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Autore: Shainareth    23/11/2017    7 recensioni
Shot ambientata dopo l'episodio 6 della seconda stagione.
«Mi chiedo davvero se sto facendo la cosa giusta», ponderò a mezza voce, le mani affondate nella cassapanca della sua camera, alla ricerca di qualcosa da indossare prima di uscire. Non che volesse fare bella figura agli occhi di Chat Noir, di quello davvero non gliene importava un accidenti. Piuttosto, voleva fare in modo che lui non potesse ricollegarla in alcun modo a Marinette, che più di una volta aveva salvato dalle vittime di Papillon, in passato. E se già aveva fatto lo scemo con lei in un’occasione, temeva che scoprendo la verità Chat Noir potesse fare persino di peggio, visto il modo in cui si comportava di solito con Ladybug.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Verità'
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VERITÀ




«Chat Noir, aspetta!»
   Pur stupito, lui arrestò il passo proprio quando stava per prendere lo slancio per filare via, il miraculous che emetteva il segnale per avvisarlo che il tempo stringeva. Si volse a fissarla, continuando una corsetta sul posto per sottolineare la propria fretta. «Hai voglia di vedere il mio bel faccino?»
   «No», rispose Ladybug, ignorando il suo tono giocoso. «Ho bisogno di vederti domani, nel pomeriggio. È importante.»
   «Mi stai chiedendo un appuntamento, my lady
   Ruotò le pupille scure al cielo e sospirò. «Fatti trovare davanti alla giostra di Montmartre alle cinque.»
   «E da lì speri di sedurmi portandomi a Pigalle?»
   «Ti voglio in abiti civili.»
   Chat Noir fermò la corsa, restando a fissarla immobile e con la bocca spalancata. «Sono talmente stupito che non farò battute su quell'accattivante Ti voglio che hai appena pronunciato», borbottò quasi fra sé, gli occhi spalancati. «Sul serio vuoi che venga lì senza la maschera?» Inarcò un angolo della bocca verso l’alto, in un sorriso sghembo e felice. «Potrò finalmente sapere che aspetto hai?»
   «Neanche per sogno», replicò serafica la ragazza, intrecciando le braccia al petto. «Il punto è che nessun altro, a parte noi, deve sapere di questo incontro. Non voglio ficcanaso, solo tu ed io.»
   «E non è un appuntamento», tornò ad accertarsene Chat Noir, cercando di capirci qualcosa.
   «Indossa quello che vuoi, ma non renderti riconoscibile per nessuno, nemmeno per i tuoi amici. Io farò lo stesso.»
   «E come faremo a trovarci, in mezzo alla folla? Con la forza dell’amore?»
   «O dell’idiozia, chi lo sa.»
   «My lady, posso sapere almeno di che si tratta?»
   «Ti fidi di me?»
   «Non fare domande inutili», si lamentò, quasi come se lei lo avesse offeso nel profondo.
   «Allora fila via, prima che io veda quel tuo bel faccino», lo prese in giro Ladybug, facendogli dono di un sorriso incoraggiante. «Domani saprai tutto, promesso.»

Stesa a pancia in giù sul tappeto e intenta a colorare il disegno che aveva appena fatto, Manon dondolava le gambe a mezz’aria, la punta della lingua all’angolo della bocca dalla quale usciva una melodia infantile, forse una filastrocca imparata all’asilo. In un altro punto della camera, Marinette rovistava fra la propria roba, alla ricerca di qualcosa che potesse tornarle utile per il pomeriggio successivo. Sperava di avere ancora un vecchio paio di occhiali da sole, ricordando troppo tardi che gli ultimi che aveva acquistato li aveva poi utilizzati per accontentare uno dei capricci di Jagged Stone.
   «Marinette?» chiamò la bimba, così all’improvviso che lei sussultò, andando a battere la testa contro la scrivania sotto la quale era chinata. Si massaggiò la parte indolenzita e si volse a fissare Manon che, tutta sorridente, le mostrava un disegno di loro due al parco, circondate da fiorellini e farfalline colorate. «Ti piace?»
   La ragazza sorrise, intenerita, e attirò la piccola a sé, facendosela sedere in grembo. «È davvero bellissimo, Manon», si congratulò, prendendo il foglio e allungando il braccio per scrutarlo da lontano come avrebbe fatto con un’opera d’arte. Si divertì a notare come la bambina avesse dato maggior attenzione alla propria figura, disegnandosi addosso un vestito pieno di rouches e fiocchi, quasi fosse pronta per una serata di gala al palazzo reale di un qualsivoglia principe azzurro. E poco importava che indossasse anche un paio di occhiali da sole a forma di cuore. «Mi piace molto il tuo vestito, sai?»
   «Mi piacerebbe un sacco averne uno così», disse Manon, tutta gongolante.
   «Posso cucirtene uno, se vuoi.»
   «Sul serio?» si entusiasmò, muovendosi per rimettersi in piedi e battere le manine fra loro. «Quando?»
   «Mi ci vorrà un po’, ma cercherò di fare del mio meglio», spiegò Marinette, restituendole il disegno.
   «Quanto? Quanto ti ci vorrà?» chiese l’altra, saltellando sul posto per l’entusiasmo.
   «Vediamo… il mese prossimo sarà il tuo compleanno o sbaglio?»
   Gli occhi di Manon si spalancarono, diventando più grandi di quanto già non fossero. «Oh, sì, ti prego! Sarebbe il regalo più bellissimo di tutti!» esclamò, allargando le braccia e tuffandosi fra quelle della sua babysitter, che subito l’afferrò e la strinse a sé con affetto.
   «Vuoi anche gli occhiali da sole?»
   «No, quelli ce li ho già», rispose la piccola, crogiolandosi nel suo abbraccio.
   «Davvero?»
   «Sì, guarda!» Si svicolò e trotterellò verso il suo zainetto, dal quale estrasse un paio di occhiali dalle lenti scure e dalla montatura di plastica fucsia, lucida e con qualche glitter appena accennato. Li mise sul naso e assunse una posa vanesia. «Come mi stanno?»
   Marinette rise. «Sei stupenda», le assicurò, scattandole una foto con lo smartphone. Le venne dunque un’idea e, per quanto le costasse chiederle quel favore, ci provò comunque. «Manon, potresti prestarmeli?» La bambina la fissò attraverso quegli improponibili occhiali da sole con aria stupita. «Prometto che te li restituirò la prossima volta che ci vedremo.»
   Ci pensò su qualche attimo, sfilandoli e osservandoli attentamente. Poi domandò: «Se te li presto, tu mi presti le bambole di Ladybug e Chat Noir?»
   «Uno scambio? Ci sto.»
   «Affare fatto, allora!» stabilì Manon, tendendo la manina per concludere l’accordo.
   Marinette gliela strinse con convinzione, benché dentro di sé tremasse al pensiero di dover arrivare con quella roba addosso fino a Montmartre. La sua unica consolazione, per lo meno, era che nessuno l’avrebbe riconosciuta – o almeno così sperava.

«Mi chiedo davvero se sto facendo la cosa giusta», ponderò a mezza voce, le mani affondate nella cassapanca della sua camera, alla ricerca di qualcosa da indossare prima di uscire. Non che volesse fare bella figura agli occhi di Chat Noir, di quello davvero non gliene importava un accidenti. Piuttosto, voleva fare in modo che lui non potesse ricollegarla in alcun modo a Marinette, che più di una volta aveva salvato dalle vittime di Papillon, in passato. E se già aveva fatto lo scemo con lei in un’occasione, temeva che scoprendo la verità Chat Noir potesse fare persino di peggio, visto il modo in cui si comportava di solito con Ladybug.
   «Certo che stai facendo la cosa giusta», cercò di darle coraggio Tikki, svolazzandole attorno con fare allegro. «È per un fine superiore, ricorda.»
   Marinette emise un grugnito. Era proprio quello che la condannava a quell’incontro forzato. Non che non sopportasse Chat Noir, tutt’altro; gli era legata da un affetto sincero e adorava averci a che fare, almeno fino a quando lui non iniziava a voler fare lo splendido a tutti i costi, cercando di impressionarla. Ed era questo che temeva sopra ogni cosa, che il giovane vedesse sul serio quell’incontro come un appuntamento romantico o, peggio, un modo per scoprire chi fosse realmente. Tuttavia, Tikki aveva ragione: era per una giusta causa e lei aveva il dovere di condividere ogni cosa con il suo partner.
   Tirò fuori dalla cassapanca un paio di vecchi jeans larghi che presentavano diversi strappi all’altezza delle ginocchia, ed un’anonima felpa grigia, con una grossa tasca in grembo ed un cappuccio enorme sotto al quale preservare la propria identità. «Meno male che ho il vizio di conservare i vecchi abiti…»
   «Indossavi davvero quella roba, prima che ci conoscessimo?» domandò Tikki, stupita da quello stile assai diverso rispetto a ciò che era solita mettere Marinette.
   Lei sorrise divertita. «No, ma a volte c’è chi mi passa abiti smessi perché sa che potrei riutilizzarli per farci qualcosa, come dei pupazzi o delle borse, persino. È un modo come un altro per risparmiare sui materiali.» Si alzò in piedi e voltò lo sguardo verso lo specchio alle sue spalle, che le restituì la solita immagine sbarazzina di una ragazza graziosa e meticolosa in fatto di moda. Storse la bocca: era ora di rovinare quell’aspetto ordinato e di trasformarsi in qualcosa di molto diverso.
   Mezz’ora dopo pensò di essere pronta. Guardò l’ora sul cellulare: mancava poco all’appuntamento, doveva sbrigarsi. Inspirando a pieni polmoni per darsi coraggio, inforcò gli occhiali da sole di Manon e tirò su il cappuccio sui capelli lasciati sciolti, sperando che tanto bastasse per sviare la fantasia di Chat Noir senza per questo apparire un tipo troppo losco agli occhi della polizia. Infine, dopo aver fatto capolino dalla porta d’ingresso per accertarsi che nessuno stesse guardando nella sua direzione, si affrettò ad allontanarsi da casa, imboccando una strada secondaria per essere notata il meno possibile. Si domandò come avrebbe fatto a riconoscere Chat Noir in mezzo alla folla che sicuramente avrebbero trovato, soprattutto a causa dei turisti, e si convinse che, essendo più intelligente di quanto volesse far credere, sicuramente il giovane avrebbe pensato ad un modo per attirare la sua attenzione pur rimanendo nell’anonimato. Nel dubbio, comunque, Marinette fece una sosta ad un negozietto di gadget lungo la strada, comprando una spilla a forma di coccinella e applicandola sul petto. Era tutt’altro che bella, a dirla tutta, ma sarebbe senza dubbio servita all’uopo: se non fosse riuscita a riconoscere Chat Noir, di certo sarebbe stato lui a farlo proprio grazie a quella.
   Quando arrivò a destinazione, pur con qualche minuto di ritardo, si guardò attorno con aria concentrata, le mani nella grossa tasca della felpa, le buffe lenti a forma di cuore ad oscurarle lo sguardo serio e attento. C’erano decine e decine di turisti e alcune famiglie con bambini che strillavano eccitati per la giostra piena di luci, e sebbene ci fossero anche diversi ragazzi, nessuno di loro sembrava interessato alla sua presenza. «Andiamo, dove sei, mon chaton…» mormorò Marinette, desiderosa più che mai di dare un taglio a quella farsa.
   «Ehi, bellezza, sei da sola?» si sentì chiedere dopo qualche istante. Si volse in direzione del tipo che l’aveva interpellata e fece una smorfia: si trattava di un giovane biondo, con i capelli tirati all’indietro con il gel, un paio di occhiali da sole all’ultima moda ed un sorriso da schiaffi da manuale. «Posso rimorchiarti?» Marinette sbuffò e tornò a prestare attenzione al resto della gente che la circondava, decisa a non dare corda a quel James Dean dei poveri. Lui parve non scoraggiarsi. «Fai bene a non dare confidenza agli sconosciuti, ma… mi pareva che fossi stata tu a volere questo incontro, my lady.» Sapevano entrambi che non potevano usare i loro nomi da eroi, pertanto quello era l’unico modo per rivolgersi l’uno all’altra senza destare sospetti.
   Fu per questo che la ragazza tornò a guardarlo, stralunata. «Cha… Chaton?» balbettò quasi con un fil di voce, squadrandolo da capo a piedi e cercando di sovrapporre l’immagine di quel fighetto a quella del proprio partner.
   «In tutto il mio splendore», le assicurò lui, felice come se avesse appena visto Babbo Natale.
   Le ci volle ancora qualche istante per realizzare la cosa, ma almeno si fece un’idea riguardo al costoso giubbino di pelle da lui indossato, uno degli ultimi modelli griffati Agreste. «Siamo di buona famiglia, vedo…» riuscì a dire, infine, continuando a fissarlo con occhio critico. Quel damerino aveva persino buon gusto in fatto di moda…
   Lui scosse le spalle con noncuranza. «Tu invece sembri uscita dal negozio di un rigattiere», ribatté con candore. «Oh, senza offesa», si affrettò ad aggiungere.
   Piccata, Marinette mise il broncio. «Per tua informazione, ho indossato questa roba solo per non rendermi riconoscibile e per non attirare l’attenzione.»
   «Perdonami se te lo faccio notare, ma… con quel cappuccio e quegli occhiali, di attenzione ne attiri fin troppa», le fece presente Adrien, divertito dal suo aspetto. La ragazza si guardò attorno, notando solo allora che, benché nessuno la fissasse con insistenza, non erano pochi quelli che le rivolgevano almeno un’occhiata incuriosita. Arrossì e si calcò meglio il cappuccio sulla testa. «Infischiatene», le consigliò di cuore il giovane. «Oltretutto, nessuno può riconoscerti.»
   «Come hai fatto a capire che ero io?»
   «Sono giunto fino a te seguendo il mio cuore», le garantì Adrien, portandosi una mano al petto.  Lei intrecciò le braccia sotto ai seni e tanto bastò a fargli intuire che doveva avere anche inalberato un’espressione assai scettica. «Dalla tua spilla», si arrese allora a dire, sebbene fosse stato sincero, poco prima: aveva davvero notato la ragazza da lontano e non soltanto per il buffo modo in cui era vestita. La spilla, in realtà, l’aveva vista solo in un secondo momento.
   «È orrenda, ma almeno ha funzionato.»
   «Me lo dici, ora, perché hai voluto che ci incontrassimo in questo modo?»
   Marinette decise che fosse giunto il momento di metterlo al corrente di ogni cosa. «Seguimi, non possiamo parlarne qui», disse allora, avviandosi per allontanarsi dalla folla.
   Adrien le si affiancò subito, porgendole il braccio. «Visti tutti questi segreti e il tuo losco travestimento, fingiamo almeno che si tratti di un appuntamento, o la gente comincerà a pensare che siamo dei terroristi.»
   «Col tuo aspetto, ne dubito fortemente», asserì la ragazza, arrendendosi però a posare la mano sull’incavo del gomito di lui. «Sembri un attore.»
   «Bello e dannato, lo so.»
   «Non allargarti, ora.»
   «Dove stiamo andando?» domandò Adrien, tornando serio. Conosceva Ladybug e sapeva che non si sarebbe mai azzardata a chiedergli quell’incontro così inconsueto se non si fosse trattato di qualcosa di importante.
   «Dal guardiano dei miraculous
   Quella risposta lo meravigliò non poco, facendogli perdere del tutto la voglia di scherzare. «Esiste un guardiano?»
   «Mh», bofonchiò Marinette, cercando di non sbottonarsi troppo mentre erano ancora per le vie affollate. «Il mio kwami si è ammalato, un po’ di tempo fa, e ho dovuto portarlo da quest’uomo. Lì per lì non avevo compreso quale fosse il suo vero ruolo, ma poi è successa una cosa e…» Si zittì quando furono costretti a fermarsi ad un semaforo, dov’erano in attesa anche diverse altre persone. Adrien aspettò che lei riprendesse a parlare senza metterle alcuna fretta, benché la curiosità lo stesse divorando. «Il tuo kwami non ti ha mai detto nulla riguardo al guardiano?» si sentì domandare dopo alcuni minuti.
   Fece una smorfia. «No, Plagg è pressoché inutile, sotto certi aspetti», borbottò, quasi risentito per la cosa.
   «Ehi!» protestò il diretto interessato, facendo capolino da uno dei taschini del suo giubbino di pelle. «Non è colpa mia se ho cose più importanti a cui pensare!»
   «Tipo il formaggio?» ribatté spazientito Adrien, pigiando la punta di un dito sulla sua testolina nera per farlo tornare nel suo nascondiglio.
   «Ancora con questa storia del formaggio?» ridacchiò Tikki, che invece se ne stava all’interno del cappuccio di Marinette. «Sei proprio incorreggibile, Plagg.»
   «Chi non ha il palato fine come il mio, non può capire!» strepitò il kwami del Gatto Nero, nonostante Adrien continuasse a spingerlo dentro il taschino.
   «Sta’ zitto, vuoi farti scoprire?» lo redarguì il giovane, sperando di non passare per pazzo a parlare con il proprio giubbino.
   Marinette sorrise, provando grande empatia per lui. «Anche i gatti hanno i loro problemi, eh?»
   «Non sai quanti…» sospirò l’altro, rassegnato all’idea di avere un kwami combinaguai. Ciò nonostante, non si lamentava affatto di Plagg e, anzi, lo considerava un buon amico, quando non si intestardiva a proposito del suo stupido camembert o quando, come ora, dimostrava di prendere alla leggera determinate cose, che magari erano più importanti di molte altre – a cominciare da quella storia del guardiano.
   «Tranquillo», lo incoraggiò la ragazza, stringendogli affettuosamente il braccio. «Tra poco ogni tua lacuna al riguardo verrà colmata dal maestro.»
   «Da quanto tempo lo conosci?»
   «Da un po’, come ti dicevo. Ma è solo di recente che ho scoperto la verità.»
   «Dicevi anche che era successo qualcosa…»
   «Ah, sì.» Marinette strinse le labbra non sapendo bene come porre la questione. Avrebbe dovuto dirgli del libro, questo era poco ma sicuro; solo che non voleva coinvolgere Adrien e suo padre in alcun modo, né poteva permettersi di rivelare a Chat Noir di avere qualsivoglia legame con il suo compagno di scuola. «Ricordi Volpina?»
   Il giovane si lasciò sfuggire un verso che manifestò tutto il suo disappunto. «E chi se la scorda…»
   Lei rise. «Credevo fossi rimasto affascinato da lei e dai suoi complimenti.»
   «Adoro i complimenti», convenne Adrien senza aver bisogno di mentire. «Quando sono sinceri, però», ci tenne a precisare. «Che ha fatto, quella pazza?»
   «Pare avesse rubato un certo libro.» Quasi imprecò: quindi era stata Lila a rubare il tomo di suo padre?! Ecco perché si era poi inventata tutta quella storia della supereroina, l’aveva vista lì. «Si tratta di un manoscritto illustrato sui miraculous», stava continuando Marinette, ignara dei suoi pensieri e del fatto che Adrien lo avesse già intuito, dal momento che quella preziosa reliquia era stata anche fra le sue mani. «Il maestro Fu, il guardiano, è stato capace di interpretarlo almeno in parte.»
   «Come ha fatto, lui, ad entrare in possesso di quel manoscritto?» volle sapere a quel punto, cercando di capirci qualcosa di più. La cosa che più lo lasciava interdetto, però, era che suo padre lo conservasse gelosamente in casa propria. Era questa la ragione che aveva spinto Ladybug a sospettare di lui e ad associarlo a Papillon? Adesso tutto sembrava avere un senso, maledizione. L’unica cosa che lo consolava era la consapevolezza che suo padre era stato akumizzato e questo lo escludeva dalla lista dei possibili sospetti.
   Marinette strinse le labbra per farsi coraggio. «Ecco… gliel’ho portato io», confessò, fingendo di non accorgersi dell’occhiata che il suo compagno le riservò, volgendo il viso nella sua direzione. «Lila lo aveva gettato in un cestino dei rifiuti, quando lei e Adrien si sono incontrati al parco. Cioè, poco prima che arrivasse lui.»
   «È da criminali, buttare via un manoscritto antico!» si scandalizzò Adrien, troppo ligio alle regole per collegare meglio le sinapsi. Lo fece un attimo dopo. «Ma tu che ci facevi lì? Voglio dire… come hai fatto a vedere tutta la scena? Li stavi seguendo?»
   La ragazza si lasciò sfuggire una risatina nervosa. «Seguendo? E perché mai avrei dovuto farlo?» Scosse il capo, cercando di darsi un tono. «Passavo di là per caso, è ovvio. E Lila ha attirato la mia attenzione proprio per via di quel libro. Tikki lo ha riconosciuto da lontano e così…» spiegò. «Tikki è il mio kwami, per inciso.»
   «Lo avevo intuito», rispose il giovane, facendo poi il punto della situazione. «Quindi… hai assistito all’incontro fra Lila e Adrien», ragionò, lieto che non fosse successo nulla di equivoco in quell’occasione, visto che la sua lady era stata lì a due passi da loro e lui neanche se n’era accorto.
   «Esatto.»
   «Ed è sempre per questo che ti è saltata la mosca al naso e l’hai aggredita in quel modo?»
   Marinette corrucciò la fronte. «Come sai che l’ho aggredita?»
   «L’ha detto lei quando ha iniziato a sproloquiare contro di te», ribatté prontamente l’altro, mordendosi la lingua e sperando che lei ci cascasse.
   «Davvero?» Che strano, lei proprio non riusciva a ricordare…
   «Certo avresti potuto evitare, visto che poi quella poverina s’è sentita umiliata davanti al ragazzo che le piaceva…» infierì Adrien, cercando di sviare il discorso.
   «Quella… bugiarda…» ringhiò Marinette, calcando la propria rabbia sulla seconda parola.
   Il giovane ebbe l’impressione che non fosse proprio quello, l’insulto che lei avrebbe voluto utilizzare, ma non disse nulla e domandò, piuttosto: «Quindi hai recuperato il libro e, quando tu e Tikki avete capito di cosa si trattava, lo avete portato dal guardiano?»
   «Proprio così.» Adesso però il manoscritto era di nuovo nella cassaforte di suo padre, benché Adrien non sapesse come lui fosse riuscito a recuperarlo. «Il maestro Fu era convinto che, chiunque ne fosse in possesso, avesse anche il miraculous della Farfalla.»
   «Esistono altri miraculous, quindi?» domandò, troppo concentrato per accorgersi che il discorso che stava ascoltando non era del tutto coerente: non avrebbero piuttosto dovuto sospettare di Lila, in quel caso, anziché di Gabriel Agreste?
   «Diversi, a quanto sembra. Quelli che sono andati perduti sono quello della Farfalla, appunto, e quello del Pavone.»
   Il primo era sicuramente quello di Papillon, ma l’altro? Perché ad Adrien sembrava familiare, la storia del Pavone? Dove aveva già visto qualcosa che glielo ricordava?
   «Siamo quasi arrivati», disse Marinette, distogliendolo da quei pensieri. «È quel palazzo laggiù.»

Non sapendo esattamente cosa aspettarsi, Adrien non si era fatto un’idea precisa su questo fantomatico guardiano. Quando però se lo ritrovò davanti agli occhi, piccolo e anziano, provò quasi un moto di tenerezza nei suoi confronti. Un kwami verde dalle sembianze di una minuscola tartaruga gli ronzò attorno e quando si rese conto che era quello dell’uomo, la sua espressione stupita fu ancora più evidente. Plagg e Tikki uscirono dai loro nascondigli e si librarono in volo insieme a lui, quasi in un gioco infantile che riempì gli occhi del giovane di pura meraviglia. Sembrava di essere i protagonisti di un cartone animato o, meglio ancora, di una delle fiabe che gli raccontava sua madre prima di dormire.
   «Ladybug…» salutò il maestro, rimanendo seduto al tavolo basso su cui stava posando una teiera fumante. «Questa volta sei venuta in compagnia, vedo.»
   «Dopo gli ultimi avvenimenti, ho pensato che fosse giusto che anche Chat Noir ascoltasse quanto lei ha da dire», spiegò la ragazza, avanzando lentamente nella stanza quando il guardiano fece loro cenno di avvicinarsi.
   «Hai fatto bene», convenne lui, sorridendo con affetto ai suoi ospiti. «Ho appena preparato del buon tè giapponese, spero vi unirete a me per una tazza.»
   «Molto volentieri, grazie.»
   «Sensei, è un onore poterla incontrare», esordì finalmente Adrien, esibendosi in uno di quegli inchini che aveva visto tante volte fare ai personaggi degli anime che gli piacevano tanto.
   «Che ragazzo educato…» commentò l’anziano, accarezzandosi la barba e facendo scorrere lo sguardo dall’uno all’altra con aria sorniona. «D’altra parte, è stato anche per questo che ho scelto di darti il miraculous del Gatto Nero.»
   «Quindi è stato lei?» domandò il giovane, sempre più curioso riguardo a tutta quella faccenda.
   «E chi altri poteva averlo fatto?» replicò il maestro Fu, iniziando a versare il tè nelle tazze. «Tu e la tua compagna siete stati la mia prima ed unica scelta e, col senno di poi, non me ne pento affatto. State facendo un ottimo lavoro.»
   Adrien e Marinette si scambiarono uno sguardo, sia pure attraverso le lenti degli occhiali da sole, lieti che il guardiano dei miraculous li reputasse degni del compito che era stato loro affidato. Erano talmente orgogliosi e presi dalla situazione, che a nessuno venne il dubbio che, se l’uomo li aveva riconosciuti a dispetto dei loro goffi travestimenti, forse questi ultimi non erano affatto efficaci come loro speravano che fossero.
   «Ho raccontato a Chat Noir del libro», disse dopo qualche attimo Marinette, inginocchiandosi al tavolo insieme al suo collega.
   «Quindi gli hai parlato anche di Adrien?»
   Divenne paonazza e cercò di nascondersi ancora di più nel cappuccio della felpa. «No! Cioè… gli ho detto di suo padre, sa? Quello che disegna moda. Cioè. Il designosh fashign
   «Fashion designer», la corresse automaticamente Adrien, osservandola con fare incuriosito. Di solito Ladybug era sempre così sicura di sé, com’è che tutt’a un tratto si era messa a gesticolare e farneticare in modo tanto goffo? Per un attimo gli sembrò quasi di avere a che fare con Marinette e quel pensiero lo rallegrò, facendolo sorridere senza neanche avvedersene.
   La ragazza ammutolì, preferendo prendere la tazza di tè che il maestro le stava offrendo e affogarci dentro le labbra. Che si ustionò all’istante. Imprecò, rovesciando qualche goccia di infuso che le andò a scottare anche le dita. Imprecò di nuovo.
   «Diamine, se sei maldestra…» la prese in giro il suo partner, recuperando un fazzoletto dalla tasca e porgendoglielo. Lei balbettò un timido ringraziamento e non disse più nulla. Adrien si rivolse allora al guardiano, che li stava fissando con aria divertita, come se fosse a conoscenza di qualcosa di eccezionale sul loro conto. «Sensei… se ho capito bene, lei conosce le nostre vere identità, giusto?»
   «Certo.»
   «Noi però non possiamo…»
   Marinette lo interruppe. «No, non possiamo», disse con convinzione. «Non insistere.»
   «Non voglio obbligarti a rivelarmi il tuo nome, lo sai», ribatté Adrien, sulla difensiva. «Volevo solo sapere se farlo sarebbe poi davvero così pericoloso come pensiamo…» E dicendolo, si rivolse di nuovo all’uomo che si strinse nelle spalle con fare quasi disinteressato.
   «Se ritenete di potervi fidare l’uno dell’altra…» commentò tranquillo. «Dopotutto, anch’io possiedo uno dei miraculous, eppure sono a conoscenza di entrambe le vostre identità. E voi conoscete la mia.»
   Marinette ci rimase male, Adrien invece parve risplendere di luce propria, un sorriso vittorioso sulle belle labbra. «Hai sentito?!»
   «Beh, io non lo so se posso davvero fidarmi di te!»
   «Cosa?!» esclamò, risentito per quell’affermazione.
   «Certo sei un ottimo compagno di battaglia, ma che ne so, io, se quando non siamo insieme fai cose strane?»
   «Fu-sensei può confermare!»
   «È vero, posso confermare», annuì lui, sorseggiando con calma il suo tè e godendosi lo spettacolo. Se solo quei due piccoli ottusi avessero saputo la verità…
   «Ma non siamo qui per questo», affermò Marinette, battendo una mano sul tavolo per rimettere in riga il proprio partner. «Maestro, ho spiegato a Chat Noir solo parte di quello che lei ha già detto a me. Vorrebbe essere così gentile da dirgli il resto?»
   E l’uomo lo fece subito, raccontandogli del libro perduto, dei miraculous e dei poteri nascosti di quelli della Coccinella e del Gatto Nero. Si soffermò in particolare sull’ultima cosa che aveva rivelato da poco a Marinette, e cioè dell’importanza che il miraculous della Creazione e che quello della Distruzione non cadessero mai nelle mani di una persona iniqua o ignara della verità, soprattutto se contemporaneamente. «Ogni azione ha le sue conseguenze, e in quel caso sarebbero disastrose.»
   «È… terribile», convenne Adrien, capendo finalmente la ragione per cui Ladybug aveva voluto che lui incontrasse il guardiano. Anche quella era una dimostrazione di fiducia, checché lei ne dicesse, e il giovane gliene fu grato. Abbassò lo sguardo sull’anello che portava all’anulare della mano destra: se pure in un primo momento lo aveva quasi considerato alla stregua di un meraviglioso giocattolo, si era reso quasi subito conto della sua importanza per le sorti di moltissime persone. Adesso che sapeva molte più cose al riguardo, comprese che quel miraculous era ancora più prezioso di quanto avesse mai potuto immaginare.
   «Chat Noir?»
   Serrò il pugno con decisione. «Giuro che farò di tutto per proteggere questo anello. E anche i tuoi orecchini, my lady», aggiunse, alzando lo sguardo su di lei e fissandola con determinazione.
   Marinette sorrise, più che mai certa di aver fatto la scelta giusta, portandolo con sé dal maestro. Si fidava appieno di Chat Noir e, in tutta onestà, gli avrebbe ben volentieri rivelato il proprio nome, se solo non avesse avuto il giustificato sospetto che lui potesse importunarla anche durante la vita di tutti i giorni. «Ed io farò altrettanto», gli promise solennemente.

La visita al maestro durò poco meno di un’ora, durante la quale i due ragazzi si ritrovarono persino a ridere insieme a causa dei tre piccoli kwami riuniti nella stanza. Fu senza dubbio un incontro fuori dal comune, quello, eppure riuscì a rasserenare in parte i loro cuori: non erano soli, nella loro guerra contro Papillon. Potevano contare su un compagno e, soprattutto, su una guida.
   «Adesso che sai dove vive, puoi venire da lui ogni volta che pensi di averne bisogno», disse Marinette quando lei e Adrien furono di nuovo in strada.
   «Ti ringrazio per aver condiviso queste informazioni con me», rispose lui in tono affettuoso.
   «Ehi… siamo partner, giusto?» gli fece notare la ragazza, porgendogli il pugno come tutte le volte che riuscivano a vincere una battaglia.
   «Giusto», annuì l’altro, battendo le nocche contro le sue.
   Marinette stava per aggiungere altro quando il suo sguardo catturò qualcosa che la fece raggelare sul posto: poco più in là, per mano a sua madre, c’era Manon. La ragazza sapeva di non essere riconoscibile, in quelle condizioni, eppure quando la bambina si guardò attorno con aria annoiata, mentre Nadja scambiava un saluto con una conoscente, i loro occhi si incrociarono e lei tremò quando vide l’espressione della piccola farsi dapprima stupita e poi quasi entusiasta. Aveva capito che si trattava di lei? Marinette non seppe dirlo, ma la paura che Manon potesse pronunciare il suo nome ad alta voce le fece prendere la più drastica delle decisioni.
   «Chaton», disse in tono fermo e quasi perentorio. «Baciami.»
   Lui sollevò entrambe le sopracciglia, credendo di aver capito male. «Cosa?» balbettò con voce poco virile a causa dello sbigottimento. Non ottenne risposta verbale, solo due mani che, con vigore, lo afferrarono per il bavero del giubbino e lo trascinarono in avanti, facendogli incollare le labbra a quelle della ragazza con cui aveva passato buona parte del pomeriggio. Non aspettandosi minimamente quel risvolto, rimase impietrito e del tutto alla mercé della sua partner, che si ostinava a premere la bocca contro la sua. Ci mise qualche istante per riprendersi dallo shock, ma quando lo fece non si lasciò scappare l’occasione: chiuse gli occhi e passò entrambe le braccia attorno al corpo di lei, stringendola con tenera passione. Non osò fare più di quello, però, perché quel contatto così intimo fu più che sufficiente a farlo sentire in paradiso.
   «Mamma, guarda», disse la vocina di Manon, poco distante.
   «Lasciala in pace, Manon», rispose Nadja, allontanandosi da loro con discrezione. «Non vedi che è con il suo fidanzato?»
   Quella constatazione fece rabbrividire la ragazza, che subito premette le mani contro il petto di Adrien, cercando di allontanarlo da sé, sia pure senza troppo successo. «Mollami!» protestò contro le sue labbra, riuscendo infine a guadagnare la libertà. «Sei scorretto!» lo accusò, dandogli uno schiaffetto su un braccio e allontanandosi di un passo.
   «Ah, io?» replicò il giovane, ridendo compiaciuto. «Mi sei praticamente saltata addosso.»
   «Solo perché c’era lei», si difese Marinette, incrociando le braccia al petto, come se quel gesto bastasse a tenerla al sicuro dalle sue grinfie.
   Adrien si volse e vide Nadja Chamack che si allontanava insieme a sua figlia. «Peccato non ci abbia riconosciuti», disse allora, senza riuscire a fare a meno di sorridere. «Avrebbe avuto dell’ottimo materiale per un nuovo scoop sugli eroi di Parigi.»
   L’altra si lasciò andare ad un verso esasperato. «Piantala di blaterare! Non significava niente!»
   «Come il precedente, immagino», concluse lui, rammaricato di non ricordare nulla al riguardo.
   «Quello non era un bacio», puntualizzò ancora una volta Marinette. «È stato solo un espediente per salvare te e togliere dai guai me
   «Invece questo era per preservare le nostre identità.»
   «Esatto.»
   «In poche parole, mi hai usato.»
   Detta così, sembrava davvero una brutta cosa. La ragazza abbassò il capo, sinceramente pentita. «Mi… dispiace…»
   Adrien scrollò le spalle, un sorriso compiaciuto in volto. «Nessun problema, fallo pure tutte le volte che ne hai voglia», la rassicurò con voce calda e suadente.
   Marinette alzò gli occhi al cielo con aria rassegnata. «Ci vediamo», disse soltanto, infilando le mani nella tasca della felpa e avviandosi dalla parte opposta rispetto a Nadja e Manon.
   «Te ne vai di già?» protestò lui, rimanendo però fermo dov’era e lasciandola andare via. Non voleva risultare più invadente di quanto non fosse già stato. Inoltre, era già pienamente soddisfatto di quanto appena accaduto, un regalo del tutto insperato: le labbra della sua bella erano meravigliosamente soffici e dolci, e il solo ripensarci lo faceva rabbrividire da capo a piedi. «Non prendiamo neanche un gelato?»
   «Accontentati di quello che hai ottenuto oggi», gli rinfacciò lei, vergognandosene ancora. Era già la seconda volta che le toccava baciare quel damerino… Perché diavolo non era stata capace di pensare a qualcosa di diverso, stavolta? Avrebbe potuto semplicemente trascinarlo lontano da Manon, anziché arrivare a fare ciò che aveva fatto. La cosa che la mortificava di più, però, era un’altra: avvertiva ancora con chiarezza la sensazione delle labbra di Chat Noir sulle sue, morbide e calde. Piacevoli. Questa volta, a differenza della precedente, Marinette era stata capace di sentire qualcosa. Non sapeva ben identificare di quale sensazione si trattasse di preciso, però la faceva arrossire. Era dovuto al fatto che Chat Noir aveva avuto modo di ricambiare appieno il suo bacio?
   Quel pensiero la fece quasi urlare. Adrien, amore mio…  non lo farò mai più! Mi manterrò integra per te, lo giuro! Si domandò come avrebbe fatto, l’indomani a scuola, a guardarlo negli occhi come se nulla fosse. Ma a chi voglio darla a bere? Non riesco mai a guardarlo dritto negli occhi. Quando lo faccio, mi sciolgo e inizio a fare la figura della scema. Sospirò e gettò uno sguardo alle sue spalle, scorgendo Chat Noir ancora fermo dove l’aveva lasciato. Lo vide alzare una mano in segno di saluto e lei, non riuscendo a farne a meno, ricambiò il gesto con un sorriso imbarazzato sulle labbra.

Arrivò a scuola puntuale, quel giorno, e si congratulò con se stessa per quell’epico avvenimento. Dopotutto, si ripeté, se voleva dimostrare di essere degna del compito che il maestro Fu le aveva affidato, e se voleva tener fede alla promessa fatta a lui e a Chat Noir, doveva diventare più coscienziosa.
   Si avvicinò al proprio armadietto, lo aprì ed iniziò a rimetterlo in ordine, domandandosi se sarebbe stata così fortunata da incontrare Adrien prima dell’inizio delle lezioni. Quasi non fece in tempo a sperarlo, che il giovane si palesò alle sue spalle, salutandola con fare allegro. Felice di vederlo, Marinette gli sorrise di rimando, facendo cadere a terra tutto ciò che aveva in mano. Farfugliò qualcosa circa la propria goffaggine e si chinò per raccattare la propria roba, dandosi dell’idiota: perché doveva sempre fare quelle figure meschine davanti all’amore della sua vita?!
   «Aspetta, ti aiuto», disse lui, inginocchiandosi per raccogliere i libri dell’amica. «Sei arrivata presto, oggi.»
   Lo aveva notato? Marinette andò in brodo di giuggiole. «Sì, mi sono ripromessa di non fare più troppi ritardi… Anche perché è piuttosto ridicola, come cosa, se teniamo conto del fatto che abito accanto alla scuola.» Brava l’idiota. Sapeva sempre cosa dire davanti a lui, sminuendosi ogni santa volta che poteva.
   Adrien rise divertito. Forse aveva pensato che la sua fosse una battuta? Meglio così. «Ecco a te», le disse poi, porgendole ciò che le era caduto e aiutandola persino a rimettersi in piedi.
   «G-Grazie…» balbettò lei, incantandosi a guardarlo, la mano ancora in quella di lui.
   «Ed eccola qui, la nostra coppietta misteriosa», scherzò Alya all’improvviso, raggiungendoli e poggiando una spalla contro l’armadietto di Marinette, braccia conserte, caviglie intrecciate e un sorriso sornione stampato in volto. I due la fissarono con sguardo confuso. Di che stava parlando, quella matta?
   Dietro di lei, Nino si grattava la nuca con aria imbarazzata. «Alya, lasciali stare…»
   «Col cavolo», ribatté lei, spazientita, lanciando uno sguardo accusatorio in direzione della sua migliore amica, rea di averle nascosto una cosa tanto importante. «Con noi fanno tanto i santarellini, e poi escono insieme come due piccioncini.»
   «Hai… bevuto?» domandò Marinette, nonostante il diffuso rossore sul viso a causa di quelle insinuazioni riguardo lei e il suo adorato Adrien. Si ricordò in quel momento che si stavano ancora tenendo per mano e subito ritirò il braccio, come se l’avessero appena sorpresa a rubare la marmellata.
   «Non fate finta di niente, vi abbiamo visti.»
   «Quando?» cercò di capirci qualcosa il giovane, cascando dalle nuvole proprio come la sua presunta innamorata.
   «Ieri», intervenne allora Nino, quasi con aria di scuse. «Eravate insieme a braccetto su Rue Azais.» Entrambi si irrigidirono all’istante, poiché sapevano bene di esserci passati davvero, di lì, il pomeriggio precedente. «Solo che eravate acconciati in modo eccentrico.»
   «Cos’è? Avevate paura che qualcuno vi riconoscesse?» domandò ancora Alya, non capacitandosi di quanto fossero strani i suoi amici.
   Seguì un attimo di silenzio. Poi, facendosi coraggio, Marinette chiarì: «Impossibile. Vi state sbagliando. Ieri ho fatto da babysitter a Manon per tutto il tempo.»
   Adrien, che pure aveva aperto la bocca per giustificarsi, richiuse di scatto le mascelle: Manon era la figlia di Nadja Chamack, la conosceva anche lui, e ancor di più il giovane sapeva che Marinette non poteva averle fatto da babysitter, visto che la bambina aveva passato il pomeriggio con sua madre. Fissò la compagna di classe con occhi sgranati, non sapendo esattamente cosa pensare di quella bugia.
   «Non era stato due giorni fa?» domandò Alya.
   «Sì, ma… madame Chamack mi ha chiesto un favore anche ieri e non ho potuto rifiutare.»
   «Adrien?» chiamò allora, riportando l’amico solo per metà con i piedi per terra. «Tu dov’eri, invece? Sentiamo…»
   «A lezione di cinese», buttò lì lui con fare distratto, inducendo Marinette a voltarsi di scatto a guardarlo. Lei conosceva a memoria ogni suo impegno pomeridiano, pertanto sapeva che Adrien non poteva essere a lezione di cinese.
   «Quindi non erano loro», concluse Nino rivolto alla propria innamorata, cercando di convincerla a lasciarli in pace.
   «Mh. Che peccato», sospirò Alya, delusa da quella che sperava essere una svolta non indifferente nel rapporto fra la sua migliore amica e il ragazzo per il quale aveva una cotta enorme dall’inizio dell’anno scolastico.
   «Te l’avevo detto, no?»
   «Ma quando mai?» ribatté, portandosi le mani chiuse a pugno sui fianchi formosi. «Sei stato il primo a farti film mentali al riguardo.»
   «Non è vero!» si difese Nino, temendo che gli altri due potessero arrabbiarsi per la cosa.
   La campanella risuonò per tutta la scuola, annunciando l’inizio delle lezioni. «Sarà meglio andare», disse ancora Alya, sistemandosi meglio la tracolla della borsa dei libri. E poiché né Adrien né Marinette si mossero, continuando a fissarsi negli occhi con aria alquanto sconvolta, tentennò un attimo prima di richiamare la loro attenzione. Alla fine decise di lasciarli in pace: magari potevano prendere spunto da quell’equivoco per darsi una mossa e organizzarsi davvero per un appuntamento, una volta o l’altra.
   Rimasti soli, i due non seppero cosa dire o fare. Entrambi si ripetevano che no, non poteva essere come sembrava. Se però così non era, perché avevano mentito ai loro migliori amici? Ormai il tarlo del dubbio si era insinuato nelle loro menti e, peggio ancora, nei loro cuori. Si erano davvero scambiati un bacio meno di ventiquattr’ore prima? Marinette si sentì svenire al pensiero che Adrien fosse in realtà Chat Noir: erano così dannatamente diversi, ma sarebbe stato un sogno! Adrien invece si sentì rinvigorito al pensiero che Marinette fosse in realtà Ladybug: anche lei gli piaceva molto, perciò sarebbe stato favoloso!
   Entrambi schiusero le labbra e balbettarono qualcosa di tremendamente confuso, che si spense dopo appena poche sillabe. No, conclusero infine, cercando di rimanere con i piedi per terra: non era possibile che Alya e Nino li avessero riconosciuti. Più semplicemente, li avevano sì visti su Rue Azais, ma Marinette era certa che avessero scambiato Chat Noir per Adrien per via dei capelli biondi, e quest’ultimo era convinto che avessero scambiato Ladybug per la loro amica per chissà quale ragione.
   Sì, doveva essere per forza così. Non serviva a nulla farsi illusioni. Sarebbe stato un gesto masochista.
   «Vogliamo andare?» chiese Adrien, con voce stentata.
   «Sì, certo…» rispose Marinette, abbozzando un sorriso incerto.
   Si avviarono quindi insieme per raggiungere i loro compagni di classe, senza pensare neanche per un secondo che il loro problema di fondo era uno soltanto: non erano fisionomisti.












Vi immaginate se fosse davvero questo, il problema? Sul serio, non essere fisionomisti è terribile, perché rischi di passare per maleducato quando incroci amici e/o conoscenti per strada e non li saluti perché, semplicemente, non ti rendi conto che sono loro. Giuro, a volte non sono stata in grado di riconoscere il mio fidanzato per strada (e ci conosciamo da quindici anni, per dire). Ovviamente lui SA e mi prende per i fondelli, ma non oso immaginare che idea si facciano tutti gli altri...
Tornando alla shot, ho voluto sdrammatizzare un po' la cosa, tanto per riderci su insieme. E poi mi sono chiesta per quale dannata ragione Marinette tenga Adrien (va beh, Chat Noir) all'oscuro del guardiano dei miraculous: così facendo non rischia di creare fraintendimenti e/o problemi? Perché io mi sarei fatta una certa teoria riguardo il futuro e non so quanto potrà essere rose e fiori (prima dell'immancabile lieto fine, intendo).
Ah, giusto per la cronaca: ho un paio di occhiali da sole come quelli indossati da Marinette in questa shot (e sono stata capace di indossarli con orgoglio). L'idea per la storia, però, mi è venuta anche grazie a questa fanart, che trovo decisamente IC, lol: http://i66.tinypic.com/28lcneg.jpg
E anche per questa volta è tutto. Ringrazio come sempre chi legge, chi recensisce e chi inserisce questa storia fra quelle preferite/ricordate/seguite.
Un abbraccio a tutti e buona serata! ♥
Shainareth
P.S. La shot è lunghissima, quindi sono certa che ci saranno sviste a iosa. Vogliate perdonarmi, rimedierò nel tempo, a furia di rileggerla!





  
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