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Autore: _Destinyan_    23/10/2017    1 recensioni
Inghilterra, 1945.
Antonio ha vissuto tutta la sua vita in un orfanotrofio, vorrebbe che la gioia trovata lì non finisse mai. Sarà però costretto a dover affrontare la realtà una volta capito che cosa significa crescere, conoscere il mondo... e affrontare qualsiasi tipo di viaggio pur di rivedere Lovino.
Genere: Angst, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Febbraio, 1957.

“Io… non posso crederci!” Antonio esclamò e sorrise avvicinandosi per abbracciare il vecchio amico. Arthur lo lasciò fare, ma sembrò abbastanza imbarazzato.
“Cosa ci fai qui?” chiese il biondo.
“Ho lasciato l’orfanotrofio e sono venuto qui in città, vado alla ricerca di piccoli lavori e mi lascio ospitare dai miei datori di lavoro.” Spiegò tranquillamente, senza cadere in particolari.
“Wow.” Esclamò Arthur “Vieni, siediti, parliamo.” Disse in tono educato. Fece accomodare Antonio su una sedia dietro il bancone.
“Quindi la libreria è tua?” disse Antonio indicando il locale con il dito.
Arthur alzò le spalle “Di mio padre.” continuò a parlare “Ha dei problemi di salute, quindi preferisco tenerla io.”
“Oh, capisco, mi dispiace…” si sentì un pochino in imbarazzo.
“Hai ancora contatti con gli altri ragazzi?”
“Più o meno, mando qualche lettera ogni tanto.” Antonio spiegò “Lovino ormai è rimasto da solo.”
Si fermò a pensare, sembrava stesse ricordando di chi si parlava “Oh, già.” Esclamò alla fine “Davvero? Da solo? Non aveva un fratello?”
“Sì, è una lunga storia.” Antonio scosse la testa. “Eravamo rimasti solo io, Gilbert, Ludwig e Lovino. Anche Francis venne adottato.”
“Sì, certo, lo so.” Arthur rispose. Antonio alzò un sopracciglio e l’altro rise “Certo, non puoi saperlo! Io e Francis siamo andati nella stessa scuola.”
“Cosa?” Antonio urlò, quasi triste della notizia.
“Ugh, non dirlo a me, sopportare quello per tutti gli anni di scuola, non mi sarei mai aspettato di ritrovarlo anche qui.” Disse scocciato.
Antonio non sapeva come reagire, ma voleva sapere qualcosa di più su Francis “Da chi è stato adottato?”
“Da una famiglia di origine francese, sai quei mangia rane, ora il suo cognome è Bonnefoy.” Lo disse con un mancato accento francese, poi si fermò non sapendo più cosa dire.
“Invece la tua famiglia?”
“Tutti puramente inglesi!” incrociò le braccia e con sguardo fiero “La famiglia Kirkland.”
“Wow” Antonio rise, ancora non riusciva a crederci a tutto quello che stava sentendo. “Senti, Arthur, mi hanno detto che hai bisogno di una mano-“ iniziò ma venne interrotto subito.
“Devo montare diversi scaffali, ridipingere una parte della libreria, è un dannato disastro.” Sbuffò.
“Mi hanno mandato per darti una mano.” Antonio continuò.
Arthur alzò le spalle “Va benissimo.”
Ad Antonio si illuminarono gli occhi e abbracciò Arthur “Grazie mille!”
“Ok, ok, basta abbracci!” esclamò l’altro. “Puoi stare da me se vuoi, ho una stanza libera.” Continuò.
Antonio stava per abbracciarlo, ma lo sguardo arrabbiato di Arthur lo fermò e si limitò a stringergli la mano.
“Oh, Arthur, devo chiederti un ultimo favore!”
Arthur annuì.
“Posso dare a Lovino l’indirizzo di casa tua? In caso volesse mandarmi qualche lettera.” Pregò il vecchio amico.
“Sì, va bene, perché no?” Arthur disse in tono tranquillo.
Antonio sperava davvero che Lovino gli scrivesse qualcosa prima o poi.

***

Lovino si sentiva completamente abbandonato a se stesso. Non aveva nulla da fare, scriveva, disegnava, mangiava, dormiva, aiutava la signorina, aspettava qualche lettera. Fine.
Si dirigeva in biblioteca per provare a scoprire qualcosa sull’identità di suo nonno, non sapeva nemmeno se era ancora vivo, pensò più volte di chiedere aiuto alla signorina, ma quella non poteva allontanarsi dall’orfanotrofio.
Un giorno trovò una lettera spedita da parte di Antonio, indirizzata a lui, ed era abbastanza anomala. Antonio in questa lettera gli scriveva un indirizzo di casa pregandolo di scrivergli. Lovino lesse attentamente la lettera, all’improvviso Antonio gli aveva dato un indirizzo, avrebbe potuto andare a trovarlo con la signorina. Avrebbe voluto scrivergli una lettera, ma non sapeva cosa scrivere, si vergognava troppo.
Pensò l’intera notte alla lettera, verso le 5 del mattino prese carta e penna e iniziò a scrivere diverse lettere, c’erano tante cose che avrebbe voluto dire, ma sapeva già che non e sarebbe stato capace.

***

Antonio era ormai ospite a casa di Arthur da almeno una settimana.
Scoprì presto che Arthur aveva un fratello minore di 7 anni, biondo, con gli occhi celesti e molto magro. Il bambino si chiamava Peter, spesso si presentava a casa per stare con Arthur, era rumoroso e cercava in tutti i modi di avere le attenzioni dal fratello, inutilmente.
Arthur e Antonio alla fine pensarono di rimodernare l’ambiente della libreria, così il giorno mentre Arthur stava al bancone e aiutava i clienti, Antonio montava qualche scaffale e altri mobili. Non era proprio una delle idee migliori, ma Arthur aveva bisogno della libreria per portare qualche soldo a casa.
Mentre Antonio preparava la colazione, Arthur andò a prendere la posta.
“Ehy, Antonio, c’è una lettera per te!” Urlò mentre entrava in cucina. Antonio si girò contento e Arthur gli lanciò la lettera in faccia. “Credo sia da parte di Lovino.”  Aggiunse.
Antonio scartò subito la lettera, non poteva credere che Lovino gli avesse scritto.
 
Ciao Antonio
Le cose qui non vanno benissimo.
Gilbert e Ludwig ormai sono andati via, sono rimasto da solo. Dove abiti adesso? Che lavoro fai?
La signorina è in pensiero per te.

Non ho molto da dirti, scusami.
Lovino
 
p.s Non sono più arrabbiato con te, per ora.
 
Antonio sorrise in modo incontrollabile, tanto che Arthur iniziò a preoccuparsi e gli chiese se fosse diventato pazzo. Questo significava che ora lui e Lovino potevano scriversi costantemente. Anche se non sarebbero mai potuti stare insieme, Antonio non poteva chiedere di meglio che sapere che Lovino non era più arrabbiato con lui.
Dopo un pochino Arthur lo lasciò perdere, non avrebbe potuto capire.

***

Maggio, 1957

Quella mattina primaverile, Antonio si svegliò più tardi del dovuto con un gran mal di testa, forse lui e Arthur non avrebbero dovuto esagerare con l’alcool la sera precedente. Andò in cucina lentamente, dove trovò un biglietto.

Sembravi davvero sbronzo, ti ho lasciato dormire. Quando vuoi vieni in libreria.”

Per quello che Antonio poteva ricordare, in effetti Arthur non aveva esagerato come lui. Prese un caffè e cercò di dimenticare quel mal di testa, si vestì e uscì in città. Sulla strada ogni minimo rumore sembrava più forte del normale, forse prendere la bici non sarebbe stata una buona idea e quindi chiamò un taxi. Arrivato davanti la libreria prese un forte respiro ed entrò, la campanella suonò e lui disse “Sono arrivato.”
Arthur rispose dal bancone “Ce l’hai fatta.” quasi infastidito.
“Scusa.” Farfugliò Antonio.
Poggiato al bancone c’era un ragazzo biondo, alto, con gli occhiali e gli occhi azzurri. Antonio salutò educatamente, ignorando il pensiero che il ragazzo avesse una faccia conosciuta.
“Penso che in questo momento Antonio non sia in vena di ricordare.” Borbottò Arthur prendendolo in giro.
Il ragazzo biondo rise “Oh, in realtà la mia memoria è un pochino contorta, ricordo davvero poco.”
Antonio scosse la testa “Ci conosciamo?” chiese confuso.
Arthur rise in modo subdolo “Ho dimenticato di dirti anche questo.” Alzò le spalle “Ho rivisto Alfred qualche mese fa.”
“Sono venuto qualche volta a trovare Arthur durante questo periodo, non ti ho mai visto qui però.” Disse l’altro tutto sorridente.
Antonio lo guardò per qualche secondo e ripensò ai nomi che gli erano stati detti… Alfred e Matthew.
“Un attimo.” Antonio strizzò gli occhi “Ma tu sei il piccolo Alfred?”
“Già.” Si aggiustò la gialla di pelle marrone e aprì le braccia. I due si abbracciarono per pochi secondi, per salutarsi.
“Non pensavo in questa città ci fossero così tante persone.” Antonio disse scosso.
“In realtà ci siamo trasferiti qui da poco, stiamo finendo il liceo attualmente.” Spiegò Alfred “Dobbiamo fare l’ultimo anno.”
“Oh, capisco.” Antonio annuì. Alfred era di tre anni più piccolo di lui e Arthur, ma comunque era molto più alto di entrambi. “Come mai sei venuto qui a trovare Arthur?”
Alfred si poggiò una mano al collo, sembrò nervoso “Niente di che, vengo qui per parlare un po’.” Guardò verso Arthur che sembrò agitato.
Antonio alzò un sopracciglio “È successo qualcosa?”
“No, nulla, non ti preoccupare.” Arthur si affrettò a rispondere.
Alfred poi urlò di colpo “Visto che ci siamo! Perché non andiamo a mangiare qualche hamburger qui in giro?”
“Ok, va bene.” Antonio sorrise e guardò l’orologio. Aveva fatto decisamente tardi quella mattina. Alfred si avviò avanti a loro e corse fuori, Antonio approfittò dell’occasione per chiedere ad Arthur “Non ti sembra che abbia un accento strano?”
“Ha vissuto in America.” Arthur sbuffò e alzò le spalle.
“Capisco.” Antonio inclinò la testa. “Questo spiega tutto.”

Arthur, Alfred e Antonio si diressero in un ristorante nei paraggi, si sedettero al tavolo e iniziarono a leggere il menù. Alfred ordinò almeno 3 piatti diversi, mentre Arthur e Antonio presero qualcosa di semplice. Mentre aspettavano che arrivasse il cibo si misero a parlare di tutto. Antonio non pensava che si sarebbe mai rivisto con qualcuno che veniva dal suo orfanotrofio e pensare che ora viveva addirittura con Arthur, con il quale da piccolo non andava nemmeno molto d’accordo. In realtà anche ora che avevano venti anni continuavano a discutere spesso, Arthur si arrabbiava facilmente ed era facile prenderlo in giro, si lamentava spesso e non sapeva nemmeno cucinare.
Scoprì molte cose anche su Alfred. Sembrava fosse molto popolare a scuola e lo era sempre stato, faceva parte della squadra di baseball quando era in America, aveva un sacco di amici e cose del genere. Doveva aver avuto una bella vita. Ammise anche di non vedere l’ora di vantarsi perché era amico con qualcuno di più grande.

***

Luglio 1957

Lovino non aveva ancora risposto alla lettera di Antonio dove gli diceva di aver incontrato Alfred. Gli sembrava quasi surreale che avesse incontrato gli altri ragazzi dell’orfanotrofio. Non sapeva come rispondergli e non poteva certo dirgli che gli mancava o che si sentiva solo, diventava rosso fino alle orecchie solo al pensiero. Chiese consiglio alla signorina, la quale propose di farsi una foto, così che Antonio, Arthur e Alfred li avrebbero potuti vedere. Lovino arrossì “No, non voglio spedire una mia foto!”
“Perché no?” la signorina chiese subito “Magari ci manderanno anche loro delle foto.” Disse contenta.
“Oh, cielo.” Lovino sospirò mentre la signorina corse a prendere la macchina fotografica. Era in alto su uno scaffale e per prenderla fece cadere metà delle cose presenti sul mobile. “Sempre la solita storia.” Sbuffò Lovino sentendo tutte le cose cadere.
“Dai mettiti in posa.” Disse la signorina con la vecchia macchina fotografica in mano.
“C-cosa dovrei fare?” si sentiva nervoso al pensiero che quella foto l’avrebbe avuto Antonio e poi non gli piacevano affatto le foto! Non si piaceva per niente e vedersi in foto gli dava addirittura fastidio.
La signorina gli aggiustò il colletto della camicia. “Uhm, perché ti sei arrotolato le maniche fino ai gomiti?”
“Sto comodo così.” Brontolò.
“Vuoi che ti prenda anche le gambe?”
“No, credo.” Farfugliò Lovino. Incrociò le braccia e cercò di non fare una faccia sofferente. La signorina scattò e videro la foto.
La signorina rise “Guarda come sei carino!”
Lovino si coprì il viso e scosse la testa.
“Si metta lì, le faccio io la foto questa volta.” Prese la macchina fotografica in mano e scattò la foto alla signorina sorridente.

***

Per Antonio e Arthur, sono contenta che stiate bene, io sono sempre qui all’orfanotrofio. Quando guardo mio fratello Ivan ripenso sempre a voi, e pensare che un tempo eravate tutti così piccoli.
Con affetto da Katyusha.


Appena lesse il testo corse da Arthur per mostrargli la foto  “La signorina!” esclamò. Lui non la vedeva da moltissimo tempo. “La ricordavo diversa.” Ammise alla fine.
Leggendo il testo si ricordarono chi era Ivan, quel ragazzo con il quale finivano sempre a passare capodanno. Non aveva molti amici e lui e sua sorella minore erano strani.
“Dovremmo farla vedere anche ad Alfred quando verrà a trovarci.” Consigliò Arthur mettendo la foto nel portafogli per non dimenticarla.
L’altra foto Antonio invece la mise nel suo portafogli e non la mostrò ad Arthur. La foto era di Lovino, con le braccia incrociate e una faccia non proprio felice, come al solito. Era come al solito vestito bene con i capelli in ordine, tranne per quel ricciolo al lato destro. Girò la foto per leggere il retro:

Non è stata una mia idea.
Lovino.”


Antonio fece una risatina.

***

Dicembre 1957

La mattina di Natale, Lovino si alzò a fatica. Non si sentiva molto in vena di festeggiare, voleva stare alla larga dai bambini che urlavano e si divertivano. Prima che quelli potessero alzarsi si vestì e andò di sotto. Nella sala il piccolo albero malconcio era addobbato e sotto c’era qualche regalo, quell’anno i bambini avrebbero ricevuto dei regali quindi. La signorina sembrava essersi ripresa economicamente rispetto a quando lui era piccolo. Si guardò intorno e non c’era nessuno, doveva essere presto. Guardò l’orologio in cucina e scoprì che erano le 6 del mattino. “Oh, meglio così.”
Andò alla porta e mise il cappotto, frugò nella sua tasca e esclamò a bassa voce “Sì, ci sono ancora!” quello che Lovino cercava erano le sue sigarette. Aveva iniziato da quando un uomo entrò fumando nell’orfanotrofio e gliene offrì una. Anche se fumavano praticamente tutti, la signorina non gradiva molto il fumo, ma Lovino non aveva il vizio, fumava quando si annoiava o era nervoso.
Abbassò lo sguardo e vide delle lettere sul pavimento, si abbassò a raccoglierle ed erano per lui. Non si accorse nemmeno che stava sorridendo, ma c’erano 3 lettere per lui e 3 lettere per la signorina. Prese quelle indirizzate a lui e uscì in cortile. Mentre fumava iniziò a scartare le lettere.

Buon Natale fratello!
Spero tu ti diverta quest’anno. Fra qualche mese dovrai andare via dall’orfanotrofio, giusto? Non vedo l’ora che tu venga qui!
Noi stiamo benissimo.
Buone feste, Feliciano.

 
Lovino, buon natale.
Io e Gilbert stiamo bene qui in Germania, la città è davvero bella con le luci natalizie. Spero non ti dia fastidio che io abbia scritto una lettera di auguri solo per te… volevo essere gentile.
Ti saluta anche Gil

Ludwig.

Non si aspettava certo una lettera da parte di Ludwig, non pensava fossero diventati amici. Lui non reputava Ludwig tale.
Si sentiva quasi in colpa.
Aprì l’ultima e sapeva già di chi era.

Ciao Lovi,
Buon natale!
Io e Arthur faremo un grande pranzo (lo ho pregato di non cucinare) insieme alla sua famiglia.
Fra qualche mese andrai via, sei diventato così grande!
Spero proprio ti rivederti al più presto.

Auguri anche da Arthur.

Con affetto, Antonio.


Lovino arrossì. Anche lui voleva rivedere Antonio, ma doveva andare da Feliciano, era quella la cosa importante. Anzi, la cosa importante era trovare il nonno e raggiungerlo insieme a Feliciano.
Come avrebbe fatto a vedere di nuovo Antonio?
Finita la sigaretta la buttò sul terreno e la schiacciò con un piede. Fortuna che la signorina lo chiamò in quel momento e non lo vide fumare.

***

Era l’ultimo dell’anno e Lovino si stava preparando a passarlo come qualsiasi altro giorno, l’unica differenza è quello era il suo ultimo capodanno all’orfanotrofio. Si soffermò ad osservare l’edificio dall’esterno, mentre era poggiato alla staccionata. Ormai cadeva letteralmente a pezzi. Ogni piccolo angolo era diventato rumoroso e scricchiolante, il legno era marcio in alcune zone e Lovino aveva perso il conto di tutte le cose che la signorina dovette riparare. Sentì la porta aprirsi e una bambina corse verso il cortile.
“Lovino, cosa fai?” andò verso di lui timidamente. Era sempre vestita con abiti carini e aveva i capelli a caschetto biondi.
“Mh, Elise, giusto? Dovresti tornare dentro, la signorina si arrabbia quando siete fuori in inverno.” Disse in tono freddo.
“Erika.” Disse lei abbassando la testa. “La signorina mi ha detto di chiamarti per farti entrare.”
“Oh…” incrociò le braccia. “Capisco.” Non sapeva come trattare i bambini, non era mai stato bravo, anzi lo irritavano. Ci fu un silenzio imbarazzante e andò verso l’edificio, non accorgendosi che chiuse la porta in faccia ad Erika.
“Lovino cosa facevi fuori?” chiese la signorina andandogli incontro “Fa un freddo cane.”
“Lo so…” si allontanò “Non stavo facendo niente in realtà.”
La signorina sorrise “Sei in ansia?”
Lovino si grattò la nuca “No, no.” In realtà lo era.
“Hai già deciso cosa farai?” si sedette sul divano e con la mano fece capire a Lovino che doveva sedersi accanto a lei.
“Andrò da Feliciano.” Ma quello la signorina lo sapeva già “Poi… vorrei andare con Feliciano in Italia.”
La signorina spalancò gli occhi “Come?”
Lovino arrossì “S-sì.” Iniziò a giocare con le maniche del maglione “Mi sono ricordato di avere un parente lì, ma non so se è ancora vivo.” Sospirò alla fine.
“Posso aiutarti a cercarlo se vuoi.” Disse lei. “Chi era questo parente?”
“Mio nonno paterno.” Rispose sforzandosi di ricordare il sogno che fece. “Non so nulla su di lui.”
“Dovremmo cercare un certo ‘Vargas’ allora.” disse lei “Sarà andato in guerra?”
“Non penso abbia partecipato alla seconda.” Dopotutto nemmeno suo padre aveva partecipato.
La signorina sembrò spaesata “Allora la prima, per forza.” Prese Lovino per mano “Dopodomani andremo in biblioteca.”
“Sì.” Annuì Lovino. Sperava davvero che la signorina gli sarebbe stata d’aiuto.

Il 2 gennaio, verso pomeriggio, la signorina disse che avrebbe portato tutti in biblioteca. I bambini non ne sembrarono molto entusiasti  e alcuni la pregarono di poter restare all’orfanotrofio. Alla fine per non lasciare i bambini da soli decisero di portare il libro a casa e di fare la ricerca lì.
“Cosa dovete fare?” “Perché andate in biblioteca?” continuavano a chiedere cose del genere e Lovino si rese conto ancora di più che i bambini proprio non li sopportava.
Lovino e la signorina quindi si avviarono sulla neve.
“Se non riusciremo a trovarlo cosa farai?” chiese la signorina.
Lovino esitò un pochino “Andrò da Feliciano.” Alla fine disse.
La signorina sorrise “Capisco.” Si schiarì la voce e continuò “Sei sicuro di quello che vuoi fare?”
Non lo era, ma si limitò ad annuire.
Arrivati nella biblioteca Lovino lasciò fare alla signorina. La donna chiese una specie di elenco con i nomi dei caduti e i partecipanti della prima guerra mondiale. Il bibliotecario la guardò un po’ perplesso poi le chiese educatamente di seguirla. “Lovi, vieni.”
“Sì certo.” La seguì lui. Si sentì all’improvviso ancora più agitato.
Il bibliotecario li portò in una specie di archivio, una stanza davvero grande, che Lovino non aveva mai visto.
“Una richiesta alquanto insolita.” Disse l’uomo grattandosi il mento. Prese un libro da uno degli archivi e lo sfogliò per poco “Ecco a lei.” disse mentre lo richiudeva, porgendolo alla signorina.
Si girò verso Lovino e fece “Preferisci portarlo a casa, tesoro?”
Lovino continuava a fissare il libro impaurito, lo fissò a lungo prima di annuire alla signorina.
Il bibliotecario alzò le spalle “Va bene, non dimenticare di riconsegnarlo.”

***

Quella notte Lovino non dormì. Si nascose sotto le coperte, per non svegliare i bambini, e con una piccola torcia illuminava le pagine del vecchio libro. Non era riuscito a fare nulla il giorno a causa dei bambini troppo curiosi. Gli occhi verdi iniziarono a bruciare, aveva proprio bisogno di riposare, ma comunque non ci sarebbe riuscito. Pensò che forse fumare una sigaretta lo avrebbe svegliato, ma se fosse uscito con quel tempo sarebbe morto di freddo probabilmente.
Dopo vari nomi che continuavano a scorrere, alcuni di uomini giovani altri più maturi, alla fine quel nome apparve sotto il naso a punta di Lovino.

“Julius Vargas”

“Oh!” Esclamò coprendosi subito la bocca subito dopo. Guardo il volto dell’uomo. Capelli mossi, barbetta incolta e delle basette. Lovino riconobbe il suo naso e i tratti del suo volto. Guardò l’anno di nascita dell’uomo “1898”
Fece qualche calcolo.
Sì, quello poteva definitivamente essere suo nonno.
Lesse dove abitava quell’uomo e rimase a fissare la pagina per qualche secondo. Studiò attentamente la foto. E se si fosse sbagliato? Cosa avrebbe potuto fare?
Si fermò prima che potesse cominciare a piangere. Spense la torcia e lascio la pagina del libro aperta accanto al letto. Il giorno dopo avrebbe parlato con la signorina Braginskaya.

***

Aprile, 1958

Lovino aveva portato già il baule al piano di sotto, aveva tutto pronto, tutto era programmato. Aveva già scritto una lettera a Feliciano, ben presto si sarebbero rivisti.
La signorina non smise di piangere quel giorno.
L’adrenalina attraversava tutto il corpo di Lovino, gli faceva tremare le gambe, fumò un paio di sigarette di nascosto, anche se la signorina notò comunque l’odore. Non aveva dormito nemmeno quella notte, troppo spaventato per quello che avrebbe affrontato.
Quando arrivò il momento di abbandonare l’orfanotrofio Lovino lo guardò attentamente. No, non gli sarebbe mancato affatto. Almeno di questo si convinse.
La signorina lo guardò sorridendo mentre indossava la giacca e prendeva la borsa. “E quindi ora vai via anche tu.” Disse al ragazzo. Il quale sorrise imbarazzato.
“Sei agitato?”
“No.” Rispose subito mentendo. La signorina rise.
Lo abbracciò con dolcezza e singhiozzò di nuovo. “Sono sicura che andrà tutto bene.”
Lovino annuì e sorrise. Non era bravo in quelle cose.
“Addio Lovino.” Disse lei tenendogli la mano.
L’italiano sentendo quella parola si rese conto che lui e la signorina non si sarebbero visti mai più e per un momento vide sua madre invece della donna bionda.
“Addio.” Disse lui allontanandosi verso la porta.
Camminò lungo la strada vuota quando si voltò per guardare indietro vide l’orfanotrofio come non lo aveva mai visto.
Non gli sarebbe mancato, per niente. Continuava a mentire a sé stesso.

***

Antonio aveva da qualche giorno mandato una lettera all’orfanotrofio per Lovino. Non aveva fatto altro che pensare a lui. Chissà se era andato via, cosa stava facendo, cosa avrebbe fatto. Questi pensieri continuavano ad affiorargli la mente anche quando, a volte, pensava che forse non era più innamorato, cambiando di nuovo idea
subito dopo. Non avrebbe mai più trovato nessuno come Lovino, lo sapeva bene.

Ormai i lavori nella biblioteca di Arthur erano finiti, andava lì per aiutarlo mentre si dedicava ad altri lavori. Le strade della città erano affollate quel sabato, pensò che magari avrebbero avuto più clienti del solito mentre si dirigeva verso il negozio. Quando entrò l’odore gli fumo gli entrò nelle narici, strano, Arthur non fumava quasi mai dopo quella storia della malattia di cui si parlava sui giornali. Sentì la voce di Arthur ridere in modo subdolo. Stava parlando con qualcuno evidentemente. Arthur e una voce sconosciuta continuavano a ribattere, sembrava si stessero prendendo in giro a vicenda.
“Ehy.” Disse Antonio guardando le due figure. Di fronte ad Arthur vide dei lunghi capelli dorati riccioluti.
“Antonio, penso che qui ci sia qualcuno di tua conoscenza.” Arthur disse sorridendo e indicando l’uomo ben vestito davanti a lui.
“Tony!” Si voltò il ragazzo, con la sigaretta in mano “Scusa, non dovevo voltarmi, ho rovinato l’effetto sorpresa!” disse in tono quasi drammatico. Si grattò la barbetta scura sul mento “Non mi riconosci?” chiese guardando gli occhi perplessi di Antonio.
“F-Francis?” chiese alla fine con gli occhi spalancati.
“Già!” Rise alla fine.
Antonio rimase a bocca aperta e rise anche lui. I due si abbracciarono “Non ci posso credere, ci stiamo incontrando di nuovo tutti.” Antonio affermò incredulo.
“Già, ho un sacco di cose da raccontarti.” Disse Francis emozionato. “E scusami se non mi sono fatto sentire dopo che andai via dall’orfanotrofio.”
Antonio alzò le spalle “Tranquillo, ormai è passato, eravamo bambini.” In realtà ce l’aveva ancora con lui per quel motivo.
Francis non sapendo cosa dire “Magari è stupido, ma prendila per farmi perdonare.” Gli offrì il pacchetto di sigarette e Antonio ne prese una ridendo.
“Come mai sei qui?” Chiese accendendosi la sigaretta. Arthur cominciò a parlare, ma venne subito interrotto da Francis.
“Ah! Dimenticavo, tu non sai nulla. ” Afferrò Antonio per le spalle “Io e Arthur siamo amici di vecchia data.”
Arthur sottolineò “Amici?”
“Stai zitto.” Francis rispose subito innervosito. “Siamo andati a scuola insieme.”
Antonio rise imbarazzato “Francis, lo so già. Me lo ha detto Arthur.”
Francis sembrò offeso dalla cosa, voleva davvero raccontarlo lui. “Ci siamo divertiti in quegli anni.” Si girò verso Arthur “Ricordi Art?”
“Sì, uno spasso essere preso in giro da te e i tuoi stupidi amici del teatro.” Incrociò le braccia “E per te sono Kirkland.”
Francis alzò gli occhi al cielo e Antonio assunse un’espressione triste. Forse Francis non si rendeva davvero conto di quello che faceva.
“Comunque, riccioli d’oro qui, ha delle cose davvero importanti da dirti.” Arthur borbottò.
“Oh, certo!” Francis tornò pimpante e sorridente. “Mi è arrivata una lettera qualche tempo fa.”
Antonio annuì “E…?”
“Non indovinerai mai da chi.” Francis aggiunse. Antonio inarcò un sopracciglio e rimase a pensare. Si fissarono in silenzio per un po’. Arthur li guardò innervosito e alla fine urlò
“Per l’amor del cielo! Gilbert gli ha spedito una lettera!”
Antonio sentendo quelle parole sentì il cuore battere in fretta.
“Vuole che lo raggiungiamo in Germania.” Francis sorrise con tutti i denti scintillanti.
“Ci sto, voglio andare assolutamente.” Antonio rise.
Francis gli diede la lettera e la lesse tutta d’un fiato.
“Ok, non fate decisioni affrettate voi due. Dobbiamo discuterne seriamente. Non potete semplicemente partire e andarvene in Germania.”
Arthur continuava a parlare, ma Antonio non lo ascoltava.
Tutto quello che desiderava oltre rivedere Lovino era rivedere i suoi amici più cari. Le cose sembravano andare davvero per il verso giusto finalmente. 





----Angolo dell'autrice----

Ops, mi sono fatta aspettare parecchio. Ho avuto davvero troppo da fare e ho lasciato il capitolo fra i documenti di word incompleto per almeno due mesi. 
Ok, alcune precisazioni da fare per evitare situazioni sgradevoli (?). Mi scuso se a qualcuno possa dare fastidio che io faccia fumare i personaggi, ma è per motivi storici. Parlando con persone che hanno vissuto l'epoca e guardando i vecchi album fotografici di mio nonno, fumavano davvero tutti negli anni 50.
Il commento sulla malattia di cui i giornali parlavano è comunque collegato ad un fatto storico, ovvero che venne riconosciuto il fatto che il fumo facesse male.
Spero che la cosa non disturbi nessuno, cerco solo di rendere più storicamente corretta la storia. 

Detto questo, al prossimo capitolo! Sperando che io non lo pubblichi troppo tardi. 
   
 
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