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Autore: gayzombie_    01/12/2017    1 recensioni
Jane Watson aveva pensato che fosse una mossa furba sposare un uomo giovane, ricco e di bella presenza come Maurice Morstan. In un solo colpo avrebbe risolto gran parte delle sue preoccupazioni: il matrimonio avrebbe messo a tacere le malelingue, i lettori dello Strand Magazine avrebbero smesso di fare insinuazioni per nulla velate riguardo al suo rapporto “poco decoroso” con la signorina Holmes, sarebbe andata a vivere con il suo sposo lontana da Baker Street e nessuna delle due avrebbe più subìto simili fastidi.
Sheila non l’aveva presa affatto bene.
[Genderswap/Victorian]
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I knew I hadn't any choice, hushed my voice, did what any girl would do and
When I'm beheaded at least I was wedded
And when I am buried at least I was married
I'll hide my behavior with wine as my savior
 
Jane Watson aveva pensato che fosse una mossa furba sposare un uomo giovane, ricco e di bella presenza come Maurice Morstan. In un solo colpo avrebbe risolto gran parte delle sue preoccupazioni: il matrimonio avrebbe messo a tacere le malelingue, i lettori dello Strand Magazine avrebbero smesso di fare insinuazioni per nulla velate riguardo al suo rapporto “poco decoroso” con la signorina Holmes, sarebbe andata a vivere con il suo sposo lontana da Baker Street e nessuna delle due avrebbe più subìto simili fastidi.
 
Sheila non l’aveva presa affatto bene.
Sapeva che non avrebbe capito, lei non si era mai interessata ai pettegolezzi che le coinvolgevano, non ci teneva a difendere la propria immagine se non dal punto di vista professionale.
La sua risposta alle voci che circolavano era sempre stata la stessa: “Devono avere delle vite vuote e noiose, poveri, lascia che parlino.”
Certo, sarebbe anche stata una buona soluzione, se solo avessero avuto lo stesso carattere e le stesse priorità. Ma Jane non era come lei, trovava già pesante la propria situazione come donna in un’epoca di misogini, ed essere additata come “dottoressa saffica” era qualcosa che ormai sopportava con molta fatica.
 
Non si pentiva della propria scelta.
 
Beh, forse si, in parte. Ma Maurice era gentile e abbastanza permissivo, e non faceva troppe storie quando Jane decideva di andare a trovare l’amica o di unirsi a lei nella risoluzione dei casi che i clienti le affidavano.
Inoltre, era ricco. Molto ricco.
E lei, pur non essendo una donna frivola o vanitosa, aveva imparato a consolarsi con quei bei vestiti e gioielli che poteva finalmente permettersi.
 
But, oh, what beautiful things I'll wear
What beautiful dresses and hair
I'm lucky to share his bed
Especially since I'll soon be dead
 
«È nuova quella collana?» aveva osservato Sheila un pomeriggio, indicando con un cenno del capo il gioiello che la bionda portava al collo.
Jane sospirò appoggiando sul tavolo la sua tazza di tè, forse sbattendola un po’ più forte di quanto avrebbe voluto: era tornata a Baker Street per farle visita e passare di nuovo del tempo insieme, ma sapeva che a lei non sarebbe bastato: avrebbe cercato in tutti i modi di convincerla a tornare, come se fosse possibile annullare un matrimonio dall’oggi al domani e tuffarsi di nuovo tra le sue braccia come se nulla fosse successo.
 
«Lo sai che è nuova, prima non indossavo niente del genere. Dove vuoi arrivare?»
 
«Com’è il matrimonio? È divertente lasciarsi sottomettere da un uomo e vendicarsi silenziosamente spremendolo fino all’ultimo centesimo? Perché è questo che sta succedendo, è palese.»
 
«Anch’io sono felice di rivederti, è bello che tu mi chieda come sto per prima cosa.» rispose Jane ironicamente, infastidita dall’acidità della più giovane. Era consapevole del fatto che lei si fosse sentita abbandonata, ma avrebbe dovuto sviluppare un po’ di maturità e sforzarsi di comprendere le sue ragioni.
«Il signor Morstan è un brav’uomo e mi rispetta, non ha battuto ciglio quando gli ho detto che sarei tornata qui a trovarti. E tieni presente che lui sa di tutte le voci che girano sul nostro conto.»
 
L’investigatrice sgranò gli occhi azzurri portando una mano al petto con aria teatrale, fingendosi colpita dall’affermazione della compagna: «Lascia addirittura che tu metta piede fuori da casa tua? Ma allora è un vero angelo, ti prego di perdonarmi se ne ho mai dubitato!»
 
«Smettila. Qualcun altro, diciamo pure qualunque altro uomo a Londra, al suo posto non l’avrebbe presa bene.»
 
Sheila scosse la testa alzandosi in piedi e, recuperato il proprio violino, iniziò a far scorrere l’archetto sulle corde dello strumento passeggiando nella stanza, nel tentativo di ritrovare un po’ di calma.
L’ex signorina Watson evitò il suo sguardo per tutta la durata della musica, fissando con rabbia una zolletta di zucchero che si scioglieva lentamente nel tè caldo.
Sheila non stava neanche cercando di capire, si era messa in testa un’idea e sembrava avere tutta l’intenzione di non volerla cambiare. Perché doveva essere così egoista?
 
O forse l’egoista era stata lei, privandola improvvisamente della propria presenza e andando a vivere con un uomo che conosceva appena, solo per sfuggire a dei pettegolezzi che, in fin dei conti, avevano poco di falso?
 
I passi della mora si fermarono improvvisamente: doveva essere giunta a una qualche conclusione.
 
«D’accordo, ammettiamo che questo Morstan sia l’uomo migliore del mondo. Jane…» nel pronunciare il nome della bionda, Sheila interruppe la melodia che stava suonando e si voltò verso di lei, con aria affranta: «Che ne sarà di me e di te?»
 
Alla vista del bel viso dell’investigatrice contratto in quell’espressione così sofferente, ogni traccia di rabbia o fastidio abbandonò il cuore della bionda, lasciando spazio a un diffuso calore: voleva stringerla a sé e rassicurarla, convincerla che tutto sarebbe andato per il verso giusto, ma la verità era che non aveva la più pallida idea di come sarebbe andata.
Aveva commesso un terribile errore e Sheila, la sua Sheila, ne stava pagando le conseguenze. Aveva tutte le ragioni per essere acida e prenderla in giro: era il suo metodo di auto-difesa.
 
Jane si alzò a sua volta, raggiungendola al centro della stanza e alzandosi in punta di piedi per stringerle le braccia al collo, mentre la mora ricambiava l’abbraccio accarezzandole la schiena attraverso il tessuto dell’abito nuovo.
 
Le era mancato sentire il profumo dei suoi capelli, accarezzare quei riccioli scuri e sentire le sue dita sottili che facevano lo stesso scorrendo tra le ciocche bionde.
Vivere con un uomo e avere contatti unicamente con lui le aveva quasi fatto dimenticare quanto fosse piacevole e delicato il tocco di una donna, e quanto fosse dolce il profumo di Sheila.
Non c’era paragone.
 
«Io… torno a casa, ora.»
 
«Perché?»
 
«Perché so che succederà qualcosa di molto sconveniente, se non vado via subito.»
 
La mora, nell’abbraccio, aveva ruotato la testa portando le labbra sul suo collo, e le dita sulla schiena dell’amica avevano iniziato a slacciare l’abito quasi muovendosi per volontà propria.
Jane, da parte sua, non aveva minimamente cercato di ostacolarla: si era limitata a sciogliersi tra le sue braccia come neve al sole e aveva continuato a godersi il profumo di quella chioma castana, sentendo il proprio respiro farsi corto e le ginocchia tremare sotto la gonna.
Succedeva tutto così naturalmente, tra loro due, e l’investigatrice si ritrovò a chiedersi se a Jane capitasse lo stesso con quell’uomo.
 
Certo che no.
 
Then I break a glass and I slit my own innermost thigh
So that I can pretend that I'm menstru- well, “unavailable”
 
Tutto, tutto di Maurice le sembrò terribilmente fastidioso quella sera.
Trovò insopportabile l’accenno di barba sul mento del marito quando quest’ultimo la salutò baciandola, l’odore di uomo le sembrò nauseante, e le mani che tentavano insistentemente di appoggiarsi sui suoi fianchi erano pesanti e rozze in confronto alle dita pallide e affusolate di Sheila.
Le era bastato passare un pomeriggio con lei per sentire di nuovo la sua mancanza.
Rimpianse la presenza della collega durante tutta la cena, e fu proprio a tavola che ebbe una delle sue idee.
 
Il destino volle che la domestica inciampasse portando il dolce e che una coppetta cadesse dal vassoio rompendosi in mille pezzi: la poverina era mortificata, ma Jane, anziché rimproverarla, la aiutò a raccogliere i cocci. Qualcosa la spinse a tenerne un pezzo per sé, nascondendolo nella manica del vestito un attimo prima che Maurice intervenisse partendo con il solito sproloquio: tutto quello che Jane sentì fu qualcosa del tipo “Vai a sederti, non vorrei che ti facessi male, ci penso io, non dovresti fare sforzi”.
 
Insopportabile.
 
Provò un’indescrivibile soddisfazione mentre, più tardi, chiusa in bagno, usava il coccio tagliente per ferirsi l’interno coscia.
 
E provò il doppio del sollievo nel vedere la smorfia di delusione di Maurice quando, facendola stendere sotto di sé sul materasso, notò il rivolo di sangue che percorreva la sua coscia fino al ginocchio.
 
«M-mi dispiace», balbettò fingendosi mortificata, «A quanto pare sono indisposta.»
 
Quel trucchetto le avrebbe evitato le attenzioni del marito solo per pochi giorni, ma era disposta ad adottare qualunque espediente pur di rimandare quel momento.
 
My life is arranged but this union's deranged
So I'll fuck who I choose for I've nothing to lose
And when master's displeased I'll be down on my knees again
 
Un giorno Maurice smise di essere “gentile e abbastanza permissivo”, e smise anche di prendere alla leggere la questione Holmes.
Difficile prenderla alla leggera, quando scopri tua moglie con la testa tra le gambe di un’altra donna.
 
Jane era tornata a far visita a Sheila, questa volta di sera, e Maurice, da bravo marito quale era, non si sarebbe mai sognato di lasciarla tornare a casa da sola dopo il tramontare del sole.
Era andato a Baker Street senza alcun preavviso, chiedendo al signor Hudson di non annunciare la sua presenza, in modo da sorprendere la sua sposa che nei giorni precedenti le era sembrata tanto distante.
 
Fu lui, invece, ad avere una sorpresa, e per nulla gradita.
 
Jane tentò di scusarsi in tutti i modi, assicurandogli che non sarebbe mai più accaduto, pregandolo di tornare a casa insieme e ricominciare da capo.
Non sapeva, onestamente, cosa stesse cercando di proteggere. Il matrimonio con quell’uomo non aveva alcun valore, e lei stessa non credeva nelle proprie parole: certo che sarebbe accaduto di nuovo, sarebbe tornata a Baker Street alla prima occasione e si sarebbe irrimediabilmente ritrovata tra le braccia di Sheila, avrebbe ripetuto quell’errore all’infinito (sempre che potesse definirsi un errore), senza pentirsi neanche una volta.
 
We're coupled together through hell, hurt, and hunger
Or at least until husband finds someone younger
Yes, fertilization is part of my station
I laugh as he drabs me in anticipation
 
Maurice l’aveva perdonata, ovviamente.
Desiderava tanto avere dei figli e, nonostante Jane non fosse entusiasta quanto lui all’idea, l’aveva convinta barattando il proprio perdono con la promessa di un bel bambino, possibilmente maschio.
 
La notte del concepimento fu un incubo per Jane: mentre quel semi-sconosciuto si affannava sopra di lei, i suoi occhi fissavano il soffitto della camera da letto, trovando le crepe e le macchie di muffa molto più interessanti di quel che stava accadendo.
Si chiedeva perché lo stesse facendo, o meglio, perché glielo stesse lasciando fare.
E si chiedeva cosa gli fosse passato per la testa il giorno in cui aveva deciso, di punto in bianco, di sposare il signor Morstan e abbandonare la sua Sheila alla cocaina e alla solitudine.
 
Of sons who will run things when I'm under covers
But whose children are they? Why, mine and my lover's!
 
A volte, quelle che normalmente sono considerate delle vere e proprie tragedie, per qualcuno possono rappresentare una liberazione.
Come, ad esempio, la notizia della morte del signor Morstan durante una sparatoria e la scoperta di documenti che testimoniano la sua seconda vita da criminale.
Jane pianse, a quell’annuncio: non per il lutto, non per la tristezza e neanche per l’idea di dover crescere da sola il piccolo Ross. Pianse per il senso di sollievo nello scoprire che il suo più grande errore era svanito nel nulla, e che non avrebbe neanche dovuto recitare la parte della vedova addolorata, poiché l’uomo che aveva sposato era in realtà un criminale e un bugiardo.
 
«Mi ha mentito per tutto questo tempo… tu lo sapevi? Avevi dedotto qualcosa?» chiese frugando tra i ritagli di giornale sul tavolo, mentre Sheila, seduta accanto a lei, la osservava da vicino: era così felice di riaverla a casa, con lei, dove avrebbe sempre dovuto essere.
Prese una sua mano tra le proprie, baciandone il dorso e attirando così l’attenzione della bionda, che arrossì immediatamente accennando un sorriso.
 
«Avevo i miei sospetti. Ma non mi avresti creduto, e probabilmente avresti pensato che stessi inventando qualche storia assurda per riportarti qui da me. In ogni caso non ti ho abbandonata, Jane, la distanza non mi ha impedito di tenerti d’occhio.»
 
Le labbra rosee della mora ora erano pericolosamente vicine al suo viso, e gli istinti che Jane era stata costretta a tenere a bada per tanto tempo tornarono improvvisamente a farsi sentire.
 
«Sono stata pessima. E ho avuto quello che meritavo.»
 
«Sei stata risoluta, e le situazioni spiacevoli o pericolose possono capitare alle persone come noi.»
 
La bionda scosse la testa, mordendosi il labbro inferiore come per autopunirsi: «Sei ancora troppo buona con me, dopo… dopo tutto questo. Vorrei farmi perdonare, ma davvero non ho idea di come potresti-»
 
Percepì le dita dell’investigatrice scorrere tra i propri capelli per sistemarle una ciocca dietro l’orecchio, in modo tale da scoprirle il volto. Sentiva il suo respiro infrangersi contro la propria guancia, e si ritrovò a dover combattere di nuovo contro il bisogno di baciarla o elemosinare un qualunque altro contatto fisico.
Le era mancata così tanto da fare male.
 
Aveva sperimentato sulla propria pelle cosa volesse dire rinunciare volutamente alla cosa più bella e preziosa che la vita le avesse mai donato, e non aveva alcuna intenzione di ripetere quell’esperienza.
Non avrebbe mai più inseguito la “normalità”, non era cosa per lei, e neppure per Sheila: la loro normalità era fatta di inseguimenti, adrenalina, pericolo, resti umani conservati in barattoli e stupide liti risolte in pochi minuti (perché, in fondo, nessuna delle due sarebbe riuscita a tenere il muso all’altra per troppo tempo).
 
«Potrei perdonarti subito, ma ho una lista di cose che mi piacerebbe facessi. Una piccola vendetta che ho preparato in attesa di riaverti qui.»
 
La dottoressa ridacchiò nel sentire quelle parole, scuotendo la testa: «Perlomeno non ti sei annoiata troppo senza di me. D’accordo, da dove devo cominciare?»
 
Un paio di labbra morbide e calde le impedirono di pronunciare per bene l’ultima parola, premendo sulle sue come se non avessero aspettato altro per tutto quel tempo, cogliendola di sorpresa.
Sheila sceglieva sempre i momenti peggiori per baciarla, lo faceva senza alcun preavviso mentre la sua bocca era impegnata a fare altro (parlare, bere, urlare insulti) e, soprattutto, lo faceva con un’innocenza e una dolcezza tali da farle dimenticare quale persona fredda e razionale fosse con chiunque altro all’infuori di lei. Le era mancato essere la sua eccezione, le era mancato tutto, perfino i loro stupidi litigi e il suono acuto e fastidioso che la mora produceva volutamente con l’archetto sulle corde del violino quando intendeva chiudere una conversazione scomoda.
Non vi avrebbe mai più rinunciato, per nulla al mondo.
Le accuse, il pregiudizio, le chiacchiere e tutto ciò che le era sempre sembrato impossibile da ignorare, avevano improvvisamente perso importanza: era pericoloso, certo, ma da quando disdegnava il pericolo?








Canzone: Marry Me-Emilie Autumn     https://www.youtube.com/watch?v=OBRTSsQR4zo
 
   
 
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