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Autore: Cricrip    22/11/2017    1 recensioni
Zosan AU
La vita di Roronoa Zoro è cambiata da quando, alla morte della moglie Kuina, suo figlio adottivo Hiro è entrato nella sua vita. Ora è un genitore modello e lui e Hiro vivono una vita tranquilla e felice. Poi un giorno, davanti alla tomba della madre di Hiro, Violet, incontrano un uomo che sembra conoscerla. Chi è questo sconosciuto dal sopracciglio a ricciolo che proviene dal passato di Violet, i cui occhi azzurri e capelli biondi combaciano con quelli di Hiro?
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Charlotte Pudding, Monkey D. Rufy, Roronoa Zoro, Sanji, Violet | Coppie: Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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1.NELLO STESSO GIORNO
12 marzo.
Zoro guardò ancora una volta la data sul calendario appeso davanti alla sua scrivania, cerchiata tre volte con un pennarello rosso, e poi di nuovo l’orologio al suo polso.
11.40
Mancavano ancora dieci minuti.
Si costrinse a far tornare la propria attenzione sul rapporto aperto sulla sua scrivania: pagine e pagine di linguaggio formale e burocratico, inutile e noioso, che nessuno avrebbe mai riletto. Ormai erano ore che rimaneva sulla stessa identica riga, senza riuscire ad andare avanti.
-Sei distratto, Zoro.
Il giovane alzò lo sguardo, e vide la sua collega Tashiji che faceva capolino oltre la barriera che separava le loro due scrivanie.
La sua collega era una bella e giovane donna, brillante, con un senso della giustizia ligio e genuino che si esprimeva in ogni cosa che faceva. I suoi occhi scuri, che lo guardavano tramite le lenti degli occhiali, erano divertiti.
-Avrei dovuto chiedere il giorno libero…- borbottò Zoro.
-Ci hai pensato…- gli ricordò la ragazza- Ma non sarebbe cambiato molto visto che Hiro aveva una verifica importante oggi a scuola.
Stupida scuola. Rimuginò tra sé Zoro.
Certo, da bravo genitore quale era non l’avrebbe mai detto a suo figlio… ma quel giorno era speciale.
-Avrebbe potuto saltarla…- disse a Tashiji, che ridacchiò.
-Come se gliel’avessi mai lasciato fare…- lo prese in giro- proprio tu… padre ligio e irreprensibile.
Zoro sbuffò, ma sapeva che l’altra aveva ragione.
Se il ragazzo che era stato solo qualche anno prima l’avesse visto adesso… Allora, la vita gli sembrava molto meno difficile, e l’andare a scuola gli sembrava stupido e superfluo: la considerava una perdita di tempo… dopotutto si poteva benissimo dormire sul divano di casa piuttosto che sul banco no? Per non parlare poi di tutti i pomeriggi passati a correre dietro a Rufy e i suoi fratelli invece che sui libri.
Ma le cose erano diverse adesso… e tristemente sembrava davvero che Roronoa Zoro fosse diventato un adulto responsabile.
Avere un figlio da crescere doveva aver avuto una certa influenza nella faccenda.
Guardò nuovamente l’orologio.
11.42
Cominciò a ticchettare la penna su quello stupido rapporto. Altro che adulto: gli sembrava di essere di nuovo un tredicenne in punizione, costretto a guardare gli altri esercitarsi per il torneo mentre lui era restava seduto alla panchina col broncio.
-Zoro…- sentì chiamarlo Tashiji
-Cosa?- rispose lui di malavoglia.
Alzò di nuovo gli occhi, incrociando lo sguardo divertito e insieme dolce della sua collega.
-Dai, vai a prendere tuo figlio, musone.- disse ridendo- Ti copro io con Smoker.
Zoro spalancò gli occhi.
-D-davvero?
La ragazza annuì.
-Ma…
-Muoviti.
Zoro non se lo fece ripetere.
-Grazie! Ti devo un favore.
Non aspettò nemmeno un secondo e si precipitò fuori dal posto di lavoro… solo per tornare in tutta fretta poco dopo a recuperare chiavi, cellulare e portafoglio.
-Ho dimenticato nient’altro?- chiese guardandosi intorno frenetico.
-Forse la testa.- scherzò Tashiji.
Lui le rivolse un’occhiataccia e corse di nuovo fuori.
-Ah, mi raccomando,- la sentì dire ancora mentre usciva- non dimenticarti di auguragli da parte mia buon compleanno!
 
Zoro riuscì a raggiungere la scuola del figlio giusto in tempo per sentire il suono dell’ultima campanella.
I ragazzi presto cominciarono a precipitarsi fuori, ansiosi di iniziare il loro weekend di libertà. Erano una vera mandria: uscivano in branco, alcuni parlottando in piccoli gruppetti e altri correndo nella misura in cui gli zaini glielo permettevano.
Zoro cercò per un po’, invano, di localizzare una familiare testa bionda, così si limitò ad aspettare.
Fu solo quando la maggior parte dei ragazzi era già uscita che finalmente vide Hiro. Era più minuto rispetto ai suoi coetanei, di corporatura più esile ma non per questo fragile. Aveva dei capelli biondi tagliati corti e un paio di grandi occhi azzurri: Khurea diceva sempre che avrebbe fatto strage di cuori una volta cresciuto. Scendeva dalle scale con espressione concentrata, con nelle mani i libri che non ci stavano nello zaino.
Zoro sorrise, addolcendosi a vederlo impegnarsi così. Suo figlio era il punto debole contro cui non riusciva a difendersi: l’aveva accettato molto tempo prima.
-Papà! Sei arrivato in anticipo!- esclamò Hiro, contento, appena lo vide, correndo subito verso la macchina.
-Ringrazia Tashij, che mi ha anche detto di farti i suoi auguri.- gli disse Zoro.
Il volto del ragazzo si rabbuiò.
-Cosa c’è?
-Qualcuno ha scoperto che il vero giorno del mio compleanno era oggi.- cominciò il ragazzo tenendo lo sguardo basso- Hanno passato tutta la giornata a farmi gli auguri e a festeggiare.
Zoro capiva bene come si sentiva: era il suo compleanno, un giorno di gioia e da festeggiare per tutti, ma che per loro aveva un altro sapore.
Per questo passavano sempre quel giorno insieme. Solo loro due.
Era una tradizione che durava da quando Hiro era stato abbastanza grande perché lui potesse dirgli la verità su quell’anniversario.
Non era stato facile, né piacevole. Ma non era giusto mentirgli, né nascondergli la verità sulle due donne per cui si erano ritrovati uniti e a cui entrambi dovevano così tanto.
Sono passati dodici anni…
Era strano pensarlo.
Dodici anni da quando la vita di Zoro era completamente cambiata, e in cui quella di Hiro aveva avuto inizio.
 
Era iniziata come una giornata uguale a tutte le altre… e si era trasformata in un incubo. Zoro aveva ricevuto la telefonata al lavoro, e si era subito precipitato in ospedale. Ma non avrebbe potuto fare niente…
Era già troppo tardi.
Kuina stava morendo.
Zoro era al suo fianco. Seduto su quel letto d’ospedale a guardare il viso stanco e provato della moglie… la donna forte e indipendente che gli aveva rubato il cuore.
Lei gli stava sorridendo.
-Andrà tutto bene, Zoro.- disse Kuina, allungando la mano verso il viso di lui per asciugargli le lacrime che lo rigavano.
-Tu sei la mia luce, la mia guida e ora stai andando via: niente andrà bene.- replicò lui, stringendo quella mano ormai debole che lo stava accarezzando con dolcezza.
Non voleva lasciarla andare. Non poteva.
Lei era tutto il suo mondo: non riusciva a immaginare una vita in cui lei non ci fosse…
-Lo so che puoi farcela Zoro… sei un uomo forte.
-Non così forte.
Kuina gli regalò un altro sorriso, triste.
-Mi dispiace…
-Non è colpa tua.- Zoro scosse la testa- Dovrei essere io a consolarti…
-Non sei tu che mi stai lasciando.
Perché? Perché doveva succedere? Era così ingiusto… erano così felici.
Tutto quello che voleva era stringere la donna che era diventata il suo mondo e non permettere che andasse via.
Ma non era possibile. Poteva solo stare lì e guardarla scivolare via da lui.
Non avrebbe più visto quel sorriso, i loro occhi non si sarebbero più incrociati in una stanza piena di gente, incatenandosi e facendo loro dimenticare il resto del mondo.
-Zoro…- Guardò di nuovo la donna. Sembrava infinitamente più debole ora, ma negli occhi il ragazzo vi vide la solita determinazione- Ho un favore da chiederti.
 
Appena Hiro fu salito in macchina, Zoro mise in moto.
In appena dieci minuti furono a casa.
-Hai preso tutto vero?- chiese Hiro sospettoso.
-Tutto quello che c’era sulla lista…- rispose Zoro, guardandolo un po’ preoccupato.
Trovava ancora strano vedere suo figlio di dodici anni armeggiare in cucina con fornelli e coltelli, ma ormai si era abituato a conviverci. D’altra parte non era certo una cosa diffusa per un padre sentirsi chiamare la sera, mentre controllava le ultime cose del lavoro, con la frase: “Papà è pronta la cena!”
Chissà da dove era saltata fuori quella strana fissazione per la cucina.
Zoro comunque l’aveva lasciato fare, convinto che ognuno dovesse seguire le proprie passioni.
Così erano cominciati gli esperimenti… e non era sempre finita bene.
Per quanto infatti Hiro fosse caparbio e si impegnasse, la maggior parte delle volte Zoro si era ritrovato con il palato bruciato dalle troppe spezie o con dei fastidiosi movimenti nello stomaco che l’avevano fatto correre al bagno più volte durante la notte.
Comunque alla fine un miglioramento c’era stato… e suo figlio si era stabilizzato su un livello culinario “commestibile”.
Zoro accese la tv mentre suo figlio cominciava a lavorare sugli ingredienti che gli aveva fatto comprare. L’avrebbe anche aiutato, ma l’ultima volta che l’aveva fatto la cucina era quasi esplosa... perciò lasciare Hiro ad occuparsene per conto proprio era la cosa migliore.
Quando il figlio ebbe finito, Zoro vide in cosa consisteva il pranzo: un piatto di lasagna agli spinaci contornato di mozzarella filante.
-Com’è?- si informò subito Hiro, appena il padre dette il primo morso.
-Buono…
-Tu dici sempre così, papà.- sbuffò il ragazzo.
Il padre si limitò a sorridere e a spettinargli i capelli: era cresciuto a birre e pizza, le sue papille gustative non erano il massimo.
Mangiarono in un silenzio confortevole per un po’, finché Zoro non notò che Hiro aveva cominciato a lanciargli occhiate strane, e si strofinava la mani come se fosse nervoso per qualcosa.
-Papà…- gli domandò poi- posso chiederti una cosa?
La sua voce sembrava esitante, e Zoro gli prestò subito attenzione.
C’era qualcosa che non andava? Qualcosa a scuola?
Sapeva che Hiro era un ragazzo gentile e onesto… sempre pronto ad aiutare gli altri. E sapeva per esperienza che persone del genere avevano difficoltà a scuola, dove c’erano sempre compagni pronti a prendersi gioco di loro, ad umiliarli… non avrebbe permesso che qualcosa di simile capitasse a suo figlio.
-Dimmi.
-Zia Tashiji… è una donna bellissima, vero?- cominciò il ragazzo.
La domanda lo lasciò per un attimo spiazzato.
-Direi di sì…- confermò Zoro, incerto.
La prima volta che l’aveva vista, aveva pensato subito che assomigliava un po’ a Kuina.
-Non è che vorresti uscire con lei?
Quella domanda arrivò così inaspettata che per poco a Zoro non andò di traverso un pezzo di pane.
-C-cosa? No! Perché lo chiedi?
-Papà… io lo vedo che sei sempre da solo.- disse Hiro, guardandolo dritto negli occhi.
-Di cosa stai parlando?- chiese Zoro sulla difensiva- Andiamo sempre da nonno Koshiro… e Nami e Rufy sono sempre da noi!
-Intendo stare davvero insieme a qualcuno, papà.- specificò il ragazzo, senza demordere.
-Oh.
Zoro guardò Hiro, che lo fissava con aspettativa. Sospirò.
-Lo sai… mia moglie- disse sincero.- Kuina… è la sola persona di cui mi sia mai innamorato.
-Ma non vorresti innamorarti di nuovo?- lo incalzò il ragazzo.
Zoro si passò la mano dietro il collo.
-hiro, non è così semplice innamorarsi.
-Ma se non provi mai a conoscere nessuno di nuovo come fai!- protestò Hiro.
Aveva ragione in quello.
Più o meno.
Zoro ci aveva provato, a qualche anno dalla morte di Kuina, ad accettare gli inviti di alcune donne per un appuntamento o a cena, proprio come gli avevano consigliato Nami e gli altri milioni e milioni di volte. Ma Zoro non era mai riuscito ad andare oltre il terzo incontro: qualcosa andava sempre storto. Avevano sempre da lamentarsi che non dava loro abbastanza attenzione… e lui finiva sempre per liquidarle in fretta.
La verità era che Zoro non voleva innamorarsi di nuovo… non credeva nemmeno di essere in grado di farlo. Erano passati dodici anni… ma ancora non riusciva a lasciarla andare. Anche se era stata lei stessa a dirgli di trovare un’altra persona con cui condividere la vita…
Ma quella persona ormai era Hiro. Era tutta la sua vita, per lui avrebbe fatto di tutto. Se anche un giorno avesse trovato qualcuno, quella persona avrebbe dovuto capire che suo figlio sarebbe venuto sempre prima.
Guardò Hiro, che tormentava con la forchetta la povera pietanza da lui cucinata.
-Sono preoccupato per te…- confessò il ragazzo-  non vorrei che pensassi che io mi sentirei a disagio…
-Tu non c’entri.- lo rassicurò Zoro. Era solo lui. Lui che aveva visto l’amore della sua vita spegnersi sotto i suoi occhi e lasciarlo. Non credeva che si sarebbe potuto riprendere… ma era arrivato Hiro. Era stato un vero miracolo per lui.
-Dai, andiamo a cambiarci,- disse Zoro- ci aspettano in palestra.
A quella frase, gli occhi del ragazzo si illuminarono.
-Hai prenotato?
Zoro sorridendo, annuì, e in men che non si dica il ragazzo era già corso nella sua stanza a preparare il borsone necessario.
 
Duellarono a lungo.
Hiro non l’aveva ancora raggiunto ma Zoro era orgoglioso dei progressi che aveva fatto.
La spada era sempre stata sempre la passione di Zoro, una che aveva condiviso con Kuina e che aveva regalato loro momenti indimenticabili, unici e felici. Ora condivideva quella stessa passione con Hiro, e se anche non era la stessa cosa, non avrebbe mai barattato quello per niente al mondo.
Finito di combattere e di fare la doccia, padre e figlio uscirono.
Durante il tragitto, l’entusiasmo si spense, pian piano e i due caddero in un rigoroso silenzio, mentre Zoro imboccava la strada verso il cimitero.
Anche quello faceva parte della loro tradizione.
Una volta parcheggiato nello spiazzo davanti all’entrata, scesero dalla macchina e cominciarono a camminare verso il percorso che sapevano a memoria.
La prima tomba che visitarono fu quella di Kuina.
Hiro non l’aveva mai incontrata. E come avrebbe potuto? Era morta esattamente nello stesso giorno in cui lui era nato.
Ma Zoro gliene aveva parlato. Gli aveva parlato della sua decisione, dei suoi dispetti e della sua forza di carattere, e anche di come sorrideva. Prima ancora di essere sua moglie, lei era stata la sua migliore amica.
Lasciarono entrambi dei fiori blu sulla tomba, e poi si diressero verso la successiva, quella della vera madre di Hiro.
Zoro aveva l’impressione che spesso suo figlio immaginava Kuina come sua madre. D’altra parte non poteva sapere nulla della sua vera madre. E Zoro non poteva sopperire a tale mancanza: aveva conosciuto Violet lo stesso giorno in cui lei era morta.
Sapevano solo il suo nome: nessuno dei conoscenti della donna si era presentato al funerale. Zoro aveva chiesto, ma la donna era stata troppo concentrata su suo figlio per preoccuparsi del resto.
Era stato Zoro ad occuparsi del funerale.
-Pensi che sarebbe orgogliosa di me?- chiese Hiro ad un certo punto, mentre camminavano.
-Sono sicuro di sì.- cercò di rassicurarlo il padre: lui almeno lo era.
-Avrei voluto conoscerla…- una richiesta sussurrata, quasi timida.
Zoro sentì il suo cuore stringersi. Odiava guardare suo figlio soffrire senza poter fare niente.
Gli mise una mano sulla spalla, stringendolo a sé.
Lui c’era. Per Hiro, ci sarebbe stato sempre: anche se non era abbastanza, era l’unica cosa che poteva offrire.
Fecero il resto del tragitto in silenzio.
Violet era in una parte isolata del cimitero, di cui molti non conoscevano nemmeno l’esistenza, riservata a coloro di cui non si sapeva nulla, la cui identità non era stata provata.
La madre di Hiro non aveva lasciato nulla dietro di sé, non aveva voluto rivelare nulla nemmeno a Zoro più di quanto fosse stato necessario.
Stavano per arrivare in vista della tomba quando Hiro di bloccò di colpo.
-Papà… chi è quell’uomo?
-Hun?- Zoro si riscosse dai suoi pensieri, spostando lo sguardo nel punto che suo figlio stava indicando.
Una figura era in piedi alla tomba anonima e povera di Violet.
Strano.
Zoro era sicuro che loro fossero gli unici che andassero a visitarla.
Man mano che si avvicinavano, l’uomo acquistava più particolari: era alto, slanciato. Vestito in quello che appariva un completo nero, impeccabile e costoso. I capelli erano biondi, gli occhi azzurri.
L’uomo non sembrò notarli mentre si avvicinavano. Aveva uno sguardo triste, fisso sulla tomba… la tomba di Violet.
Zoro lo osservò abbassarsi, per poi sfiorare la foto sotto il nome con dolcezza.
Sentì Hiro irrigidirsi sotto la sua mano.
-Cosa stai facendo?- chiese il ragazzo.
L’uomo si voltò di scattò, sorpreso: Zoro poté vedere il suo volto meglio adesso, compreso uno strano sopracciglio a ricciolo che curvava verso l’alto, mentre metà del viso era nascosto da un ciuffo di capelli biondi.
Lo sconosciuto li fissò entrambi, mentre ancora era accovacciato a fianco della lapide.
-Quella è la nostra tomba.- rimarcò Hiro, avanzando verso l’intruso.
L’uomo sbatté le palpebre, confuso. Sembrava sul punto di voler dire qualcosa in sua difesa, ma poi di colpo di bloccò: il suo sguardo si fissò su Hiro. Zoro i suoi occhi spalancarsi di colpo, in un’assoluta sorpresa, mentre mettevano a fuoco più particolari del ragazzo.
Per qualche motivo, quello sguardo disturbò Zoro, che subito si mise tra l’uomo e il figlio, spingendo protettivo Hiro indietro con la mano.
Il biondo però non sembrò accorgersene tanto il suo sguardo era fisso.
-Dacci un taglio biondino.- lo minacciò, ma non ebbe alcun effetto.- Hey dico a te!
Alzare la voce sembrò attirare la sua attenzione: scosse la testa come ritornando alla realtà e allora si accorse della presenza di Zoro.
Scattò in piedi immediatamente, allontanandosi di un passo da loro.
-Cosa ci fai su questa tomba?- chiese ancora Hiro, accusatorio.
-Io… lei…- rispose l’uomo, che sembrava incapace di trovare le parole- la conoscevo… molto tempo fa…
-Nessuno la conosceva.- ribatté il ragazzo, sempre più arrabbiato- Questa è la tomba della mia mamma.
L’uomo non rispose, restando a fissarli in silenzio, con uno sguardo indecifrabile.
-Io…- disse infine- devo andare.
E prima che Zoro o suo figlio potessero aggiungere altro, l’uomo si voltò e corse via.
   
 
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