Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: Mir7    03/11/2017    0 recensioni
Per Michela e i suoi amici l'estate è finita, ma le avventure continuano. Michela farà un passo avanti per esaudire il suo desiderio di diventare una cantante alla Oxford Arts Academy, ma dietro a quella scuola c'è qualcosa di più grande, qualcosa che cambierà la vita sua e dei suoi compagni d'avventura.
Ps: informo che in questa storia verranno presi in considerazione solo gli avvenimenti della prima serie di Percy Jackson e non degli Eroi dell'Olimpo.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Apollo, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Deitas'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La mattina seguente mi svegliai presto e non fui l'unica. Allen era appoggiato all'armadio e guardava fuori dalla finestra pensieroso. Il sole iniziava a mostrarsi all'orizzonte. Quella visione era meglio di un tranquillante per il figlio di Apollo, lo aiutava a mettere in ordine le idee. La delicata luce del sole si posò su di lui gentile e ne risaltò i tratti come se facesse parte di lui. Vederlo così rilassato e pacato mi fece pensare che forse potevamo avere una vita da normali adolescenti e che quella fosse una mattina di scuola come tante. Mi decisi ad uscire dal letto. -Buongiorno, raggio di sole- gli dissi alzandomi. Si voltò verso di me e mi sorrise dolcemente. -'Giorno. È il soprannome più decente che tu mi abbia mai dato finora-. Mi misi ad osservare il panorama con lui dalla parte opposta. -Secondo te, avremo mai una vita normale?- mi chiese, stavamo avendo gli stessi pensieri. Le nuvole bianche formavano varie strisce nel cielo, non erano compatte ma si riusciva a leggere qualcosa: hope. -Hai ricevuto la tua risposta- gli indicai le nuvole facendogli notare la scritta. -Certo, la speranza è importante, ma si sa che per noi semidei è difficile condurre una vita come gli altri- disse lui un po' sconsolato. Continuammo a parlare finché non fu l'ora di andare a lezione. I prof ci avvisarono che vollero premiare il nostro ottimo rendimento scolastico con una gita a Milano per puro svago e cultura generale. Saremmo partiti a metà Aprile, quindi avevamo tutto il tempo per migliorarci, continuare le prove di Grease, che avremmo messo in scena a ottobre, e per iscriverci al concerto di fine anno. Per quest'ultimo bisognava organizzarci bene, nonché allenarci correttamente per non fare brutte figure. Avevamo a disposizione due canzoni, le quali potevano essere esibite sia da solisti che in gruppo oppure in coppia, e potevano essere in qualsiasi lingua o a tema. Era l'opportunità per tutti di brillare. Allen pensò di fare entrambe le canzoni con me perché, su questo Field aveva avuto ragione, formavamo un duo impeccabile. Decidemmo di cantare una canzone a tema in cui io sarei stata la protagonista ed una americana in cui lui sarebbe stata la voce principale. Tornando alla gita, i professori decisero che non avremmo dormito esclusivamente con i nostri compagni di stanza abituali. Erano convinti, e avevano ragione, che la classe fosse poco unita quindi avremmo dovuto dormire in piccoli gruppi. L'importante, per quel che mi riguardava, era non capitare con Carin, lei non sarei riuscita a sopportarla. Ovviamente gli insegnanti puntavano proprio a quello: avevano capito che fra me e la biondina non scorreva buon sangue, così Lindsay ed io finimmo in camera con l'irritante Barbie e la sua servetta Deborah. Secondo i miei canoni, l'albergo era veramente bello: era un tre stelle, il tipico alloggio delle mie vacanze, niente di troppo pretenzioso. La facciata stretta e alta era color avorio e risplendeva grazie alla luce del pomeriggio. La reception era piccola ma ben arredata. Sfortunatamente non c'entravamo tutti, così fummo costretti ad aspettare sul marciapiede con le valigie che creavano intralcio ai passanti. Un gruppo alla volta oltrepassava la soglia, prendeva le chiavi e saliva le rampe di scale fino al piano designato. L'edificio era senza ascensore e la nostra stanza era al terzo piano dell'edificio, Carin non lo gradì affatto, nello stesso modo in cui non gradiva l'albergo. Si fece portare i bagagli dalle sue “amiche” e per tutta la salita non fece che lamentarsi. -La finirà mai?- domandai a Lindsay alzando gli occhi al cielo. -Sarà un luuuungo pernottamento- esclamò lei già stufa della nostra nuova compagna di stanza. -Aprimi la porta- mi ordinò Carin quando arrivammo di fronte all'ingresso della camera. -Mi rifiuto di toccare un posto talmente povero- disse schifata. La guardai sbigottita, era seria? Sospirai scuotendo la testa. Lindsay aveva proprio ragione, avremmo patito questa convivenza obbligata. Siccome era evidente che mi rifiutavo di aprirle la porta, le sue servette corsero in suo aiuto e la sollevarono da quell'ingrato compito. La stanza era grande abbastanza per quattro letti singoli con il copriletto arancione smorto e un armadio di legno scuro che fischiava ogni volta che si aprivano le ante. Lo spazio era appena necessario per far passare i nostri corpi fra una brandina e l'altra. Per terra vi era una moquette marrone, l'incubo degli hotel, mentre il muro era stato dipinto a spugnate color rosa antico e vi erano stati appesi dei quadri ritraenti paesaggi naturali: campi di girasoli, una foresta e un papavero gigante. Al lato sinistro della camera, fra un letto e l'armadio, c'era la porta del bagno privato. Nell'armadio non ci sarebbero mai entrate le nostre cose, sopratutto con Carin che occupava i tre quarti della camera solo con le sue valigie. Lindsay ed io optammo nel sistemare le nostre sotto ai letti, in modo da non invadere più superficie. Ci sdraiammo subito, non perché fossimo stanche o pigre (anche se stare in compagnia di Carin toglieva le energie), ma perché dovevamo testare la morbidezza del materasso. Chiusi gli occhi per rilassarmi un attimo e dimenticarmi di essere in quell'assurda situazione per colpa dei professori. Feci un respiro profondo. Dovevo sorbirmi Carin solo prima di andare a dormire, appena sveglia e nel momento in cui bisognava toglierla dal bagno per farci una doccia, per il resto del tempo non sarei stata costretta a restare con lei. Sarebbe andato tutto bene. Qualcuno bussò alla porta e Barbie ordinò a Deborah di aprire, perché lei era occupata a darsi una rinfrescata. La sua servetta sospirò sorpresa ma non emise parola. Percepii dei passi, ma non aprii gli occhi nonostante fossi curiosa di sapere cosa stesse succedendo. Volevo volare via di lì con il pensiero, pensare a cosa avrei potuto visitare a Milano, a cosa avrei potuto fare una volta tornata al Campo. Mi piaceva viaggiare con la mente quando potevo, mi rasserenava i sensi, una volta ogni tanto era concesso abbassare la guardia. Sentii il letto sprofondare leggermente come quando qualcuno ci si mette sopra o ci si appoggia. Qualcosa sfiorò le mie gambe, poi una presa ai fianchi, proprio dove soffrivo il solletico, mi colse alla sprovvista. Aprii gli occhi, mi tirai su di scatto per l'impulso del solletico e finii per picchiare una testata contro qualcuno sopra di me. Gridammo all'unisono dal dolore per la botta. -Hai proprio una testa dura- mi disse. Mi massaggiai la fronte e notai che lui fece lo stesso, Allen. -Potevi evitare di attaccarmi alla sprovvista mentre mi rilassavo- esclamai tirandolo giù dal letto con una spinta. Lui mi prese per un braccio e mi portò sul pavimento con sé. Carin concluse la sua sessione di bellezza in quel momento e notò Allen, o meglio, notò me sopra di lui. -Capisco che mi hai rifiutato perché ami un'altra, ma non posso comprendere, perché lei? Perché lei sapendo che hai perso? Io sono molto meglio di lei. Lei è cattiva, ti fa solo soffrire, non vedi? Ti fa queste cose sapendo ciò che provi e poi davanti ai tuoi occhi si bacia con un altro. Spiegami perché lei- Carin gli fece la predica. Nel frattempo noi c'eravamo alzati ed Allen si era avviato alla porta. -Tu proprio non vuoi capire. Forse tu continui a pensare a lei come una rivale in amore perché non vuoi ammettere a te stessa che io non sarò mai interessato a te, neanche se fossimo gli ultimi sulla terra. Michela non è più una tua rivale, non sono innamorato di lei, quindi finiscila. Sappi una cosa, tu non sarai mai al suo livello, mettitelo bene in testa- esclamò il figlio di Apollo serio guardando dritto negli occhi Carin prima di uscire e tornarsene in camera sua. Barbie rimase scossa dall'affermazione di Allen ma il suo cervello, se esisteva, decretò velocemente che la causa di tutti i mali ero comunque io, non lei. Iniziò a fissarmi piuttosto arrabbiata ed io sperai che non volesse fare a botte per non rovinarsi la manicure, non avevo voglia di rovinare la regina di bellezza e prendermi le sgridate assicurate dei professori. -Imbarazzante...- canticchiò Lindsay a bassa voce notando la tensione che aleggiava nell'aria. -Mh...io andrei a fare un giro per Milano, che ne pensi Lindsay?- le chiesi supplicante. Non volevo stare un secondo di più in stanza con Carin-ora-ti-ammazzo-Adams, ero sopravvissuta ai mostri e mi bastavano loro ad attentare alla mia vita. Sicuramente la mia amica la pensava come me: meglio non rivederla per qualche ora e lasciarla a Deborah, che avrebbe sicuramente curato i suoi nervi turbati da tutte quelle emozioni che rischiavano di farle venire delle rughe precoci. Lindsay mi prese a braccetto e uscimmo di corsa dalla camera. -Sembrava volesse divorarti viva- commentò lei. Qualche metro più in là Allen e Ton erano sulla porta della loro stanza a chiacchierare, mi immaginavo l'argomento principale della loro conversazione. Fortunatamente l'albergo era vicino, secondo alcuni punti di vista, al Duomo. Era immenso e vederlo dal vivo mi dava la sensazione di essere una formica minuscola. Amavo l'architettura e il Duomo era mozzafiato. Non sapevo dove posare lo sguardo: se osservavo intensamente le statue sulla facciata mi sembrava di fare uno sgarbo alle alte guglie che si innalzavano verso il cielo. Era pazzesco, almeno per me. Stare di fianco o all'interno di alcuni edifici mi faceva stare bene, mi rendeva felice senza motivo. I miei amici mi avrebbero presa per matta visto che avevo un modo tutto mio di divertirmi. Visitammo l'area nei dintorni, Lindsay scattò qualche foto qua e là fino a quando uno stormo di piccioni prese il volo davanti a noi e dallo spavento indietreggiai e andai a sbattere contro qualcuno. -Oh, scusami- dissi per abitudine prima di voltarmi. -No, scusami tu- disse l'altra. La vidi e lei vide me. Mi ero appena scontrata con la riccia figlia di Poseidone. Fu sorpresa di trovarmi lì, e per un attimo anch'io di vederla lì, finché non mi ricordai che ci viveva. -Hai rivisto Ryan come mi avevi accennato?- le domandai curiosa. -Oh, sì. È stata la gita più bella di tutti i tempi! Sai perché? Ryan mi ha fatto conoscere sua madre, è stata molto carina con me, ma sopratutto cucina i frutti di mare come nessun altro sulla faccia della Terra! Alla fine non sembrava una gita scolastica visto che ero sempre con lui, ma i miei compagni mi reggevano il gioco con i professori- mi raccontò Alessandra. -Beata te, io sono scappata da poco da una mia compagna di classe che voleva uccidermi con le sue mani- le riferii. -Come mai?- domandò non comprendendone il motivo. -Questa mia compagna ha una cotta per Allen da parecchio...- le bastò questo per iniziare a ridacchiare. -...e se la prende con me anche se non centro niente- conclusi. -Se ti importuna ancora e non vuoi finire nei guai con i prof, fammi un fischio che te l'affogo- esclamò lei divertita dalla mia situazione. Accettai con piacere la sua offerta. -Così per sapere, non è che tradisci Ryan con la cucina di sua madre?- scherzai. -Ammetto che ci ho fatto un pensierino e lui mi ha persino risposto che mi capirebbe benissimo. Il tradimento perfetto- rise Alessandra fiera di sé. Mi ricordai che erano le sei e mezzo di sera, dovevo tornare indietro. -Cosa ci fai in giro a quest'ora?- chiesi alla riccia. -Stavo tornando a casa con la cena, molto veloce- mi mostrò i sacchetti di plastica bianca che portava con sé. -Dopo cena io e mia mamma andiamo allo stadio a vedere l'Inter- le brillavano gli occhi di gioia. Ero un po' invidiosa, per me sarebbe stato impossibile andarci. -Mi intrufolerei ma gli insegnanti ritengono che “la prima sera dobbiamo stare tutti in albergo insieme a socializzare”, stupida logica- sbuffai. Alessandra annuii comprensiva. -Facciamo così, domani torna qui verso le tre e ti faccio fare un giretto. Ora che ci penso voglio farti vedere una cosa. Ora scappo a casa!- la figlia di Poseidone corse via mentre io tornai da Lindsay, la quale mi stava cercando come una pazza domandandosi dove fossi. -Dove eri finita?!- mi chiese lei con un leggero accenno di rabbia. Le spiegai l'accaduto sperando mi perdonasse. Feci la faccina da cane bastonato puntando sulla bontà della mia amica. -Devi smetterla di usare questi trucchetti. Ci casco sempre perché non riesco ad arrabbiarmi con te, la mia stupidissima amica!- mi abbracciò e mi diede dei colpetti sulla testa. -Grazie, però non sono un cane- le ricordai. -Mh...non lo so, magari lo sei. Ora tu sarai la mia Lessy!- decise radiosa Lindsay. L'aria di Milano stava rincretinendo la mia amica e ciò si rifletteva su di me. Per farmi salire le scale mi prese il retro della maglietta e mi tirò su, come se mi stesse portando al guinzaglio. Menomale che ci fu Ton a riportarla tra di noi. -Hey Lindsay, perché la stai portando così?- domandò straniato dal teatrino portato avanti da lei. -Perché lei è il mio cagnolino, non è vero, Lessy?- mi sorrise divertita la bionda. Allen raggiunse Ton ed insieme risero della brutta situazione in cui mi ero ritrovata. -Finalmente un soprannome anche per te, e questo penso sia addirittura peggio. Non è così, Lessy?- esclamò il figlio di Apollo ridendosela con gusto. Il mio sguardo si assottigliò e lo guardai in malo modo. -Moore, vacci piano. Posso sempre trovartene uno infinitamente peggiore- lo avvertii. -Peggio che chiamarmi per cognome non puoi fare- ammise. Annotai quell'informazione nel cervello poi riversai la mia attenzione sulla mia amica. -Lindsay, ti prego mollami. Ti chiedo perdono in ginocchio ma lasciami. Mi dispiace di averti abbandonata come un sacco di patate- la pregai. -Va bene, non sono così crudele da farti vedere in questo stato da Carin- esclamò lei mollando la presa.

 

Quella sera restammo in albergo e dopo cena andai in camera di Allen, mentre i suoi compagni erano in altre stanze. Sperai che Carin si addormentasse prima del mio ritorno. Ci sdraiammo a pancia in giù su uno dei letti, l'uno di fianco all'altra, per esaminare la cartina di Milano che Allen mi aveva gentilmente trovato. Segnai qualche luogo da visitare con i miei amici la mattina seguente. -Facciamo...Galleria Vittorio Emanuele II e il Palazzo Reale, che dici?- gli domandai concentrata cerchiandoli sulla mappa. -Come fai ad avere così tanto interesse in un semplicissimo pezzo di carta- rise lui sconcertato. -Questo pezzo di carta ci aiuterà a capire dove andare, cosa vedere e come organizzare al meglio la nostra gita. Ecco perché mi diverte- gli spiegai seria. Allen poggiò la testa sulla mano e mi guardò dubbioso. -Se lo dici tu-. -Sai, io non capisco come Carin possa essere innamorata di te- esclamai per tornare a ciò che era successo quella mattina. -Vuoi dire che sono così orribile che è impossibile innamorarsi di me? A dire il vero in molte si sono dichiarate- disse lui scherzosamente offeso. -Ti svelo un segreto. Il mio ragazzo ideale è biondo con gli occhi verdi, ma ciò non vuol dire che abbia trovato l'amore in te. Questo va oltre ai banali modelli, ed è questo che ritengo che Carin pensi di te. Bello e talentuoso, può bastare per una come lei, non pensi?- mi spiegai. -Il tuo ragionamento non fa una piega, almeno hai ammesso che mi trovi bello- mi sorrise divertito. Gli diedi una spinta giocosa. -Quanto sarai scemo. Nonostante ciò io preferisco Nico a te, ovviamente. Per dirti che non ha senso farsi castelli mentali, l'amore viene quando meno te lo aspetti e sopratutto con chi meno ti aspetteresti- cercai di fargli capire. -Quando una ragazza dai capelli neri mi farà perdere la testa, ti darò ragione- ammise. -Cos'hai contro i capelli neri?- gli chiesi facendo la finta ferita. -Niente di particolare- rispose Allen cambiando posizione e mettendosi a pancia in su.

 

Quella notte sognai. All'inizio ero con Nico al Campo Mezzosangue a giocare ad acchiappino come due bimbi delle elementari ma, nel momento stesso in cui mi prese, la scena cambiò. Tutto intorno a me diventò angusto e povero, un paesaggio di siccità pieno di grandi rocce. Alcune di esse sembravano edifici, non complicati, costruiti con la terracotta ma indistruttibili. Ero nel mezzo di una battaglia, non vedevo molto bene chi stava lottando ma percepivo l'odore del salmastro, acqua. Le urla assordanti squarciavano l'aria, la maggior parte erano mostruose ma la cosa che mi preoccupava di più era che, anche se in minoranza, alcune era umane. Le conoscevo, erano le voci dei miei amici, non potevo sbagliarmi. Il cielo nuvoloso e minaccioso annunciava un temporale inevitabile, ma così non fu. Tutto d'un tratto apparve un raggio di sole che trafisse tre creature insieme. A quel punto capii che il profumo di mare proveniva da Alessandra e il bagliore solare da Allen. Loro stavano combattendo contro i mostri che erano troppi da contare. Cosa stavo facendo lì ferma? Perché non intervenivo in loro aiuto? Ero soltanto una spettatrice esterna della lotta? Mi guardai in giro per cercare di capire, per trovare una soluzione a quel blocco, ma trovai tutt'altro. Una manticora mi saltò addosso digrignando i denti affilati, mi stringeva forte fra i suoi artigli e percepii la sua stretta mortale. -Questa volta morirai!- ringhiò il mostro. Mi svegliai di soprassalto nel mezzo della notte. Avevo il respiro affannoso, sudavo e morivo di caldo, eppure era stato solo un sogno e niente di più. Mi era sembrato così reale... come se i miei amici stessero veramente rischiando la vita, come se io stessi per morire per mano della manticora. Odiavo quel mostro. Era riuscito ad entrare nella mia mente. Mi alzai e mi diressi fuori nel corridoio. Restai a guardare le stelle per un po' dalla piccola finestra appena fuori dalla mia stanza, mentre continuavo a pensare alle mie visioni. Annabeth mi aveva raccontato che spesso i sogni, o gli incubi, dei semidei si avverano come se fossero premonizioni. Ero terrorizzata al pensiero che potesse accadere ciò che avevo visto quella notte. Non volevo pensare che avrei portato a morte certa i miei amici prima o poi. Non volevo morire per mano di Field. Non gli avrei permesso di rovinare la vita a me e ai miei amici. L'incubo non si sarebbe avverato. Quando tornai in camera con questi timori, ci misi un po' a riaddormentarmi. Il brutto sogno si ripeté all'infinito finché non venni svegliata di soprassalto la mattina dopo. Intorno a me i miei compagni mi accerchiavano preoccupati perché non riuscivano a svegliarmi. Picchiai una testata contro qualcuno. -Finalmente ti sei svegliata! Mi stavi allarmando- esclamò Allen tirando un sospiro di sollievo. Si massaggiò la fronte per la botta presa contro la mia testa. Diedi il buongiorno agli altri come se tutto fosse normale, dopotutto io non mi ero resa conto della sveglia. -Ti agitavi nel sonno, urlavi e dopo un po' hai iniziato a sudare. Pensavo che Allen sarebbe riuscito a svegliarti in un modo o nell'altro, così l'ho chiamato- disse Lindsay stringendomi la mano preoccupata. L'unica che se ne stava fregando altamente delle mie condizioni ovviamente era Barbie. I miei compagni iniziarono ad uscire dalla camera ed andarono a fare colazione, rimanemmo solo Allen ed io. -Cosa hai sognato?- mi chiese schietto. Sentii gli occhi lucidi, le lacrime non dovevano scendere, non dovevo piangere. -Va tutto bene, tranquilla. Non provare a far uscire neanche una piccola lacrima, sennò comincio anch'io e finiamo come in Alice nel Paese delle Meraviglie- mi consolò Allen abbracciandomi. -Grazie, anche se non mi dispiacerebbe capitarci- provai a sorridere. -Due matti in più o meno laggiù a loro cosa cambia?- esclamò lui ponendo fine all'abbraccio. -Dimmi la verità, hai sognato Field?- divenne serio tutto d'un tratto, come la questione lo richiedeva. Annuii piano fissando la moquette marrone. -Devi star tranquilla, non ti farà più del male- si alzò e mi invitò a fare lo stesso. -Cambiati. Ti aspetto fuori così si va a fare colazione con gli altri- disse sorridendomi prima di uscire dalla camera.

 

 

-Dovete sapere che questa galleria è stata la prima architettura italiana creata con i nuovi materiali dell'età del ferro europea, quali il vetro e il ferro, appunto. Ci misero ben dodici anni a costruirla- spiegai ai miei amici. -Potevi evitare- esclamò Allen guardando la cupola di vetro sopra le nostre teste. -A me è interessato- mi confortò Lindsay. La ringraziai con lo sguardo prima di tornare ad osservare la magnificenza della Galleria Vittorio Emanuele II. -Tutte le cose affascinanti hanno bisogno di una spiegazione, così sono più attraenti- giustificai la mia mania di spiegazioni architettoniche. -Io non ho bisogno di chiarimenti o interpretazioni, eppure sono così affascinante- mi sorrise divertito Allen. Lo spinsi via rischiando di buttarlo addosso ad altri passanti. Il Palazzo Reale era uno dei palazzi più belli che avessi mai visto. Le scalinate non mi facevano più effetto, visto che ero abituata a vederle e camminarci ogni giorno all'Accademia. Le sale, però, erano favolosamente decorate, ognuna di un colore diverso e sarei voluta rimanere ad assaporarne ogni dettaglio per minuti e minuti, se non mi avessero trascinato via. La sala da ballo era ricca di grandi candelabri eleganti che scendevano dal soffitto. Sfortunatamente era in restaurazione, ma mi bastò chiudere gli occhi per immaginarmi il suo aspetto originario e regale. Volteggiai da sola per la sala come una scema, lo facevo ogni volta che visitavo una sala da ballo di un castello, fregandomene degli altri turisti. Ballavo sognante, fantasticando sulle mille feste e ricevimenti che si erano susseguite al suo interno. -Mi manca solo l'abito blu notte dei miei sogni e il mio cavaliere- sospirai immaginando la mia favola personale. -Potresti tornarci con Nico qui, così ti mancherà solo l'abito che penso sia il minimo- mi consigliò Allen raggiungendomi. La stanza successiva era la biblioteca del palazzo e a me sembrò di essere finita nel cartone de La Bella e la Bestia. I suoi colori azzurro e bianco la illuminavano senza il bisogno della luce solare o artificiale. Era spettacolo puro. Ero circondata da librerie alte dieci metri colme di libri rilegati in pelle rossa, blu, verde, marrone, arancione, bordeaux. Quell'arcobaleno di libri mi aveva ipnotizzata. -Oh no, ha visto i libri- si disperò Allen conoscendo la mia passione per la lettura e le biblioteche. -Vi prometto che non ci metterò tanto, voglio solo godermi questo posto finché posso- esclamai accarezzando le librerie bianche. Il pavimento era a scacchi color rame e avorio mentre le pareti libere erano azzurro pastello con delle rifiniture laccate d'oro. La cupola sopra le nostre teste splendeva come un gioiello e al suo interno erano rappresentati vari personaggi. Presi la cartina del palazzo per cercare delle informazioni sulle decorazioni del soffitto che vedevo a malapena. -Questa stanza è stata dedicata alla dea romana Minerva, in quanto dea, protettrice e seguace della saggezza, dell'ingegno e delle arti utili quali l'architettura, l'ingegneria...- iniziai a leggere ad alta voce fino a quando la luce dell'immensa finestra che avevo di fronte non mi accecò. Mi parai il volto con le braccia e il sole venne coperto da qualcosa che mi stava volando incontro. Abbassai le braccia e vidi che una civetta bianca e marrone stava venendo verso di me con un ramo nel becco. Allungai il braccio destro verso il volatile che vi si posò e lo avvicinai per accarezzarlo delicatamente. Mi donò ciò che teneva nel becco: un rametto di ulivo. Lo riconobbi subito perché, oltre ad essere uno dei simboli di mia madre, era un ricordo della mia infanzia passata a giocare fra gli ulivi. -Mamma...- bisbigliai. Per la prima volta da quando avevo scoperto di essere una semidea sentivo che mia madre mi era vicina. -Forza, andiamo! Farai tardi all'appuntamento con Alessandra- il figlio di Apollo mi incitò a proseguire con la visita ma si zittì non appena mi vide in compagnia della civetta, che nel frattempo si era appollaiata sulla mia spalla destra. -Wow...com'è arrivata qui?- mi domandò lui sconcertato. -Non ne ho idea, da lassù ma la finestra è chiusa come puoi notare- gli riferii. -La divina Atena ti starà ponendo i suoi omaggi o è il suo modo per salutare i figli, non lo so- esclamò Allen sistemandosi i capelli. -Qualunque sia il motivo, ne sono felice- accarezzai un'ultima volta la civetta prima che riprendesse il volo ed io la mia gita. Il resto della giornata lo passai in compagnia di Alessandra. Mi portò a pranzare nella sua pizzeria preferita, un locale piccolo ma accogliente. Decisi di optare per una con speck e mascarpone. Alessandra e il suo amore indissolubile per la pizza non fallivano mai, era deliziosa! –Quali sono i piani per oggi?- domandai alla figlia di Poseidone mentre tagliavo un pezzo di pizza. –Ti porto in piscina- borbottò addentando il suo pasto preferito. La guardai male. Odiavo le piscine, odiavo l’acqua. –Sai che odio nuotare- mi lamentai continuando a mangiare. –Infatti non dovrai farlo, noiosa. Voglio farti vedere una cosa- mi chiarì lei. Quando uscimmo dalla pizzeria, Alessandra non era sicura se la nostra destinazione fosse a destra o sinistra, eppure ci viveva lei a Milano. Alla fine si decise e proseguimmo verso la nostra destra, dove si stagliavano nel cielo alti edifici, alcuni ultra moderni, altri in disuso. Qualcosa spuntò fuori da una delle strutture abbandonate e prese Alessandra per un braccio. La trascinò dentro con sé ma, appena entrai per inseguirli, ciò che aveva afferrato la mia amica era già scomparso. Rimaneva solo lei con un po’ di polvere sui vestiti. –Cosa diamine è appena successo?- chiesi stupefatta. La figlia di Poseidone si pulì gli indumenti come meglio poté. –Scusami, non te l’ho detto ma succede più spesso di quel che si pensi. A quanto pare il mio odore da figlia di uno dei Pezzi Grossi si sente parecchio- mi spiegò. –È stato piuttosto rapido e indolore- commentai. Dietro di lei qualcosa si erse su due gambe pronto ad attaccare. –Ale!- le feci segno di stare attenta alle sue spalle. La semidea volse a malapena lo sguardo verso il mostro e con un movimento rapido del braccio sinistro lo fece diventare polvere. –Ma fortunatamente sono solo creature deboli, il più delle volte, tipo questa- disse girandosi verso il mucchio di cenere che poco prima l’aveva attaccata. Con cosa aveva attaccato? Avevo semplicemente visto il suo braccio muoversi ed ero sicura che fino a qualche minuto fa la figlia di Poseidone non fosse armata, almeno non visibilmente. –Quale arma hai usato?- le domandai mentre continuavamo la nostra passeggiata verso la piscina. –Oh, questi bracciali- mi indicò i due braccialetti ramati che portava su entrambi i polsi. Non gli avevo dato molta della mia attenzione in precedenza, pensando fossero solo due oggetti decorativi. Si allontanò da me con un passo e mi mostrò i suoi giochi nuovi di zecca. Due pugnali emersero dai bracciali con un movimento secco delle sue mani. Capì la domanda che le stavo per fare con un solo sguardo e mi precedette. –Sono un dono di Ryan. Durante le nostre chiamate gli raccontavo dei miei incontri “mostruosi” e lui me li ha forgiati su misura con il bronzo celeste e gli attrezzi che si era portato via dal Campo, con il permesso di Chirone ovviamente-. Erano due pugnali decisamente notevoli e pronti all’uso. In piscina ci sedemmo al centro della gradinata come normali spettatrici. Tutto era sui toni del blu e del verde acqua, chiari e scuri. Vicino a noi qualche coppia di genitori osservava i figli nuotare e li incitavano a dare il meglio. Di tanto in tanto Alessandra muoveva lievemente le mani, o semplicemente le dita, e l’acqua si muoveva a suo piacimento. Se vedeva qualcuno che le stava antipatico gli faceva prendere delle botte contro l’acqua durante i tuffi indurendola o cambiando la corrente inesistente della piscina. Quando tutti se ne andarono negli spogliatoi, mi fece vedere ciò che sapeva veramente fare da brava figlia del dio del mare. Si alzò e mi consigliò di scostarmi un po’ da lei. Sollevò le braccia orizzontalmente, l’acqua l’ascoltò subito e si levò sotto i suoi comandi. Non aveva bisogno di urlare gli ordini, doveva solo pensare a quel che voleva che accadesse, i movimenti del suo corpo bastavano a far reagire l’acqua sotto di lei. Alessandra diede uno schiaffo all’aria e nella piscina si formò un’onda alta, di quelle che i surfisti sognano per tutta una vita. Sul comando della mia amica, l’acqua andò a schiantarsi contro il muro e, prima che altri abbonati tornassero e vedessero ciò che Alessandra aveva combinato, scappammo via. La vacanza passò tranquilla, tranne le notti. Continuavo a fare il solito sogno, anzi incubo, ma non dovevo pensarci troppo perché sarei tornata presto al Campo.

 

Un mese dopo festeggiammo la fine dell’anno scolastico in pieno stile musicale. Fu allestito un palco nell’immenso giardino dell’Accademia, di fronte all’ingresso. Molti ragazzi preferirono fare da tecnici e truccatori piuttosto che mettersi in mostra, mentre i più piccoli emozionati se ne stavano sull’erba aspettando l’inizio dello spettacolo. Eravamo in cento a volersi esibire, infatti la festa sarebbe durata tutto il giorno, concludendo così l’anno in bellezza. Allen ed io partimmo con una canzone americana della band “Skillet”. Restammo in divisa senza preoccuparci dei costumi di scena, visto che avremmo dovuto indossarli per la canzone a tema successiva. Cantammo “Hero”, di cui avevamo molto a cuore il testo e pensavamo che, in un certo senso, potessimo rispecchiarci in essa, ma ancora non sapevamo quanto fosse vera questa nostra idea.


I am just a man
Not superhuman
I'm not superhuman
Someone save me from the hate

It's just another war
Just another family torn
Falling from my faith today
Just a step from the edge
Just another day in the world we live
Who's gonna fight for the weak
Who's gonna make 'em believe
I've got a hero
Livin' in me

I'm gonna fight for what's right
Today I'm speaking my mind
And if it kills me tonight
I will be ready to die

Allen non era fatto per il rock, infatti intonò la canzone a modo suo e la sua voce melodiosa risaltò lo stesso. Ovviamente appena le ragazze nel pubblico lo videro salire sul palco partirono delle urla eccitate da tutto il giardino che culminarono in un “tu sei il mio eroe” generale alla fine dell’esibizione. Lindsay ci aiutò con i costumi da pirati con cui ci saremmo dovuti mostrare tra qualche canzone. La mia casacca era interamente di pelle nera con rifiniture blu, mentre quella di Allen era nera e bordeaux. Sì, le ragazzine sarebbero morte sul colpo. –Se ogni tanto ti sistemi i capelli e ammicchi al pubblico rischi di far secca qualche ragazza- lo avvertii. –Non posso farci niente, è il fascino irresistibile del pirata che è in me- mi sorrise divertito. Sapeva essere un vero idiota. Durante questa canzone io sarei stata la voce principale, ma poco importava perché le persone si sarebbero concentrate sul figlio di Apollo probabilmente. “What’s my name” fu divertente da provare ed era l’occasione buona per darmi delle arie, nonché la scusa perfetta per il mio migliore amico di vantarsi e far sbavare qualcuna.

I’m the queen of this town
I call the shots, you know who I am
I don’t need to wear no fake crown
Stand up to me you don’t stand a chance
It’s our time we up next!
My crew’s as real as it gets
The worst is now the best
And leaving us here
Will be their last regret
What’s my name?
Say it louder!
What’s my name?
Feel the power!
No one’s gonna stop us
Soon the world will be ours
What’s my name?
What’s it!, what’s it!
Say it! say it!
 

La frase che stava più a pennello ad Allen fu: never learned how to count cause I'm number one. Fu difficile rimanere seria, ma subito dopo l’esibizione glielo feci presente e lui concordò con me. –Ovvio che sono il numero uno- disse alzando le spalle mentre se la rideva. Il mattino seguente avremmo preso un aereo per New York e avremmo fatto ritorno al Campo Mezzosangue, tornando alla nostra vita da semidei, ed io non vedevo l’ora di riabbracciare Nico.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Mir7