Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |      
Autore: Invader_from_Hell    21/04/2005    9 recensioni
Sono l’abnegazione del presente e del cuore... Nego ogni ragione, ti corteggio con l’astrazione... Ma tu chiamami violentatore della passione, ladro di amori e malato di fervori. Io sono un...
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Urbano Cielo by Matteo P

Urbano Cielo    by Invader

 

“Gli esseri umani si differenziano per attitudini e abitudini.

 C’è chi studia gli uccelli che volano, e c’è invece chi vola,

a suo rischio e pericolo….

 

 

 

E’ un dramma, Urbano Cielo.

È drammatico come ultimamente ci colpisca e ci schiacci contro il muro.

Non te lo nasconderò Urbano Cielo, ho intenzione di essere sincero.

Se le mie parole non restano imbrigliate in quella rete fumosa

Di torbidi miasmi cittadini, di pensieri sudati e spossati,

Tu per favore ascoltami, perché parlerò una volta sola

Adesso sono fuori dalla mia gabbia, e ti assicuro che sto bene,  alla grande.

Non durerà molto, Urbano Cielo, mi vedranno prima che tu riesca a distinguermi

Tra le formiche che calpestano la terra sotto la tua volta.

Quindi accontentati delle mie parole, perché più non posso offrirti

So di essere un suddito che chiede udienza al suo sovrano

senza neppure un dono in natura, ma tu fammi questo favore, ti prego

non c’è molto tempo oggi, non c’è mai stato molto tempo

fammi questo favore, concedimi questa grazia, considerami

per qualche secondo come il figlio che non hai, ascoltami

come ricompensa cerca di farti bastare la carezza del pensiero di un affetto filiale.

 

Non sto bene, Cielo Urbano, Urbano Cielo – così lo dicono i Poeti –

Nessuno sta bene, è impressionante come aumenti di giorno in giorno.

Parlo piano, e la mia lingua non profuma; ma ti ho detto che il tempo stringe

Quando esco dalla gabbia, cielo Urbano, è tutto sistemato.

Ma ci tornerò, già lo so. Ti ho ferito padre.

Urbano Cielo, per quanto afflitto, non credo di impetrare la fine di questa visione.

Ti chiedo di spiegare, in versi o in prosa

 

Perché Dio sia adesso urbana e fumosa realtà

Perché molti volino e mordano le nuvole

che sputi come caramelle masticate

Perché come da carie afflitti

Giacciano poi sfiniti

Con ali spezzate

Facce alienate

Occhio bianco

Morte in viso.

Sonno.

Loro.

 

Ami i volatili? Io sì.

Per molto tempo ho creduto di imitarli.

E mi vedevi, vero?

Prendendo carta e penna, e giacendo sotto di te

Coperto dal manto erboso della mia gioventù

Ho percorso in lungo e in largo le colline

Scalato le montagne, finché non trovai una rampa per il lancio.

 

Ma tu sai che il mio volo ha in comune con quello degli uccelli

Solo il bisogno delle ali.

 

Leggevo nei momenti di sole urbano tra macchine e cemento erboso

Di uomini che volano fuori da labirinti greci, sperduti tra mirto e sole.

A picco sul mare, quel lago di impedimento che tanto mi grava.

Leggevo di come il cielo arrivarono a toccare

Dell’esuberanza del genio, delle ali fabbricate, della cera e delle piume.

Urbano Cielo, li ospitati tu nel tuo azzurro greco di mare e di sale?

Fu il tuo sole a corrodere il collante della razionale invenzione?

Sbagliare, certo, quello è sbagliare.

Perché mai ti avremo con la ragione, Urbano Cielo

Mai di te scriveremo parole precise e inferenze ben fatte

Urbano cielo, che le auto e i palazzi sovrasti

Accetti il parto di un attico sperduto in periferia?

Accogli il volo di un’anima senza catene e vincoli?

Un Minotauro minaccia la mia vita, Urbano Cielo

Le auto sfrecciano veloci e sbuffano atroce accidia

Tedium Vivendi me habet. Non dubito.

Non ho più mappe, nessuna cartina

È un labirinto di cemento, fuori il mare dell’ignoto

E mi sento un po’ Dedalo, Urbano Cielo.

Saresti disposto a farmi tentare la grande traversata?

 

La mia esistenza, Urbano Cielo, non è necessaria alla matrice

Quella nera costruzione che oltre te aleggia,

come un telo increspato dal vento.

Muovo i miei passi come una tenera fiamma

In una ventosa sera di fine primavera

Ed è il vento che tutto può.

Io, Urbano Cielo, spero di brillare abbastanza

Per lasciare un’impressione di fervida passione

Quando il vento ai posteri mi avrà sottratto.

Urbano Cielo, massa violacea di smog ed ozono

Io non ti voglio spiegare ai mortali

Io ti voglio per sempre cantare

E per farlo devo volare, Urbano Cielo, devo salire.

Non c’è montagna che carezzi il tuo volto

Non c’è vento che trasporti il tuo odore

Ci sono solo ali, maledetto adorato genitore di passioni.

 

Ma io, Urbano Cielo, non voglio usare la cera.

Non la ragione impiegherei nella mia costruzione.

Urbano Cielo, sono come te, una azzurra emozione

Una testa che non sa ragionare

Un fiore che non si sa spiegare

Un assioma sbiadito

Un gioco di consonanti senza senso

Fluorescenza di amore fiorito

Urbano Cielo, ti canterò con la carta e la penna

Ma tu fammi volare.

Placa il tuo sole, non si deve adirare.

Il Mare non deve ancora avermi.

Perché la mia non è cera.

Il collante che uso è simile al vento

Mi sospinge oltre le nuvole, fino a toccarti

Fino a saggiare ogni passione per il semplice gusto

Di svegliarmi sul foglio e dire poi “questo sono io

Questi siamo noi?”.

Ti onoro di parole, non di formule o teorie

Ti profumo di bellezza, non di semplicità.

Urbano Cielo, da un attico di periferia

Accetta la mia tracotanza,

sciogli il torchio che lega le mie nuovissime ali.

Non protestare, te ne prego.

Ti carezzerò, come un piuma irrazionale

Che solletica il mento di un bambino.

E rideremo, Urbano Cielo

E nella caduta, se vorrai

Io leggerò, e tu piangerai.

 

 

 

Sono un annegatore del tempo e della mia storia

Ma tu chiamami violentatore della passione

Offuscatore della ragione, ladro di amori, malato di fervori.

Sono io che oso scovare una nuvola

Senza troppo penare, senza prima morire.

Sono proprio io, morbide ali invisibili costruendo

Nego ogni ragione, ti corteggio con l’astrazione.

Sono l’abnegazione del presente e del cuore

Rimo la passione col distico della superbia.

Ma tu, per favore, chiamami solo…

 

 

… e si dimostrano tuttavia stupidi, questi impavidi uomini volanti?

 A loro non serve morire.

Volano, gli umani, per carpire un sentimento, un’emozione

Da scrivere e poi raccontare. Poco male se cadono, pare

Anzi che provino un assurdo piacere nel descrivere la propria caduta.

E non muoiono mai, perché le loro ali sono fantasia di passione

Non è la cera di Dedalo, non si sciolgono mai al sole

Questi mortali. Si elevano fino al loro Cielo per sentire il profumo

Di una parola. E poi sprofondano nel vuoto, forti della bellezza

Del proprio inarrestabile precipitare. Effimeri come il lume

Di una candela, da molti sono definiti Idioti.

Noi però, li chiamiamo semplicemente Poeti.”

 

Ma tu, per favore, chiamami solo Poeta.

 

[ Teofrasto Eolico, Poeta Lirico Mai Esistito]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Invader_from_Hell