto confessargli durante quella telefonata prima di vederlo precipitare come un angelo che rifiutava di spiegare le sue ali.
Ed ora quell’angelo sopravvissuto all’impossibile era al piano di sotto, nel suo letto, vivo.
Poteva andare da lui e sistemare tutto, dire tutto, era quello il momento, mai qualcosa sarebbe stata più giusta da fare.
Fissava il soffitto.
Pensava alla stretta di Sherlock, quella mano affusolata sulla sua, la prima volta che il suo amico aveva dimostrato fisicamente che era lì, per lui, con lui.
Pensò a tutti pranzi veloci durante i casi, l’adrenalina che scorgevano l’uno negli occhi dell’altro, l’energia che Sherlock gli dava, la sua intelligenza che lo faceva sussultare, le volte in cui sorrideva per qualche sua battuta stupida, gli sguardi che gli regalava dall’altra parte della stanza la mattina come buongiorno, la fiducia l’uno nell’altro, la gentilezza, la comprensione, i litigi che finivano in due minuti e la forza di voler rimanere insieme.  
L’amore. 
Allora si alzò con forza, scese e bussò alla porta della camera da cui provenivano passi lenti che smorzavano il silenzio di quella notte.
La porta si aprì e Sherlock si stava strofinando gli occhi con i polpastrelli per la luce della cucina che invase quel buio.
Sbadigliò.
John aveva quasi il fiatone.
Lo guardava con una decisione che non capì.
“John?”
“Ti prego non odiarmi.”
Lo baciò.
Rimase con le sue labbra calde su quelle labbra carnose e perfette per qualche secondo.
Erano morbide.
Piano si mossero, ricambiando il bacio.
Sherlock chiuse gli occhi e le sue spalle si rilassarono di colpo.
John lo spinse in camera e gli strinse la vita con le sue mani.
Il bacio si muoveva piano tra i loro respiri e il loro desiderio.
Fu bagnato da una lacrima.
Le mani di Sherlock si poggiarono sulla nuca di John.
Le fronti calde si toccavano.
I loro respiri si intrecciavano.
Per un momento none esisteva nulla.
Né il freddo di gennaio che li circondava, né i lontani rumori di Londra, nè la luce nel corridoio, né Mary, né quella cicatrice, né gli errori o i problemi.
C’erano loro e il pollice leggero di Sherlock che asciugò quella lacrima sul volto di John.
“Pensi che potrei odiarti per una cosa del genere?”
“Non lo so Sherlock, forse.”
John apparve preoccupato anche se dentro si sentiva così bene da poter dire di aver sperimentato la felicità.
“John, potrei solo amarti per aver fatto una cosa del genere.”
E si sciolsero entrambi in un sorriso.
Si strinsero, e si stesero nel letto di Sherlock che poggiò il viso sul petto di John.
“Mio dio, ci ho messo così tanto a realizzarlo. Mi stupisce che tu ancora non me l’abbia fatto notare nel modo saccente in cui me lo faresti notare.” 
Sherlock rise e poi con tono serio disse:
“Non ti volevo far pesare questa cosa. Non voglio scaricare la responsabilità su di te.”
“Sarebbe potuto essere tutto diverso.”
La mano di John si perdeva nei ricci di Sherlock e li guardava, li accarezzava mentre non vedeva l’espressone che stava facendo dopo quell’azzardata affermazione.
“Lo so.”
“Non dico che avresti dovuto dimostrarmi o dirmi nulla ma”
“Ma sarei dovuto essere io farmi avanti perché sono chi sono. Perché sono difficile e ambiguo e freddo e non hai mai saputo se mai ho avuto una relazione eccetera eccetera…”
“Non voglio parlare di colpe Sherlock.”
“Nessuno ha la colpa. C’è solo il rimpianto ora.”
E mai quella voce fu così malinconica.
Sherlock si alzò piano e rimase seduto a fissare le lenzuola.
Poggiò una mano sul punto dove il proiettile lo aveva colpito.
“Ero morto.”
John serrò le mascelle a quella frase che lo colpì come uno sparo.
Silenzio.
“Poi la mia mente ha cercato qualcosa, ha cercato e cercato, forse una luce che potesse condurmi alla vita. Una ragione per volerla ancora.”
Alzò lo sguardo verso il cielo nero pece di quella notte.
“Ho pensato ai miei genitori e all’insopportabile dolore che gli avrei causato. Sol questa poteva essere una buona ragione per ritornare. Ma sentivo che non era mia, questa motivazione. Era solo per loro.”
Deglutì rumorosamente.
John lo ascoltava rapito, commosso, scosso.
“Poi, tu.”
Si voltò e gli occhi blu di John luccicavano.
“John Watson.”
Lo sussurrò passando le dita tra quei capelli corti. John chiuse gli occhi a quel tocco.
“Tu, e il mio cuore ha preso decisioni che la mia mente non era riuscita a prendere. Perché lui voleva battere, voleva vivere. E vuole farlo per te soltanto.”
“Sherlock…”
John scoteva la testa, incredulo, tremante a quelle parole.
Si sporse per baciarlo ancora.
E ancora.
Non sapeva cosa dire a quell'uomo che gli aveva detto quelle cose indefinibili, quelle cose che dimostravano quanto Sherlock Holmes non fosse nè freddo, nè complicato come lui stesso pensava, ma solo sensibile.
Incredibilmente sensibile.


Lo baciò ancora una volta e si distese al suo fianco, stringendolo a sè.
“Non ti è mai capitato di dedurlo?”
Sherlock si voltò verso di lui aggrottando le sopracciglia.
“Noi due.” precisò John.
“Oh, quello dici.”
“Sì”
“Non ho mai voluto farlo.”
“Ma pensavi qualcosa a riguardo.”
“Io…non volevo influenzare i miei comportamenti pensandoci. Ho semplicemente aspettato per vedere come sarebbe andata a finire, ecco.”
Erano entrambi su un lato per guardarsi.
“E com’è andata a finire Signor Holmes?”
Sorridevano complici.
“Bene direi.”
“Molto bene.”
“Già.”
Sherlock chiuse gli occhi.
John lo guardò mentre si addormentava e il respiro si faceva più profondo.
Mise la coperta sui loro corpi.
Guardò Sherlock lì al sicuro al suo fianco, il volto rilassato, le ciglia scure e lunghe e la carnagione rosa e perfetta.
Stava bene.
Lui si sentiva bene.
Anche se non aveva il potere di far sparire le cicatrici, il passato, il dolore che mai sarebbe sparito completamente, sapeva che poteva iniziare daccapo, da lì, da loro.
Da un appartamento di Baker Street con l’uomo migliore e più saggio e più bello che aveva mai avuto la fortuna di incontrare.
Poteva finalmente lasciare l’odio, la guerra, gli errori.
Poteva finalmente iniziare dall’amore.
 
   
 
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