Videogiochi > Final Fantasy VII
Ricorda la storia  |      
Autore: Botan    21/06/2009    3 recensioni
Può, per l’enigmatico Vincent Valentine, il potere di una Materia tinta di rosa che ha il sapore d’antico, concedergli l’opportunità di rimediare al più tragico dei suoi errori?
Una one-shot dedicata alla coppia Vincent x Lucrecia!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucrecia Crescent, Vincent Valentine
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dirge of Cerberus
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Se sono sicura

                                             Rosa Antico

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!”

 

 

 

 

 

Lei…  

…voleva solo che io la fermassi.

 

 

 

Io…

…mi pento irrimediabilmente per non averlo fatto. 

 

 

 

 

 

“E’ vero?” domandai all’uomo con il camice bianco. Egli sostava davanti al mio sguardo sconcertato o forse semplicemente inorridito da quanto appreso poco prima dai miei superiori. Quell’uomo davanti a me e con il camice bianco, si chiamava Hojo.

Non ho mai sopportato i suoi modi di fare.

Quell’uomo davanti al mio sguardo inorridito, non mi è mai piaciuto.

Mai.

 

Cosa è vero?” mi rispose acido, fissandomi con una forma di ostile disprezzo.

 

“Che Lucrecia… - trattenni il fiato mangiandomi quasi le ultime lettere di quel nome, che riuscii soltanto a sfumare appena. Poi mi corressi -  che la dottoressa Crescent parteciperà al progetto?”

 

“Sì, è vero. Perché sei così sorpreso?” irruppe la voce di una donna. Anch’ella indossava un camice bianco. Quella donna si chiamava Lucrecia. Sì, era proprio lei, la dottoressa Crescent.

 

Mi agitai. Mi voltai per cercare il suo viso.

“Come si può usare il proprio figlio come cavia?”

 

“Non capisco cosa tu stia insinuando, ma siamo entrambi scienziati. Sappiamo cosa facciamo. Tu sei l’ultima persona ad avere voce in capitolo. Ora sparisci subito, ragazzo!”

 

Lo sguardo di Hojo fu freddo, come altrettanto lo furono le sue parole.  

Mi sentii ferito, ma poi, più frustato che ferito.

Per il dottore, io ero solo un insignificante ragazzo. E quel modo di parlare, fu per lui una maniera come un’altra per deridermi d’innanzi alla donna che mi stava di fianco. Una maniera per farmi capire che io, agli occhi di una dottoressa capace e promettente come quella donna, ero solo un inutile ragazzo.

 

Mi sentii umiliato. Offeso. Sempre più sconfortato.

Quell’espressione, mi aveva completamente tolto la volontà di reagire.

Tentai di parlare.

Ma…” dissi soltanto, e quasi subito, spostai lo sguardo verso il basso per nascondere vilmente la mia insoddisfazione.

 

Ma cosa? Se hai qualcosa da dire, dillo.” M’interruppe quella bella dottoressa in camice bianco. Aveva nella voce una carezza d’amaro. Quelle parole mi punsero l'anima più di un fascio di spille.

 

Trattenni brevemente il fiato. Tentai un modo per articolare delle parole. Quelle che realmente sentivo esplodermi dentro.

Tentai. 

“Tu sei… Sei sicura che questo è ciò che vuoi?”

Ma non ci riuscii.

                                                                                                               

La sua risposta mi tramortì.

Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!” La sua risposta mi tramortì, crudelmente, e non fui più capace di reagire. 

 

 

 

Quello…

…fu il mio più grande errore. 

 

 

 

Il fallimento, il mio, si accanisce ancora oggi su di me, senza interruzioni.

 

Nella mia esistenza sono destinato a rivivere instancabilmente quell’attimo. E tutte le volte in cui rivedo i suoi occhi e risento la sua voce, provo solo un inguaribile dolore.

 

Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!”

 

Quella frase… Non la riesco a cancellare. Essa è qui, tatuata nella mia mente.

E’ un sogno angoscioso, che mi tormenta quasi tutte le notti. E’ una scena che si offre a me con dovizia e all’infinito, ogni qualvolta che, congiungendo le palpebre, resto solo in compagnia dei miei pensieri.  

In quell’ istante ciò che vedo è il suo viso amareggiato, e ciò che sento è la sua voce fredda e tesa. Ma non è tutto questo, che mi fa più male. Sapere ciò che quella donna avrebbe voluto da me, in quel giorno ormai troppo lontano da qualsiasi calendario, ma rasente qui, qui dentro, nel mio cuore, è il mio tormento più grande.   

 

Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!”

 

Io lo so.

 

Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!”

 

Io so perché l’inconscio mi ripropone quell’attimo.

 

Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!”

 

Ed ho capito…

 

Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!”

 

…cos’è che mi tormenta.

 

Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!”

 

Io…  

…mi sono limitato ad assistere.

 

 

 

Non ho nemmeno cercato di fermarla.

 

 

 

 Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!”

 

Lei…

…voleva solo che io la fermassi.

 

Se sono sicura? Se sono sicura?!

 

Lei…

 

 Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!”

 

…non era sicura.

 

“Sono sicura!”

 

No. Non sei sicura. 

 

“Sono sicura!”

 

- Non sei sicura, Lucrecia!

 

 

 

- Eh? Cosa? Chi? Vinci, sicuro di sentirti bene? Sei… così agitato!

 

Mi desto. Una voce mi riporta con prestanza alla realtà. La mia difficile realtà. Quella in cui sono costretto a vivere.

 

A sopravvivere.

 

Non mi era mai successo prima d’ora di essere aggredito da quel ricordo, anche lontano dal mio giaciglio.

Forse… ho iniziato a pensare troppo.

Ho iniziato a pensare a lei.

Ed i pensieri, i miei, fanno sempre troppo male.

 

Mi volto.

- Yuffie? - Alzo gli occhi sul viso della ragazza che mi sta di fronte e che mi osserva pensierosa. Avrò… urlato? – Io…   

 

- Ok, ok! No problem! E’ tutto apposto! Sei solo un po’ stressato, no? – quest’ultima mi risponde con sveltezza. Non sembra interessata a farmi delle domande.

 

Mi guardo intorno. Siamo sull’altopiano delle cascate di Nibelhaim. Davanti all’ingresso di una grotta. Quella in cui riposa il suo corpo.

- Cosa ci fai qui? – le chiedo, aspettando una risposta. La giovane si mette sull’attenti. Tra le mani ha qualcosa.

 

- Consegna speciale per il signor Vincent Valentine! – esclama a gran voce, con modi allegri. Solo un tipo come Yuffie potrebbe esprimersi in quel modo. Mi porge una sfera.

 

- Cos’è? – chiedo perplesso. Osservo l’oggetto che scintilla tra le sue mani. Ha una luce strana, eppure distensiva.

 

- Oh, beh… - la ragazza si gratta la fronte con l’indice, si stringe nelle spalle come a dirmi “non lo so”. Poi dichiara – Ma se la cosa può consolarti, a me sembra una Materia… ad ogni modo, te la manda Shelke!

 

Mi sorprendo.

- Shelke?

 

- Esatto! Dice che forse ti potrebbe servire.

 

- Servire? A cosa? - le chiedo. Ricevo ancora quel “non lo so” fatto con le spalle.

 

- Mi ha detto solo questo… Anche lei non è di larghe parole… Vero, Vinci?- commenta, squadrandomi con un’occhiata, e sorridendomi poi con un ghigno.

Io non ho il potere di esprimermi con autonomia.

Non sono in grado di liberare i miei pensieri, come fanno molti altri. Sono venuto al mondo senza portare con me questa capacità e...

Se l’avessi avuta, forse lei… Già, lei non avrebbe mai conosciuto questo lato così amaro della vita.

E nemmeno io. 

 

 

Quello…

…è stato il mio unico errore.

 

 

E questa…

 

 

…questa…

…è la mia punizione.

 

 

I miei pensieri così incessanti, sono bruscamente interrotti da Yuffie. Ancora una volta.

- Beh, il mio compito qui è terminato! La portalettere… o per meglio dire, la portaoggetti Yuffie, toglie il disturbo! – facendo dietrofront, la ragazza si allontana frettolosamente, portando con sé anche l’oggetto inviatomi da Shelke. Accorgendosi dell’errore, con passi rapidi e decisi si frena di botto. Indietreggiando sempre con rapidità, mi raggiungere ancora. Ha un’aria mortificata – Sorry, Vinci…! Sai, è davvero complicato per me, mollare un oggetto così raro, andar via, e cercare di non pensarci più… – Mi fa un sorriso. - Ci vediamo!   

 

Quella sfera finisce così nel palmo della mia mano sinistra.

Ha un colore strano. Brilla di un rosa tenue che ha il sapore d’antico. Di molto antico.

Se si tratta davvero di una Materia, non credo che appartenga al genere che noi tutti conosciamo.

Forse, fa parte del passato.

Se davvero così fosse, allora si tratta di un oggetto molto raro. Proprio come specificato da Yuffie.

Neppure io conosco Materia di questo colore. Eppure, la generazione da cui provengo, è molto vecchia. Dovrei ricordarmela, essendomi risvegliato dopo quel lungo sonno.

Un sonno, il mio, durato trent’anni.

 

Già.

Trenta.

 

Uno…

 

Dieci..

 

E poi cento.

 

Cento passi che mi conducono da te.

Li conto nella testa, senza una ragione. Forse lo faccio per tenere la mia mente impegnata. Per non sentirmi solo lungo il tragitto.  

Il terreno di questo posto è molto roccioso. Ingannevole.

Più mi addentro in quest’anfratto, più il conteggio sale. E poi… i numeri s’interrompono.

Sono arrivato.

Lei… è qui davanti a me. Racchiusa in uno scintillio di cristalli, con quell’abito bianco che ha il gusto di una fine purezza, sono finalmente giunto ai suoi piedi.

 

Ti osservo. Ti regalo il mio sguardo, ma ti regalerei anche i miei occhi, se ciò servisse a far dischiudere i tuoi.   

Ti donerei metà degli anni che mi restano ancora da vivere, pur di finire i miei accanto a te, e lasciarmi sfiorare dal tocco gentile delle mani tue, che ora hai garbatamente appoggiato sul petto, in quella posa destinata a restare per sempre tale.

 

Sono trascorsi trent’anni, dall’ultima volta in cui le tue mani tremanti hanno sfiorato le mie in quel tardo pomeriggio.

 

 

 

 

 

Lucrecia? Ci sei? C’è qualcuno qui?” dissi, scendendo nel tuo laboratorio. Desideravo ardentemente vederti e sentire il suono della tua allegra risata, ma“Papà?” I miei occhi caddero sullo schermo di uno dei tuoi elaboratori… E fu proprio lì, che vidi la foto di mio padre.

 

“Chi c’è?” esclamasti tu, arrivata all’improvviso alle mie spalle. Mi girai verso di te. Forse con troppa fretta, con troppa… rabbia. Ma la mia, era una rabbia debole come un fuscello mosso dal vento.

 

Replicai subito.

Lucrecia, questo file…” Volevo spiegazioni. Volevo solo sapere perché tu mi avevi mentito.

 

“Non sono affari che ti riguardano!” tuonò la tua voce. Eri in preda alla collera. Così come lo ero anch’io. Ma la mia, era una collera simile a quel debole fuscello mosso dal vento.

 

Invece sì!” sovrastai quasi subito le tue parole. Quella, fu la prima volta in cui alzai la voce con te. “Perché non mi hai detto che lavoravi con mio padre?”

 

E poi, per la prima volta, alzasti tu la tua voce con me.

“Basta! Smettila!” Le tue mani ti coprirono il viso. Ti sentii singhiozzare. E ancora per la prima volta, dal giorno in cui ti avevo conosciuto, ti vidi piangere. “Io… è tutta colpa mia!” Ti aggrappasti alle mie mani come qualcuno che, precipitando da un dirupo senza fondo, tenta di afferrare anche la più piccola sporgenza concessagli da quel baratro. “Non volevo che tuo padre morisse. Io… Non sono riuscita… Mi dispiace!” E poi, ancora, in un sussulto di rocambolesche emozioni, quelle mani che prima stringevano con forza le mie, si staccarono con violenza, e tu scappasti via, via da me.

 

 

 

Per sempre.

 

 

 

Non ho mai pensato che fosse colpa sua. Desideravo solo vedere un suo sorriso.

Ma

Dopo quel giorno, la luce abbandonò il suo cuore.

 

Fu così che tu andasti via da me, rifugiandoti tra le braccia di quell’uomo con il camice bianco.

 

Lui…

Hojo non poteva…

Lui non poteva guadagnarsi l’amore di un cuore puro come il tuo.

E tu… Tu non potevi accettare l’amore di quel suo cuore troppo torbido e acre.

Lui, mosso dalla cupidigia di un animo impuro e da una mente insincera, ti avrebbe condotta alla rovina.   

Ma…

Se questo era ciò che volevi, se tu eri felice, lo ero anch’io.

 

E poi…

…quel giorno…

 

Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!”

 

La colpa è solo mia. Non sono riuscito a fermarti.

 

Ed ora…

…vorrei avere la capacità di tornare indietro, per poterlo fare.

 

 

Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!”

 

No. Non sei sicura.

 

“Ne sono sicura!”

 

Non sei sicura.

 

“Ne sono sicura!”

 

No, non sei sicura.

No, tu non lo sei.

 

 

 

Tu non sei sicura, Lucrecia!

 

 

 

- E di che cosa non sarei sicura, eh Vincent?

 

Riapro gli occhi all’improvviso. Mi guardo attorno nervoso, agitato.

L’atmosfera silenziosa e l’odore di chiuso della grotta, non ci sono più. Sono scomparsi.

Sono all’aperto. Sono in un grosso luogo all’aperto.

Sento il vento sopra la mia pelle che soffia lieve lieve.

Sento erba sotto di me, e non la dura roccia di quel posto nascosto e silenzioso.

Ho sentito perfino la sua voce. Però, lei non c’è. Poi…

 

- Qui, sono qui, dietro di te. – mi dice. Mi ha ancora parlato.

 

Vorrei voltarmi, ma qualcosa in me mi trattiene, mi dice di non farlo. Mi dice di non voltarmi.

Per la prima volta il mio cuore, dopo tanto tempo, sta battendo all’impazzata. Provo paura. La paura che lei, una volta giratomi, non ci sia.

Poi lo faccio. Mi volto davvero. Senza riflettere. Ed assaggio per davvero la paura.

 

- Allora? Cos’è che non sarei sicura di fare? – Le mani sui fianchi, la voce gentile, lo sguardo vispo. Ha l’aria sbarazzina. Quella sua bella aria sbarazzina.

Quella che ha sempre avuto prima

 

…Prima di quel giorno.

 

La guardo fortemente come qualcuno che ha appena visto una visione parvenza.

- Lucrecia?! – la mia voce trema.

Lei dovrebbe essere un ricordo che appartiene solo al passato. Quello di un uomo divorato dai pensieri.

Questi miei occhi si fissano sul suo viso.

I suoi lunghi capelli…

Il suo fine mento…

Quelle gote appena pronunciate e delicatamente tinte di rosa…

Ed infine il suo immenso sguardo…

Occhi grandi e di un caldo nocciola, che per troppo tempo mi hanno fatto battere il cuore, che mi hanno tormentato, mi hanno emozionato… No, non può essere che lei sia qui.

Mentre la mia espressione è persa su quel viso, vedo la sua contrarsi.

Io mi stupisco. Forse sussulto.

Il modo di fare di questa dottoressa, sembra pulsare di vita piena. Non è solo un freddo guscio vuoto, un ammasso di dati virtuali che si muove e parla non per impulso naturale ma perché pianificato da una serie di programmi informatici.

 

Lei, sembra davvero…

Lucrecia.

 

La mia Lucrecia.

 

- Vincent, tutto ok? Ti senti male? – domanda, con quella sua voce apprensiva, premurosa,

estremamente dolce. SI stringe le mani al petto, china il capo verso di me, mi fissa il volto ed io arrossisco – Forse… ti ho svegliato troppo bruscamente? Se così fosse, allora perdonami. Ma, vedi… io ero laggiù, ti ho sentito urlare, chiamavi il mio nome, e mi sono subito precipitata qui.

 

Le sue parole… Il suono della sua voce… Perché tutto è così reale? Troppo, per essere un semplice sogno.

Mi guardo attorno. Sono seduto sotto le fronde di un albero. La schiena appoggiata al tronco forte e robusto, e le gambe distese lungo un folto manto di erba dal colore verde brillante.

Che cosa è successo?

Dove mi trovo?

E soprattutto… perché l’immagine di Lucrecia, mi sembra così incredibilmente viva?

 

Poi… guardandomi ancora attorno, forse capisco.

 

Quest’albero, è il nostro albero.

 

E questo posto, è il nostro posto.

 

Quello in cui ho passato le giornate più felici della mia esistenza, lì dove ho pranzato all’aria aperta in compagnia della persona più importante della mia vita, insieme a lei, alla dottoressa Crescent, nel tempo in cui io ero solo un agente incaricato di proteggerla. Nel tempo in cui i suoi occhi riflettevano alla luce di questo meraviglioso sole, e… nel tempo in cui quel progetto Jenova, per lei era solo una nozione priva di fondamenti.

Ma… quegli attimi, appartengo al passato, giusto?

E allora, perché sono qui? E come mai indosso i miei vecchi abiti da Turk?

Mi tocco il viso, poi i capelli. Sono corti. Proprio come allora.

Esattamente come trent’anni fa.

 

- Vincent… - Qualcuno mi chiama. E’ ancora lei, Lucrecia. Non si è dissolta come un leggero manto di nebbia. - C’è qualcosa che non va? Se fai così, comincio sul serio a preoccuparmi. Vuoi che ti visiti? Potresti avere la febbre…

 

- A dire il vero… - pronuncio appena, faticando perfino a guardarle il viso- Vorrei che… - esito un attimo. Avverto un po’ di imbarazzo in ciò che sto per chiederle – Vorrei che lei mi desse un pizzico.

 

- Un… pizzico? – esclama. Mi faccio forza, e finalmente riesco a guardarle il volto. Mi accoglie con l’espressione incerta. – Mmh… - brontola appena, con un suono impastato – Ti accontento solo perché mi hai fatto arrabbiare. Da quand’è che mi dai del “lei”, eh? Lo sai che non mi piace!

Le sue dita, senza che io me ne accorga, in un attimo carezzano e stringono forte un lembo della mia guancia.

 

- Io… sento dolore. – dichiaro agitato, palpandomi distinto la gota.

 

Perché? In queste circostanze, la sofferenza fisica non può esistere. C’è solo quella mentale. Quella legata all’anima.

Se si tratta di una semplice visione, non dovrei percepire male.

E’ forse la mia mente ad illudermi?

Oppure… lo è il cuore?

 

Lei, mi parla ancora. Io sussulto.

- Sei pur sempre un essere umano, e non un freddo Turk! – scherza ironicamente, abbozzando un sorriso - Allora… adesso è tutto ok, Vincent?

 

Il mio nome…

Già. Il mio nome è Vincent.

Quante persone mi hanno chiamato per nome, da quando i miei occhi hanno ripreso a guardare questo mondo?

Non lo ricordo più.

Eppure… articolato da lei, quel nome sembra che abbia un sapore più dolce. Il mio nome pronunciato dalla sua voce, è diverso. Proprio quella voce che avevo ormai perduto da tempo. Il tempo in cui quel dolce suono mi faceva sentire apprezzato, elogiato. Quello in cui lei mi rendeva vivo.

Sì, proprio lei.

Quella lei.

 

Ed ora, alla fine, dopo tutti questi anni, posso dire di sentirmi nuovamente vivo?

 

Adesso, io, posso solo liberare le emozioni che ho tenuto dentro di me, e fare in modo che esse arrivino finalmente in cielo.  

 

 

Adesso, posso finalmente abbracciarla.

 

Le braccia…

 

…Sì, queste mie braccia, ora possono.

 

 

Trent’anni.

Dopo trent’anni io stringo a me quella donna.

Io sto stringendo al cuore Lucrecia.

La stringo per sentirla più vicina a me, come se volessi colmare il vuoto di quei trent’anni che non mi hanno più permesso di tenerla tra queste braccia, di sfiorarle anche solo per un veloce istante un ciuffo dei suoi lunghi capelli che ora sto trepidamente toccando con mano scossa ma piena di desiderio, come chi è stato allontanato con la forza da colei che ha sempre amato, come un cieco che riacquista la vista e, con frenesia, cerca di osservare smanioso tutto ciò che gli sta intorno con una sola ed affamata occhiata, per colmare un vuoto che lo ha obbligato al buio eterno, facendogli perdere immagini preziose di un’esistenza tutta da vivere, e per colmare ciò che non ha potuto godersi con i propri occhi, negli anni passati. Anni passati senza luce. Come i miei.

 

- Vi-Vincent?- balbetta la bella dottoressa, con voce sorpresa e forse un po’ scossa da questa mia improvvisa reazione. Inaspettata reazione.

Un comportamento che non rientra nel mio modo di fare. Ma… Io come potrei mai raccontarle dei trent’anni vissuti senza lei? Come potrei mai raccontarle questa storia? La mia… la nostra storia.

Non mi crederebbe. Così come non ci credo io stesso.

 

 

Non capisco il perché. Perché sono qui…?

Chi mi ha fatto questo?

Cosa mi è successo?

Che sia… Sì, quella Materia… quella strana sfera che sapeva d’antico, già, dov’è?

La mia mano sinistra, in quella gelida grotta riscaldata solo dal sorriso di Lucrecia imprigionato nella bara di cristallo, la stava stringendo forte. In quell’attimo, però, mi si è stretto anche il cuore. 

Che sia stata lei, la Materia misteriosa, a causare questo? 

Però… può, una Materia, avere il potere di trascinarti indietro nel tempo?

Se così fosse, allora perché?

 

 

Io… continuo a non capire…

 

Perché sono qui?

 

 

- Vincent? Hai forse intenzione di rimanere attaccato a me per tutto il pomeriggio?- La voce di Lucrecia attira la mia attenzione. In imbarazzo, mi stacco da lei con maniere impacciate, ed abbasso gli occhi verso il suolo.

 

- Io… - riesco solamente a dire.

Ai suoi occhi, mi sarebbe sempre piaciuto mostrare un’immagine di me più forte, più decisa, matura, ma… non ne sono mai stato capace.

Forse… Hojo aveva ragione.

Ero, sono tutt’ora solo un ragazzo. E nulla più.

 

Il suono dolce della sua risata, poi, mi sorprende.

- Tu sei così. Proprio come un bambino. – mi dice con più dolcezza. Il mio timido sguardo si posa su di lei. Arrossisco ancora. Da quando sono qui, le mie guance non hanno mai smesso di essere calde.  Ma è proprio questo, che ti differisce da tutti gli altri e ti rende una persona speciale.

 

Essere speciali per qualcuno… Io… lo avevo dimenticato.

Con quella frase, Lucrecia mi ha restituito una parte dei ricordi che per lungo tempo avevo smarrito.

Io, speciale… Speciale per… lei? Non ho mai pensato di esserlo. Non per lei.

E invece…

Ricredersi, fa parte del dna degli esseri umani.

Forse… è per questo che sono qui?

Per ricredermi?

Se imparare a ricredermi significa restare al fianco della persona che desidero, allora io non mi stancherò mai di continuare a sbagliare, pur di trattenermi ancora un po’ accanto a lei e rimediare ai miei errori.

 

 

 

 

 

                  *****

 

 

 

 

 

Non so più ormai da quanto tempo sono qui.

Non li conto più, i giorni.

Cerco di pensare solo a lei. Cerco di immagazzinare più ricordi e più informazioni possibili, per potermi saziare con queste memorie, nel tempo in cui tutto ciò mi verrà nuovamente sottratto dalle mani. Perché questo momento, infondo, non è immortale. L’effetto di quella Materia che sapeva d’antico, non durerà in eterno. Purtroppo.

Prima o poi, giungerà il giorno in cui dovrò dirle nuovamente addio. Spero solo che prima di quell’attimo, io sia riuscito a capire. Capire… perché sono qui.

Finora, sono stato capace di concepire solo inutili supposizioni. Ma ora, a dire il vero, il perchè, per me, non ha più importanza.

Ciò che ne ha, invece, è riuscire ad arrivare a quel giorno, prima che il potere di quella Materia svanisca del tutto.

E quel giorno… è oggi.

 

 

 

Sono più nervoso del solito. Inquieto.

Non riesco a smettere di percorrere questo corridoio, con un andirivieni frenetico.

Mi sento rigido nei movimenti, tuttavia, non posso cessare questa marcia che, in fin dei conti, mi aiuta a scaricare la tensione.

L’agitazione che sento, in realtà è solo lo sgradevole riflesso di un sentimento ben più profondo. Ciò che si chiama “paura”. Ecco cos’è.

“Avere il coraggio di ammettere che si prova paura verso qualcosa, significa avere il coraggio di ammettere che quella cosa ci spaventa veramente.

Era così che mi diceva spesso mio padre.

E ciò che spaventa me, sono le mie stesse emozioni.

Già, proprio quelle che avevo liberato ed innalzato verso il cielo con così tanta facilità, temo che oggi mi tradiscano.

Ho il timore di non riuscire a lasciarle andare un'altra volta verso quella brillante volta celeste, e di fallire.

Ed è proprio la paura di fallire, che mi fa diventare rigido.

 

La porta alle mie spalle, poi, all’improvviso si spalanca.

E’ arrivato il momento. Il mio momento.

Un lungo tremito sembra graffiarmi la schiena. Sento una pesantezza incredibile alle gambe, poi lo stomaco quasi mi s’irrigidisce. Il battito del mio cuore, qui nel petto corre, corre come uno sciame di belve che attraversano una lunga prateria al galoppo. Poi, d’improvviso io sento freddo. Gelido è il mio sudore, e gelide lo sono anche queste mie tremanti mani. Come farò a non fallire, se verso in questo pietoso stato? 

 

Io… temo di ricadere in quell’errore.

 

Entro nella stanza.

E’ gelida. E’ spoglia.

 

L’uomo con il camice bianco parla.

 

Io reagisco proprio come allora, forse con più foga, finché poi…

Arriva lei.

E’ alle mie spalle.

E per me… si ripresenta l’incubo.

 

-Sì, è vero. Perché sei così sorpreso?

 

 Mi agito. Ancora come quella volta. Non riesco a trattenermi.

-Come si può usare il proprio figlio come cavia?

 

Come puoi, tu, accettare una simile condizione?

 

Come hai potuto, proprio tu, cortese dottoressa dal camicie bianco, sacrificare il tuo stesso bambino?

 

 

E’ il turno del dottore crudele. Inveisce su di me deridendomi con le sue pungenti parole cariche di disprezzo. Hojo stavolta non mi intimidisce più come un tempo.

Per me, adesso, ciò che conta, è non fare più quello sbaglio.

Tuttavia… il solo errore che commetto, è quello di lasciarmi sfuggire un accenno di “ma”, lo stesso accenno che poi, immancabilmente, scatena la risposta della mia triste dottoressa. 

-Ma cosa? Se hai qualcosa da dire, dillo. 

 

Già…

Se ho qualcosa da dire

 

Io… avrei tanto da dire.

 

Eppure… se mi bloccassi adesso, se non le riuscissi a dire ciò che avrei dovuto dirle molto tempo fa, concederei l’occasione ad un secondo sbaglio di venire alla luce. E a quel punto per me, vivere diverrebbe solo una pena insopportabile.

 

Le mie labbra si dischiudono.  

 -Tu sei… Sei sicura che questo è ciò che vuoi?

 

 -Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!

 

Quella frase…

 

…qui…

 

…nel mio petto…

 

…ora…

 

…mi riverbera proprio come quella volta.

 

La volta in cui commisi l’errore più grande della mia vita. Quell’errore che poi questa vita non mi ha più lasciato vivere.

 

Alla fine…

…ho capito.

 

Ho capito perché sono qui.

 

Per non commettere più quello sbaglio.

 

 

 

Adesso…

 

… è arrivato il momento di cancellare tutte le mie colpe…

 

e di vedere ancora una volta…

 

…il suo sorriso.

 

 

 

- No. Tu non lo sei, Lucrecia. Ed io… per non averti saputo fermare, posso solo chiederti scusa.  

 

 

 

Quante volte, lì, in quella gelida caverna, le ho chiesto perdono…? 

Ho pregato a lungo che lei sentisse la mia voce.

Mi sono illuso, ed ho sperato di ricevere una riposta.

 

Ma lei…

…racchiusa in quella fredda bara di cristallo, con il viso sereno, a prima vista semplicemente assopito, non mi ha mai risposto.      

 

Ma ora, il suono di questa mia voce, proprio qui davanti a lei, si è appena levato in volo, ed ha finalmente raggiunto il suo cuore.

Le mie parole mi sembrano un nugolo di uccelli che lasciano per sempre le loro gabbie per non sentirsi più oppressi.

 

Ciò che avrebbe voluto sentirsi dire quel giorno…

…ora l’ha udito.  

  

- Sì, hai ragione. – pronunciano le sue labbra. Quelle che ho desiderato per un’eternità intera accostare alle mie. – Non lo sono mai stata, Vincent!

 

Il sorriso generato dalle sue labbra…

 

… quel sorriso che per lungo tempo ho atteso invano…

 

…mi libera dal pesante fardello che mi ha accompagnato per tutto questo tempo.

 

 Lei…

…ha finalmente capito.

 

Ed io…

… ho finalmente riparato al mio errore…

 

…dopo una lunga attesa

 

… durata trent’anni.

 

 

 

 

 

                                           *****

 

 

 

 

 

- Vincent Valentine…?

 

Qualcuno che pronuncia il nome…

 

… sento qualcuno che mi chiama, ma…

 

… non è la voce di Lucrecia.

 

Le palpebre dei miei occhi iniziano ad aprirsi sospinte dalla curiosità.

 

Io… sono ritornato nella mia era?

 

Vedo davanti a me il viso di una ragazza, ma… non sono i lineamenti di Lucrecia.

Anche se… per certi versi, questo volto le somiglia molto.

 

La osservo.

- Shelke? Cosa ci fai qui?

 

- Sono venuta a controllare che tu stessi bene. Tutto ok?

 

Mi guardo attorno. La bara di cristallo che tiene Lucrecia sospesa in un limbo eterno, è lì davanti a me. Ora che le sue orecchie hanno finalmente potuto udire il suono della mia voce, dentro me c’è solo il rumore di un cuore sereno.

 

- Adesso sì.

 

Shelke si osserva intorno, forse imbarazzata. Credo che lo faccia per non guardarmi in viso.

- Quindi… a quanto vedo, è andata bene.

 

Annuisco.

- Dove hai preso quella Materia?

 

- Deepground. L’ho trovata lì, molti anni fa.

 

- Perché l’hai data a me?

 

- Perché tu ne avevi bisogno. 

 

- Avresti potuto usarla per ricostruire il rapporto con Shalua

 

Shelke si ferma a fissare il suolo.

- A me non serve il potere di una Materia che mi faccia tornare nel passato solo per recuperare ciò che posso riconquistare anche in un futuro prossimo.

 

La sua frase è vera tanto quanto sono reali questi attimi di vita che ora mi attorniano.    

- Capisco. – le dico osservandola. Poi, ancora una volta poso i miei occhi su quella teca di cristallo. Lì, verso Lucrecia. Adesso, sarà finalmente felice?– Lei… voleva solo che io la fermassi.

 

- E ci sei riuscito, Vincent Valentine.

 

Sento la necessità di scuotere il capo.

- Non posso saperlo con certezza.

 

Shelke, mostrandomi le spalle, s’incammina in direzione dell’uscio.   

- Forse… - prima di avviarsi, però, si gira con un balzo sbarazzino ed un sorriso sulle labbra per fissarmi in volto - dimentichi che io ho le sue memorie…! 

 

L’espressione del mio viso si distende armoniosamente.

Quella nota d’armonia, ora è anche dentro di me.

 

Prima di lasciare questo luogo, regalo un ultimo sguardo a quella donna lassù, incastonata tra i cristalli sfavillanti, che, in un tempo tanto lontano, ha scaldato il mio cuore.

Quell’incantevole dottoressa dall’abito bianco, sembra sorridermi.

Il suo, è il sorriso che per lungo tempo ho atteso invano.

 

Questo cuore mio, ormai vuoto d’amore, si rigenera.

Le ferite della mia anima trafitta dai tristi ricordi, si risanano.  

La curva della mia bocca, statica come il piatto orizzonte, si piega in un sorriso.

  

Ho corretto il mio sbaglio grazie al potere di una Materia tinteggiata di un rosa che sapeva d’antico.

 

Un rosa antico, che mi ha fatto diventare nuovo.

 

 

 

Io…

…non potrò mai dimenticarmi di lei.

 

 

E forse…

…non smetterò mai di rimpiangere il giorno in cui non le ho fatto capire i miei veri sentimenti, ma…

 

 

Prima o poi… Io so che…

 

 

Girando, i pensieri faranno sbocciare una nuova vita.

 

E forse…

 

…solo allora…

 

…il mio dolore…

 

…si trasformerà in dolcezza.

 

 

 

                                                                                                          Fine

 

 

 

Questa piccola oneshot, basata su uno dei miei pairing preferiti, è stata così dannatamente desiderata, che ho cominciato a scriverla senza neppure rendermene conto!

Quando si è così presi a fare una cosa, le lancette dell’orologio che c’è nel nostro cervello, si arruffano tutte!

 

Che altro aggiungere?

Per me, la coppia Vincent x Lucrecia ( e non me ne vogliano i fans delle numerosissime yuffentine!), è il massimo del massimo!

L’ho detto e lo ripeto… sarà perché io in Vincent ci vedo il classico uomo che ama incondizionatamente la sua donna anche quando questa purtroppo lo lascia da solo e si addormenta per sempre in una fredda teca di cristalli scintillanti (il che fa molta poesia, c’è da ammetterlo!), o sarà perché le yuffentine non mi convincono tanto (la principessina di Wutai è proprietà privata di Reno ^-^), ma per me, il vampiro occhi rossi e la sua bella dottoressa, sono un abbinamento più che azzeccato.  

 

Detto questo, ci terrei tanto a precisare un paio di cose:

La prima, è che il pezzo che c’è verso la fine del racconto, quello in cui Vincent dice “Girando, i pensieri faranno sbocciare una nuova vita. E forse, solo allora, il mio dolore si trasformerà in dolcezza”, è la traduzione del ritornello di una canzone di Koji Wada, che a me piace moltissimo. La melodia è tanto dolce quanto malinconica. (http://www.youtube.com/watch?v=YNiMM2D-fj8

 Questo link è per tutti coloro che volessero ascoltare la canzone!)

 

La seconda, nonché la più lunga e importante, è che in alcune parti del racconto, ho immesso i testi originali dei dialoghi di quelle stesse scene riviste già in Dirge of Cerberus.

Per esempio, la parte in cui Vincent chiede delucidazioni ad Hojo e a Lucrecia stessa riguardo l’esperimento che vedrà il figlio di quest’ultima sottoposto come cavia, è stata tratta da una scena originale del gioco.

Infatti, l’idea della fanfic nasce proprio da questo pezzo. L’attimo in cui lui le chiede se è davvero sicura di volerlo fare, e lei, quasi infastidita da quella domanda, per dispetto gli dice che lo è, ha dato vita al mio racconto. Il Dirge of Cerberus ci racconta del dolore di un uomo che in più volte, durante il gioco, parla delle proprie colpe, dei suoi errori, in particolare di quello che gli ha portato per sempre via la sua donna. Lui avrebbe dovuto dirle di non farlo.

E secondo me, ciò che voleva Lucrecia, era trovare qualcuno che le dicesse proprio di non farlo. Qualcuno come Vincent. Lei voleva solo che Vinci, in quel momento, le dicesse di fermarsi e la facesse ragione, ma… quell’ex-Turk, purtroppo, per una serie di circostanze, non è stato capace di prenderla per mano, e portarsela via, lontano da quel perverso omuncolo di un Hojo maledetto, e dal progetto Jenova.

Oltretutto, io penso che Lucrecia si sia indispettita anche per un altro motivo…

La mia tesi è questa:

Quando lei dice a Vincent “se hai qualcosa da dire, dillo” e lui, da bravo bambino, come uno scemo le risponde “Sei sicura che questo è ciò che vuoi?”, Lucrecia a quel punto si altera dicendogli “Se sono sicura? Se sono sicura?! Se la domanda riguarda solo me, allora sì. Ne sono sicura!”. Ecco, quella parte che ho sottolineato, mi fa riflette su parecchie cose. La più importante, comunque, è questa: per me, il figlio che Lucrecia portava in grembo, vale a dire colui che tutti conosciamo con il nome di Sephiroth, non poteva essere di Hojo.

Anche perché, quando lei gli ripete “se sono sicura? Se sono sicura?! è un po’ come dire “cioè, tu mi chiedi se io sono sicura? Me lo chiedi solo a me? Perché non provi a chiedertelo anche tu, Vincent?” suona un po’ come un palesamento, come una realtà tenutaci nascosta, rivelata solo in quell’attimo da quella frase talmente sottile e sibillina... A cosa alludo? Beh… se il figlio di Lucrecia non è di Hojo, e se Lucrecia (come fatto capire nel Dirge of Cerberus quando Hojo le dice “Finalmente sei rinsavita e hai scelto me” alludendo a Vincent), era innamorata di Vincent (“Ti ho spinto via” dice lei in una scena, verso la fine del gioco “Ma… ora mi rendo conto che… non ho mai voluto perderti.”), allora quel bambino potrebbe essere proprio del nostro Vincent Valentine. Anche se quest’ultimo, non lo ha mai saputo. Credo che Vincent e Lucrecia si siano amati veramente, prima che lui non la facesse soffrire tirando in ballo la storia del padre. E difatti, qui poi si ricollega alla scena in cui lui dichiara “dopo quel giorno (riferito al giorno in cui ha scoperto che Grimoire lavorava con Lucrecia), la luce abbandonò il suo cuore”, e infine lei decide di gettarsi tra le grinfie di Hojo.

Quando Lucrecia si è messa con quel brutto nano orripilante, molto probabilmente era già incinta. Da lì poi, è subentrata la possibilità di partecipare al progetto Jenova, e quindi di usare quel figlio che Hojo credeva suo, come cavia.

Questo, più o meno, è quanto… ^_^

Finalmente mi sono sfogata! Nel senso che, alla fine, ho espresso la mia tesi personale su questa vicenda tanto complicata quanto interessante, che sgambettava lì nella mia mente, senza più trovare pace.

Ci tenevo particolarmente a farvi capire il mio punto di vista, anche perché me lo stringo dentro da quando ho portato a termine il DOC, vale a dire nel lontano novembre 2006.

Perché mi accanisco così tanto a capirci qualcosa di più su questi due?

Beh… Forse perché le memorie di Lucrecia, personaggio della serie ingiustamente bistrattato (molti la odiano solo perché- motivo futile- preferiscono che Vincent sia innamorato solo di Yuffie, oppure perché- motivo più concreto- abbia utilizzato il proprio figlio come cavia), esattamente come dice Shelke, sono anche dentro di me!

 

Grazie infinite a tutti voi! SEMPRE!

 

                                                                                                  Botan

 

 

  

    

 

 

    

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VII / Vai alla pagina dell'autore: Botan