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Autore: Cathy Earnshaw    26/10/2017    0 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 18
Il fantasma di pietra
 
 
Horlon si chinò sulla mappa e spostò la puntina del reparto fanteria su Lenada.
«E con questo siamo quasi in copertura. Mancano solo gli arcieri.»
«Il rapporto dice che sono a mezza giornata dall’obiettivo» disse Frunn sfogliando i documenti contenuti nella sua inappuntabile cartellina.
Horlon annuì.
«Bene. Detto ciò, non ci resta che aspettare che i nani siano pronti.»
Glenndois picchiettò l’indice sulla mappa, a sud della Piana di Thann.
«Ciò che resta del loro esercito è accampato qui, non mancherà molto.»
«I maghi si stanno già trasferendo e gli stregoni aspettano nostre indicazioni. Se siete d’accordo io domattina mi trasferirei a Lenada.»
Glenndois annuì, Frunn deglutì rumorosamente. Horlon gli sorrise.
«Tu non sei d’accordo, ragazzo?»
Il segretario arrossì.
«No, no» balbettò. «Solo… no, tutto bene. Domattina trasferimento. Bene.»
Horlon e Glenndois scoppiarono a ridere e Frunn li guardò con aria risentita.
«Le tue spie sono già in posizione?» domandò Glenn.
«Sì, ma non chiedermi dove. Come sempre, hanno preso autonomamente ogni decisione.»
Glenndois annuì.
«Bene. Se le cose stanno così io andrei. Devo scrivere ai ragazzi prima di lasciare Cyanor… o preferisci farlo tu?»
Il Re esitò e distolse lo sguardo, temendo che suo fratello potesse leggervi il suo senso di colpa.
«No, occupatene pure tu. Dodo ha già ricevuto tutte le istruzioni del caso.»
«A proposito di Oliandro, grazie di averlo lasciato fuori» disse fermandosi sulla porta.
Horlon annuì e suo fratello lasciò la stanza. Improvvisamente gli si era chiuso lo stomaco.
«State bene?» domandò Frunn in un sussurro.
«Immagino che la risposta corretta debba essere sì.»
«Penso che la risposta corretta debba essere quella vera» rispose il segretario, lapidario.
Horlon fece una smorfia.
 
Nastomer lanciò un’occhiata al cielo riparandosi gli occhi. Da quando si era bagnato nella Cascata del Potere la sua vista, come gli altri sensi, era migliorata notevolmente, ma si erano acuiti anche tutti i fastidi connessi, come il riverbero che in quel momento lo faceva lacrimare.
«Chissà se il tempo è buono anche a Shiren.»
«Nuvoloso» rispose distrattamente Selene, accanto a lui.
Nastomer la guardò incuriosito. Stava raccogliendo con un grosso spillone dall’aria pericolosa i lunghi capelli argentei, per prepararsi ai molti viaggi che li aspettavano, da Cyanor a Lenada e ritorno.
«La pioggia forse ci aiuterebbe con i draghi, ma di certo complicherebbe le cose agli arcieri» osservò in un tentativo di fare conversazione, per stemperare la tensione.
«Discorsi oziosi» tagliò corto Selene. «Il tempo ce lo becchiamo come viene.»
Nastomer riportò lo sguardo sulle figure che stavano convergendo nel cortile. Storr aveva trattenuto tutti i maghi d’Aria perché potessero agevolare gli spostamenti, e si era deciso che elfi e nani sarebbero partiti per primi, mentre il Re dei maghi e gli stregoni sarebbero rimasti fino in ultimo per coordinare le partenze. Non potevano farsela tutta a cavallo, Bearkin li avrebbe arrostiti prima. Horlon e Glenndois, in particolare, stavano prendendo congedo dalla corte di Cyanor.
«Da come salutano tutti, sembra siano certi che non li rivedranno più…» mormorò.
«Forse potranno sembrare tipi alla mano, a parlarci, ma sono pur sempre sangue reale. Sanno come ci si deve comportare in determinate circostanze, e non dimentichiamo che ormai è un bel pezzo che gli elfi campano sulle spalle di Cyanor.»
Nastomer le tappò la bocca con una mano.
«Ma sei matta?! Ti sembrano cose da dire in mezzo alla gente?!» sibilò guardandosi intorno.
Fortunatamente nessuno sembrava prestare loro attenzione e le attività del cortile procedevano indisturbate.
«Beh è la verità» disse Selene liberandosi della mano e lanciandogli un’occhiata innocente.
Il ragazzo sospirò. Si sentiva esausto prima ancora di iniziare.
 
Mark toccò terra e si asciugò il sudore dalla fronte. Finalmente aveva concluso la sua parte di trasferimenti e poteva concedersi di mettere qualcosa nello stomaco.
«Ragazzo! Non hai una bella cera!»
«Pimpi! Tutto bene? Chi ti ha portato?»
Il nano fece una smorfia che andò in parte persa sotto la folta barba.
«Nastomer.»
Mark sorrise.
«Perché lo dici con quello sdegno?»
«Perché ha ancora molto da lavorare, soprattutto sugli atterraggi.»
Gli mollò una sonora pacca sulla spalla e aggiunse:
«Sei ancora in servizio?»
«No, appena finito. Non vedo l’ora di lasciarmi cadere su una panca!»
«Siamo in due, ragazzo. Andiamo!»
Mark seguì il nano trascinandosi i piedi e superò le tende allestite per l’accampamento. Certamente doveva esserci anche una mensa per l’esercito da qualche parte, ma Impialla non sembrava intenzionato a dirigersi là, perché varcò le porte della città e si inoltrò tra le vie esageratamente affollate. L’arrivo dell’esercito aveva messo in moto una macchina di proporzioni mastodontiche in una cittadina di medie dimensioni. Ma per quanto indaffarati, gli abitanti di Lenada non sembravano particolarmente contenti. Tutto quell’assortimento di razze non era lì per fare festa, portavano la guerra. E a Lenada era ancora troppo fresco il ricordo delle grida degli abitanti di Shiren.
«Con questi nuvoloni, quel palazzo orrendo fa ancora più spavento» commentò Impialla adocchiando l’altissimo Tempio. Mark lo guardò a sua volta. Sembrava una di quelle strutture precarie che i bambini costruivano in spiaggia con la sabbia bagnata: una serie di mucchietti di poltiglia lasciata cadere dall’alto.
«È il luogo sacro al Dio del Fuoco» rispose, scavando nelle sue nozioni di diplomazia.
Non lo esaltava la prospettiva di offendere un Dio, né di assecondare qualcuno che lo faceva.
«Questo non lo rende più piacevole.»
«Probabilmente quelle guglie rappresentano fiamme.»
«Nemmeno questo lo rende più piacevole.»
Mark represse un sospiro. Non gli sembrava un problema insormontabile alla vigilia di una battaglia che li avrebbe probabilmente portati tutti al creatore. Magari entro una giornata avrebbe potuto dirlo di persona al Dio del Fuoco che il suo Tempio era un abominio architettonico…
«Siamo arrivati.»
Il mago si ridestò e scoprì di trovarsi all’ingresso della locanda in cui avevano dormito durante il loro viaggio a sud – era passato quanto? Una settimana? Una vita?
«Siamo nostalgici» commentò con un sorriso sbieco.
«Senza di loro non sarà la stessa cosa» disse il nano indugiando sull’ingresso.
«Dodo è rimasto a Lumia, ma Frunn?» domandò Mark.
Impialla fece una smorfia.
«Oh, in questo momento sta cercando di sopravvivere al suo uragano personale. Ricordiamolo con un sorriso.»
 
«Non è possibile che siano in ritardo, non lo accetto!»
Frunn prese un respiro profondo e contò fino a dieci.
«Anche se non lo accettate, non cambia niente. Gli arcieri sono in ritardo, che voi lo approviate o meno» rispose cercando di mantenere un tono pacato e di ignorare il desiderio sempre più prepotente di mollargli un ceffone. Era da un quarto d’ora che il Re strepitava, e non ne poteva più. Non che avesse torto, per carità, ma che colpa ne aveva lui?
«Soren mi sembrava una persona affidabile, maledizione! Dove ho sbagliato?!»
«Non avete sbagliato voi, e nemmeno Soren. Non poteva prevedere l’attacco dei cavalli dal denti a sciabola.»
Rabbrividì solo al pensiero di quei mostruosi equini assetati di sangue. Nei suoi innumerevoli anni, Frunn aveva avuto la fortuna di non trovarsi mai faccia a faccia con loro. Di certo non sarebbe sopravvissuto per raccontarlo, lo stesso Soren aveva perso due dei suoi arcieri prima di riuscire a metterli in fuga.
«Entro il calare della notte saranno comunque qui, Sire» tagliò corto.
Horlon non sembrò sentirlo e continuò la sua marcia su e giù per la tenda, borbottando come una pentola di fagioli.
«C’è qualcosa che posso fare?»
«Puoi far comparire i miei arcieri?»
Frunn si accigliò.
«Va bene, scusa. Lo so che non dovrei prendermela con te, ma sei l’unico che prova ancora a sopportarmi.»
«Cercate di apprezzare lo sforzo» rispose piccato.
Horlon gli lanciò un’occhiata dolente che lo fece sentire un po’ in colpa.
«Lo faccio. Come procedono i trasferimenti?»
«Conclusi» rispose Frunn forzando un sorriso, lieto che il Re avesse finalmente cambiato argomento.
«Credo che se non ci attaccheranno durante la notte avremo una possibilità.»
«Perché?»
«Perché se non lo faranno non se la passano benissimo. Phia li ha visti battere in ritirata, molti di loro sono caduti. Bearkin non ne sarà felice.»
«Spero che abbiate ragione. Se vi sbagliate avremo sulla coscienza tutta Lenada.»
Lo sguardo di Horlon si fece vacuo.
«La guerra comporta sacrifici» mormorò, e Frunn sapeva che stava cercando di convincere sé stesso.
 
Quando aveva chiesto a Mark di accompagnarlo a Shiren, Horlon credeva di essere pronto a tutto, ma si sbagliava. Della città restava ben poco, un mucchietto di sassi. Un fantasma di pietra, lì a ricordare a quanto potesse portare l’ambizione di una sola persona. Horlon sospirò, il cuore gonfio di senso di colpa. Non riusciva a fare a meno di pensare che una parte di quella tragedia fosse imputabile a lui, che in Lantor aveva riposto la piena fiducia e che era la motivazione principale del suo piano improbabile.
«Non sarà una passeggiata combattere qui» disse Mark. «Eskin ha interdetto alcune zone perché il pericolo di crollo è più una certezza di crollo.»
«Almeno avremo un riparo.»
«C’era qualcosa di particolare che volevate vedere?»
L’elfo scosse il capo.
«No, direi che è sufficiente. Grazie, Mark, so che eri già a riposo da un pezzo.»
«Nessun problema, è un breve viaggio.»
Tornato all’accampamento, Horlon si costrinse a sedersi al tavolo del Consiglio Ristretto, formato ormai da un numero tanto esiguo di persone da suscitargli dubbi sull’effettiva utilità della seduta. Con la mappa del campo di battaglia davanti, Storr e Kirik stavano decidendo gli ultimi dettagli tattici in vista della battaglia dell’indomani, ma non gli riusciva di stare concentrato più di una manciata di minuti per volta. La sua mente vagava incessantemente verso le belle scogliere di Lumia, l’orizzonte tagliato dalla linea del mare, riusciva quasi a sentire la risacca nella Baia delle Sirene. Voleva sopravvivere per potersi riempire gli occhi ancora una volta di tutta quella meraviglia, non poteva nemmeno lontanamente contemplare l’ipotesi che Bearkin riuscisse ad avere la meglio sull’esercito della coalizione. Il sole stava tramontando e un solitario raggio obliquo entrava nella tenda di comando, illuminando il profilo spigoloso di Storr. Una tromba in lontananza segnalava l’arrivo degli arcieri: la scacchiera era pronta.
 
Una fitta coltre di nubi nascondeva le stelle, quella notte, ma Nastomer non era interessato al cielo. Si domandava se i draghi potessero volare al di sopra delle nuvole, se potessero attaccarli cogliendoli di sorpresa, ma quando aveva manifestato questo timore a Selene era stato liquidato da un’alzata di spalle. Come la cosa non la riguardasse affatto. Forse per lei era proprio così, o forse aveva già visto come sarebbe andata a finire. A momenti, Nastomer aveva la profonda convinzione che qualcosa fosse andato storto, che qualcosa si fosse riassettato male dopo la trasformazione della ragazza in stregone. Certo, era strana anche prima, ma ora era più difficile raggiungerla, come se la sua testa lavorasse su un sistema completamente scollegato dal mondo circostante. Sicuramente era dovuto alle sue premonizioni.
«Tutto bene, Tom?»
Nastomer sobbalzò. Storr inarcò un sopraciglio.
«Non è un gran spettacolo vedere uno stregone che si lascia sorprendere alle spalle» disse.
«Non ne azzecco una» sospirò il ragazzo.
«Non è quello che intendevo, lo sai.»
«Tu come stai?»
Il mago esitò, passandosi una mano tra i capelli.
«Non sto mai particolarmente bene prima di una battaglia.»
«Anche tu sai che non è quello che intendevo.»
I due si guardarono.
«Non abbiamo un bell’aspetto, vero?» disse Storr.
«Non ricordo di averlo mai avuto.»
Il mago sorrise.
«Starò meglio quando tutta questa storia sarà finita. Spero solo che questo attacco diretto sia abbastanza per portare gli occhi di Bearkin lontani dalla mia gente.»
«È vero quello che diceva Impialla al Consiglio? Che non possono esserne rimasti più di una ventina?»
Storr fere una smorfia.
«Se i dati a nostra disposizione sono attendibili, sì. Fino a non molto tempo fa si riusciva addirittura a censirli, i draghi… ma ormai possiamo solo congetturare sul loro numero.»
«Quindi diceva tanto per parlare?»
«No, non proprio. I nani sono stati gli ultimi ad introdursi tra gli Alti Nidi, sono sicuramente più informati di noi. E poi ci sono le spie.»
«Spie?»
«Ti giunge nuova? Ormai sei abbastanza invischiato nei giochi di potere da poterlo intuire da solo… ciascuno di noi ha una rete di spionaggio, più o meno buona. Certamente il più attrezzato su questo fronte è Lon.»
Nastomer si sforzò di non sembrare turbato dalla notizia, anche se lo era, eccome. Non ci aveva mai pensato, ma ora che lo sapeva era tremendamente logico. Perché allora se ne sentiva così tradito?
«Comunque è inutile rimuginarci troppo su, domani scopriremo che sorte hanno in serbo per noi gli Dei. Ti consiglio di riposarti un po’» disse dandogli una pacca sulla spalla.
«Fosse facile» mormorò Nastomer guardando la figura fiera del mago scomparire tra le ombre dell’accampamento.
 
«Signore! Ehi, signore!»
Frunn si bloccò di nuovo. Gli veniva da vomitare, forse se gli avesse vomitato addosso quel bambino molesto l’avrebbe lasciato in pace con la sua ansia.
«Dimmi» disse stancamente.
«Ma come fanno i Re a sapere che i draghi andranno a Shiren?»
L’elfo sospirò.
«Se tu vedessi qualcuno che corre verso la porta di casa tua con una torcia accesa, cercheresti di fermarlo prima che ti incendi la cameretta, suppongo.»
Il bambino sgranò gli occhi. Era forse la trentesima domanda a cui Frunn si trovava costretto a rispondere.
«Ma perché…»
«Oh, basta, ti prego! Non hai una mamma che ti aspetta in un cavolo di rifugio? Vuoi capirlo che è pericoloso stare qui?!» sbottò, esasperato.
Il bambino scoppiò a piangere e corse via, e Frunn si guadagnò l’odio di un paio di anziane che passavano di lì con ceste cariche di provviste. Sospirò. Lenada era pronta a tutto, lui un po’ meno. Si morsicò l’interno della guancia tanto forte da ferirsi. Di nuovo. Ormai si era quasi abituato al sapore metallico del sangue. Non era mai stato autolesionista fino a quel punto, ma non era mai stato abbandonato in quello stato, senza alcuna valvola di sfogo per la tensione. Dal momento in cui aveva realizzato che l’esercito sarebbe partito per Shiren senza di lui, l’ansia non aveva fatto che crescere. Sapeva di essere stato lui a chiedere al Re di impedirgli di scendere di nuovo sul campo di battaglia, ma a posteriori si stava rivelando la peggior pensata possibile. Ora se ne stava lì, a farsi del male, con il cuore in gola e la consapevolezza di essere solo un inutile spettatore in attesa di notizie. Prima di partire, il Re gli aveva rivolto poche accalorate parole: “non lo faccio perché me l’hai chiesto, ma perché va fatto. E se dovesse succedermi qualcosa, sai qual è il tuo compito. E ti proibisco di farmi quegli occhi da cucciolo bastonato, è la cosa giusta! Anche se non pensavo sarebbe stata così dura…” 
«Sapeste per me» mormorò a sé stesso. 
«Con chi stai parlando, giovanotto?» 
Frunn lanciò un’occhiata sommaria al sacerdote che gli si era fermato accanto e sospirò. 
«Parlavo da solo, padre.» 
«Forse dovresti provare a rivolgerti al Dio del Fuoco.» 
L’elfo aprì la bocca per rispondere che a meno che non potesse incenerirlo all’istante, quel Dio non suscitava alcuna attrattiva per lui, ma si bloccò. Qualcosa di familiare nel timbro di voce del sacerdote l’aveva messo a disagio. Si volse lentamente e lo guardò: era piuttosto minuto e indossava una lunga tunica rossa, secondo la regola del suo ordine. Il cappuccio calato sul viso lasciava scoperti solo due occhi verdi e un sopracciglio inarcato. Frunn sbatté le palpebre, incapace di proferire verbo. 
«Il Dio del Fuoco, dispensatore magnanimo di energia, fonte del cambiamento e fulcro di ogni trasformazione, sorgente di purezza e di catarsi, di certo presterà orecchio alle tue suppliche» proseguì. «Seguimi al Tempio, e datti pace.» 
La figura incappucciata gli fece un cenno e Frunn la seguì attraverso le vie di Lenada, lanciandosi occhiate alle spalle. Improvvisamente, quel sasso che si sentiva sul fondo dello stomaco aveva iniziato a sciogliersi, scaldandogli progressivamente il sangue, fino alla punta delle dita. Forse non era un sasso, ma un panetto di burro. Oltrepassarono le grandi porte del Tempio del Fuoco. Molti fedeli erano riuniti in preghiera attorno a bracieri aromatici. Il fumo invadeva l’ambiente e l’elfo si sfregò gli occhi. Odiò quel posto all’istante, ma continuò a seguire in silenzio il suo misterioso anfitrione, che aggirò la folla e imboccò una porticina di legno nascosta da una colonna in una cappella secondaria.
«Attento agli scalini» disse il sacerdote in un sussurro, e richiuse la porta alle proprie spalle precipitandoli nell’oscurità.
Frunn seguì l’ombra che gli si muoveva innanzi, cercando di non inciampare nella ripida scala che si avvitava su sé stessa. Man mano saliva, sentiva il salmodiare dei fedeli farsi distante, come un’eco lontana, un ricordo che andava via via sbiadendo, e iniziò a mandargli l’aria.
«Credo mi stia venendo la claustrofobia» gemette.
«Tra poco andrà meglio.»
La voce del sacerdote, non più contraffatta, suonava nervosa. Improvvisamente, un raggio di luce ferì gli occhi di Frunn: nella parete, a intervalli regolari, iniziarono a comparire delle feritoie, da cui filtrava l’aria pungente.
«Che meraviglia» mormorò sbirciando il paesaggio.
«Tua sorella sa ancora apprezzare le piccole gioie della vita» disse Meowin liberandosi del cappuccio e affacciandosi alla feritoia successiva.
Sembrava molto stanca, pensò Frunn, ma poteva anche essere l’effetto della penombra.
«Proseguiamo.»
«Non siamo abbastanza in alto?»
«Ti sembra comodo? Ho un piede su un gradino e un piede sull’altro.»
La scalata si fece più faticosa: gli scalini diventarono stretti e irregolari, le pareti si sgretolavano. Infine, giunsero nell’estremità della guglia. La scaletta terminava in un pianerottolo circolare grande appena da sedercisi in due. Meowin aveva ammucchiato acqua e cibo in un angolino bonificato dal guano dei piccioni. Piccole finestre si aprivano tutt’intorno, offrendo una spettacolare visione di Lenada. L’elfa puntò l’indice verso quella che sembrava una cittadina, sullo sfondo, e Frunn capì che si trattava di Shiren. Lo stomaco gli si chiuse di nuovo.
«Non mi dirai che avresti preferito restartene giù a soffrire, perché non ti credo per niente.»
«No, no. Soffrirò comunque, ma almeno vedrò qualcosa.»
Meowin prese una coperta dal mucchio di provviste, la stese sul pavimento e si sedette.
«Vorrei che fosse già sera» sospirò.
«Dove hai collocato le tue spie?» domandò Frunn.
«Praticamente ovunque. La maggior parte, comunque, è sparsa tra Lenada e gli Alti Nidi» esitò. «Tu come la vedi?»
«In che senso?» domandò spiazzato.
«Sei il braccio destro del Re e fai parte del Consiglio Ristretto, come ti sembra la situazione?»
Frunn si strinse nelle spalle.
«Il piano non è male, per quel che posso capirci io di strategia, ma credo dipenderà tutto molto dagli stregoni.»
Meowin non rispose. Il silenzio teso che seguì fu brutalmente interrotto dal grido di un falchetto che planò nella torre. L’elfa balzò in piedi e liberò il biglietto che l’animale aveva legato alla zampa. Lesse febbrilmente e chiuse gli occhi.
«Mei?» incalzò Frunn.
«Stanno arrivando» disse in un soffio.
 
Al primo lontano battere d’ali, l’esercito della coalizione era pronto. Horlon non si era mai sentito così sicuro di dover sopravvivere come in quel momento. C’erano troppe cose che gli restavano da fare: doveva preparare Rowena – sua figlia, che effetto gli faceva ripeterselo! – per il Trono, doveva rivedere Lumia, e doveva tornare da Frunn perché gli aveva promesso che l’avrebbe fatto. Non poteva permettere che l’immagine di Ailyn che si schiantava al suolo prevalesse sulla contingenza, anche se doveva ammettere che negli ultimi giorni il suo autocontrollo era migliorato molto.
«Credi che dovremmo dire qualcosa a questi qui?» domandò Kirik, al suo fianco.
Horlon si guardò intorno con circospezione. Erano circondati da un plotone di maghi che non ricordava di aver mai visto in vita sua.
«Grazie che ci salvate le chiappe?» mormorò.
Kirik gli concesse una risatina nervosa.
Horlon aveva lasciato l’Esercito Eterno nelle mani dei graduati, e lo stesso avevano fatto Kirik e Storr. Il piano era semplice: gli arcieri sui tetti insieme ai maghi legati all’Aria e all’Acqua, a terra la fanteria, la cavalleria e il grosso dei nani, con i maghi di elemento Terra e Fuoco. Il reparto Balestrieri di Kirik era sparso sulle torri. Horlon aveva lasciato la flotta a difesa di Lumia, ma si augurava fosse una precauzione superflua. Il poco che restava di Shiren avrebbe dovuto fornire riparo senza preoccupazioni ulteriori: la cittadina era stata evacuata perché la coalizione potesse combattere in sicurezza, ma il rischio di crolli in alcune zone era davvero molto alto, bisognava evitare di finirci bloccati nel corso dei combattimenti. Molte incognite, insomma. Un ruggito annunciò l’arrivo di Bearkin. Horlon prese un respiro profondo e sguainò la spada.
 
«Razza di codardo!» inveì Mei. «Guardalo là, al centro della formazione! Che razza di Re!»
Frunn annuì osservando la flotta di draghi planare su Shiren sputando fuoco. Bearkin spiccava al centro, le bellissime squame cangianti inconfondibili anche da quella distanza. Uno sciame di incantesimi e dardi rispose al primo attacco e Frunn vacillò.
«Non starmi male qui, cuor di leone» disse Meowin. «Non ci riesco a portarti giù a braccia, devo farti ruzzolare dalle scale.»
«Come fai a non starci male? C’è Horlon là in mezzo!»
«Lo so» esitò. «Non ci posso fare niente, però. Guarda, quelli sono gli stregoni.»
L’elfo sistemò meglio gli occhiali sul naso e mise a fuoco. Due figure solitarie stavano cercando di aggirare la formazione, che il quel momento si frammentò. Solo quattro draghi rimasero a proteggere il Re.
«Sei riuscita a contarli?»
«Due.»
«I draghi, non gli stregoni!»
«Ah, quelli sono sedici.»
«Solo?»
«Ricontali tu se non ti fidi.»
«Ma ce ne sono altri sugli Alti Nidi, vero?»
Meowin non rispose.
«Mei?» insistette Frunn.
«Non credo.»
«Non credi? Che spia sei?!»
«Non hai idea di cosa siano le montagne del loro territorio, è difficile avere tutto sotto controllo quando si muovono in massa. Gli ultimi aggiornamenti ne conteggiavano diciotto, ma dei restanti due non ci dobbiamo preoccupare.»
«Perché?»
«Perché?! Ma per favore, Frunn! Lavorare con Lon ti sta rincitrullendo! Quei due sono la coppia riproduttrice, non possono combattere. Bearkin non ha certamente trascurato l’ipotesi di una rovinosa sconfitta, non dopo Phia, non rischierà l’estinzione.»
Un ruggito riportò l’attenzione di entrambi alla battaglia. Il primo drago stava precipitando.
 
Horlon si coprì le orecchie con le mani. Quella specie di grido straziante gli stava perforando il cervello e lo faceva sentire ancora peggio. La sua spada aveva già abbattuto molte figure di fuoco, ma era tutto inutile se Bearkin non smetteva di produrne. Alzò gli occhi appena il tempo per veder passare un drago in avaria e si augurò che qualcuno ponesse fine alle sue sofferenze. Ne restavano quindici. Quindici draghi lo separavano dalla sua Lumia.
 
Mark scartò di lato per schivare il lucertolone agonizzante e lo lasciò ai suoi colleghi a terra. Dall’alto lo spettacolo era agghiacciante: un brulicare di persone e di inquietanti fiamme in movimento, grida e clangori di spade.
«Mark!»
Il mago abbassò gli occhi. Storr gesticolava da un tetto e indicava qualcosa davanti a sé. Seguendo il suo sguardo, il mago individuò il problema: Nastomer stava cercando di attirare Bearkin fuori dalla cerchia di guardie del corpo, con scarsi risultati, ma un drago lo stava aggirando e approfittando della confusione tentava di prenderlo alle spalle. Fece un cenno affermativo e si lanciò in direzione dello stregone, ma prima che avesse precorso più di qualche piede una palla di energia colpì in pieno in drago, che precipitò rovinosamente abbattendo una scia di edifici. Poco più in là, Selene si strofinava le mani. Non aveva idea di quale tattica avessero scelto gli stregoni, ma non sembrava male.
 
«Meno quattordici» gridò una voce da qualche parte.
Horlon colpì e il suo avversario crollò al suolo, subito sostituito da un nuovo sembiante. Le armi dei nani  erano molto più incisive in quel frangente, forse avrebbe dovuto procurarsi un martello, anche se poi non avrebbe saputo usarlo. Fece un passo avanti, caricò il colpo, si preparò a calare la spada, ma sentì il piede in appoggio scivolare. Per un breve momento di terrore si vide cadere al suolo e venire circondato dal fuoco, ma bilanciò in tempo e riuscì a recuperare l’equilibrio. La spada dell’uomo di fuoco, però, lo colpì di striscio alla spalla sinistra. Di nuovo. Doveva esserci una falla nella sua tecnica se continuava a venir ferito nello stesso modo, pensò con la vista appannata dal dolore. Alzò l’arma e colpì a caso, sperando di centrare qualcosa. Un nugolo di frecce gli passò sulla testa, accompagnato da scie luminose, e uscirono dalla visuale. A giudicare dal ruggito che seguì, dovevano essere andate a buon segno. Incedibile quanto si potesse ottenere con un piano d’attacco anche solo decente! Una torre accanto a lui esplose con un boato, mandando detriti dappertutto. Horlon si trovò catapultato a terra dall’onda d’urto, mentre in lontananza Kirik berciava qualcosa sui nani che si trovavano sulla torre, ma non riuscì a capire bene il problema. Doveva aver picchiato la testa a giudicare dal dolore e dal mondo che gli vorticava intorno.
 
“Ancora tredici”, si disse Frunn strofinandosi le mani sul viso. Aveva guardato quei draghi schiantarsi in una nuvola di pietra e polvere e avrebbe dato l’anima per avere la certezza che stessero tutti bene, là sotto. Non poteva fare a meno di invidiare il sangue freddo di Meowin, che si godeva lo spettacolo senza battere ciglio.
«Frunn.»
«Uhm?»
«Sono contenta di averti incontrato, oggi.»
L’elfo la guardò. Sua sorella teneva gli occhi fissi sul campo di battaglia, le labbra increspate in quello che poteva essere tanto un sorriso quanto una smorfia.
«Chi l’avrebbe detto, seicento anni fa, che ci saremmo nascosti in una torre per sopravvivere all’incertezza di una guerra…»
«Mi stavi cercando quando sei scesa in piazza?»
L’elfa annuì.
«Dopo quello che hai rischiato a Phia, ero certa che Lon non ti avrebbe portato con sé di nuovo.»
Frunn le lanciò un’occhiataccia, ma era troppo concentrata per dargli corda.
«Come fai ad avere il coraggio di prenderti una simile confidenza?»
Mei rise.
«Lavo i panni sporchi di Lumia da quattrocento anni, tesoro mio. È un mio diritto, non ti sembra?»
Frunn scosse il capo.
 
Mark inseguì un drago azzurro con un incantesimo, ma lo mancò quando quello scartò all’ultimo momento. Aveva appena fatto un giro di ricognizione e una cosa gli era stata subito chiara: se le cose in aria andavano alla grande, a terra erano un disastro. I maghi riuscivano a riparare nani ed elfi dalle cascate di fuoco che piovevano dall’alto, ma la città pullulava di sembianti, e sembravano inestinguibili. Disperdere le fiamme che li alimentavano, o spegnerle, era una soluzione provvisoria. Aveva visto che nonostante avessero abbattuto tre draghi – impresa lodevole – ai suoi piedi c’erano già più caduti del dovuto. I draghi potevano anche essere in difficoltà, ma non era una festa nemmeno per loro. Schivò uno sciame di incantesimi e si diresse verso gli stregoni. Bearkin volava sempre circondato da quattro draghi, una formazione impossibile da penetrare.
«Selly, dovete trovare il modo di tirarlo fuori di lì!»
«È quello che stiamo cercando di fare da più o meno due ore» gridò in risposta la ragazza.
«Lo vedo, ma giù si mette male, dovete inventarvi qualcosa!»
Selene esitò. Con un rapido movimento della mano deviò un incantesimo vagante e lo diresse contro il Re dei draghi, ma una vampa di fuoco lo intercettò, demolendolo.
«È tutto inutile» gridò Nastomer, raggiungendoli. «Riescono sempre ad anticipare le nostre mosse, siamo troppo prevedibili!»
Selene si volse di scatto con gli occhi spiritati. Per una frazione di secondo Mark credette che fosse uscita di senno, perché sul suo viso si allargò un sorriso enorme e gettò le braccia al collo di Nastomer.
«Questo sì che è un piano, Tom! Idea grandiosa! Finalmente so cosa posso fare!»
«Ma di cosa stai parlando?!» farfugliò lo stregone, e Mark non sapeva se sentirsi consolato o inquietato davanti ad una confusione pari alla sua.
«Potrebbe volermici un po’ di tempo però, per sintonizzarmi» proseguì la ragazza, come neanche l’avesse sentito. «Devo ritirarmi in un posto tranquillo.»
«Tranquillo? Sei scema? Hai visto cos’hai intorno?!» esclamò il mago.
«Tom, continua a distrarre Bearkin, e tu, Mark, prendi il mio posto e coprigli le spalle» disse allontanandosi.
«Non sono potente come te!»
«Aspetta, Selly, dove vai?»
«Torno presto» gridò, ma era già lontana.
«Ma è normale?» domandò il mago chiamando a racconta le sue energie.
«Ma che ne so» sospirò Nastomer. «Sei pronto?»
Mark annuì. «Pronto.»
 
«È Selene quella?» domandò Frunn sporgendosi dalla finestra e mettendo in fuga uno stormo di piccioni.
Meowin si stropicciò gli occhi prima di rispondere.
«Ma dove va?»
«Perché va via?» domandò l’elfo.
Sentì il panico chiudergli la gola.
«Boh.»
La figura dello stregone si diresse senza tentennamenti verso l’accampamento assemblato sotto le mura di Lenada.
«Si ritira?» domandò con un filo di voce.
«Ma no, figurati, non sembra ferita. Avrà escogitato qualcosa…» rispose Meowin, ma la sua voce si perse.
   
 
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