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Autore: Hikaritokage    31/10/2017    8 recensioni
La vocetta divertita gli sfiorò il collo all'improvviso, e una risata sottile e dispettosa lo solleticò come una piuma gelida.
André sgranò gli occhi e si voltò di scatto, ma alle sue spalle non c'era nessuno.
O meglio, c'erano ancora tutti, e non avevano avuto il tempo di nascondersi e di questo Oscar si stava lamentando a gran voce, ma nessuno di loro era abbastanza vicino.
Così vicino da potergli sussurrare quelle parole addosso, tanto vicino da riuscire a soffiargliele direttamente sulla pelle.
“Si può sapere cosa stai aspettando, André?” gli gridò Oscar nel suo tono più insofferente, strappandogli un sorrisetto imbarazzato e confuso.
L'hai immaginato, si disse. L'hai soltanto immaginato.
Continuò a dirselo finché non ne fu proprio convinto, e poi ricominciò a contare.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Sorelle Jarjeyes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hide-and-seek
 
André si allontanò a grandi passi scontrosi e poggiò la schiena contro il muro, le braccia conserte e gli occhi di un verde così cupo da gettare un'ombra sotto, a segnare il confine incrinato di una pazienza ormai agli sgoccioli.
Oscar non gli concesse tregua e distanza e si piantò di nuovo davanti a lui, affilando lo sguardo e la voce e l'accenno di un sorrisetto arrogante.
E Arielle nascose un sonoro sbadiglio nel palmo della mano, ma nessuno dei due sembrò farci caso. 
Li guardava da minuti interminabili che ormai le sembravano ore, seduta sul bordo della fontana che zampillava allegra, lanciando brevi occhiate distratte anche al piccolo Charles che sgambettava sulla ghiaia del vialetto, senza una meta precisa né un motivo apparente.

“Ma sono ancora lì a litigare, quei due?” sbuffò Annette, avvicinandosi a lei con tre fette di torta al cioccolato avvolte in altrettanti tovaglioli.
Gliene porse una e subito si ritrovò le manine appiccicose di Charles aggrappate alla gonna, che reclamavano la loro parte con una serie di piccoli strattoni.

“Sono ancora lì…” le rispose Arielle con un sospiro rassegnato, un attimo prima di addentare il dolce. 

Annette sbuffò di nuovo mentre si sedeva accanto a lei, per assistere a quell'ennesima replica di uno spettacolo sempre uguale.

All’ombra della pergola poco distante, anche Joséphine era intenta a seguire l'intera scena. E a sfogliare le pagine del suo libro senza neanche guardarlo, e a respirare salsedine nella brezza che soffiava leggera e costante, l'unica nota piacevole di quel pomeriggio d'estate troppo caldo e troppo noioso.
Oscar l’aveva invitata a giocare, spinta da André che era rimasto appena un passo indietro, mentre le due ragazzine con quelle lunghe trecce brune e il bimbetto piccolo e paffutello si erano tenuti ben lontani.
Probabilmente li intimoriva un po', e di questo Joséphine era onestamente dispiaciuta. Con Oscar non sembravano mai a disagio, e quello era un altro dei tanti meriti di André, mentre con lei decisamente si. Fin troppo.
E quando si era rifiutata di unirsi a loro, aveva visto le gemelle scambiarsi una rapida occhiata carica di sollievo.
“Fa troppo caldo per correre” era stata la laconica risposta a quell'invito forzato, seguita poi da uno sguardo tagliente che aveva ispezionato Oscar da capo a piedi, soffermandosi sui vestiti sporchi e le mani graffiate e i capelli appiccicati dal sudore sulla fronte e sul collo. 
C'erano anche dei fili d'erba impigliati in quel groviglio di riccioli biondi, le aveva fatto notare con disappunto e un plateale sospiro, prima di tornare a dedicarsi al suo libro.
Oscar aveva fatto spallucce ed era corsa via, afferrando André per un braccio e tirandoselo dietro, e lei aveva continuato a guardarli giocare e ridere per un bel pezzo, e a sfogliare le pagine lanciando loro piccole occhiate oblique  e furtive.
A giudicare da quello che vedeva adesso, l'idillio era finito. Oscar e André erano ai ferri corti, e come da copione sarebbero arrivati alle mani in tempi brevi. Oppure sarebbero corsi dentro a recuperare le spade, con buona pace delle figlie del custode e del loro fratellino più piccolo, che se ne stavano appollaiati lì sul bordo della fontana a rimpinzarsi di torta al cioccolato, nell'attesa che il gioco riprendesse.
Joséphine sospirò ancora, stavolta con estrema grazia, e si decise a rientrare in casa abbandonando il libro sul tavolo, scomparendo oltre i battenti dell'ingresso principale in uno sbuffo di rosa tenue.
Qualche minuto più tardi guardò fuori da una delle ampie vetrate, con studiata noncuranza, giusto in tempo per seguire un elegante volo di gabbiani sulla spuma delle onde, e per accorgersi che la pace era tornata a regnare sui giardini inondati di sole.
Si allontanò dalla finestra proprio mentre André si girava verso il muro, e poggiava la fronte contro il braccio, e cominciava a contare

“Uno, due, tre…”
“… chi non ha fatto resta a me”

La vocetta divertita gli sfiorò il collo all'improvviso, e una risata sottile e dispettosa lo solleticò come una piuma gelida.
André sgranò gli occhi e si voltò di scatto, ma alle sue spalle non c'era nessuno. 
O meglio, c'erano ancora tutti, e non avevano avuto il tempo di nascondersi e di questo Oscar si stava lamentando a gran voce, ma nessuno di loro era abbastanza vicino. 
Così vicino da potergli sussurrare quelle parole addosso, tanto vicino da riuscire a soffiargliele direttamente sulla pelle. 

“Si può sapere cosa stai aspettando, André?” gli gridò Oscar nel suo tono più insofferente, strappandogli un sorrisetto imbarazzato e confuso.
L'hai immaginato, si disse. L'hai soltanto immaginato.
Continuò a dirselo finché non ne fu proprio convinto, e poi ricominciò a contare

“Uno, due, tre…”
“… ora ti prendo, attento a te!”

Si lasciò sfuggire un piccolo gemito strozzato, e un brivido freddo gli attraversò il centro esatto della schiena.
Si voltò di nuovo, passandosi una mano febbrile sul collo, proprio lì dove la vocetta dispettosa l'aveva toccato.
E alle sue spalle non c'era nessuno.
E forse toccato non era il termine più giusto da usare, ma era l'unico che gli venisse in mente. 
E in un attimo gli vennero in mente anche tante altre cose, una più brutta dell'altra.
Cose fredde e viscide, quelle cose che scricchiolano e scivolano e strisciano, e si nascondono sempre negli angoli più lontani dall’alone dell'unica candela rimasta accesa.
Cose che se ne stanno rintanate nel buio, in agguato sotto i letti, e tamburellano sul pavimento con quei loro artigli lunghi e affilati e incrostati di sangue e fango, artigli impazienti che picchiettano e grattano e graffiano e scandiscono le ore lunghissime della notte. E aspettano. 
Aspettano, restano lì in trepidante attesa che un piede incauto sfugga al controllo, facendo capolino dal rifugio inviolabile delle coperte.
Quelle cose che in realtà non c'erano, la sua mamma glielo diceva sempre, si sedeva sul bordo del letto e gli accarezzava i capelli e gli posava un bacio sulla fronte e poi anche uno sulla punta del naso, e gli diceva che nessuna di quelle cose c'era davvero, ma lui era piccolo e del buio aveva paura lo stesso.
Cose cattive, mollicce e piene di denti e sempre affamate, avvolte in una specie di bruma grigia e densa, in bilico sul confine tra realtà e incubo.
E nessuno ha mai voglia di diradare quella nebbia, e guardarci dentro.
Nessuno ha mai voglia di scoprire se, nel buio, le cose cattive ci sono davvero oppure no.

“Oh insomma, André!” sbottò Oscar schermandosi gli occhi con la mano, e raschiando il fondo della sua esigua riserva di pazienza.

André tornò bruscamente alla realtà, e scrollò le spalle come per togliersi di dosso la brutta sensazione provata, e i brutti pensieri che si era portata dietro, e poi si girò di nuovo faccia al muro.
Smettila, si disse. Ti sei lasciato spaventare da quel mucchio di frottole che ti ha raccontato Arielle, ieri sera in cucina. L'ha messa giù davvero pesante, e adesso tu credi di sentire chissà cosa. Smettila, e prega che Oscar non lo venga mai a sapere, o ti prenderà in giro fino alla fine dei tempi.
E adesso smettila.
Tirò un respiro profondo, e poi anche un altro, e poi ricominciò a contare con voce incerta tra lo scalpiccio scomposto sul selciato, il rumore di tre ragazzine e un bimbetto più piccolo che correvano a nascondersi.

“Uno, due, tre…”
“… chi non ha fatto resta a me”

André scattò all'indietro allontanandosi dalla parete, che all’improvviso gli sembrava fredda quanto una lastra di ghiaccio.
Fredda e troppo liscia.
No, non liscia. Viscida.
Fredda, e viscida, e umida, e

“Uno, due, tre…”

e storta. La parete era storta. Pendeva decisamente verso destra, le fughe del marmo erano tutte inclinate. Non molto in realtà, giusto un po'. 
Non molto, giusto quel tanto che bastava a fargli girare la testa, a farlo sentire come su una barca in mezzo alle onde, come se lo stomaco dovesse rigirarsi da un momento all'altro, come se stesse per rovesciare torta al cioccolato e biscotti proprio sulla punta delle sue scarpe, come se

“… ora ti prendo, attento a te!”

chiuse gli occhi e li riaprì. 
La parete ondeggiò verso sinistra.
Li chiuse ancora, li strizzò forte, e li riaprì. 
E adesso le fughe gli sembravano di nuovo dritte. 
Perché sono dritte, si disse. Sono dritte, continuò a ripetersi, perché le mura di un palazzo non si inclinano e non ondeggiano all'improvviso, e perché non c'è proprio nessuna vocetta sottile e dispettosa che ride e bisbiglia cantilene stupide alle tue spalle, e perché

“Uno, due, tre… uno, due, tre… unoduetreunoduetreunoduetre...”

e poi il muro cominciò a sciogliersi. 
Si scioglieva, colava giù in grosse gocce opache, tracciando lunghe strade liquide e tremolanti che non andavano da nessuna parte. 
Come te, si disse, e inghiottì un disgustoso nodo di terrore. 
Come te, anche tu non andrai proprio da nessuna parte, anche tu non

“Unoduetreunoduetreunoduetreunoduetreunoduetre…”

un angolino della sua mente notò che il cuore batteva troppo forte, batteva tanto forte da fargli male, così forte da fargli credere che si sarebbe spaccato all'improvviso, lasciandolo lì ad accasciarsi sulla ghiaia come un sacco svuotato, come

“Uno, due, tre, ora ti prendo... attento, André!”

André sentì il sangue farsi ghiaccio, e frantumarsi in mille schegge.
E poi sentì il respiro sparire, una volta per sempre.
E poi sentì una mano sottile, afferrargli il braccio sinistro

“… tiprendotiprendotiprendotiprendoti…”

e stringere le dita, e tirare.
E allora si voltò di scatto, e gridò davvero con tutto il fiato che gli restava in gola, fino a spezzare la voce in un rantolo soffocato.

“Ma sei impazzito?” gridò Oscar di rimando, scartando all'indietro e ritraendo la mano spaventata “André… ma che…”

“Tu la senti?” mormorò lui, lasciandosi scivolare giù fino a sedersi per terra, le gambe troppo molli e il viso stravolto, pallido come quello di un cadavere.

Annette lo raggiunse correndo, passando accanto a Oscar e urtandola di  striscio, senza quasi vederla. Si chinò su di lui aggrappandosi alle sue spalle, cercando di intercettare i suoi occhi verdi e spaventati, mormorando qualcosa a voce tanto bassa da risultare incomprensibile.

Oscar serrò le labbra e i denti sulle parole che sentiva bruciare in gola, che ribollivano insieme a una rabbia violenta e istintiva e ingiustificata.
Serrò le labbra e i denti e non disse nulla, ma piantò addosso ad Annette uno sguardo piuttosto eloquente, e la ragazzina mancò un paio di respiri. 
Si rialzò in piedi sussurrandogli ancora qualcosa, proprio contro l'orecchio, e si affrettò a fare un passo indietro. 
E poi anche un altro, per sicurezza.

“André…” la voce di Oscar uscì a stento, graffiandole la gola. 
Deglutì un misto doloroso di paura e qualcos'altro che non riuscì a decifrare, mentre si chinava e lo afferrava per le braccia scuotendolo un po', e poi un po' più forte.
“André… André, guardami… parla, dimmi qualcosa…”

“Oscar…” mormorò, passandosi una mano sulla fronte e tra i capelli fradici di sudore.

“André! Ma che ti è preso, André… che ti è successo?”

“Oscar, io… io non lo so” ammise lui, con un filo di voce roca.
Non lo sapeva davvero, come se si fosse appena svegliato da un incubo che stava sfumando via i contorni, qualcosa di brutto avvolto in una bruma grigia e densa, nascosto e impossibile da afferrare. E non era troppo sicuro di voler davvero diradare quella nebbia, e guardarci dentro.
“Sto già meglio, non preoccuparti…” aggiunse dopo qualche istante, con un sorriso incerto e dolcissimo, mentre le ultime tracce di paura lo abbandonavano del tutto, e gli lasciavano addosso soltanto una strana stanchezza e qualche brivido di freddo intenso.
Oscar sorrise di puro sollievo che le illuminò il viso, poi si passò il braccio di André attorno alle spalle per aiutarlo a rialzarsi e rientrare in casa, e entrambi si dimenticarono completamente dell'esistenza di Annette, che se ne stava lì immobile e ancora addossata al muro.
Li guardò allontanarsi insieme, stretti in quell'abbraccio un po' sbilenco, e incespicare e barcollare e poi scoppiare a ridere un paio di volte, prima di vederli sparire oltre la soglia del grande atrio. E perfino da quella distanza le loro risate risuonarono ancora qualche attimo, in accordo perfetto. 

“Credi che abbia già dimenticato tutto?” bisbigliò Arielle, che fino a quel momento si era tenuta in disparte. 

“Credo che non avresti dovuto dirglielo” rispose Annette con voce assorta, lo sguardo lontano, fermo lì dove André era sparito.

“Non gli ho certo detto la verità… non gli ho parlato di Lei, l'ho soltanto spaventato un po'...” precisò Arielle, con un'alzata di spalle.
Poi abbassò gli occhi e tese le braccia al piccolo Charles, che si lagnava aggrappato alla sua gonna.

“Non avresti dovuto fare nemmeno quello” il tono di Annette risuonò secco e severo, carico di rimprovero e rabbia trattenuta “… e domani andremo alla spiaggia, sta diventando rischioso passare tanto tempo qui”

“E pensi che basterà andare alla spiaggia, per fermarla? Davvero?”
Gli occhi grigi di Arielle affondarono in quelli identici della gemella, un abisso così profondo da provocare una vertigine a entrambe.
Era un po' come guardare dentro a un gioco di specchi che si riflettono l'uno nell'altro, all'infinito.
“Sai cosa è davvero rischioso, Annette?” la incalzò, abbassando ancora di più il tono “Desiderare, ecco cosa è davvero rischioso. Lei sa tutto, Lei sente tutto, e se una di noi desidera davvero qualcosa, allora anche Lei desidera lo stesso per sé… e oggi per poco non se lo prendeva. È questo che vuoi?”

“No…” mormorò Annette, smarrita sul fondo di quegli occhi grigi e in quelle parole sussurrate, un soffio freddo sulla sua pelle percorsa dai brividi.

“Allora domani loro due andranno alla spiaggia, e noi ce ne staremo qui” 

“Va bene, Arielle...” sospirò appena.
Poi tornò a guardare verso l’ingresso, mentre Arielle sfiorava dolcemente il muro lasciandoci sopra una carezza in punta di dita, e poi si allontanava a passo svelto e senza più voltarsi, portando il piccolo Charles con sé.
Rimasta sola, per un momento le sembrò di sentire di nuovo la risata di André, prima che un'altra risata arrivasse dal nulla a sovrastarla.

“Angélique…” sussurrò poggiando le labbra contro il marmo, che a quel tocco divenne improvvisamente freddo e viscido.
Annette non si ritrasse, e lo accarezzò con la mano e con la voce e con ogni respiro, chiudendo gli occhi per non dover vedere le fughe di nuovo sghembe e inclinate, e quelle grosse gocce opache che colavano giù senza mai andare da nessuna parte.
“Lui no, Angélique… ti prego, lascialo stare”

Ma quella risata risuonò ancora, sottile e dispettosa, e le solleticò il collo come una piuma gelida.










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Knock Knock… Trick Or Treat? 
Happy Halloween!!!        =^,^=

Una piccola ispirazione a tema, un po' in stile Storie Gotiche ma senza tutto quel sangue, e soprattutto senza pretese e molto molto soft, perché è la prima volta in assoluto che mi cimento nel genere… perciò ben venga la sincerità, ma anche un pizzico di comprensione!! :)
La cantilena di Angélique è una reliquia d'infanzia, e magari qualcuno la conosce e ogni caso immagino che ogni zona abbia la sua variante. Sotto casa mia si giocava così, e senza cantilene un po' stupide e un po' ambigue (e le immancabili civette sul comò) non era un vero nascondino.
Invece, le pareti che si inclinano e si sciolgono (1408 – Tutto è Fatidico) e le gemelle inquietanti e figlie del custode (Shining), sono state gentilmente offerte dal genio di Stephen King.
Ci tengo a precisare che il piccolo André sta bene, ha dimenticato tutto, non ha riportato traumi di sorta, e si avvia felice e contento verso il suo gioioso destino. Chissà, forse era meglio Angélique!
Detto questo, un grandissimo GRAZIE come sempre a chi ha letto fin qui, e un felice Halloween a tutti!!

=^.^=

Elly
   
 
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