Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: rosenlight    23/06/2009    4 recensioni
In un tempo indefinito, esiste un luogo dove giovani donne e aitanti ragazzi offrono la loro compagnia a coloro che sentono il bisogno di parlare con qualcuno. Qui soggiorna Giglio Bianco, splendido giovane dall'aspetto androgino, che, per caso o per fatalità, incontrerà un cliente molto speciale. Un cliente dagli occhi rossi come carboni ardenti, pronto a condurlo in un luogo dove parlare non è più abbastanza.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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al rintocco corretta per efp Titolo: Al rintocco della campanella
Paring: Kurogane / Fay
Rating: verde
Genere: fluff, AU, storico
Disclaimer: i personaggi qui citati sono di proprietà delle CLAMP, io mi limito solo a muoverli in un ambiente diverso...purtroppo.
Note: shounen-ai, one-shot, scritta per il primo prompt del fluffathlon della community  fanfic_italia .
Dite grazie a SteelRoseAlchemist se non troverete errori ù.ù
Dedica: Questa fanfiction è dedicata alla mia kohai. Spero tanto che le possa piacere ^^

All'alba era il momento.
Il momento di svegliarsi, chiamare le proprie assistenti, farsi vestire di seta, trucco e gioielli.
Ecco che, in pochi minuti, si diventava uno splendido fiore.
Il Padiglione delle Sottili Effusioni era sempre il primo ad aprire, lungo le vie della città.
Le sue mille concubine erano il sogno di ogni uomo, giovane o vecchio che fosse.
Leggende sulla bellezza di quelle creature erano cose ormai sulla bocca di tutti, anche al di fuori dello stato. Chiunque rimanesse anche solo per un po' a Tsai provava a recarsi in quel luogo, il cui aspetto ricordava un tempio celeste, disceso dal cielo per allettare gli umani. Una tentazione che non poteva essere ignorata da alcuno. Uno spicchio di paradiso che ognuno avrebbe voluto tenere per sé.
Errato era il pensiero di chi entrava nella casa di piacere con l'idea che, presto, avrebbe potuto sfogare i suoi istinti sessuali. Lì non v'erano prostitute, ma geishe.
Compagne con cui parlare, o stare semplicemente in silenzio, davanti a una buona tazza di thé o di vino.
E, tra loro, v'erano anche creature androgine d'aspetto, le quali sapevano ammaliare forse in modo ancor più celeste gli animi dei clienti.

Kurogane era arrivato da poco a Tsai, insieme a sua cugina Amaterasu e a Tomoyo, sua sorella.
Dopo aver trovato loro un appartamento dove soggiornare, subito si era immerso nelle trattative con una ricca famiglia della città, gli Ashura. Il padre di famiglia, un uomo sulla quarantina e dai lunghi capelli neri, aveva consigliato a Kurogane di prendersi un'ora di piacevole quiete al Padiglione delle Sottili Effusioni, nome che aveva fatto ridere non di poco le due ragazze con cui viaggiava. Fulminandole con lo sguardo, si era poi fatto spiegare da Ashura-ou dov'era il posto e di chi chiedere specificatamente.
« Ti consiglio, emerito amico, di chiedere del giglio bianco, Fay. Di certo saprà dare a te ciò che dà a me da molti anni. » aveva spiegato l'uomo, conducendolo alla casa di piacere la sera precedente.
Con curiosità, Kurogane aveva guardato le numerose finestre illuminate dalle lanterne, scorgendo qua e là donne vestite con abiti magnifici, raffinate, sorridenti.
Non aveva mai visto un luogo dove così tante geishe erano riunite.
Ormai credeva che quella tradizione, antica di qualche centinaio d'anni, fosse scomparsa da molto tempo. Rivederla in vita gli aveva dato un sottile piacere, così aveva acconsentito ad incontrare questa fantomatica giglio bianco l'indomani, alle otto.
« Bada bene, Kurogane-san, non farti ingannare dalle apparenze. » l'aveva avvertito Ashura-ou, prima del loro congedo.

Fay si guardò allo specchio, ringraziando Ayumi per il suo aiuto. La giovane assistente accennò un inchino, uscendo dalla stanza e chiudendosi il pannello di tatami alle spalle.
Il giovane biondo prese della cipria, sistemandosene un po' sulle guance ancora arrossate dal sonno. I suoi capelli erano adornati con uno spillone dorato, da cui ricadevano piccoli steli di mughetto e ribes rosso. Il kimono che quel giorno indossava era di blu intenso, con decori a fiori bianchi e rosa, mentre l'obi color avorio gli stringeva la vita, mettendo in risalto i suoi fianchi esili.
Inspirando a fondo, il giovane si sentì finalmente pronto.
Mettendosi in piedi, indossò gli zori ed infilò le mani dentro le ampie maniche della veste. Ayumi gli aprì immediatamente la porta e, un istante dopo, Fay si stava incamminando verso il primo cliente del giorno. Passando di fianco ad altre geishe, uomini o donne che fossero, il biondo vide che l'attenzione era rivolta solamente a lui, come segno di rispetto.
La tenutaria stessa, il cui nome era Karen, teneva molto a quel ragazzo, la cui fama a Tsai aveva superato ogni precedente. I grandi politici della città venivano al padiglione regolarmente per incontrarlo, portando sempre doni graditi. Lui, d'altro canto, non aveva mai concesso il suo mizuage, creando non poco scompiglio nella casa di piacere. C'era chi lo accusava di superbia, chi sibilava maldicenze sul suo conto, chi rideva all'idea che il giovane avesse paura di fare quel salto di qualità. Stava di fatto che, rimanendo vergine, Fay attirava sempre più uomini, curiosi di vedere quello splendido fiore mai scalfito.
« Fay-san, il tuo cliente è appena arrivato da una città lontana. - lo informò madame Karen - Spero che la tua compagnia possa portargli un po' di buonumore. E' così cupo in viso... »
Sorridendo alla tenutaria, il biondo le rivolse un inchino profondo, manifestando il suo rispetto: « Come ma'am desidera. » rispose, per poi attendere che gli venisse aperto il pannello.

La tenutaria lo accolse con un sorriso, rivolgendogli una riverenza:
« Il nobile amico di Ashura-ou, immagino. »
Kurogane annuì, facendo a sua volta un inchino.
La donna sembrò studiarlo a lungo, soffermandosi con insistenza sul suo viso. Nonostante l'irritazione che questo gli provocava, il moro cercò di mantenere un contegno impeccabile, com'era da etichetta.
« Signora, qualcosa in me vi turba? » chiese, grave.
Scuotendo il capo, madame Karen cercò di scusarsi: « Avete degli splendidi occhi, se mi permettete l'ardire. »
« La ringrazio, ma la pregherei di non fissarmi con tanta insistenza. Ora, veniamo al motivo per cui sono qui. » concluse perentorio l'uomo, guardandosi intorno.
Madam Karen s'inchinò ancora, facendogli cenno di seguirlo. Presero a camminare per il lungo corridoio esterno del palazzo, potendo così ammirare lo splendore del giardino pensile.
Con compiacenza, Kurogane rivolse alcuni segni di apprezzamento per quello spettacolo, chiedendo alla tenutaria chi si occupasse di tutto quel verde.
« Abbiamo molti aiuti da parte dei cittadini ed è merito loro se ogni pianta che qui vedete è amata quanto le donne di quest'umile casa di piacere. »
« Non vedo niente di umile in questo sfarzo di ori e gioielli. » criticò Kurogane con poco entusiasmo.
Prendendolo per uno scherzo, la donna rise civettuola, mostrandogli la porta da cui doveva entrare, proprio quando la prima campanella del giorno batteva il suo rintocco.
« Quando la campanella suonerà nuovamente, il vostro tempo con Giglio Bianco sarà terminato. Subito verrà qualcuno a condurvi nuovamente all'entrata. »
« Grazie. » fu la breve risposta di Kurogane.
Avrebbe voluto spiegarle che sarebbe stato perfettamente in grado di ritornare indietro da solo, ma, come spesso gli dicevano Amaterasu e Tomoyo, più si è accondiscendenti con una donna, meglio è per tutti.

Era stato preso dal Padiglione delle Sottili Effusioni sei anni prima, quando i suoi genitori, ormai pieni di debiti, avevano visto come loro unica speranza l'opportunità di vendere il figlio.
Ignorando la disperazione del giovane all'idea di separarsi da loro, Erda e Hideki Fluorite avevano incontrato ben presto Karen-sama, che con un sorriso aveva assicurato loro che si sarebbe presa cura del ragazzo meglio di chiunque altro, ad un prezzo superiore a qualsiasi aspettativa. Disperati, i due avevano accettato all'istante, scusandosi col figlio.
Da quel giorno, Fay non li aveva più visti.
Il bambino era stato così allevato come una vera geisha dalla tenutaria in persona, la quale a sua volta era stata una famosa concubina in passato. Il saper sorridere all'istante, il riuscire a nascondere l'insicurezza... Fay sapeva farlo solo grazie a lei.
« Fay-san, vi ricordo che dopo questo cliente ve ne sarà subito un altro. Potete farcela anche senza di me? » chiese Ayumi, preoccupata.
Il biondo si volse verso di lei, sorridendole forzato, come sempre aveva fatto: « Puoi andare, sono certo di farcela, ormai. » la canzonò, accarezzandole i capelli.
Ayumi sorrise, rivolgendogli un inchino nell'andarsene, proprio quando la campanella delle otto annunciava la prima delle molte ore di lavoro del Padiglione.
Respirando a fondo, Fay si sedette compostamente, iniziando a preparare il thé con il solito procedimento schematico. La stanza in cui si trovava era quadrangolare, larga quattro metri e alta cinque, rigorosamente in pannelli di tatami, con due porte a sud e a nord, ciascuna per il cliente e la geisha. Tutto sommato, era una stanza come tante altre, a parte la finestra ad ovest che dava sul giardino pensile esterno.
La porta davanti a Fay si aprì e, per la prima volta, vide Kurogane.

Quando il moro si trovò davanti quella figura così candida ed eterea, per poco non gli venne un colpo. Si era aspettato un viso dalla pelle bianca e una corporatura alquanto delicata, ma nessuno gli aveva detto che Giglio Bianco era un uomo.
Questo lo mandò leggermente in confusione.
I capelli biondi, raccolti con cura dietro alla testa, lasciavano intravedere un collo perfetto, dove il pomo d'Adamo non sembrava esistere. Aveva mani curate, ciglia lunghe, labbra sottili e un naso perfetto. Sembrava una figura androgina discesa dal cielo per sbaglio.
« Il tuo nome? » chiese, cercando conferme.
La geisha s'inchinò: « Qui mi chiamano col titolo di Giglio Bianco ed il mio nome è Fay. »
« Io sono Kurogane. » rispose l'altro, chiudendo gli occhi nel sedersi composto.
Silenziosamente, Fay iniziò a versargli del thé, porgendogli la tazza come da etichetta.
I suoi gesti, per quanto misurati fossero, avevano qualcosa di falso, forzato, che Kurogane difficilmente riuscì a non notare. Forse era la sua preparazione nelle arti marziali, forse la sua acuta capacità di osservazione, ma non vedeva in quel giovane biondo vestito da donna le qualità che Ashura-ou gli aveva descritto.
Alzò gli occhi, incontrando quelli azzurri dell'altro.
Rimasero così, in silenzio tombale, per tutta il tempo.
Poi la campanella suonò un rintocco e Kurogane se ne andò, senza nemmeno salutare.
Non appena il cliente se ne fu andato, Fay sentì un peso enorme scendergli sullo stomaco.
Un istante dopo correva per il corridoio verso il bagno, rigettando convulsamente tutto quello che aveva bevuto durante quell'ora.
Ayumi e altre corsero a sostenerlo, incapaci di capire che gli stesse succedendo.

« Loto d'Oro ti sta sostituendo con i clienti, puoi prenderti un po' di riposo, se lo desideri...» spiegò Karen con gentilezza, offrendogli una tisana rilassante.
Fay scosse il capo, rifiutando la bevanda. Se ne stava vicino alla finestra, seduto con lo sguardo al cielo. Non aveva detto nulla da quando Kurogane se n'era andato. A dirla tutta, stava cercando di dimenticare quell'incontro il più velocemente possibile.
« Fay, il signor Suwa mi sembrava una persona molto corretta... » cercò di forzare la tenutaria, preoccupata per quanto fosse successo all'interno.
« ... Voglio stare da solo per un po'... » sussurrò l'altro, appena udibile.
Mordendosi la lingua, Karen fece un cenno del capo alle persone presenti, uscendo dopo di loro. Prima di chiudersi la porta alle spalle, si voltò verso di lui:
« Ha chiesto di rivederti, domani. »
Qualcosa si mosse nel giovane: si voltò, annuendo con aria persa.
« Va bene... »
« Puoi rifiutare, lo sai. » rincarò la donna, nella speranza di carpire qualcosa.
« Non voglio rifiutare... » spiegò lui brevemente.

Camminando verso casa, Kurogane fissava il cielo, cercando di capire che fosse successo.
Non avevano parlato, erano rimasti a guardarsi.
Fay aveva uno sguardo colmo d'acqua, così limpida che ci si era perso dentro.
Aveva come l'impressione che anche il suo animo fosse pieno di quell'elemento.
Andò a sbattere contro una persona, del tutto distratto. Borbottò velocemente uno “scusi” e superò la vecchia, troppo concentrato a ricordare quella figura.
Ricordava ogni piega della veste, ogni sfumatura delle gote, ogni lieve sussulto delle mani ogni qualvolta si muoveva. Gli sguardi nervosi, la tensione nell'aria.
Tutto aveva reso quel fortuito incontro qualcosa di assolutamente inspiegabile.
Che poteva essere successo?
Non lo sapeva, ma di una cosa era certo.
Voleva rivederlo.
Una campanella suonò in lontananza, tentandolo a ritornare sui suoi passi.
Come una sirena chiama a sé il navigante, suadente e letale.

Chiuse il libro, incapace di andare avanti.
Accarezzò la copertina, voltandosi a guardare la luna.
Dov'era andata la sua spavalderia?
Era sempre stato un ragazzo chiassoso, in grado di animare intere serate per conto proprio.
Eppure, in quella stanza, si era sentito talmente a disagio che non era riuscito a fare nulla.
Come aveva potuto un uomo solo, con lo sguardo, inchiodarlo al suo posto con quella facilità?
Fay si strinse le ginocchia al petto, circondandole con le braccia.
Se ne stava ancora seduto vicino alla finestra.
Non si era mosso di un millimetro.
Aveva paura che, facendolo, avrebbe rovinato qualcosa.
La sensazione di quelle braci ardenti fisse nei suoi occhi.
Il biondo rabbrividì, chiudendo gli occhi nel posare la testa sulle gambe.
Si sentiva completamente perso, in balia del mare, come una barca alla deriva.
Nonostante tutto, stava bene.
Molto bene.
« A domani... » sussurrò al vento, addormentandosi tra le braccia di Morfeo.

« Cugino, dove vai? » chiese Amaterasu con tono spocchioso, nel tentativo d'irritarlo.
Kurogane si sistemò il bavero della giacca, ignorandola.
« Kurogane, non fare finta di niente. » sorrise Tomoyo, porgendogli le scarpe.
« Dicci dove stai andando! » insistette la più vecchia.
Il moro si voltò a guardarle: « Vi spiacerebbe farvi gli affari vostri? » le zittì, piuttosto irritato.
« Che guastafeste! » brontolò Amaterasu, andandosene dalla stanza con la sua guardia del corpo, Souma-san.
Tomoyo, contrariamente, rimase, posando una mano sulla spalla del cugino:
« Vai nello stesso posto in cui sei andato ieri? » chiese cauta.
Kurogane sospirò, voltandosi: « Non dirlo a quella. Tornerò presto. »
« Hai trovato qualcosa d'interessante? »
Scompigliandole i capelli, l'altro uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Alzò il capo verso l'edificio lontano, affrettando inconsciamente il passo.

Fay si sedette nervosamente al suo posto, cercando di mantenere un minimo di calma.
Si sistemò il kimono bianco e l'obi azzurro, sicuro di avere qualcosa fuori posto. Non poteva essere altrimenti. In un ultimo gesto disperato, alzò le mani per toccarsi lo spillone decorato con farfalle di seta, mordendosi un labbro.
Fu a quel punto che la porta a sud si aprì.
Il biondo scattò dritto con la schiena, rivolgendo un inchino profondo a Kurogane.
« Non serve. » lo sentì dire con un grugnito.
Confuso, Fay alzò il capo a guardarlo. Quegli occhi carmini lo stavano già osservando, come avevano fatto il giorno precedente.
« L'inchino. Mi fai sentire un idiota. » specificò il moro sedendosi davanti a lui.
« Non era mia intenzione...»
« Sei davvero così apatico come sembri? »
Fay alzò di scatto la testa per ribattere, accorgendosi che Kurogane gli stava porgendo una tazza di thé, andando contro all'etichetta.
« Che hai da fissare? Prendi. »
« Non è consono, Kurogane-san... »
Chiaramente innervosito da quell'atteggiamento, l'altro gli mise la tazza tra le mani, senza demordere: « Piantala con le formalità, o risulti ancora più falso. »
Offesa, la geisha gonfiò le guance, accettando arrendevole quel thé.
« Dicono che le concubine di questo palazzo siano tesori inestimabili, perché dunque trattarle come donne qualsiasi? Non vanno forse riverite come loro fanno con noi? » si giustificò Kurogane con un sospiro esasperato, cogliendo di sorpresa il suo interlocutore con quelle affermazioni. Fay si rilassò, piegando le labbra in un sorriso. Aspettò che il suo cliente ne versasse un po' anche per sé, poi alzò il bicchiere nella sua direzione e bevve con lui.
« Da dove vieni, Kuro-sama? » chiese il biondo dopo aver finito, sereno.
L'altro gli scoccò un'occhiataccia: « Prego? »
« Da dove vieni...? »
« No, ripeti quell'altra cosa. » ribatté il moro, irritato da quello che aveva sentito.
« ...Il tuo nome è troppo lungo... » si giustificò il biondo, sbuffando.
« Ti sembra che questo ti dia il diritto di ammazzarmelo in cotal maniera? »
« Che piattola che sei, Kuro-pin... »
« Senti, tu....»
« ...Mi chiamo Fay, non “tu”. »
« E io mi chiamo Kurogane. »
« Fay è un nome corto, Kurogane invece è lungo. »
« Ma che argomentazioni sono?!? »

Parlarono. Per tutto il tempo, senza sosta.
Fay chiese a Kurogane com'era il paese di Nihon, se c'erano luoghi come il Padiglione, s'informò su com'era il tempo e quale fosse l'indole degli abitanti.
Kurogane si limitò a rispondergli, evitando di scattare ai “Kuro-sama” e soprannomi simili, riempiendogli di tanto in tanto la tazza di thé.
L'atmosfera tra loro era decisamente cambiata in meglio.
Per quanto frivolo Fay sembrasse, ora che parlava con lui di Nihon capiva che la curiosità del biondo era genuina. Chiedendogli dei suoi natali, scoprì che il padre era proprio di Nihon, mentre la madre era di uno dei paesi confinanti, il cui nome era Valeria.
Non si spinse oltre con le domande, temendo di entrare troppo sul personale, tuttavia Fay continuò a raccontargli della sua vita, senza palesare alcun disagio. Sembrava anzi sereno di condividere quei frammenti di ricordi, giocherellando con le dita delle mani nel riportare in superficie le sue esperienze.
« Insomma, sei finito qui per sfamare i tuoi genitori? - chiese in conclusione il moro, incapace di trattenersi da fare quel commento – In definitiva, dovrebbero essere i genitori a sfamare i figli. »
La geisha gli sorrise, lasciando trasparire un po' di tristezza negli occhi: « Va bene così... Se i miei genitori stanno bene, allora io sono sereno. »
Corrucciando lo sguardo, Kurogane cercò di capire se stesse mentendo o meno, ma gli fu difficile capirlo. Quel sorriso era troppo malinconico, troppo criptico per capire se la sofferenza che provava Fay era per sé stesso o per la propria famiglia.
La campanella suonò, segnando la fine del loro colloquio.
Alzando lo sguardo, i due si osservarono, chiedendosi la stessa cosa.
Fu il biondo a parlare per entrambi, cercando di sembrare rilassato quando invece non lo era affatto:
« ... A domani...? »
Kurogane si alzò, dirigendosi verso la porta.
Prima di aprirla si voltò a guardare quella creatura biancovestita, senza capire il motivo della morsa che gli attanagliava lo stomaco.
Le sue labbra si piegarono involontariamente in un sorriso e il moro annuì, congedandosi con un mezzo inchino.

«Signore, che cos'ha nella borsa? »
Kurogane scoccò un'occhiataccia alla ragazzina che lo stava accompagnando, mettendola a tacere all'istante.
Non aveva intenzione di dire proprio nulla a una persona così curiosa. E per di più niente le dava il diritto di ficcare il naso nei suoi affari.
« Perdoni la mia impudicizia...» si scusò Ayumi, facendo un inchino nel mostrargli un paravento in un angolo del giardino, poco distante da un salice piangente.
« Siete scusata. » decretò il moro, procedendo in quella direzione senza di lei.
Scese dal portico, inoltrandosi tra l'erba tagliata di fresco. L'aria quel giorno era permea del profumo dei fiori primaverili, rendendo quel luogo un piccolo paradiso per gli occhi e per il cuore. Dietro il paravento, decorato con la raffigurazione della poesia dello specchio*, sentiva Fay cantare, pur sottovoce, accompagnato dal suono di una cetra pizzicata.
Kurogane rimase dietro il paravento ad ascoltarlo un altro po', quando improvvisamente la melodia s'interruppe, sostituita da una risata cristallina:
« Kuro-sama mi spia! »

L'aveva aspettato in giardino senza un perché, senza un come, solo per dare loro qualcosa di nuovo oltre a quell'angusto spazio che li aveva accolti in precedenza.
Quando Kurogane fece capolino da dietro il paravento, il biondo gli rivolse uno dei suoi più teneri sorrisi, cercando di trattenersi dal ridere nuovamente:
« Buongiorno... » sussurrò, facendogli cenno di sedere sui cuscini appositamente preparati per lui.
Il moro fece un breve inchino, andando a sedersi dove gli era stato indicato: « Fuori? »
« Amo l'aria di libertà. » rispose Fay, criptico.
« Ti senti in gabbia, in poche parole. » constatò l'altro con aria noncurante, iniziando ad aprire i risvolti che teneva nella borsa.
A quei gesti, l'attenzione di Fay ricadde inevitabilmente lì dove quelle forti mani stavano indugiando. Presto poté vedere del riso, con strani filetti rosei sopra ed intorno.
« Che cos'è? » chiese, molto diffidente.
« Sushi.»
La geisha alzò la testa, poco convinta:
« E sarebbe...?»
« Riso bollito con pesce crudo. »
Nauseato, il biondo avanzò una mano nella direzione di quei bocconcini dall'aria sospetta, prendendone in mano uno dal colore più vicino a quello di una giunchiglia.
Lo portò alla bocca, cercando di ignorare la sensazione di viscido che il pesce gli dava, masticando ad occhi chiusi come per paura di far peggiorare il gusto.
« Immaginavo. » disse d'improvviso Kurogane, prendendo dalla borsa un nuovo fagotto.
La curiosità ebbe la meglio sul ribrezzo e Fay deglutì, allungando il collo per scrutarne il contenuto: ora tra gli stracci di cotone c'era sempre del riso, ma con dei semi strani e un ripieno verde, bianco e rosa. Non capendo, la geisha sollevò il capo verso il cliente.
« E questo? » chiese, con perplessità.
« Assaggia. » insistette il cliente, sollevandone uno tra le dita e portandolo alle sue labbra .
Arrossendo, per motivi di cui non riusciva a capire la ragione, Fay aprì la bocca, lasciando che Kurogane adagiasse quel nuovo stuzzichino sulla sua lingua.
« Mi piace... » concluse stupito il biondo.
« Lo so... » fu la semplice risposta del moro, prima di riprendere a parlare con lui del più e del meno.
Il tempo passò rapido, come ogni volta tra loro.
Fay, con dolore, sentì presto la campanella suonare, decretando la fine del loro tempo insieme. Perché quell'ora gli sembrava sempre così rapida?
Perché doveva finire con tale velocità, strappandogli dalle mani l'unica compagnia che agognava per ogni notte?
Fissò Kurogane rimettere nella borsa le pezze di cotone vuote del loro precedente contenuto. Alla fine, aveva scoperto che quelli mangiati dal moro erano sushi, mentre i suoi erano makisushi, una specie di versione adattata per i palati più schizzinosi.
Stava il fatto che non capiva quell'“immaginavo” dell'altro.
Alzò il capo, fermandolo in tempo prima che sparisse dietro al paravento:
« Come facevi a saperlo? »
Kurogane si bloccò, chinando lo sguardo sulla mano che lo tratteneva per l'abito. L'accarezzò in un gesto lieve e apparentemente distratto, senza guardare il biondo:
« Nel makisushi il pesce è avvolto. Non si mostra, così resta nascosto tra riso e alghe. » spiegò, con una naturalezza quasi disarmante.
Fay boccheggiò, lasciandolo andare:
« Perchè sembra che stessi parlando d'altro...? »

La pioggia cadeva copiosa, quella mattina.
Con la morte nel cuore, Fay dovette rinunciare all'idea di ripetere l'esperienza del giorno precedente, rinchiudendosi per l'ennesima volta nella piccola stanza che gli era adibita.
Bevve del the per scaldarsi, tenendo la tazza in entrambe le mani.
Pur sapendo ch'era in anticipo, non riusciva a star fermo.
Voleva vederlo, disperatamente.
Passi piccoli e veloci accompagnati da falcate calme e decise si fecero sentire lungo il porticato, risvegliando nella geisha l'agitazione che con tanto sforzo aveva scacciato dalla mente durante la cerimonia del Cha Do.
La porta si aprì, lasciando entrare Kurogane: quel giorno era vestito completamente di nero, con un obi rosso sangue che faceva risaltare in modo stupefacente le sue iridi scarlatte.
« Buon giorno. » disse il moro, sedendosi.
« Buon giorno... Ti sei bagnato? »
« No, avevo questo. » spiegò il moro nel posare il suo ombrello vicino alla porta
Incuriosito, Fay notò il motivo sull'oggetto in questione: « Che cosa raffigura, ciliegi? »
Kurogane scosse il capo:
« No, un albicocco in fiore con una capinera. Ne conosci il significato? »
« Ha un significato? »
« E' una richiesta. Chi dona un quadro ove un volatile sta posato su due rami di un albicocco in fiore sta facendo una proposta alla donna a cui fa tale dono. » spiegò tranquillamente il moro, come fosse stata la cosa più ovvia al mondo.
Fay scoppiò a ridere, pur mantenendo un minimo di contegno nel nascondere la bocca dietro la mano sinistra: « Non avrei mai pensato che Kurosama fosse un tipo così malizioso. »
« Non è per quello che tengo con me questo oggetto. »
« Per quale motivo, allora?»
Kurogane lo fissò, in silenzio, per diversi minuti. Poi prese una tazza di the, la bevve e finalmente rispose a quella domanda:
« Ho un sogno. Io che reggo quest'ombrello, sotto la pioggia. Ed al mio fianco c'è una persona. Delicata, gentile, solare. »
« Una donna...? » chiese il biondo, senza capire perchè sentisse quel dolore allo stomaco.
Lo sguardo del moro si fissò su di lui, mettendolo a disagio: « Non lo so.- spiegò alzandosi – Ora devo andare. »
Fay si sentì mancare la terra sotto i piedi e lo guardò, senza celare la propria disperazione: « Ma l'ora è appena cominciata! »
« Devo andarmene da questa città. Tu verrai con me. »
Ad occhi sgranati, il biondo serrò i pugni sul suo kimono viola: « Io non posso... »
« Non puoi o non vuoi? »
« Io...»
Una mano avanzò verso la geisha, come per invitare a stringerla, decretando così la sua decisione. Fay la fissò, incapace di decidere.
Fu a quel punto che Karen entrò, fuori di sé dalla rabbia:
« Ayumi mi ha riferito che avete detto alla mia geisha! Vi vieto di fare una cosa simile! »
Kurogane non fece una piega, posando tra le mani della donna una busta che aveva celato tra la fascia dell'obi e il vestito. La tenutaria l'aprì, leggendola, via via più disperata nello sguardo. Fay non capiva, ma il moro non gli diede tempo di scoprire il contenuto dell'epistola.
Lo trascinò lungo il corridoio delle concubine, rapido:
« Sono un esattore delle tasse. Questo padiglione verrà chiuso se loro non mi concederanno di portarti via con me. Questo è, in breve, ciò che riporta quella lettera. » spiegò Kurogane, senza voltarsi nell'andare verso le camere.
Fay si sentì cedere le gambe e si fermò, imponendo una sosta anche all'altro:
« ... Kurosama... » chiamò, a capo chino.
L'altro si voltò, guardandolo intensamente negli occhi.
Il biondo gli sorrise, andando a prendergli il viso tra le mani.
Lo baciò, lì, davanti a tutte le geishe uscite a guardare che stava succedendo.
Kurogane gli accarezzò una guancia con il dorso della mano, il fare distratto che celava qualcosa di ben evidente nello sguardo carminio.
Fay sorrise, sentendosi pienamente d'accordo con quella tacita richiesta:
« Portami via da qui... »




Note dell'autrice:
questa è una delle fic che ho scritto mentre NON scrivevo swaying e protection XD
Ho pensato di postarla tanto per darvi qualcosa da leggere in attesa del sesto capitolo della saga angst ^^
Spero vi sia piaciuta!

*poesia che potete trovare nel Genji Monogatari, scritto da Murasaki Shikubu.
   
 
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